GIROLAMO, santo
, È una delle figure più rappresentative e complesse nella storia della Chiesa e dell'antica letteratura cristiana.
È ricordato sempre col solo nome di "Girolamo" in tutte le opere sue e dei contemporanei; l'aggiunta di "Eusebio", che apparisce nel Chronicon, deriva o dal nome paterno o piuttosto da Eusebio di Cesarea da cui traduce; mentre "Sofronio", che si trova in alcuni manoscritti, pare gli sia venuto dal monaco greco, suo amico, che tradusse in greco alcune delle sue opere e forse anche il De viris illustribus.
G. nacque circa il 347 a Stridone, piccolo villaggio, oggi distrutto, d'incerta ubicazione, probabilmente situato presso Aquileia. Apparteneva a una di quelle famiglie agiate e influenti, che nelle città romane dell'impero formavano una specie di aristocrazia provinciale; quindi i suoi genitori s'interessarono ben presto di metterlo alla scuola di un litterator, il maestro elementare di quei tempi. A somiglianza di Orazio, Giovenale, S. Agostino e altri, egli conservò un ricordo poco gradito del suo primo maestro, che insegnava il verbo a suon di nerbo. All'età di circa 12 anni, insieme con Bonoso, suo amico e compagno indivisibile, fu mandato a Roma per proseguire gli studî. E a Roma il grammaticus Elio Donato gl'ispirò viva passione per i grandi scrittori latini e gli diede una formazione letteraria non comune. Dopo gli studî di grammatica, G. passò alle scuole di retorica: taluno ha pensato che G. sia stato discepolo del celebre retore Vittorino, ma ciò non pare a tutti probabile. All'età di circa 20 anni, G. ricevette il battesimo dalle mani di papa Liberio e si accinse a partire per la Gallia insieme con l'amico Bonoso. Voleva egli con ciò sottrarsi alla seduzione della società romana, dal momento che confessa di essere caduto nel lubrico sentiero dell'adolescenza? Oppure voleva allargare gli orizzonti della sua cultura? Ovvero Treviri lo attirava con gli splendori della sua corte e le promesse di una carriera brillante? Probabilmente, nella sua decisione, ciascuna di queste ragioni ebbe la sua parte. Durante il suo soggiorno nella Gallia, G. attese a copiare le opere di Ilario di Poitiers e altri scrittori ecclesiastici, e maturò il proposito di dedicarsi interamente all'ascetismo. Tornato in patria, si fermò ad Aquileia (373) in un cenacolo di amici, che condividevano le sue aspirazioni e si riunivano in casa del presbitero Cromazio. Ma quel periodo durò poco, e "un improvviso uragano - come egli dice - un empio laceramento" disperse il gruppo degli amici di Aquileia. Forse gli ariani, favoriti alla corte imperiale, entrarono per qualche cosa in questa dispersione.
Verso il 374 G. partì per l'Oriente, sperando trovare una dimora a sé adatta nel deserto di Siria. Rimasto per un certo tempo ospite del suo amico Evagrio ad Antiochia e udite le lezioni di Apollinare di Laodicea, egli s'internò nell'eremo della Calcide, col proposito di dedicarsi ad austerità e penitenza. Ma anche là, lungi da Roma e dalle seduzioni della capitale, non mancarono turbamenti interni ed esterni.
Appartiene a questo periodo della sua vita la famosa visione anticiceroniana, che egli stesso descrive nell'epistola XXII, 30, alla vergine Eustochio. Mentre perseverava nello studio dei classici, si vide tratto in spirito dinnanzi al tribunale di Cristo e interrogato sulla sua condizione, rispose di essere cristiano. "Tu mentisci" osservò Cristo "giacché tu sei ciceroniano, non cristiano". Allora egli implorò misericordia, tanto più che Cristo aveva ordinato di batterlo, e giurò solennemente: "Signore, se mai avrò dei codici profani, se li leggerò, ti avrò rinnegato".
