GIUSEPPE Moscati, santo
Nacque a Benevento, il 25 luglio 1880, da Francesco e Rosa De Luca.
Il padre, magistrato e presidente del tribunale di Benevento, in gioventù aveva vagheggiato l'idea di abbracciare la vita religiosa.
Nel 1888, in seguito alla nomina del padre a consigliere di corte d'appello, la famiglia si trasferì a Napoli. G., settimo di nove figli, trascorse un'infanzia serena, in un ambiente fortemente religioso, circondato dall'affetto dei genitori; era ricordato dai familiari e dagli amici come un bambino sempre allegro e vivace.
Dopo avere intrapreso i primi studi in famiglia, si iscrisse nell'anno scolastico 1889-90 al r. liceo-ginnasio Vittorio Emanuele II conseguendo nel 1897 la licenza liceale d'onore. Scelse, quindi, di seguire gli studi di medicina, anziché quelli di giurisprudenza ai quali era stato destinato, mosso dalla compassione verso i sofferenti, e con già chiaro l'intento di curare i corpi per salvare le anime. Due mesi dopo il suo ingresso all'Università di Napoli, gli morì improvvisamente il padre.
Presso la facoltà di medicina seguì i corsi di diversi illustri professori, tra cui G. Albini, ordinario di fisiologia sperimentale, G. Paladino, professore di fisiologia generale e istologia, e P. Castellino, docente di clinica medica; gli anni in cui G. compì gli studi universitari furono anni di grande espansione per gli studi di medicina: qui l'ambiente intellettuale era caratterizzato da un diffuso naturalismo scientifico e dal positivismo, in contrasto con le dottrine idealistiche, hegeliane e fichtiane, dominanti nella facoltà di filosofia. G., comunque, non aderì all'indirizzo culturale positivista prevalente nella facoltà medica, rimanendo fermo nella sua fede religiosa.
Il 4 ag. 1903 conseguì la laurea con il massimo dei voti e dignità di stampa, discutendo una tesi sull'urogenesi epatica. Decise, quindi, di intraprendere la pratica ospedaliera: cinque mesi dopo la laurea partecipò al concorso pubblico per coadiutore straordinario indetto dagli ospedali riuniti, vincendolo benché non fosse già medico ospedaliero come gli altri concorrenti. Iniziò dunque la professione di medico nel 1903 nell'ospedale di S. Maria del Popolo, detto degli Incurabili, di cui sarebbe diventato primario nel 1911; nell'ambito di quell'istituzione diresse i reparti di anatomia patologica, dei tubercolotici e, durante la prima guerra mondiale, quelli riservati ai militari. Sin dall'inizio si distinse per il particolare impegno caritativo e la fede cristiana dimostrati nell'esercizio della professione.
La sua totale dedizione è provata dai tanti episodi di cui furono testimoni colleghi e amici. Uno dei più significativi si verificò durante l'eruzione del Vesuvio del 4 apr. 1906; in quell'occasione G. si recò presso l'ospedale di Torre del Greco, dipendenza degli Incurabili, dirigendo le operazioni di evacuazione dei ricoverati e abbandonando l'ospedale solo quando fu certo che le corsie fossero completamente vuote.
Come "miracolosa" fu anche descritta la sua capacità nel leggere i sintomi, diagnosticare la malattia e indicarne la cura e il percorso di guarigione. Un testimone diretto, E. Polichetti, lo ricorda così: "Egli diagnosticava per induzione, a colpo, dopo poche battute, con pochi segni, l'ascesso subfrenico, con un intuito, un acume, una sicurezza che avevano della divinazione, quale solo lui poteva permettersi: era nello stato di grazia: il santo che compiva ogni volta il miracolo, e noi lo ascoltavamo estatici, pendevamo dalle sue labbra".
G. si distingueva, oltre che per l'eccellente preparazione medica, per un'amplissima cultura in materia di letteratura, arte e storia naturale; ma questo interesse per tutte le forme del sapere si accompagnava, in lui, a una visione etico-religiosa legata alla tradizione integralista decisamente avversa alla mondanità e a taluni aspetti della modernità: "Condanna il cinema, il teatro, l'abitudine di andare al caffè, si scaglia contro la frivolezza delle donne napoletane, contro l'immodestia dei loro abiti. Pur non essendo contrario al matrimonio sceglie per sé la castità" (Manganelli, 1997). G. manifestò sempre una profonda devozione religiosa, che si traduceva spesso in larghe elemosine, e una particolare venerazione mariana; osservava scrupolosamente le astinenze e i digiuni, faceva la comunione ogni giorno, ed espresse costantemente una stima particolare per la condizione ecclesiastica.
Nel 1904 era stato colpito da un nuovo lutto familiare, la morte del fratello Alberto. Assistente volontario nel laboratorio di fisiologia fino al 1908, a quella data venne nominato assistente ordinario presso l'istituto di chimica fisiologica e fu nell'ambito di questa branca della scienza che egli orientò la sua ricerca: tra il 1906 e il 1911 tutte le sue pubblicazioni riguardarono le reazioni chimiche del glicogeno e di altre sostanze nell'organismo umano.
