LUCA, santo
, È, secondo l'unanime tradizione cristiana, l'autore del terzo Vangelo canonico, e anche degli Atti degli Apostoli (v.).
Il nome greco Λουκᾶς è probabile abbreviazione di Λουκανός, Lucanus, forma conservata in antichi codici della Volgata latina (Corbeiensis sec. V, Vercellensis sec. VIII); i nomi greci in -ᾶς si riscontrano frequenti in iscrizioni funerarie di schiavi, donde la congettura d'alcuni ch'egli fosse un liberto.
L'identità d'autore del terzo Vangelo e degli Atti è da tutti riconosciuta. Gli Atti si presentano infatti come una continuazione del Vangelo: "Il primo trattato, o Teofilo, io composi di quanto Gesù cominciò a fare e insegnare..." (Atti, I, 1); lo stesso è il personaggio a cui sono dedicati, Teofilo, discepolo ritenuto dai più come reale, non ideale; sensibilmente uguale lo stile, il fraseggiare e l'arte storica. Ne consegue che le notizie utilizzabili dalle due opere o dalle tradizioni a esse relative vanno assommate per formare un unico ritratto.
Nel Nuovo Testamento L. è menzionato tre volte sole. L'evangelista, come negli altri Vangeli canonici, non si presenta mai nel corso della narrazione. Il nome però doveva in questo caso essere preposto al Vangelo e agli Atti, o risultare da una lettera accompagnatoria, poiché non è possibile altrimenti una dedica. Tutte le tre volte è menzionato nell'epistolario di S. Paolo (Colossesi, IV, 14; II Timoteo, IV, 11 "L. è con me solo"; Filemone, 24; per questi testi e altri della tradizione v. atti degli apostoli, V. p. 268). Poiché nella lettera Ai Colossesi è presentato come medico carissimo, non è improbabile che egli si tenesse vicino all'apostolo per curarlo. Ma in Filemone è presentato come "collaboratore" dell'apostolo.
La tradizione ecclesiastica, e la maggior parte dei critici ancora oggi, identifica con L. lo scrittore di quei brani degli Atti, tratti da una specie di "giornale di viaggio", nei quali si è conservato il pronome noi originario in mezzo a un racconto impersonale. Essi sono attribuiti a L. anche da alcuni critici che pur distinguono dallo scrittore del "giornale" il redattore degli Atti: costui avrebbe utilizzato un documento d'un genuino compagno di S. Paolo, cioè Luca.
In tal caso le notizie nostre su L. si accrescono assai. Egli si sarebbe trovato con Paolo ad Antiochia, se venga accettata la lezione singolare del codice detto di Beza (Cantabrigiensis, sec. V) in Atti, XI, 28 (συνεστραμμένων δὲ ἡμῶν contro gli altri codici: ἀναστὰς δὲ εἷς ἐξ αὐτῶν). Lasciando questo punto assai incerto, L. dové aggiungersi a Paolo durante il secondo viaggio missionario da Troade a Filippi nell'anno 51 o 52 (Atti, XVI, 10) e fu con lui al momento della malattia cui l'Apostolo accenna in II Cor., XII, 7, se di malattia vi si tratta.
Appare di nuovo con Paolo durante il terzo viaggio missionario, circa 6 anni dopo, nel 58: da Filippi parte con l'apostolo che va a Gerusalemme per conferirvi con S. Giacomo e gli anziani. Finalmente è compagno di Paolo nel viaggio avventuroso da Cesarea a Roma (Atti, XXVII, 1, XXVIII, 16) dove rimane, secondo le testimonianze della lettera ai Colossesi e il biglietto a Filemone. È ovvio che poté essere con Paolo anche in periodi intermedî tra le date citate: egli "fu inseparabile da Paolo" scriveva S. Ireneo più tardi.
Eusebio (Hist. eccl., III, 4, 7) e Girolamo (De vir. ill., VII), lo dicono medico d'Antiochia. Si era sospettato che la notizia fosse attinta da Giulio Africano (sec. III) e che in origine fosse dedotta dal trovarsi di L. con Paolo ad Antiochia secondo il codice di Beza in Atti, XI, 28. Ma quest'ultima congettura attribuisce a tale lezione un'influenza sulla tradizione, maggiore di quanto la storia testuale ci permetta di stabilire, e anteriormente a Giulio Africano la professione medica e l'origine antiochena erano nel Prologo premesso al Vangelo, che dopo le ricerche del De Bruyne e del von Harnack va datato dalla seconda metà del sec. II. Sta di fatto che L. è bene informato delle cose di Antiochia, le quali lo interessano particolarmente (XI, 19-30; XV, 22-35), e che l'unico dei sette diaconi di cui è data la patria è "Nicola un proselita d'Antiochia" (Atti, VI, 5). Egli poté studiare medicina a Tarso, il miglior centro culturale dell'Asia Minore. Che egli difatti avesse una notevole cultura letteraria è provato dall'arte con cui sono composti i due suoi libri: così pure la terminologia usata a proposito di malattie e di guarigioni è, tra la volgare usata negli altri Vangeli, la più minuziosa e la più conforme alle opere di medicina classica.