Altri turbamenti agitavano il suo spirito: nonostante i digiuni e le penitenze egli spesso si sentiva come trasportato in mezzo alle delizie di Roma e ai cori delle fanciulle; inoltre nel deserto di Siria non trovava quella beata solitudine che il suo spirito inquieto aveva sognato. Moltissimi anacoreti popolavano l'eremo; ma non contenti di pratiche ascetiche, venivano a contesa tra loro per il concetto di ousia e di ipostasi e in occasione dello scisma di Antiochia (v.), mentre gli eremiti del vicinato si sforzavano di trarre G. dalla loro parte: cosicché egli finì con lo stancarsi del deserto e rientrò ad Antiochia (380). Ivi, poco dopo, fu ordinato sacerdote dal vescovo Paolino. Dopo tanti anni di studî G. era nella piena maturità del suo spirito; in Siria aveva appreso anche l'ebraico sotto la guida di un ebreo convertito, e in quel tempo si recò a Costantinopoli ad approfondirsi presso Gregorio Nazianzeno nell'esegesi biblica e nelle scienze teologiche. Perciò, quando nel 382 s'imbarcò con Epifanio e Paolino per recarsi al concilio indetto in Roma da papa Damaso per lo scisma antiocheno, egli vi era preceduto da fama di gran santità e dottrina; e nella capitale si conciliò ben presto la stima del papa e fece risplendere le proprie doti.
A richiesta di Damaso, C. fece una revisione accurata della traduzione latina della Bibbia allora in uso (v. bibbia, VI, p. 896 segg.) confrontandola con i più antichi manoscritti greci. Tale correzione, necessaria a causa delle molteplici inesattezze introdotte nei testi, fu fatta con certezza per i Vangeli e i Salmi, e forse anche per tutto il Nuovo Testamento. Questa edizione latina dei Salmi è nota col nome di Psalterium romanum.
Ma oltre che studioso G. era anche un'anima di asceta, e così divenne ben presto la guida spirituale di parecchie matrone romane, inclinate a vita devota. Esse si riunivano nella casa di Marcella sull'Aventino, e fra tutte spiccavano Paola e la sua figlia Eustochio. A quest'ultima fu indirizzato il celebre Libellus de custodia virginitatis, che insieme col Liber adversus Helvidium in difesa della perpetua verginità di Maria, suscitò tanti malumori contro G., che fustigava a sangue i vizî del mondo romano in tali scritti. Quando morì la vedova Blesilla, figlia di Paola, si accusò G. come fanatico quasiché l'avesse ridotta a morte coi suoi consigli ascetici. La marea d'invidia e rancore saliva contro di lui, anche in quello che egli chiamò il "senato dei farisei", e, sopraggiunta la morte del suo protettore Damaso (dicembre 384), egli credette necessario dopo qualche mese lasciare Roma; questa volta per sempre.
Sul punto di salpare dal porto di Ostia, egli scrisse una lettera alla vergine Asella, in cui mira a giustificare il suo tenore di vita romana contro il livore dei suoi nemici, e la incarica specialmente di salutare Paola ed Eustochio. Queste, dopo qualche mese, lasciavano Roma per raggiungerlo ad Antiochia, fare insieme con lui con intenti di pietà e di cultura il pellegrinaggio dei luoghi santi, e quindi fissare a Betlemme la sede definitiva. Queste donne, che alla nobiltà dei natali univano altrettanta elevatezza di sentimenti formate alla scuola spirituale di G., abbandonarono mondo e ricchezze per seguire il loro maestro, e passarono alla storia insieme con la memoria di lui. Prima di stabilirsi accanto alla grotta della Natività in Betlemme, G. con le sue pie pellegrine visitò l'Egitto e i monasteri della Nitria, ebbe ad Alessandria occasione di ascoltare Didimo il Cieco, si fermò a Cesarea per trascrivere forse tutto l'Antico Testamento secondo il testo esaplare di Origene, perlustrò tutti i luoghi della Palestina, e verso la fine del 386 si fissò a Betlemme. Ivi, a poco a poco, si formò un monastero di uomini diretto da G., e un altro di donne sotto la guida di Paola e di Eustochio. Così passarono circa 35 anni della vita di G., e furono gli anni più laboriosi e fecondi del suo genio multiforme, tutti consacrati al servizio della fede e della scienza. Questo è il tempo in cui egli pubblicò i suoi lavori biblici, le traduzioni dall'ebraico e i commentarî su molte parti dell'Antico e del Nuovo Testamento.