Nel 1911 conseguì anche la libera docenza per titoli in chimica fisiologica e ottenne l'incarico di guidare le ricerche scientifiche e sperimentali nell'istituto di chimica biologica. Sempre in quell'anno, durante l'epidemia di colera che aveva colpito duramente Napoli, venne chiamato dall'Ispettorato di sanità pubblica e dall'Ufficio di sanità della prefettura cittadina a occuparsi della profilassi. In quell'occasione presentò una relazione relativa alle opere edilizie necessarie per il risanamento della città, che, almeno in parte, furono eseguite.
Secondo quanto riportato nella bio-agiografia di Papasogli, nel 1914 fece voto di castità ai piedi della Madonna del buon consiglio nella chiesa delle sacramentine; in quell'anno gli era morta anche la madre; la sorella Anna, con cui egli aveva un rapporto molto stretto, venne ad assumere un ruolo centrale nella famiglia. G. trasformò, quindi, una stanza della casa di via Cisterna dell'Olio 10 in studio, dove riceveva i malati che sempre più numerosi ricercavano le sue cure; la professione gli avrebbe permesso proficui guadagni, ma G. fece una scelta diversa.
Consegnava l'intero stipendio alla sorella ed era solito rifiutare, in tutto o in parte, l'onorario che gli si offriva; in particolare non accettava onorario dai poveri e dai sacerdoti. Prima di visitare, era solito consigliare ai malati di confessarsi e di fare la comunione. Secondo Manganelli (1996) "per Moscati, la medicina è soprattutto espediente di conversione, mezzo per giungere all'anima dei pazienti".
Circa la sua attività nell'Università napoletana, nell'anno accademico 1916-17 G. assolse la supplenza nel corso di chimica fisiologica; nel 1917-18 supplì nel corso accelerato di fisiologia per militari; dal 1917 al 1920 ottenne, inoltre, la supplenza nell'insegnamento ufficiale di chimica fisiologica. Nel 1919 fu eletto ordinario di chimica clinica; nel 1922, infine, conseguì la libera docenza in clinica medica.
G. fu anche figura di educatore ascoltato e amato: nella testimonianza degli studenti sono ricordate la concentrazione e l'attenzione con cui osservava il corpo del malato, ed egli è descritto come una persona di indole buona e dolce, a tratti pervasa da una sorta di misticismo che lo avvicinava alla figura di un oracolo.
Negli ultimi anni l'attività ininterrotta e la completa dedizione alla professione di medico e insegnante logorarono la salute di G. e lo portarono a un esaurimento cui tuttavia egli non volle dare importanza.
G. morì a Napoli il 12 apr. 1927.
Nei giorni successivi la sua salma fu oggetto di pellegrinaggio da parte della popolazione e di tutte le autorità cittadine, e ai funerali partecipò un'immensa folla. Già poco tempo dopo la morte s'iniziò a parlare pubblicamente di G. come del medico santo, e la venerazione nei suoi confronti crebbe non solo a Napoli, ma in tutta Italia.
Il 16 nov. 1930 i resti di G. furono traslati nella chiesa del Gesù Nuovo, accompagnati da un lungo corteo. Nel 1975 fu beatificato da Paolo VI e, il 25 ott. 1987, canonizzato da Giovanni Paolo II.
Secondo Manganelli (1996) nella compresenza in lui di un fervore religioso particolare nella professione della fede cattolica e di una preparazione medico-scientifica di alto livello vanno individuate le ragioni non solo dell'ampia e diffusa devozione per G. di malati e fedeli, ma anche del processo che lo portò alla canonizzazione: "attraverso questo scienziato di fama, la prospettiva ecclesiale sembrerebbe individuare un ambito significativo per mediare un aspetto delle complesse relazioni tra Chiesa e secolo: quello con il sapere medico e attraverso questo con la scienza in sé".
Fonti e Bibl.: E. Polichetti, G. M. e la malattia mortale di Enrico Caruso, in La Riforma medica, LXX (1956), 17, p. 488; G. Papasogli, Il prof. G. M., Roma 1958; F. D'Onofrio, G. M., medico, docente, santo, Napoli 1995; S. Manganelli, Un caso di santità contemporanea. Impostazione di una ricerca tra antropologia e storia, in Santità, culti, agiografia. Temi e prospettive. Atti del Convegno di studio dell'Associazione italiana per lo studio della santità, dei culti e dell'agiografia, Roma… 1996, a cura di S. Boesch Gajano, Roma 1996, pp. 377 ss.; Id., Un santo medico nella Napoli contemporanea. Alcune osservazioni sul caso di G. M., in Cristianesimo nella storia. Ricerche storiche esegetiche teologiche, XVIII (1997), pp. 646 ss.; Bibliotheca sanctorum, IX, s.v. Moscati, Giuseppe; Dict. d'hist. et de géogr. ecclésiastiques, XXVIII, coll. 220 s.