GIOVANNI GUALBERTO, santo
Nacque, probabilmente tra la fine del X e gli inizi dell'XI secolo, in Toscana, non lontano da Firenze (secondo le agiografie più tarde nel castello di Petroio, in Val di Pesa). Ignota è la famiglia d'origine: non sembra infatti attendibile la notizia di una sua appartenenza alla stirpe dei Visdomini, anch'essa divulgata tardivamente. Tutta la vicenda biografica di G. presenta del resto alcuni elementi di incertezza, dovuti evidentemente alla natura delle fonti che la riferiscono.
La tradizione vuole che G., figlio del vir militaris Gualberto, si facesse monaco all'insaputa del padre nel monastero benedettino di S. Miniato al Monte, alle porte di Firenze.
La sua scelta sarebbe stata determinata, secondo una delle prime agiografie (la Vita scritta da Attone di Vallombrosa), dall'incontro inaspettato con l'assassino di un suo parente; abbandonando i propositi di vendetta, G. perdonò il colpevole ed entrò nella chiesa di S. Miniato, dove vide il crocefisso inclinare la testa verso di lui in segno di assenso. Colpito dall'accaduto, il giovane chiese all'abate del luogo di entrare a far parte di quella comunità e resistette a ogni tentativo del padre di ricondurlo nel mondo. L'episodio, che appare costruito secondo i topoi dell'agiografia, segna l'inizio di una straordinaria esperienza monastica, che si situa in un periodo cruciale della storia della Chiesa, percorso da forti tensioni e istanze di rinnovamento, che troveranno in Gregorio VII il loro più alto interprete.
Entrato a S. Miniato in un periodo difficilmente precisabile, G. vi risiedette fino alla scoperta dell'elezione simoniaca dell'abate Uberto per opera del vescovo di Firenze (Attone, 1032-1046 circa). Consigliatosi con l'eremita "cittadino" Teuzone, G. denunciò l'abate e il vescovo sulla piazza del Mercato Vecchio e si mise poi alla ricerca di un nuovo monastero per servire autenticamente Cristo.
La storicità di questa denuncia, riferita dalle agiografie (a eccezione della Vita anonima della Nazionale, non è esente da dubbi: cfr. D'Acunto); pare comunque verosimile che G. non fosse pienamente soddisfatto della sua prima esperienza monastica, maturata all'interno di un cenobio fortemente condizionato dal potere politico e vescovile, e cercasse quindi altrove la realizzazione dei suoi ideali.
Partito alla volta della Romagna, dopo aver peregrinato per diversi monasteri, G. fece sosta a Camaldoli, dove, a detta del primo biografo, Andrea di Strumi (Andrea da Parma), ebbe modo di osservare la forma di vita lì adottata, ma subì anche una non meglio precisata "iniuria" (Andrea, cap. 10; la notizia è però omessa da Attone di Vallombrosa, che in genere riporta molto fedelmente la Vita di Andrea). Nell'incertezza del riferimento si intuisce comunque una diversità di concezioni e di ideali, che si manifestò più chiaramente poco dopo con il rifiuto da parte di G. della promozione "ad sacrum ordinem" offertagli dal priore di Camaldoli, rifiuto che viene così motivato: "quia eius fervor nonnisi in cenobitali vita erat, ut beati Benedicti regula indicat" (ibid.). L'ideale della vita cenobitica secondo i principî della regola benedettina spinse dunque G. a lasciare l'eremo di Camaldoli e a fondare, con l'incoraggiamento dello stesso priore, un nuovo istituto.
G. giunse quindi a Vallombrosa, un luogo solitario sul versante toscano dell'Appennino, e qui stabilì la sua dimora, unendosi a due eremiti già presenti sul posto, Paolo e Guntelmo, che dipendevano dal monastero di S. Salvatore a Settimo (Firenze), allora diretto dall'abate Guarino, il quale non mancò di appoggiare la nascente comunità. In breve tempo si riunì intorno a G. un gruppo di laici, chierici e monaci fuorusciti da S. Miniato, attirati dalla sua forma di vita.
Il primo documento che segnala l'esistenza di questa comunità risale al 27 genn. 1037 il chierico ed ex notaio fiorentino Alberto, unitosi ai "fratres in Chisto simul congregati in loco Valle Umbrosa ubi et Aquabella vocatur", fece una donazione a loro favore (Arch. di Stato di Firenze, Diplomatico, Vallombrosa, 1037, gennaio 27). Due anni più tardi, il 3 luglio 1039, Itta, badessa del vicino monastero di S. Ilario (S. Ellero) e proprietaria del terreno su cui si era insediato G., donò agli eremiti il terreno medesimo, non nascondendo la sua devozione per quei "viri de Sancti Miniatis monasterio" che avevano lasciato la loro affollata comunità per ritirarsi in solitudine, allo scopo di migliorare la propria vita (ibid., 1039 luglio 3). In questi primi documenti G. non viene mai nominato.