Ma anche a Betlemme non gli mancarono dolori, specie nell'aspra e lunga polemica con l'amico Rufino. Questi, che un tempo era stato per lui il dimidium animae, in una sua traduzione del De principiis di Origene aveva cercato di presentarlo come un seguace delle dottrine origeniste. G. si difese con tutti gli argomenti della sua dialettica e del suo spirito irruente, e il dissidio acuto e insanabile è uno degli episodî più dolorosi nella storia del monachismo. Anche nella polemica contro Gioviniano, che mostrava disprezzo verso la verginità e la mortificazione cristiana, i libri di G. toccano il culmine dell'aggressione e della virulenza: egli ricorre con acre voluttà alle sue squisite attitudini di colorista per dipingere il suo avversario nella maniera più umiliante, e presenta dei quadri di un umorismo e di una vivacità veramente singolari.
Grandi dolori provò egli anche per la morte di Paola e di Marcella, e per la notizia dell'eccidio di Roma saccheggiata da Alarico nel 410; una profonda commozione pervade l'anima sua che non ha più pace al sentire che l'impero romano va in rovina. Per parecchi mesi non è in grado di continuare il suo commento ad Ezechiele; quando poi riprende la penna per terminarlo, nuove cure vengono a distornarlo. Dapprima entra in lotta contro i pelagiani, che arrivano persino ad invadere e saccheggiare il suo monastero; poi deve anche piangere la morte di Eustochio. Finalmente il 30 settembre 420 il solitario austero chiude la sua vita. Accanto al letto del moribondo, la leggenda (v. appresso) ha messo un leone, ma la storia ci addita la giovane Paola, nipote di Paola e di Eustochio, che fu l'assistente dei suoi ultimi giorni. Le sue reliquie, inumate dapprima presso la grotta della Natività di Betlemme, furono poi trasportate a Roma, ove si conservano nella basilica di S. Maria Maggiore.
Opere. - Epistolario. - Comprende 154 lettere, di cui 122 sono dello stesso G., e le altre dei suoi corrispondenti: Damaso, Agostino, Epifanio, e altri. Esso, divulgatissimo nel Medioevo e nel Rinascimento, è una vasta galleria in cui sono dipinti uomini e cose, situazioni storiche e psicologiche, che abbraccia un cinquantennio di storia politica e religiosa, e in cui soprattutto si rispecchia l'anima dell'autore. In queste lettere specialmente appaiono la sua educazione retorica e il lungo studio dei classici che gli hanno valso il titolo di Cicerone cristiano e maestro della prosa cristiana per i secoli posteriori; in esse appaiono anche i suoi ideali ascetici, difesi strenuamente contro tutti gli avversarî.
