Leone IX, santo
Brunone nacque il 21 giugno 1002, dal conte Ugo d'Eguisheim e da sua moglie Helvide (di Dabo?), in Alsazia, dunque in un territorio di lingua germanica. I genitori parlavano principalmente il teutone, pur essendo, secondo l'agiografo, bilingui poiché si esprimevano anche in lingua romanza. Se la data di nascita di Brunone è nota con tanta precisione, ciò si spiega in quanto il racconto della vita del futuro papa fu iniziato quand'era ancora vivente e dunque egli stesso fornì quest'indicazione al suo biografo. Il caso non è eccezionale: molti sovrani hanno menzionato, talvolta, il giorno e mese della loro nascita pur ignorandone l'anno.
Brunone era il terzogenito della coppia, dopo un Ugo e un Gerardo: gli fu dato il nome di alcuni brillanti chierici, come l'arcivescovo di Colonia, fratello di Ottone I, e papa Gregorio V. Si trattava di un nome portato dal clero: il bambino, in qualità di terzogenito, era destinato alla carriera ecclesiastica. Ricevette dunque il tipo di formazione che questa scelta imponeva; abbandonò presto l'entourage femminile della madre e a cinque anni venne mandato al Capitolo della cattedrale di Toul. La scelta di questa città per l'educazione del figlio da parte dei conti d'Eguisheim (la preferirono a Basilea e Strasburgo, entrambe in Alsazia, o a Metz, che era posta al di là dei Vosgi come Toul) non era originale, infatti anche altri membri dell'alta nobiltà della Lotaringia, in questo periodo, avevano optato per la scuola di Toul. Il vescovo Berthold, nel 1007, governava con fermezza la diocesi: era di origine sveva o alemanna, e a questo titolo aveva potuto conoscere la famiglia comitale alsaziana. Brunone ritrovò in questa scuola lontani cugini, che si chiamavano entrambi Adalberone ed erano destinati come lui ad entrare nel clero: il primo era figlio del duca dell'Alta Lotaringia Thierry, e lo si voleva a quanto pare destinare alla sede di Metz; l'altro era figlio del conte di Lussemburgo e di quella stessa diocesi sarebbe stato effettivamente titolare nel 1047, un anno prima dell'ascesa al soglio di Brunone. Tutte queste notizie, fornite dalla Vita di L. attribuita a Wiberto di Toul, sono confermate dalle fonti lorenesi contemporanee. Brunone rimase all'ombra del Capitolo fino ad oltre vent'anni: qui percorse le prime tappe della carriera ecclesiastica e divenne diacono. Fece il suo ingresso nella vita pubblica solo dopo la morte dell'imperatore Enrico II, quando il lontano cugino Corrado fu eletto re dei Romani nel 1024. Brunone era già conosciuto: il vescovo di Toul lo aveva nominato suo rappresentante presso la corte reale, e lì aveva saputo farsi apprezzare tanto da essere inserito nella cappella, ossia nel gruppo di chierici che circondavano il sovrano, ai quali veniva impartita un'educazione di impronta fortemente ecclesiastica e politica, essendo destinati a diventare i futuri occupanti delle sedi episcopali dell'Impero. Brunone aveva appreso il tedesco dai genitori e a Toul il romanzo insieme al latino. Dunque poteva essere impiegato nel servizio diplomatico.
Le sue qualità erano dunque già riconosciute quando, il 1° aprile 1026, morì il vescovo di Toul Hermann. A detta della Vita, unica fonte d'informazione su quest'evento, il clero della città, anche a nome della popolazione, inviò immediatamente in Italia due corrieri muniti di lettere destinate l'una a re Corrado e l'altra a Brunone.