La fama di Vallombrosa pare diffondersi rapidamente: secondo la Vita di Andrea di Strumi (cap. 23) Enrico di Franconia (il futuro imperatore Enrico III) o, secondo il documento sopra citato di Itta, l'imperatore Corrado II, di passaggio da Firenze nel 1038, venne a conoscenza della nuova fondazione e inviò un vescovo "catholicus" (Rodolfo di Paderborn) a consacrare la primitiva chiesa; la Vita di Attone (cap. 22) aggiunge la notizia di una visita del cardinale Umberto di Silva Candida, che consacrò "oratorium cum duobus altaribus", il 9 luglio 1058.
Nel giro di pochi anni G. provvide a dare al suo istituto, nato evidentemente come eremus, una solida organizzazione cenobitica, fondata sulla regola benedettina.
Il valore di questa scelta è efficacemente sottolineato dalla Vitaanonima della Nazionale (cap. 3): "cum quibus non tantum secundum cenobialem monasteriorum consuetudinem, quantum iuxta sanctorum patrum, scilicet apostolorum sanctique Basilii maximeque sancti Benedicti […] constituit vivere normam". La nuova famiglia monastica s'inseriva in effetti nel solco della tradizione benedettina, ma nella misura in cui tendeva a riappropriarsi, per volontà del suo fondatore, degli ideali del primo monachesimo, veniva a costituire una reale alternativa al cenobitismo contemporaneo, che appariva sempre più distante dalla perfezione delle origini. In questo quadro acquistano un più preciso significato i riferimenti degli agiografi all'amore di G. per la povertà, al divieto da lui impartito ai suoi monaci di "accipere capellas" (Andrea di Strumi, cap. 19), alla sua venerazione per gli ordini sacri.
Non si sa con precisione quando G. abbia assunto la carica abbaziale. Nei primi documenti egli figura quale praepositus: la prima menzione è del 27 ag. 1043 (Arch. di Stato di Firenze, Diplomatico, Vallombrosa, 1043 agosto 27) e come tale si sottoscrive ancora in un documento del novembre 1049 (Ibid., Corpor. rel. soppresse, 260, 6); tardiva appare la denominazione abbas - maggio 1068 (ibid.) -, ma si può immaginare che già molto prima di questa data egli ricoprisse tale carica.
L'espansione del monachesimo vallombrosano fu immediata: ad anni precedenti la metà del secolo risalgono le fondazioni di Montescalari, Moscheta, Razzuolo, S. Salvi; nello stesso periodo vennero affidati a G. i monasteri già esistenti di Marradi, Passignano, Settimo (quest'ultimo, donato dal conte Guglielmo il Bulgaro, non figura più fra i monasteri vallombrosani nel privilegio di Urbano II del 1090). Numerose fondazioni si ebbero anche nella seconda metà del sec. XI e per tutto il sec. XII.
I rapporti fra la nuova fondazione e il Papato ci sono noti, per questo primo periodo, solo dalle notizie contenute nelle agiografie: queste riferiscono di un sereno incontro fra G. e Leone IX nel monastero di Passignano, avvenuto forse nel 1050, mentre lasciano trapelare qualche tensione nei confronti di Stefano IX. Anche i rapporti con il potere politico non sono chiaramente delineati: la Vita di Andrea riferisce di un tentativo di rapimento messo in atto da Beatrice di Lorena, marchesa di Toscana, moglie del marchese Goffredo il Barbuto, ai danni di G., ma la notizia è del tutto omessa da Attone. È comunque evidente che l'azione di G. contro il vescovo di Firenze Pietro Mezzabarba colpì indirettamente il marchese Goffredo, fedele alleato del presule fiorentino, e l'alta aristocrazia a lui legata.