Opere esegetiche. - Comprendono: a) Le correzioni del testo della Bibbia latina per i vangeli e forse per tutto il Nuovo Testamento (v. sopra); per il libro di Giobbe (revisione fatta a Betlemme verso il 389), e per i Salmi, dei quali (oltre al già ricordato Psalterium romanum) fece a Betlemme nel 388 una seconda revisione chiamata Psalterium gallicanum perché usata da principio nelle Gallie. b) Di una nuova correzione sul testo esaplare dei Settanta, G. ci dice soltanto che andò perduta fraude cuiusdam. c) La traduzione dall'originale ebraico dei libri protocanonici dell'Antico Testamento e delle addizioni deuterocanoniche di Daniele, Geremia e Ester. Questa traduzione, compiuta a Betlemme tra gli anni 390-405 circa, è il lavoro più arduo e glorioso di G., e se da principio non mancò di suscitare diffidenze anche in Agostino, superò col tempo ogni ostacolo e si affermò vittoriosa in tutto l'Occidente (v. bibbia, VI, p. 898 segg.). "Per mezzo di essa entra nella civiltà romana tutto il fiotto, per così dire, del genio orientale, non tanto per il piccolo numero di parole ebraiche intraducibili che G. ha conservato, quanto per le costruzioni ardite che la lingua latina viene ad appropriarsi, per le inattese combinazioni di parole, per la prodigiosa abbondanza delle immagini, per il simbolismo che è proprio delle Scritture" (F. Ozanam). d) I Commentarî alle lettere ai Galati, Efesini, Tito, Filemone, a tutti i profeti minori e maggiori (quello di Geremia rimase incompleto), all'Ecclesiaste, Matteo e Apocalisse. Qui ricordiamo pure le Quaestiones hebraicae in Genesim e il libro sulla toponomastica ebraica. e) A questi si aggiungano il Tractatus de Seraphim scoperto da A. Amelli e i Commentarioli, omelie e trattati scoperti e pubblicati da G. Morin negli Anecdota Maredsolana, III.
Scritti storici. - Le tre vite di Paolo, di Malco e di Ilarione (che non hanno valore storico); il De viris illustribus, eccellente fonte d'informazioni, e la traduzione del Chronicon di Eusebio di Cesarea (v.), con aggiunte relative alla storia romana e contemporanea. Per mezzo di questi scritti, G. è stato un precursore molto seguito in tre rami distinti di storiografia: le leggende agiografiche, la letteratura cristiana e la cronaca universale.
Scritti polemici. - Contro Elvidio, i luciferiani, Gioviniano, Giovanni di Gerusalemme, Rufino, Vigilanzio, e i pelagiani. In questi libelli G. è il violento polemista nel cui spirito Lucilio, Orazio e Giovenale evidentemente non passarono mai all'ultimo posto.
Traduzioni. - Parecchie omelie di Origene, il libro di Didimo sullo Spirito Santo, la Regola di S. Pacomio e altri scritti dei cenobiti copti.
Percorrendo le opere di G., si vede chiaramente che la speculazione filosofica e l'indagine teoretica non erano i suoi campi speciali; furono tali invece gli studî critici e filologici, le ricerche storiche e l'analisi testuale. Le risorse del suo carattere e del suo ingegno, della vasta cultura assimilata nelle sue permanenze e relazioni con i principali centri della cultura contemporanea, e del suo dominio su molti spiriti contemporanei, furono messe a servizio della doppia causa che formò l'ideale sovrano di tutta la sua vita: nel campo biblico la diffusione e il trionfo dei testi originali da lui chiamati la graeca fides per il Nuovo Testamento e l'hebraica veritas per l'Antico, e sul terreno pratico la diffusione dell'ascetismo. Parve a molti un novatore, mentre era in lui la nostalgia delle origini nel pensiero e nella vita. Nelle più aspre lotte per i suoi lavori biblici e per il suo ideale ascetico sentì spesso il bisogno di appellarsi al giudizio dei posteri. Né si può dire che il suo appello sia caduto invano: come egli fu un maestro di ascetica fra i più accreditati per tutto il Medioevo, così la sua autorità in materie bibliche gli ha valso dalla Chiesa il titolo di doctor maximus nell'interpretazione della Scrittura, e presso i dotti di qualunque confessione un peso eccezionale attribuito alle sue testimonianze.