Nelle missive venivano sviluppate le seguenti argomentazioni: Toul, modesta città situata sul confine occidentale dell'Impero, era minacciata dalle ambizioni dei vicini della Champagne, e di conseguenza aveva bisogno di un vescovo capace. Brunone rispondeva a questo requisito. Certo, Brunone avrebbe potuto adoperarsi per ottenere una sede più importante (o sperare che ciò accadesse), ma poteva anche essere per lui opportuno dar prova di umiltà e accettare il compito di difendere la sua patria d'adozione. A lui il popolo di Toul - che aveva chiesto al sovrano di non frapporre ostacoli alla richiesta - chiese di rinunciare ad una carica più prestigiosa. Le lettere furono recapitate mentre i loro destinatari erano occupati in operazioni militari. Il re, poco propenso ad acconsentire alla richiesta proveniente da Toul, dapprima si mostrò reticente, poi cedette, consentendo così a Brunone di abbandonare il comando del contingente militare di Toul per prendere possesso della sua sede episcopale. E Brunone partì senza indugio: per ragioni sconosciute fu inseguito da nemici, riuscendo a stento a salvarsi, e finì per raggiungere Toul. Il cugino Thierry II (1006-1047), arcivescovo di Metz, lo attendeva per introdurlo solennemente nella cattedrale: ciò accadde giovedì 19 maggio, nel giorno dell'Ascensione. Brunone si mise allora in contatto con l'arcivescovo di Treviri per ottenere la consacrazione. Questo prelato manifestò però delle pretese eccessive, chiedendo che il futuro vescovo non prendesse alcuna decisione senza riferirgliela. Brunone rifiutò la condizione e la consacrazione episcopale fu rinviata finché l'imperatore Corrado non fu in grado di intervenire personalmente.
Il sovrano, che aveva manifestato il desiderio di veder consacrare Brunone a Roma, nello stesso giorno in cui lui avrebbe ricevuto la corona imperiale (l'evento ebbe luogo il 26 marzo 1027), convocò entrambe le parti a Worms nel settembre del 1027 e dispose affinché Brunone fosse consacrato senza alcuna condizione. Le fonti non rivelano se la cerimonia si svolse a Worms o a Toul, ma la consacrazione si fa risalire in genere al 9 settembre 1027.
Il resoconto di quest'elezione, nei termini in cui è proposto dalla Vita, non può essere accettato senza riserve. Il lasso di tempo che intercorre fra il 1° aprile, data di morte di Hermann, e il 19 maggio, giorno in cui Brunone entrò a Toul, è troppo breve se commisurato a tutte le operazioni che furono messe in atto. Hermann era morto lontano dalla sua città, a Colonia, e bisogna considerare il tempo di trasmissione dalla metropoli renana a Toul e quello necessario per effettuare un'elezione, inviare le lettere in Italia, rintracciare i destinatari, compiere il viaggio di ritorno. Le distanze sono lunghe e le scadenze molto brevi. La Vita si preoccupa di far apparire la scelta di Brunone rispettosa delle regole canoniche, "clero et populo". In realtà sembra che sia stato il sovrano a decidere senza indugio, designando il cugino Brunone alla sede episcopale di Toul non appena ebbe notizia della sua vacanza. A quest'epoca un chierico locale redigeva la Vita di Gerardo, vescovo di Toul, e riferisce in quali condizioni i canonici della città si fossero recati a Colonia per chiedere all'arcivescovo Brunone, allora duca di Lotaringia e reggente dell'Impero, di assegnare alla loro sede un vescovo. Quando Brunone d'Eguis-heim fu nominato vescovo, la prassi della Chiesa imperiale lasciava al sovrano un'assoluta libertà d'azione nella scelta dei vescovi. Corrado conosceva la difficile situazione di Toul e aveva bisogno di un uomo forte. Brunone fu designato malgrado la giovane età, ventiquattro anni, ed è opinabile che il clero e il popolo abbiano avuto voce in capitolo nella decisione. Ma quando fu avviata la stesura della Vita di L., il papa non poteva consentire che la sua elezione apparisse di natura simoniaca e fece redigere una versione che poneva l'accento sull'elezione canonica.
