GIOVANNI Climaco, Santo (o Scolastico, Sinaitico)
Monaco, teologo e asceta, vissuto nel convento ai piedi del monte Sinai tra il 6° e il 7° secolo. Secondo la cronologia stabilita da Nau (1902, p. 37) G. sarebbe nato prima del 579, tonsurato prima del 599, divenuto igumeno del monastero intorno al 639 e morto verso il 649-650. Questa datazione, formulata grazie a osservazioni interne alle scarse fonti che conservano la memoria della vita e delle opere del santo sinaitico, non è tuttavia comunemente accettata e alcuni studiosi preferiscono considerare G. attivo nel pieno sec. 6° e igumeno tra il 592 e il 596 (Beneševič, 1924, pp. 168-172).G. è autore di una celebre opera di ascetismo, da cui trae anche l'epiteto che lo contraddistingue, cioè la Κλῖμαξ τοῦ Παϱαδείσου (Scala del Paradiso) detta anche ΠλάϰεϚ πνευματιϰαί o Tabulae spirituales. Essa costituisce un trattato destinato ai monaci e diviso in trenta capitoli, tanti quanti gli anni della vita privata di Cristo, che ha lo scopo di indirizzare e guidare l'anima di chi ha scelto la vita monastica, considerata stato supremo nell'ascesa verso Dio, ascesa simboleggiata appunto da una scala di trenta gradini. Fonte di ispirazione dell'opera di G., oltre ovviamente alle Sacre Scritture, con particolare attenzione all'Antico Testamento - la stessa immagine della scala è improntata alla visione di Giacobbe (Gn. 28, 10-16) -, sono gli scritti di Gregorio Nazianzieno, Giovanni Cassiano, Evagrio Pontico, lo pseudo-Dionigi l'Areopagita e le esperienze ascetiche dei Padri del deserto raccolte negli Apophtegmata Patrum. È peraltro da notare come, pur menzionando angeli, demoni e personaggi biblici, non venga mai citata la Vergine (Rabois-Bousquet, Salaville, 1923, p. 450).Nei manoscritti dell'opera al testo vero e proprio vengono sovente aggiunti, all'inizio, il Canone penitenziale - testo in versi tratto dal quinto capitolo della Scala del Paradiso - e, alla fine, il Discorso al pastore, una sorta di manuale per l'abate (Impellizzeri, 19932, p. 204).La Scala del Paradiso divenne immediatamente celebre sia negli ambienti monastici, ai quali era indirizzata, sia in quelli laici: fu tradotta inizialmente in siriaco e in arabo, in seguito anche in slavo. La prima versione latina, che non venne mai pubblicata, fu approntata dal francescano Angelo Clareno, o da Cingoli, intorno al 1294; in seguito, nel 1480, fu tradotta nuovamente dal camaldolese Ambrogio. Tale versione venne per la prima volta stampata a Venezia nel 1531 (edizioni successive: Venezia, 1569; Colonia, 1583, 1593). La prima traduzione italiana fu stampata sempre a Venezia nel 1585.Si conservano alcune decine di manoscritti della Scala del Paradiso: la maggior parte ha come unica decorazione una scala (ma anche più di una), posta all'inizio o alla fine del testo. Altri portano, oltre alla scala, il ritratto dell'autore, in un medaglione o improntato a quello degli evangelisti: uno dei manoscritti conservati nel monastero di S. Caterina sul monte Sinai (Bibl., gr. 417), del sec. 10°, è forse il più antico di questo gruppo. Altri manoscritti ancora, seppur in numero assai limitato, presentano un intero ciclo di miniature, che illustrano tutti i capitoli dell'opera, dispiegando un ampio campionario di personificazioni di vizi e virtù nonché un interessantissimo repertorio di rara iconografia monastica (Martin, 1954, pp. 150-163).Il perno dell'illustrazione del testo è tuttavia la scala; questa può essere di modello semplicissimo, quasi un diagramma, ed è il caso più frequente, che compare già nei codici del sec. 10°, i primi ad avere illustrazioni di qualche sorta. Ma l'iconografia che ha in seguito conosciuto ampia diffusione è più complessa. Martin (1954) ha dimostrato che cicli più ampi di miniature fanno la loro comparsa nell'11° secolo. In quest'epoca venne probabilmente creata l'immagine della scala a tutta pagina, posta di traverso al foglio, sulla quale salgono faticosamente i monaci: ai piedi di essa è effigiato G. nell'atto di esortare i suoi seguaci, in cima è il Cristo, meta ultima del percorso ascetico. Quelli che falliscono precipitano e vengono ingoiati da un dragone con le fauci spalancate, simboleggiante l'inferno, raffigurato più in basso. Sempre secondo Martin (1954, p. 12) questi erano gli elementi presenti nell'archetipo, che forse poteva essere un affresco o un mosaico perduto: infatti tali elementi sono quelli sempre presenti, anche nelle versioni più ampie del tema iconografico della scala del paradiso, che conosce