Un momento fondamentale nella storia di G. e del monachesimo vallombrosano è rappresentato appunto dal conflitto con il Mezzabarba. La vicenda si colloca negli anni Sessanta del secolo: G., probabilmente già noto per il suo impegno riformatore, che gli attirava discepoli "de diversis terris et regnis", monaci, chierici e laici (Andrea di Strumi, cap. 68), venuto a conoscenza dell'elezione simoniaca del prelato, lo denunciò pubblicamente come eretico, suscitando l'aspra reazione di costui che, forte del sostegno militare del marchese Goffredo, fece assalire il monastero di S. Salvi, nei pressi di Firenze, con l'intento, a quanto pare, di colpire G., che aveva in realtà lasciato il giorno prima il monastero (l'assalto ebbe luogo, secondo alcuni storici, tra la fine del 1065 e l'inizio del 1066, secondo altri nel 1067). Accorso sul posto subito dopo, secondo la testimonianza delle agiografie, G. confortò i compagni, feriti e oltraggiati, e si congratulò con loro per aver coraggiosamente sopportato il martirio in difesa della fede (nelle Vite di Andrea e di Attone il martirio viene presentato come l'ideale coronamento dell'esperienza monastica: cfr. Andrea di Strumi, cap. 73; Attone, cap. 62). Gli agiografi tendono probabilmente a enfatizzare l'episodio, come già rilevava alla fine dell'Ottocento lo storico R. Davidsohn; un dato comunque certo è lo zelo antisimoniaco di G. e dei suoi seguaci, che rese inevitabile lo scontro con il Mezzabarba. Appare inoltre evidente la novità di questo monachesimo, che, rompendo una tradizione inveterata di chiusura e di isolamento, accettava di confrontarsi con il mondo assumendo un ruolo importante nella lotta per la riforma della Chiesa.
Presenti al sinodo romano del 1067, in cui furono rappresentati da Rodolfo, abate di Moscheta, i monaci ribadirono le accuse contro il vescovo, dichiarandosi pronti ad affrontare una prova del fuoco, ma il papa Alessandro II non volle deporre l'accusato né accettare la prova.
In quell'occasione, secondo il racconto della Vitaanonima della Nazionale, che rivela più volte episodi e particolari taciuti dalle altre agiografie, i vallombrosani furono apertamente osteggiati da molti dei presenti, con in testa Pier Damiani che, udita la loro denuncia, si sarebbe rivolto ad Alessandro II definendo i monaci "locustae, quae depascuntur viriditatem sanctae ecclesiae" (ibid., cap. 5). Per nulla intimoriti da questo clima, i seguaci di G., rispondendo a una domanda posta loro dal vescovo di Como Rainaldo, negarono ogni validità ai sacramenti amministrati da preti indegni, ponendo implicitamente sullo stesso piano simonia e concubinato del clero. L'agiografo a questo punto ricorda che, mentre tutti inveivano contro i monaci e li minacciavano di morte, il solo Ildebrando (il futuro Gregorio VII), quale "alter Gamaliel", ne prese apertamente le difese "contra omnium opinionem" (ibid.).
Al di là dell'amplificazione agiografica colpisce in questo racconto la radicalità delle posizioni vallombrosane che, come ha osservato il Miccoli (1960, p. 15), non sembra tuttavia derivare da una compiuta dottrina teologica, quanto piuttosto da "una esasperata accentuazione delle caratteristiche di perfezione morale reclamate per chi fosse rivestito della dignitas sacerdotale", come emerge peraltro anche da altri luoghi delle Vite del santo.
Nonostante le resistenze incontrate nel sinodo, G. e i suoi monaci proseguirono la lotta contro il vescovo fiorentino. Nell'estate del 1067 Alessandro II, forse anche per il fallimento del tentativo di mediazione compiuto da Pier Damiani a Firenze nella primavera precedente, si recò lui stesso nella città, ma rifiutò la prova del fuoco proposta dai monaci. In un crescendo di tensione si arrivò al momento risolutivo dello scontro. Il 9 febbr. 1068 alcuni chierici ostili al Mezzabarba, radunati nella chiesa di S. Pier Celoro (nei pressi di S. Reparata) per l'ufficio liturgico, vennero cacciati dal luogo sacro dalle truppe di Goffredo. Il popolo scese in piazza contro il sopruso, mentre lo stesso clero rimasto fedele al vescovo chiuse le chiese e inviò una legazione al monastero di S. Salvatore a Settimo, caposaldo della resistenza vallombrosana, chiedendo di conoscere la verità sull'operato del Mezzabarba. Venne così indetta per il 13 febbr. 1068 la prova del fuoco: di fronte al monastero di Settimo un monaco di nome Pietro (poi detto Igneo), incaricato da G., attraversò le cataste infuocate e ne uscì illeso, di fronte a una folla acclamante. Fu così provata la colpevolezza del vescovo, che di lì a poco venne deposto dal papa. L'episodio è riferito con ampiezza di particolari in una lettera inviata dal clero e dal popolo fiorentino (redatta dal capitolo della cattedrale) ad Alessandro II, che viene riportata dalle agiografie (il testo è stato edito anche dal Miccoli, 1960, pp. 147-157).