Iconografia. - Il santo dovette essere presto rappresentato dagli artisti: non restano tuttavia esempî di raffigurazioni anteriori al sec. IX quando appare nella Bibbia di Carlo il Calvo (Biblioteca Nazionale di Parigi) o in quella di Carlo il Grosso (Roma, S. Paolo), derivate, sembra, da un rotulo sul quale venivano in zone successive riprodotte storie della vita di lui. Il santo v'è rappresentato imberbe, giovane, tonsurato, in veste e pallio, e specialmente glorificato come maestro e come traduttore e commentatore dei testi sacri. Poi a poco per volta all'aspetto giovanile gli artisti sostituirono quello di un vecchio maestoso e barbuto, ora in cattedra come Padre della Chiesa (e spesso associato all'evangelista Matteo o al simbolo di lui) ora quale penitente nel deserto, ora fra i libri nel suo studio. Il santo è contrassegnato quasi sempre dal cappello cardinalizio (talvolta è in veste di cardinale) per un'errata tradizione risalente al secolo IX, la quale gli attribuiva tale dignità, non esistente ai suoi tempi. Gli è spesso vicino il leone, ricordo di una leggenda che narrava come la fiera, liberata d'una spina dal santo, gli fosse divenuta amica (l'episodio in realtà si riferiva a S. Gerasimo, eremita in Palestina). Talvolta G. è rappresentato con la Chiesa in mano, perché sostenitore e aiuto di questa. Più spesso, appena coperto di stracci, si flagella con una pietra il petto. Ora gli son vicini o una candela o gli occhiali o libri o la penna a indicarne la vita infaticabilmente studiosa. Talora medita dinnanzi a un teschio nella spelonca in solitudini rocciose o nel ben fornito scrittoio, oppure un angelo col suono della tromba celeste lo scuote a ricordargli il giudizio finale. O appare, infine, morente, quando gli vien somministrata la comunione: o, morto, quando se ne fanno le esequie.
L'arte italiana lo raffigurò in tutte queste forme, talora accettando particolari da quella oltramontana (p. es., le minute descrizioni del suo scrittoio). Massimo favore ebbe la rappresentazione del santo quale eremita e penitente (Piero della Francesca all'Accademia di Venezia; Cosmè Tura alla Galleria Nazionale di Londra; Lorenzo Lotto al Louvre e al Prado; Leonardo alla Vaticana; Tiziano a Brera, ecc.). Spesso si riprodussero alcuni episodî della sua vita: la serie più bella è offerta dalle pitture del Carpaccio in S. Giorgio degli Schiavoni a Venezia, dove, come da molti altri artisti (Antonello da Messina a Londra; Domenico Ghirlandaio in Ognissanti a Firenze; Colantonio a Napoli), San G. è dipinto anche nello studio, al lavoro. Così fu spesso effigiato in aspetto di cardinale con gli attributi sopra elencati (Sandro Botticelli nell'incoronazione agli Uffizî; Carlo Crivelli all'Accademia di Venezia; Raffaello nella Disputa, ecc.). (V. tavv. LXXXV e LXXXVI).
Edizioni. - L' editio princeps di tutte le opere è quella di Erasmo, Basilea 1516-1520. Seguono l'edizione di Mariano Vittorio, Roma 1565-1572; quella dei Maurini Giovanni Martianay e Antonio Pouget, Parigi 1693-1706; e quella superiore a tutte di Domenico Vallarsi, Verona 1734-1742, ristampata a Venezia nel 1766 e riprodotta nel Migne, Patrologia Latina, voll. XXII-XXX. Il Corpus Script. Eccles. Lat. ha dato finora solo le Epistole ed. da I. Hilberg (Vienna 1910-18) e il Commentario a Geremia, a cura di S. Reiter (Vienna 1913). Tra le edizioni parziali la più celebre è quella curata da P. Canisio (Augsburg 1565).