L'attività diocesana di Brunone è poco nota: ha lasciato poche carte, alcune delle quali sono inficiate di falsità. Riguardano soprattutto la fondazione di priorati, come quello di Deuilly, nel sud della diocesi, affidato all'abbazia di St-Evre di Toul. A Brunone viene attribuito inevitabilmente un ruolo decisivo nella restaurazione della Regola benedettina. Il vescovo in effetti, al momento della sua elezione, fece appello all'abate di St-Benigne di Digione, Guglielmo di Volpiano, già attivo in Normandia, a Metz (St-Arnoul) e a Gorze. Assegnò a Volpiano la carica abbaziale delle due abbazie di St-Evre e di St-Mansuy, che si trovavano a Toul, e lo mise a capo del monastero di Moyenmoutier nei Vosgi. Dopo qualche tempo la carica fu trasmessa da Guglielmo ai suoi discepoli. Il rilancio della vita monastica fu comunque fortemente rallentato dalla minaccia che gravava su Toul a causa delle ambizioni politiche del conte di Blois, Eudes, il quale rivendicava la successione del Regno di Borgogna. Un'incursione di Eudes procurò gravi danni a Toul e ai suoi dintorni, e in particolare fu bruciata l'abbazia di St-Evre. Brunone dovette occuparsi della difesa militare della città, del rafforzamento dei bastioni, e in seguito della ricostruzione dell'abbazia. Durante questo periodo, a causa dei rapporti costantemente intrattenuti dal Regno di Francia e dall'Impero, Brunone nel 1031 fu inviato con un'ambasceria presso il re di Francia.
Non è possibile avere notizie più consistenti sul ruolo episcopale svolto da Brunone e sui suoi venticinque anni di governo (1026-1051). Il solo fatto significativo da sottolineare fu lo stretto legame fra Brunone e un monaco di Moyenmoutier, di nome Umberto, che lo accompagnò a Roma ove intraprese una brillante carriera come cardinale di Silvacandida. Brunone frequentava regolarmente la corte imperiale e fu durante un soggiorno nel dicembre 1048 che si vide designare da Enrico III per divenire papa. Per la terza volta un membro della Chiesa imperiale veniva scelto per occupare la cattedra di s. Pietro; ogni volta i prelati avevano conservato la loro sede episcopale e anche Brunone la mantenne fino al febbraio del 1051. Dopo aver protestato la propria incompetenza e indegnità, il futuro papa si mise in viaggio alla volta dell'Italia, passando per Besançon, in compagnia dell'amico arcivescovo Ugo de Salins. In questa città sembra aver incontrato l'abate di Cluny e il diacono della Chiesa romana Ildebrando. Quest'ultimo mise in guardia il neoeletto dai misfatti della simonia e lo esortò a farsi eleggere regolarmente dal clero e dal popolo di Roma. Brunone gli diede ascolto, si spogliò delle sue vesti sfarzose e si recò nella città come un pellegrino. Fu eletto regolarmente, o se si preferisce confermato, il 2 febbraio 1049 e consacrato il 12 febbraio successivo. La scelta del nome faceva indubbiamente riferimento a Leone I, il cui lungo pontificato aveva lasciato un vivido ricordo.
L. giunse a Roma con una cerchia di compatrioti che influenzò senz'altro i suoi orientamenti politici: prelati come Helinard e Ugo, arcivescovi di Lione e di Besançon, canonici come l'arcidiacono Federico di Liegi, il primicerio Udone di Toul, Ugo Candide de Remiremont, monaci come Umberto di Moyenmoutier. L'esistenza di un gruppo di ecclesiastici provenienti dalla Lotaringia non è irrilevante per gli sviluppi futuri del pontificato, perché spiega l'equilibrio che L. riuscì a mantenere fra la Chiesa della quale era a capo e l'Impero di cui faceva parte. Un costante spirito di riforma e un accentuato pragmatismo animavano il paese d'origine del papa: queste caratteristiche furono all'origine dei viaggi intrapresi da L. e dell'attenzione con cui vigilò sull'applicazione delle decisioni sinodali.