La tradizione che L. fosse pittore risale a Teodoro il Lettore che scrivendo verso il 530, secondo la notizia conservata da Niceforo Callisto del sec. XIV, riferiva che l'imperatrice Eudossia inviò a Pulcheria in Costantinopoli un'immagine della Madonna Θεομήτωρ dipinta da Luca e da lei trovata a Gerusalemme (Patr. Grec., LXXXVI, 165). Di L. pittore parla anche il Menologio di Basilio II del 980. È forse una trasposizione nell'arte della pittura del carattere proprio all'Evangelista, fine dipintore di personaggi e di scene, e tanto più efficace quanto schivo di rettorica. Alle notizie date, i più antichi prologi aggiungono che L. "seguì Paolo sino al suo martirio, servendo a Dio senza macchia; non ebbe moglie o figli; morì nella Beozia di 84 anni, ripieno di Spirito Santo".
Il Vangelo. - Il III Vangelo aggiunge agli altri Vangeli canonici un ampio contributo proprio. I racconti della nascita di Gesù e della sua infanzia (c. I-II) trovano appena qualche riscontro per identità di tema in Matteo, I. La massima parte del materiale nuovo è collocato tra il racconto, comune ai Sinottici, del ministero in Galilea e l'ultima e fatale predicazione di Gesù a Gerusalemme, da IX, 51, a XVIII, 14, benché anche in questa parte molti insegnamenti e massime di Gesù trovino sparsi paralleli in Matteo. L., solo tra i Sinottici, accenna a un viaggio e ad una predicazione di Gesù in Samaria (IX, 51-56), di cui tratta però anche il IV Vangelo con nuovi particolari (Giov., IV); come pure accenna alla missione data, dopo quella ai Dodici (Apostoli), a settantadue discepoli di annunciare alle città e ai villaggi palestinesi l'avvicinarsi del Regno di Dio (X, 1-17). L'amicizia di Cristo con la famiglia di Marta e Maria, sorelle di Lazzaro, è in modo singolare rilevata da L., che ha in proprio quel fine episodio del lamento di Marta (v.) perché la sorella trattenendosi ad ascoltare Gesù non l'aiutava nelle faccende domestiche, e della difesa fattane da Gesù, che influì assai nelle valutazioni della vita contemplativa nel cristianesimo (X, 38-42). Egli solo rileva minacce di Erode Antipa contro Cristo (XIII, 31-33). Oltre a 6 nuovi miracoli, L. ha in proprio un ricco numero di parabole, tra le più espressive di Gesù e che appena si comprende come fossero omesse dagli altri evangelisti. Delle 23 che riporta, ben 17 sono esclusive di L.: dei due debitori (VII, 41-43); del buon Samaritano (X, 29-37); dell'amico che arriva la notte (XI, 5-8); del ricco stolto che amplia i granai e la notte è chiamato da Dio al rendiconto (XII, 16-21); dei servi vigilanti (XII, 35-40, cfr. però anche Matt., XXIV, 42-44); del fico sterile (XIII, 1-9); della ricerca dell'ultimo posto a tavola (XIV, 7-11); del grande convito (XIV, 15-24); del costruttore avventato e del re prudente (XV, 8-10); del figliol prodigo (XV, 11-32); del fattore ingannatore (XVI, 1-13); della dramma perduta (XV, 8-10); di Lazzaro e il ricco (XVI, 19-31); dei servi inutili (XVII, 7-10); del giudice iniquo (XVIII, 1-8); del fariseo e del pubblicano (XVIII, 9-14); delle mine (XX, 11-28). Nella storia della condanna di Gesù L. è solo nell'accenno all'invio di Gesù da Pilato a Erode, per ragione di competenza (XXIII, 6-12). Tra le apparizioni di Gesù risorto, il III Vangelo ha in proprio il vivido racconto del viaggio dei due discepoli innominati a Emmaus, con i quali Gesù s'accompagna (XXIV, 13-35; un semplice cenno in Marco, XVI, 12-13).
La ricchezza di questo materiale - non indicato qui completamente - nuovo anche dopo che Matteo aveva radunato gl'insegnamenti di Gesù, mostra quale ricercatore giudizioso e diligente fosse l'autore. Nella breve prefazione al Vangelo, a giustificare il suo lavoro di fronte ai varî già composti, egli adduce l'aver seguito metodicamente da tempo i fatti. L'affermazione trova una rispondenza nell'opera. Non sembra lungi dal vero la congettura d'alcuni studiosi che l'autore nel suo disegno di comporre la vita di Gesù e la storia del primo sviluppo cristiano, tenesse, come risulta per gli Atti, un sistema di giornale in cui raccoglieva quanto di nuovo gli riusciva d'apprendere.
Tra gli evangelisti L. emerge come scrittore e come storico. Nessuno tra essi possiede come lui il greco, e se ne può avere un concetto anche dal solo periodo iniziale. Un confronto sotto tale rapporto con lo storico ebreo Flavio Giuseppe è a favore del Vangelo. Non mancano ebraismi o aramaismi, meno numerosi che negli altri Vangeli; ma erano inevitabili nel volgere pensieri concepiti ed espressi in semitico e nel narrare fatti strettamente innestati con le costumanze e la vita palestinesi.