invero tante varianti, più o meno sottili, quanti sono i manoscritti che lo riportano. I codici che presentano un ciclo completo di miniature illustranti i diversi capitoli del testo obbediscono ad almeno tre diverse recensioni iconografiche indipendenti ed è sorprendente la loro varietà.Tra i codici più riccamente illustrati bisogna citare, per il sec. 11°, quelli conservati a Princeton (Univ. Lib., Garret 16, del 1081) e a Roma (BAV, Vat. gr. 394); per il sec. 12°, quelli conservati a Roma (BAV, Vat. gr. 1754) e al monastero di S. Caterina sul monte Sinai (Bibl., gr. 418); per il sec. 14°, il manoscritto del monte Athos (Stavronikita, 50), forse databile intorno al 1335 e dipendente iconograficamente dal Vat. gr. 394. Di particolare interesse sono poi il manoscritto di Parigi (BN, Coislin 263), copiato nel 1059 per il protospatario Eustazio Boilas e contenente anche il suo testamento, dal quale si apprende che il committente possedeva due copie della Scala del Paradiso (Germain, 1992), e il codice di Milano (Bibl. Ambrosiana, B. 80 sup.), che per la presenza di miniature raffiguranti l'imperatore bizantino Michele VII e i suoi fratelli e co-imperatori Costantino e Andronico Ducas può essere datato agli anni 1068-1078 e attribuito, come il precedente, a una committenza laica, presumibilmente lo stesso Andronico (Anderson, 1979). Più difficile è invece determinare il luogo di produzione di tutti questi manoscritti, anche se non è da escludere che molti siano stati prodotti proprio nei conventi atoniti e sinaitico; per i più lussuosi appare plausibile, ma senza poterlo al momento dimostrare con certezza, indicare una provenienza da Costantinopoli.Se l'iconografia della scala conosce ampia diffusione nei manoscritti, lo stesso non si può dire per la decorazione monumentale: questa infatti appare solo raramente, in ambito monastico e in decorazioni tarde, non anteriori al sec. 16°, che pure riprendono presumibilmente iconografie precedenti. Tra gli esempi più significativi vanno citati, sul monte Athos, le raffigurazioni presenti nell'esonartece di Vatopedi e in quello di Dochiario e nei refettori della Grande Lavra e di Dionisio.Il ritratto di G. compare talvolta nei cicli decorativi di chiese conventuali, quali quello della Nea Moni di Chio, costruita e decorata tra il 1042 e il 1055. Per quanto riguarda le icone raffiguranti il santo stesso e la scala del paradiso, sembra non ve ne siano di anteriori al sec. 11° se non addirittura al 12°; tra gli esempi più celebri va ricordata quella a fondo oro del monastero di S. Caterina sul monte Sinai (Weitzmann, 1982, trad. it. p. 95).
Bibl.: Fonti. - Giovanni Climaco, Opera, in PG, LXXXVIII, coll. 579-1210; Vita S. Joannis Climaci, in AASS. Martii, III, Paris-Roma 1865, pp. 831-834.Letteratura critica. - F. Nau, Note sur la date de la mort de St. Jean Climaque, BZ 11, 1902, pp. 35-37; S. Rabois-Bousquet, S. Salaville, St. Jean Climaque: sa vie et son oeuvre, Echos d'Orient 22, 1923, pp. 440-454; V.N. Beneševič, Sur la date de la mosaïque de la Transfiguration au Mont Sinaï, Byzantion 1, 1924, pp. 145-172; G. Millet, Monuments de l'Athos, I, Les peintures, Paris 1927; G. Hofmann, Der heilige Johannes Klimax bei Photios, OCP 7, 1941, pp. 460-479; J.R. Martin, The Illustration of the Heavenly Ladder of John Climacus (Studies in Manuscript Illumination, 5), Princeton 1954; J.C. Anderson, A Manuscript of the Despote Andronicus Ducas, REB 37, 1979, pp. 229-238; K. Weitzmann, Zur Kunst des Katharinenklosters, in J. Galey, Sinai und das Katharinenkloster, Stuttgart 1979, pp. 81-160 (trad. it. Le Arti, in J. Galey, Il Sinai e il Monastero di S. Caterina, Firenze 1982, pp. 82-186); T. Avner, The Recovery of an Illustrated Byzantine Manuscript of the Early 12th Century, Byzantion 54, 1984, pp. 5-25; D. Muriki, The Mosaics of Nea Moni on Chios, Athinai 1985; K. Weitzmann, G. Galavaris, The Monastery of Saint Catherine at Mount Sinai. The Illuminated Greek Manuscripts, I, From the Ninth to the Twelfth Century, Princeton 1990; Bibliografia dei fondi manoscritti della Biblioteca Apostolica Vaticana, II, 1981-1985, a cura di M. Ceresa (Studi e testi, 342), Città del Vaticano 1991; S. Dufrenne, Johannes Klimakos, Himmelsleiter, in Bibliotheca Apostolica Vaticana. Liturgie und Andacht im Mittelalter, cat., Köln 1992, p. 142; M.O. Germain, Jean Climaque, l'''Echelle du Paradis'', in Byzance, cat., Paris 1992, p. 359; S. Impellizzeri, La letteratura bizantina da Costantino a Fozio, Milano 19932 (1975).M. della Valle