Divenuto papa, L. celebrò la Pasqua a Roma e riunì un sinodo, una consuetudine che manterrà negli anni seguenti. Si scagliò contro l'eresia ed emanò le sue prime bolle, di cui la Chiesa di Treviri fu una delle principali destinatarie. Dopo due mesi lasciò la Città Eterna per mettersi in cammino: convocò un sinodo a Pavia (14-20 maggio), poi proseguì verso nord, valicò le Alpi al Gran San Bernardo, percorse senz'altro la valle del Reno e forse discese il fiume per raggiungere Enrico III a Colonia. Da qui si recò ad Aquisgrana, Liegi, Treviri e infine Toul. Il pontefice lanciò un ampio appello per il sinodo da riunire a Reims in occasione della consacrazione della nuova chiesa abbaziale di St-Remi. Questo sinodo, di cui il monaco Anselmo diede un circostanziato resoconto, segnò fortemente gli spiriti per il vigore dimostrato dal papa nella sua azione contro i vescovi simoniaci (3-5 ottobre 1049). Numerose bolle furono indirizzate a destinatari francesi e lotaringi. L. passò da Verdun e Metz per raggiungere Magonza, e il 19 riunì un sinodo cui parteciparono quasi quaranta vescovi; presiedendo l'assemblea al fianco dell'imperatore, il comportamento del papa fu analogo a quello tenuto a Reims. L'autunno lo vide spostarsi in Alsazia, ad Altdorf e Andlau. In dicembre raggiunse la valle del Danubio, per poi proseguire verso sud e sostare a Verona in occasione del Natale. All'inizio del 1050, dopo essere disceso lungo la costa italiana giunse a Capua e Salerno, poi in aprile toccò Melfi, Benevento, il Gargano e, infine, Siponto, dove fu riunito un grande concilio contro i simoniaci. In aprile, a Roma, venne celebrata la Pasqua e si tenne un altro sinodo. Il primo anno di pontificato di L. fu dunque contrassegnato da un'intensa attività e dalla novità rappresentata dal lungo spostamento del papa e della Curia verso due importanti paesi della cristianità, la Francia e la Germania.
Il secondo anno di pontificato non fu molto dissimile dal primo, perché L. si mise nuovamente in viaggio verso il Nord, diretto alla regione fra la Mosa e il Reno; in settembre riunì un concilio a Vercelli, attraversò il Giura per recarsi a Besançon e Langres, poi a Toul. Soggiornò a lungo nella città di cui continuava ad essere vescovo titolare e di cui proclamò santo il vescovo Gerardo, suo predecessore. Qui celebrò anche il Natale e in seguito rientrò rapidamente a Roma. Il terzo anno di pontificato fu consacrato interamente all'Italia centro-meridionale, soprattutto a Benevento e a Salerno, Subiaco, Narni. L. riprese le sue visite in questa parte della penisola nel 1052, prima di essere richiamato al Nord. In ottobre si riunì di nuovo con Enrico III a Presburgo, in Slovacchia, lo seguì a Ratisbona, Bamberga e nei paesi renani; celebrò il Natale a Worms, poi raggiunse Roma all'inizio del 1053. La lotta contro i Normanni e la prigionia del papa occuparono interamente il periodo compreso tra la fine del 1053 e l'inizio del 1054.
L. rientrò a Roma solo per morirvi, il 19 aprile del 1054. Dall'esame dei viaggi del pontefice si possono ricavare due osservazioni: da un lato, ha risieduto poco a Roma, sia che abbia ritenuto suo dovere essere presente in altri luoghi della cristianità, sia che non abbia amato soggiornare in una città in cui era straniero; trascorse complessivamente a Roma circa nove mesi su sessantuno di pontificato, non sostandovi mai per oltre tre mesi. Non si mostrò generoso di bolle nei confronti dell'Italia centrale: in altre parole, non si sentiva certamente romano e neppure italiano. Quanto ai suoi viaggi, si limitarono principalmente a due regioni, la Lotaringia, suo paese d'origine, con visite in Lorena e Alsazia, a due riprese, e soggiorni abbastanza lunghi, e l'Italia centrale, ma soprattutto meridionale, con una predilezione per Benevento dove si sviluppò un culto particolare in suo onore.