L'impegno riformatore di G. non sembra tuttavia esaurirsi nella lotta contro il vescovo di Firenze. Le agiografie di Andrea e di Attone testimoniano il suo interesse per la vita del clero, oltre che per la vita monastica ("Dilexerat enim a principio bonos clericos, quemadmodum monachos […]. Nam omnimodo studebat cum bonis clericis canonicas ordinare ecclesias, sicut cum monachis monasteria": Andrea di Strumi, cap. 78), e segnalano in particolare i rapporti di G. con l'ambiente riformatore milanese: assecondando una richiesta del clero e dei fedeli di quella città, G. rinviò a Milano, dopo averli fatti ordinare sacerdoti da Rodolfo, il vescovo succeduto al Mezzabarba, i chierici milanesi che si erano da lui rifugiati per evitare rapporti con gli eretici simoniaci, compresi coloro che stavano per indossare l'abito monastico; l'episodio viene datato dalla maggior parte degli studiosi al periodo successivo alla lotta con il Mezzabarba; dallo Spinelli e dal Golinelli al periodo precedente, in consonanza con la prima predicazione a Milano di Arialdo contro la simonia. In seguito egli mandò a Milano lo stesso vescovo Rodolfo, perché recasse il suo conforto alla popolazione, da lungo tempo priva di un pastore cattolico.
L'impegno antisimoniaco di G. emerge con evidenza anche da una sua lettera, riportata dagli agiografi, indirizzata al vescovo di Volterra Ermanno; in "un testo anche stilisticamente mirabile, nel quale si ritrae un profilo di vescovo pieno di umanità e di fede" (Cremascoli, p. 166) l'autore esprime una dura condanna della symoniaca heresis, incoraggiando il vescovo a lottare contro di essa e a vegliare sui costumi del clero e del popolo.
Degli ultimi anni di vita di G. non si sa molto. Le agiografie riferiscono alcuni miracoli da lui operati (che si aggiungono ad altri descritti prima del racconto della lotta contro il Mezzabarba), quindi si concentrano sugli ultimi momenti della sua vita. Ritiratosi nel monastero di Passignano in Val di Pesa, G., ammalato, convocò gli abati di tutti i monasteri, rivolse loro le ultime raccomandazioni, li benedisse e li baciò, rimandandoli poi alle loro sedi. Rimasero con lui il priore e l'abate di Passignano, Rustico e Leto, che lo pregarono di lasciare loro "aliquam exortationem […] de unitate caritatis et concordia pacis" (Andrea di Strumi, cap. 79). G. dettò allora una lettera-testamento, in cui esaltava il vinculum caritatis, che è alla base dell'unione fraterna, e raccomandava ai suoi monaci l'obbedienza all'abate Rodolfo, che egli designò come suo successore.
G. morì il 12 luglio 1073. Dopo tre giorni venne sepolto nella cripta della chiesa di Passignano.
È del tutto infondata la notizia di una canonizzazione di G. per opera di Gregorio VII, notizia che forse prende spunto da una lettera del papa indirizzata, poco dopo la morte di G., ai monaci di Vallombrosa, in cui egli elogia l'operato del loro fondatore. G. fu invece elevato agli onori degli altari il 1° ott. 1193, per opera di Celestino III, che accolse l'istanza presentatagli da Gregorio, abate di Passignano; il 23 maggio 1194 il pontefice diede mandato ai vescovi di Arezzo, Siena e Pistoia di procedere all'elevatio, ma per motivi che non conosciamo la disposizione del pontefice non venne messa in atto (si ipotizza un'opposizione dei vescovi di Firenze e di Fiesole, ambedue, per diverse ragioni, in contrasto con Passignano: cfr. Vasaturo, 1994, p. 62). Il 27 marzo 1210 Innocenzo III rinnovò il mandato ai vescovi di Firenze e di Fiesole: l'elevatio ebbe luogo il 10 ottobre dello stesso anno.