Bibl.: Acta Sanctorum, 30 settembre; Le Nain de Tillemont, Mémoires pour servir à l'histoire ecclésiastique, XII, Venezia 1732 segg.; R. Ceillier, Histoire générale des auteurs ecclésiastiques, X, Parigi 1729-1763; Engelstoft, Hieronymus Stridonensis, Copenaghen 1797; F. Z. Collombet, Histoire de Saint Jérôme, père de l'église au IVe siècle, Parigi e Lione 1844; O. Zöckler, Hieronymus, Sein Leben und Wirken aus seinen Schriften dargestellt, Gotha 1865; C. Martin, Life of St. Jerome, Londra 1888; G. Grützmacher, Hieronymus. Eine biographische Studie zur alten Kirchengeschichte, voll. 3, Lipsia e Berlino 1901-1908; E. Bernard, Les voyages de Saint Jérôme, Parigi 1864; A. Thierry, Saint Jérôme. La société chrétienne à Rome et l'émigration romaine en Terre Sainte, Parigi 1867; A. Ebert, Histoire générale de la litterature du Moyen Âge en Occident, Parigi 1883; J. Brochet, Saint Jérôme et ses ennemis, Parigi 1905; A. Luebeck, Hieronymus quos noverit scriptores et ex quibus hauserit, Lipsia 1872; H. Rönsch, Itala und Vulgata, Marburgo 1875; C. Paucker, De latinitate B. Hieronymi observationes, ecc., Berlino 1880; S. Berger, Histoire de la Vulgate, Parigi 1893; H. Goelzer, Étude lexicographique et grammaticale de la latinité de Saint Jérôme, Parigi 1884; M. Schanz, Geschichte der römischen Litteratur, IV, i, Monaco 1914; G. Harendza, De oratorio genere dicendi quo Hieronymus in epistulis usus sit, Breslavia 1905; L. Sanders, Étude sur S. Jérôme, Parigi 1903.
Sulle opere uscite nel decennio 1910-1920 vedi l'accurato Bollettino Geronimiano di A. Vaccari, in Biblica, I (1920). Per l'ultimo decennio ricordiamo: Miscellanea geronimiana. Scritti varî, Roma 1920; Conference geronimiane dei cardinali P. Maffi, D. Mercier e A. Gasquet, Roma 1921; Biblica, I (1920), fasc. 4; Dem hl. Hieronymus Festschrift, Beuron 1920; E. Buonaiuti, S. Girolamo, Roma 1919; U. Moricca, S. Girolamo, voll. 2, Milano s. a.; N. Turchi, Lettere di S. G. voll. 2, Roma 1920; A. Vaccari, S. Girolamo, Studi e schizzi, Roma 1921; F. Cavallera, Saint Jérôme, sa vie et son oeuvre, I, i e ii, Lovanio 1922; A. Ficarra, La posizione di S. Girolamo nella storia della cultura, voll. 2, Agrigento 1916 e 1930; P. Monceaux, Saint Jérôme au désert de Syrie, in Revue des Deux Mondes, luglio 1930. Sulla dibattuta questione dell'ubicazione di Stridone, v. F. Bulic, Wo lag Stridon, die Heimat des hl. Hieronymus, Vienna 1898; id., Stridone luogo natale di S. Girolamo, in Miscellanea geronimiana, citata, p. 253 segg. - Per l'iconografia v.: P. C. Cahier, Caracteristiques des Saints, Parigi 1867; M. Liefmann, Kunst und Heilige, Jena 1912, p. 152; N. e W. Drake, Saints and their Emblems, Londra 1916, p. 66; A. Venturi, L'arte a S. Girolamo, Milano [1924]; K. Künstle, Ikonographie d. Heiligen, Friburgo in B. 1926; A. Strümpel, Hieronymus im Gehäus, in Marburger Jb. f. Kw., II (1925-26), p. 173 segg.; F. Doyé, Heilige und Selige der röm. kath. Kirche, Lipsia 1928-30, I, p. 511 segg.; C. Ricci, Mille santi nell'arte, Milano 1931.