L'attività di cancelleria di L. fu nettamente superiore a quella dei suoi predecessori e immediati successori. Si contano circa centoventiquattro bolle a suo nome, tra cui sono compresi alcuni falsi, ma alle quali si devono aggiungere i "deperdita". Con una media di tre bolle mensili, la produzione di L. appare ragguardevole, seppur distribuita in modo diseguale nel tempo. Quasi una cinquantina di bolle risale al primo anno di pontificato, mentre gli ultimi dodici mesi sono improduttivi. Si può già constatare che un terzo delle bolle è destinato alla Francia e alla Lotaringia, seguite dall'Italia, beneficiaria di un quarto, mentre il resto è disperso. Vi sono comprese poche abbazie dell'Impero (Fulda, Lorsch, Gernrode) e alcune città (Treviri, Colonia, Magonza, Bamberga, Amburgo), mentre la Spagna ne è esclusa. Il territorio francese è il più favorito: non stupisce constatare che le regioni visitate dal papa siano state dotate di bolle, com'è il caso dell'Alsazia e dell'Italia meridionale. Oggetto degli atti era soprattutto la conferma dettagliata di beni e privilegi, che fino a quel momento era stata sporadica. Al di fuori delle chiese, i destinatari particolari furono pochi: re Edoardo d'Inghilterra, il re di Francia, i conti di Nevers, d'Angiò, di Bretagna. È indubbio che l'imperatore Enrico III sia stato in costante rapporto epistolare con il papa che lui stesso aveva scelto, ma in questo campo, vista la mancanza di documenti, la curiosità deve restare insoddisfatta.
Dall'analisi minuziosa del contenuto delle bolle si possono ricavare indicazioni sulle prese di posizione del pontefice. Esaminando con attenzione i testi destinati all'Alsazia e alla Lorena, emerge ad esempio un forte attaccamento per le antiche usanze ancora in vigore. L. non si perita di mantenere la pratica della confessione imposta ai monaci, della scelta dei prelati nella ristretta cerchia della famiglia fondatrice a discapito della "libertas ecclesiae". Si nota nel papa il rispetto per le situazioni consolidate e non sembra che egli abbia concepito l'idea di mettere in discussione certi aspetti della Chiesa imperiale. Aveva potuto constatare che la salda alleanza della Chiesa con lo Stato germanico contribuiva a garantire ai chierici e ai monaci un fondamento più solido, ad assicurare una protezione più efficace, sebbene questo incentivasse apparentemente i vantaggi acquisiti dai laici. Le peculiarità delle Chiese regionali, francesi, germaniche e italiane, non erano d'ostacolo al loro corretto funzionamento. L. preferì impegnarsi a fondo nella lotta contro tare quali la simonia, il nicolaismo, l'eresia. Per quanto riguarda i primi due abusi, denunciati da sempre dai papi, e con rinnovato vigore a partire dall'inizio dell'XI secolo, L. agì avvalendosi della mediazione dei sinodi. Le iniziative prese a Reims appaiono indicative: convocazione dei prelati sospetti, interrogazione, richiesta di confessioni, condanna risoluta e immediata nel caso di errori accertati, eventuale deposizione o perdono. L'abitudine del pontefice di spostarsi e di agire in loco dovette destare un profondo stupore tra i fedeli e i prelati: rappresentò la vera novità nell'azione di Leone IX. Nell'ambito dell'eresia Berengario di Tours fu naturalmente condannato con fermezza.
Il pontificato del vescovo di Toul promosso alla Sede romana costituì, sotto un certo aspetto, un'intrusione della Chiesa imperiale al vertice della cristianità. Avendo fatto parte della cappella di Corrado II prima di occupare la sede di Toul, Brunone d'Eguisheim aveva acquistato dimestichezza con le pratiche della redazione di diplomi ed è verosimile che questi contatti abbiano avuto un'influenza sulle modifiche apportate alle bolle per sua iniziativa. Nell'incipit il nome del papa viene messo in risalto, a grandi lettere, e la prima riga è sempre più spesso in lettere capitali. La fine dell'atto include il "Benevalete", ma vi aggiunge il "comma", a forma di punto e virgola; a sinistra dell'atto e su un diametro di solito corrispondente all'altezza del "Benevalete" comparirà, da questo momento, un disegno a forma di ruota ("rota"): lungo il bordo esterno figura il motto pontificio, ed è stato senz'altro L. a comporre il suo di proprio pugno con abbreviazioni stereotipate: "Misericordia Domini plena est terra". Il cerchio interno è suddiviso in quattro parti da una croce e in ogni quarto compare una lettera del nome L-E-O-P. In basso nel testo della bolla è tracciata la lunga riga che riporta il luogo e la data di redazione dell'atto, con la menzione del nome del diacono bibliotecario.