La festa liturgica venne fissata da Celestino III al 1° ottobre in Toscana (bolla del 6 ott. 1193 ai vescovi toscani) e al 12 luglio in Lombardia (bolla del 6 ott. 1193 ai vescovi lombardi). Nel capitolo generale vallombrosano del 1216 si prescrisse che la data del 12 luglio venisse celebrata dalla congregazione "sicut in festo XII lectionum", quella del 10 ottobre come festa solenne. Nel capitolo del 1272 si ribadì che l'anniversario della morte doveva essere celebrato in tutti i monasteri e le chiese dell'ordine "cum XII lectionibus, psalmis et responsoriis"; si prescrisse inoltre che ogni vallombrosano "prelatus vel prelata aut rector alicuius ecclesie" avesse a disposizione una "vita scripta et completa" di G. e che l'anniversario della traslazione fosse solennemente celebrato, "ut in plenis sollempnitatibus cum octava plena". Tutti i monaci, i conversi e i familiares erano tenuti inoltre ad astenersi dal lavoro manuale.
La festa del 12 luglio fu introdotta da Clemente VIII, nel 1595, nel calendario universale, come semplice commemorazione, che divenne semiduplex ad libitum nel 1671, semiduplex nel 1679, duplex nel 1680. Nel 1951 G. fu proclamato da Pio XII patrono dei forestali d'Italia.
La figura di G. ha conosciuto una notevole fortuna agiografica. Si contano una dozzina di testi latini (per lo più Vitae, ma anche Miracula e componimenti poetici in onore del santo), cui vanno aggiunti alcuni volgarizzamenti e le più tarde biografie in italiano: testi in gran parte prodotti dall'ambiente vallombrosano, che mostrano un comune intento di conservazione e di celebrazione della memoria del padre fondatore, ma che rivelano anche differenti interessi agiografici. La prima biografia, scritta intorno al 1092 da Andrea da Parma, abate di Strumi, ex patarino, è nota da un unico manoscritto, purtroppo mancante di alcuni fogli (Arch. di Stato di Firenze, Corporazioni rel. soppresse, 260, 259). In essa l'autore propone un'immagine di santo in cui s'incontrano due diverse dimensioni, il legame con l'ideale monastico benedettino, riportato alla sua originaria purezza, e l'impegno fino al martirio nella lotta contro la corruzione ecclesiastica. A questo ritratto resta sostanzialmente fedele Attone, monaco e abate vallombrosano eletto nel 1133 vescovo di Pistoia, che scrive nei primi decenni del XII secolo; nella sua Vita, che pure riprende spesso alla lettera il racconto del primo biografo, sembrano tuttavia affacciarsi nuove esigenze, soprattutto di aggiornamento dell'immagine della comunità vallombrosana (vengono, per esempio, taciute alcune norme riferite da Andrea) e di una più marcata esaltazione della figura del santo. Per questi elementi la Vita di Attone potrebbe aver soppiantato la precedente biografia, come sembra attestare la discreta fortuna manoscritta da essa incontrata. Caratteristiche diverse ha una terza Vita del santo, la cosiddetta Vita anonima della Nazionale (essa è infatti attestata dal codice Firenze, Bibl. nazionale, Conv. soppr., C.4.1791), anch'essa dei primi decenni del XII secolo, il cui autore, probabilmente un monaco di S. Salvatore a Settimo, ha sintetizzato la vicenda biografica e omesso i miracoli (facendo riferimento a un'altra opera - evidentemente la Vita di Andrea o quella di Attone - in cui queste parti erano più ampiamente trattate) e ha descritto episodi esemplari che mettono in luce le virtù di Giovanni Gualberto. Meno significative appaiono le agiografie successive: è andata presumibilmente perduta la Vita scritta da Gregorio di Passignano ai fini della canonizzazione (ne restano solo pochi frammenti, editi da F. Soldani, 1731 e 1741), in cui sembrano per la prima volta indicati luogo di nascita (Petroio) e origine familiare (Visdomini) del santo. Si deve attendere l'inizio del XIV secolo per trovare un nuovo profilo agiografico, all'interno di un leggendario abbreviato di origine fiorentina (Firenze, Bibl. Medicea Laurenziana, Plut. XX, 6) da alcuni studiosi attribuito a un vallombrosano di nome Biagio: in un agile compendio della Vita di Attone l'autore ha amplificato qualche episodio e inserito nuovi particolari, senza tuttavia modificare sostanzialmente l'immagine del santo tracciata dai primi biografi. Un'epitome assai meno significativa della Vita di Attone si trova nel leggendario francescano tramandato dal ms. della Bibl. Medicea Laurenziana, Plut. XXXV sin. 9, del sec. XIV. Una nuova Vita di G. venne composta intorno al 1419 dal monaco Andrea da Genova su incarico dell'abate del monastero vallombrosano di S. Bartolomeo del Fossato: l'opera, in gran parte inedita (tramandata dai mss. dell'Arch. di Stato di Firenze, Corpor. rel. soppresse, 260, 223 e 260, 243), si presenta come una compilazione erudita basata sulle precedenti agiografie, corredata di indicazioni, soprattutto cronologiche, che l'autore dichiara di attingere da fonti cronachistiche; Andrea da Genova sembra inoltre preoccupato di chiarire e giustificare alcune azioni del santo (per esempio, la scelta di indire la prova del fuoco). Qualche decennio più tardi l'arcivescovo di Firenze Antonino Pierozzi dedicò a G. un interessante profilo all'interno del suo Chronicon; pur sintetizzando la Vita di Attone, Antonino non rinunciò a disporre in un ordine più coerente i miracoli del santo e a introdurre nel racconto qualche osservazione originale. Nella seconda metà del Quattrocento videro la luce i Miracula s. Iohannis Gualberti, ampio racconto di miracoli post mortem, spesso avvenuti in virtù delle reliquie del santo, il cui autore, Girolamo da Raggiolo, amico di Lorenzo il Magnifico (cui è dedicata l'opera), mostra di possedere una buona cultura classica. Intorno al 1500 Sante Valori da Perugia, abate del monastero vallombrosano di Marradi, mosso da preoccupazioni di carattere stilistico, scrisse una nuova biografia, inedita. Si segnala inoltre la Vita in versi latini composta nella seconda metà del Cinquecento dall'abate Emilio Acerbi, di modesto valore. Nel XVI e nel XVII secolo l'agiografia vallombrosana si rinnova anche considerevolmente: le nuove biografie in volgare, che mescolano interessi agiografici e storico-eruditi, ricostruiscono con sempre maggiore ampiezza di particolari la vicenda del santo e la storia dell'Ordine (cfr. E. Loccatelli, Vita del glorioso padre san Giovangualberto fondatore dell'Ordine di Vallombrosa…, in Fiorenza 1583; D. de Franchi, Historia del patriarcha s. Giovangualberto, primo abbate et institutore del monastico Ordine di Vallombrosa…, in Fiorenza 1640).
Iconografia: numerose, ma in prevalenza tarde, sono le testimonianze iconografiche relative a G.; egli è rappresentato in abiti monastici (di colore grigio o marrone o, nelle raffigurazioni meno antiche, nero, in conformità alla tradizione benedettina), appoggiato a un bastone a forma di tau, il pastorale abbaziale antico, chiamato la "gruccia", insegna caratteristica degli abati di Vallombrosa e dello stemma vallombrosano; in mano una croce, che ricorda il miracolo avvenuto nella chiesa di S. Miniato dopo il perdono dell'assassino, o un libro. Viene spesso ritratto insieme con altre figure, in particolare la Vergine Assunta, titolare dell'abbazia di Vallombrosa e patrona dell'Ordine, Bernardo degli Uberti (m. 1133), anche lui santo vallombrosano e figura di grande prestigio all'interno della congregazione, s. Benedetto e, talora, s. Michele, titolare del monastero di Passignano. Questo tipo di raffigurazione si riscontra nell'Assunzione del Perugino, firmata e datata 1500, un tempo sopra l'altare maggiore di Vallombrosa e oggi conservata alla Galleria dell'Accademia di Firenze; si considerino inoltre le opere di Andrea del Sarto con analoghe caratteristiche: la Madonna e quattro santi, proveniente da S. Salvi, oggi presso la Galleria Palatina di Palazzo Pitti, a Firenze; l'Assunta con gli apostoli e santi (1526), presso la medesima galleria; i Quattro santi (Michele Arcangelo, G., Bernardo degli Uberti, Giovanni Battista), pala d'altare (1528) un tempo a Vallombrosa, oggi agli Uffizi.
Altre testimonianze: i pannelli con le scene del perdono dell'assassino, presso la Pinacoteca Vaticana (scuola fiorentina del XV secolo); la pala d'altare di Giovanni del Biondo nella cappella Bardi di Vernio, in S. Croce a Firenze; la Crocifissione del Beato Angelico, presso il Museo di S. Marco di Firenze, con G. e altri santi inginocchiati; i Ss. Miniato e G. di Agnolo Gaddi (1394-96), in uno degli sportelli di custodia del crocifisso della chiesa di S. Miniato, che secondo la tradizione agiografica s'inclinò davanti a G. (il crocifisso fu trasferito nel 1671 nella chiesa vallombrosana di S. Trinita a Firenze); S. G. perdona l'uccisore di suo fratello, affresco di Lorenzo di Bicci e S. G. in trono tra santi vallombrosani, affresco (staccato) di Neri di Bicci, nella chiesa di S. Trinita; LaSs. Trinità tra i ss. Benedetto e G. di Alessio Baldovinetti, proveniente da S. Trinita, ora alla Galleria dell'Accademia di Firenze; Gloria di s. G., di Zanobi di Benedetto Strozzi (circa 1457), a Venezia, presso la Fondazione Cini. Nell'abbazia di Vallombrosa, nella cappella dedicata a G., si trova Ilsanto presentato da Maria al trono di Dio (affresco di Alessandro Gherardini, nella volta della cappella); dietro l'altare, S. G. ai piedi del Crocifisso di Antonio Franchi (1703); nella sagrestia, S. G. e santi, tavola di Raffaellino del Garbo (circa 1508), e Madonna col Bambino e i ss. G. e Umiltà, terracotta di scuola robbiana. Si segnala inoltre, sempre nell'abbazia di Vallombrosa, il tabernacolo in marmo contenente il Reliquiario del braccio del santo, a forma di tempietto esagonale, con formelle di smalto con episodi della vita del santo, eseguito dall'orafo fiorentino Paolo Soliani (1500). Nella chiesa della Badia a Passignano, alla parete del transetto sin., Storie di s. G., di Alessandro Allori e scolari (1580-81); nella sagrestia il Busto-reliquiario di s. G., lavoro smaltato di oreficeria fiorentina del XV secolo. Si segnala inoltre il trittico di Nicola di Maestro Antonio da Ancona a Urbino, nella Galleria nazionale delle Marche.
Si ricordano infine numerose incisioni in legno e rame, dei secoli XV-XIX, raffiguranti il santo e scene della sua vita.
Fonti e Bibl.: Per le Vitae latine del santo cfr. Bibliotheca hagiographica Latina, Bruxelles 1898-99, nn. 4397-4406; Bibliotheca hagiographica Latina. Novum Supplementum, a cura di H. Fros, Bruxelles 1986, pp. 488 s. Edizioni delle Vitae: Andreas Strumensis, Vita s. Iohannis Gualberti, a cura di F. Baethgen, in Mon. Germ. Hist., Scriptores, XXX, 2, Lipsiae 1934, pp. 1080-1104; Vita s. Iohannis Gualberti auctore discipulo eius anonymo, a cura di F. Baethgen, ibid., pp. 1104-1110; Atto Pistoriensis episcopus, Vita s. Ioannis Gualberti, in J.-P. Migne, Patr. Lat., CXLVI, coll. 671-706; Girolamo da Raggiolo, Miracula s. Ioannis Gualberti, ibid., coll. 811-960; F. Soldani, Questioni istoriche cronologiche vallombrosane…, Lucca 1731, pp. 34 s. (frammenti dalla Vita di Gregorio da Passignano); D.M. Manni, Vite di alcuni santi scritte nel buon secolo della lingua toscana, III, Firenze 1734, pp. 283-336 (volgarizzamento del XIV sec. della Vita di Attone, a opera di Benigno Malatesta da Cesena, riportato parzialmente da G. De Luca, Prosatori minori del Trecento, I, Milano-Napoli 1954, pp. 595-608); F. Soldani, Historia monasterii S. Michaelis de Passiniano…, Lucae 1741, pp. 190 s. (frammenti della Vita di Gregorio da Passignano); Antonino Pierozzi, Chronicon, Lugduni 1686, II, pp. 548-553 (tit. XV, 17); W. Goez - Ch. Hafner, Die vierte Vita des Abtes Iohannes Gualberti von Vallombrosa, in Deutsches Archiv für Erforschung des Mittelalters, XLI (1985), pp. 418-437 (Vita della Biblioteca Medicea Laurenziana, ms. Plut. XX, 6; una nuova edizione di questa Vita in Un leggendario fiorenti-no del XIV secolo, a cura di A. Degl'Innocenti, Tavarnuzze [Firenze] 1999, pp. 21-32); A. Degl'Innocenti, Un'inedita epitome agiografica: la Vita di G. del ms. Laurenziano Plut. 35 sin. 9, in Studi medievali, s. 3, XXXIII (1992), pp. 