Durante il pontificato di L. tre uomini si susseguirono nella funzione di bibliotecario: Pietro (26 febbraio 1049-7 settembre 1050), Udone, primicerio di Toul (22 ottobre 1050-16 gennaio 1051), Federico (12 marzo 1051-21 dicembre 1053). Pietro aveva continuato a svolgere un compito già iniziato sotto i predecessori di L.; dopo la sua morte a Langres, fu subito sostituito da Udone, canonico di Toul, originario del paese renano, a capo del Capitolo della cattedrale di L., del quale era stato il braccio destro - ruolo che mantenne in seguito anche a Roma - finché ottenne la sede vescovile di Toul (febbraio 1051). Una falsa bolla datata 25 gennaio 1051 e destinata a Udone in qualità di vescovo di Toul precede di poco il momento in cui L. ritenne opportuno abbandonare definitivamente la sede lorenese, che affidò al suo bibliotecario. Essendosi dunque resa vacante la carica di bibliotecario, la occupò Federico delle Ardenne, fratello del duca Goffredo il Barbuto e arcidiacono di Liegi, di cui L. conosceva bene la famiglia, perché aveva lontani legami di parentela con la sua. Essendo Goffredo in conflitto con Enrico III, L. interpose i suoi buoni uffici per ottenere la sottomissione del duca. L'ingresso di Federico nella cerchia dei consiglieri del papa si riallaccia al trasferimento in Italia di Goffredo, divenuto nel 1054 marito di Beatrice, marchesa di Toscana e vedova di Bonifacio: veniva così a rafforzarsi intorno al papa il clan lotaringio. Al di sopra del bibliotecario e cancelliere Federico comparve anche un arcicancelliere nella persona dell'arcivescovo di Colonia Hermann. In ogni caso la cancelleria di L. da questo momento apparve più sicura e lasciò in eredità ai suoi successori pratiche più definite. Questo rigore avrebbe dovuto scoraggiare i numerosi falsari che ritennero opportuno ricondurre all'autorità del pontefice le loro produzioni, laddove smascherarne l'invenzione risulta tanto più facile in quanto i loro artefici non erano in grado di rispettare le nuove regole.
La fine del pontificato di L. fu profondamente segnata da due questioni che lasciarono tracce durature: lo scisma con Bisanzio e la lotta contro i Normanni. Da lungo tempo i dibattiti sul dogma e le pratiche di culto contrapponevano le Chiese romana e bizantina. Il patriarca Fozio aveva denunciato gli errori di Roma: digiuno del sabato, proibizione del matrimonio dei preti, conferma del battesimo, introduzione del Filioque nel Credo di Nicea. Per due secoli la querelle era stata soffocata, ma un'iniziativa di Michele Cerulario, patriarca di Costantinopoli, la fece nuovamente divampare. Leone di Ocrida, su disposizione del patriarca, inviò al vescovo italiano Giovanni da Trani una lettera da diffondere tra l'episcopato latino e a Roma, nella quale si invitavano i Latini ad abbandonare pratiche qualificate come giudaiche, in particolare la comunione con il pane azzimo; le Chiese latine che avessero mantenuto l'uso del pane non lievitato in territorio bizantino sarebbero state chiuse. Il papa preparò una risposta con l'aiuto dell'amico cardinale Umberto, che seppur ellenista non era un traduttore eccelso. La lettera risoluta di L., che è datata all'inizio del 1053, fu seguita da altre due missive indirizzate rispettivamente all'imperatore Costantino Monomaco e a Michele Cerulario. Se il papa si mostra severo nei confronti del patriarca, assume invece un tono conciliante quando si rivolge all'imperatore, rammaricandosi della persecuzione di cui sono oggetto i Latini e denunciando l'atteggiamento di Michele. Il papa è ansioso di conservare ai patriarchi di Alessandria e di Antiochia il loro posto nella gerarchia della Chiesa cristiana. Questa lettera fu redatta dopo la grave disfatta subita dalle truppe latine ad opera dei Normanni, accusati degli eccessi più efferati (giugno 1053). L. preannunciò l'invio di legati; nel gennaio 1054 partirono il cardinale Umberto, il cancelliere Federico e l'arcivescovo di Amalfi Pietro. I tre ambasciatori furono accolti amabilmente dall'imperatore, ma entrarono in conflitto con Cerulario; in particolare, Umberto si mostrò intransigente e del tutto sprovvisto di senso diplomatico. Rispose con estrema durezza al trattato dai toni sfumati di Niceta Stetato e il patriarca, a sua volta, rifiutò qualsiasi accordo. Il 16 luglio, quando la morte di L. aveva tolto validità all'ambasceria, i legati disposero sull'altare maggiore di S. Sofia una bolla di scomunica contro Cerulario e lasciarono il paese sotto la protezione dell'imperatore. Dopo la loro partenza il patriarca sobillò la popolazione contro i Romani e fu così che si consumò lo scisma delle due Chiese. Quest'evento è rimasto legato al nome di L., la cui volontà tuttavia fu certamente scavalcata dal comportamento dell'amico e legato Umberto.