909-933 (epitome della Vita di Attone). La Vita di Andrea di Strumi e la Vitaanonima della Nazionale sono tradotte in italiano in Alle origini di Vallombrosa. G. nella società dell'XI secolo, a cura di G. Spinelli - G. Rossi, Milano-Novara 1991, di cui si segnala anche il saggio introduttivo dello Spinelli, G. e la riforma della Chiesa in Toscana. Si veda inoltre P. Di Re, Biografie di G. a confronto, Roma 1974, con i testi delle prime tre Vite disposti su colonne affiancate. R. Davidsohn, Forschungen zur älteren Geschichte von Florenz, Berlin 1896, pp. 41, 47-54, 68 s.; M.A. Martini, La vita di s. G. in una antica laude inedita, in La Bibliofilia, XXXVIII (1926-27), pp. 161-183; L. Mencaraglia, Note agiografiche e umanistiche da un manoscritto fiorentino del 1509, ibid., XLII (1940), pp. 180-195; B. Quilici, G. e la sua riforma monastica, Firenze 1943; G. Kaftal, Iconography of the saints in Tuscan painting, Firenze 1952, coll. 569-580; R. Davidsohn, Storia di Firenze, I, Firenze 1956, pp. 242-252, 263-266, 276-287, 316, 329-365, 884 s.; G. Miccoli, Pietro Igneo. Studi sull'età gregoriana, Roma 1960, passim; S. Boesch Gajano, G. e la vita comune del clero nelle biografie di Andrea di Strumi e di Atto di Vallombrosa, in La vita comune del clero nei secoli XI e XII. Atti della Prima Settimana internazionale di studio, Mendola… 1959, II, Milano 1962, pp. 228-235; Id., Storia e tradizione vallombrosane, in Bull. dell'Istitu-to storico italiano per il Medio Evo e Archivio Muratoriano, LXXVI (1964), pp. 99-215; G. Kaftal, Iconography of the saints in Central and South Italian painting, Firenze 1965, coll. 633 s.; R. Volpini - A. Cardinale, G.G., in Bibliotheca sanctorum, VI, Roma 1965, coll. 1012-1032; G. Miccoli, Aspetti del monachesimo toscano nel secolo XI, in Id., Chiesa gregoriana. Ricerche sulla riforma del secolo XI, Firenze 1966, pp. 47-63; R. Grégoire, Jean Gualbert (saint), in Dictionnaire de spiritualité, VIII, Paris 1973, coll. 541-543; A. Savioli - P. Spotorno, Incisioni di cinque secoli per s. G., Vallombrosa 1973; P. Di Re, G. nelle fonti dei secoli XI-XII. Studio critico-storico-agiografico, Roma 1974; R.N. Vasaturo, G., santo, in Dizionario degli istituti di perfezione, IV, Roma 1977, coll. 1273-1276; A. Ravasi, Vite parallele di santi medievali (sec. XI). Analisi morfologica della "legenda" nata intorno a Arialdo e G., in Poliorama, I (1982), pp. 62-161; A. Degl'Innocenti, Le Vite antiche di G.: cronologia e modelli agiografici, in Studi medievali, s. 3, XXV (1984), pp. 31-91; Acta capitulorum generalium Congregationis Vallis Umbrosae, I, Institutiones abbatum (1095-1310), a cura di N.R. Vasaturo, Roma 1985, pp. 59 s., 101; A. Degl'Innocenti, Analisi morfologica e modello agiografico nelle Vite di Arialdo e G., in Medioevo e Rinascimento, I (1987), pp. 101-129; S. Boesch Gajano, G., in Storia dei santi e della santità cristiana, a cura di A. Vauchez, VI, Milano 1991, pp. 175-179; N. D'Acunto, Lotte religiose a Firenze nel secolo XI. Aspetti della rivolta contro il vescovo Pietro Mezzabarba, in Aevum, LXVI (1993), pp. 279-312; R.N. Vasaturo, Vallombrosa. L'abbazia e la Congregazione. Note storiche, a cura di G. Monzio Compagnoni, Vallombrosa 1994, pp. 3-19; I vallombrosani nella società italiana dei secoli XI e XII. Vallombrosa, … 1993, a cura di G. Monzio Compagnoni, Vallombrosa 1995 (v., fra gli altri, i contributi di P. Golinelli, I vallombrosani e i movimenti patarinici, pp. 35-56; N. D'Acunto, Tensioni e convergenze fra monachesimo vallombrosano, Papato e vescovi nel secolo XI, pp. 57-81; R. Grégoire, La canonizzazione e il culto di G., pp. 113-132; A. Degl'Innocenti, L'agiografia su G. fino al secolo XV, pp. 133-157; G. Cremascoli, "Vitae" latine di G.: analisi dell'"ars scribendi", pp. 159-177); A. Degl'Innocenti, G., in Il grande libro dei santi. Dizionario enciclopedico, a cura di C. Leonardi - A. Riccardi - G. Zarri, II, Cinisello Balsamo 1998, pp. 913-916; Medioevo latino, I (1980) e successivi (s.v. Iohannes Gualberti).