La separazione da Bisanzio era tanto più deplorevole in quanto il papa si trovava contemporaneamente ad affrontare una difficile situazione con i Normanni dell'Italia meridionale. Costoro avevano ricevuto in un primo tempo il sostegno del papato, che li considerava alleati nella lotta contro i musulmani e i Bizantini; a queste forze si aggiungeva un quarto partito costituito dai principi longobardi. Per il loro dinamismo e le qualità guerriere i Normanni si erano imposti sempre più e avevano conquistato titoli (conti di Puglia), finendo col diventare un pericolo per i loro antichi alleati. Fu così che L., ben presto presente in Italia meridionale e vicino ai principi longobardi fin dall'ascesa al soglio, accettò l'idea di sottomettere i Normanni con le armi. Quando si incontrò con l'imperatore Enrico III, alla fine del 1052, si adoperò per convincerlo a scendere in Italia con le sue truppe, ma questi, memore degli insuccessi dei suoi predecessori, rifiutò di seguire L. e si limitò ad inviare soldati. L'operazione militare avviata a metà del 1053 doveva riunire i conti latini e i tedeschi alle truppe bizantine. L'estrema rapidità dei Normanni impedì che gli alleati si ricongiungessero a Civitate, il 16 giugno 1053: questi ultimi andarono così incontro ad una grave disfatta, con pesanti perdite fra i Tedeschi e i Latini. L. si ritirò a Benevento, "prigioniero" dei Normanni, che si mantennero tuttavia deferenti nei confronti del papato.
Questa bruciante sconfitta, aggiunta al fallimento di Umberto a Costantinopoli, inquinò la fine del suo pontificato. L. ottenne comunque unanimi consensi e non trascorse molto tempo prima che fosse ritenuto un santo; si parlò di miracoli avvenuti sulla sua tomba.
Una notevole quantità di fonti di origine diversa riferisce in modi difformi della sua politica e del suo comportamento. Quelle normanne sono ovviamente severe nei confronti del papa, mentre le romane, sia dell'XI che del XII secolo, ne giustificano l'azione trasformando la disfatta di Civitate in un atto meritorio che preludeva alla santità. L'importanza di L. è comunque largamente riconducibile alla sua fama di papa riformatore, che preannuncia l'azione di Gregorio VII: tale reputazione, dovuta notoriamente a storici come A. Fliche, fa riferimento ai rapporti che egli intrattenne con Umberto di Moyenmoutier, strenuo avversario dell'"eresia simoniaca", e con Ildebrando, futuro Gregorio VII, e ad alcune fonti agiografiche, in particolare la Vita attribuita a Wiberto di Toul, che rappresenta la sola fonte biografica completa riguardante questo papa.
Il culto di L., sviluppatosi soprattutto a Benevento, fu riconosciuto da Vittore III nel 1087, quando furono traslate le reliquie del papa, al quale nel 1091 venne consacrata una chiesa a Toul. La sua memoria liturgica è celebrata il 19 aprile.
fonti e bibliografia
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(Traduzione di Maria Paola Arena)