Certe parti però ne sovrabbondano, come i due primi capi, ai quali sotto questo aspetto si può trovar un parallelo nei primi capi degli Atti. Qualcuno tra i recenti (Moulton-Howard e P. Abel) ha espresso il pensiero che l'autore non conoscesse l'aramaico. Ma in tal caso sarebbe arduo sostenere la ben testimoniata origine di Luca da Antiochia, dove l'aramaico era usitatissimo. L. stette inoltre con Paolo due anni a Cesarea (Atti, XXIV, 27); e la diversa distribuzione di aramaismi si spiega meglio nella tesi contraria.
L'Evangelista si esclude dal novero dei testimoni oculari, con una sincerità e modestia che nell'abbondare della letteratura apocrifa gli va ascritta a merito; ma pone in rilievo la cura della precisione e dell'ordine posta nello scrivere (ἀκριβῶς καϑεξῆς, Luc., I, 3). L'ordine tenuto è spesso cronologico, almeno nelle grandi linee: talvolta però la cronologia è sacrificata, o perché non era nota la sequela dei fatti minuti, e, raramente, per un ordinamento logico. Il trovarsi ad esempio la maggior parte di quanto il Vangelo ha di proprio tra le due parti già svolte da Marco e Matteo del ministero in Galilea e la fine, non è sicuro argomento che proprio nel periodo intermedio si svolgesse quant'egli racconta: forse egli ha tenuto a non sconvolgere l'ordinamento dei fatti che ritrovava già scritti. L'episodio della manifestazione messianica di Gesù a Nazaret, posto all'inizio della vita pubblica (IV, 16-30) è certamente anticipato, poiché vi si accenna a una predicazione e a miracoli fatti a Cafarnao.
Del resto L., tra gli autori neotestamentarî, assorbiti da un pensiero che esula dal tempo e dallo spazio, è l'unico che si studi di collocare nella trama della storia mondiale la vita di Cristo. Quindi l'accenno al censimento ordinato da Cesare Augusto che determinò il viaggio di Maria da Nazaret a Betlemme (II, 1-2), e specialmente la solenne data dell'inizio dell'avvento messianico con la predicazione del Battista, di III, 1-2: "Nell'anno XV° d'impero di Tiberio Cesare, essendo procuratore della Giudea Ponzio Pilato, tetrarca della Galilea Erode, essendo tetrarca dell'Iturea e della regione Traconitide Filippo suo fratello, e tetrarca dell'Abilene Lisania, sotto i sommi pontefici Anna e Caifa....". Questa cura, che si rivela anche negli Atti, si deve ai metodi storici a cui L. aveva potuto formarsi alla scuola e alla lettura delle opere contemporanee, ma altresì e soprattutto alla profonda coscienza del valore dell'insegnamento cristiano nel mondo e ad una giusta intuizione della sua importanza per la storia futura dell'umanità.
L'autore. - La tradizione antica cristiana è unanime nell'attribuire il Vangelo a L., compagno di S. Paolo. Il suo nome è scritto innanzi a tutti i codici, e presso alcuni l'enunciazione si svolge in prologi con notizie preziose. Il De Bruyne ha rintracciato il prologo al Vangelo di Luca in 28 manoscritti latini; ma è stato ritrovato l'originale greco in un codice d'Atene edito dal von Soden e in altro ad Oxford scoperto dal Turner. Forma più breve è stata rintracciata in un'iscrizione copta dei secoli VI-VII. Gli studî del Corssen avevano reso generale l'appellativo di monarchiani (da un'eresia sorta al finire del sec. II) a questi prologi, che nell'Occidente subirono l'influenza del priscillanismo. Ma le ricerche ultime del De Bruyne (1928) e gli studî seguitine del Harnack ne hanno stabilita una forma più antica, risalente forse alla seconda metà del sec. II (De Bruyne) o tra il 160-180 (Harnack). I rispettivi studî tendono a mettere in rilievo il valore storico delle informazioni di questi prologi. Tale antichità però fu respinta dal Lagrange, che li riconduce al sec. III.
Le prime testimonianze esplicite dei Padri, uniformi nell'indicare L., sono della seconda metà del secolo II. Fra i testi più notevoli: Ireneo (Haer., III, 14, e passim), Clemente d'Alessandria (Stromata, I, 21), il canone Muratoriano, Tertulliano. Le citazioni posteriori sono così frequenti e ampie, che non occorre dilungarvisi; certo alla seconda metà del sec. II, presso le comunità cristiane più distanti, l'attribuzione a L. è pacifica.
Alcune osservazioni confermano tale tradizione. L. non ebbe una parte preminente nella storia degl'inizî cristiani, né fu testimonio dei fatti; non si vede motivo perché fosse fatto il suo nome senza un fondamento nella realtà. Più tardi gli autori di vangeli apocrifi metteranno in vista il nome di un testimonio diretto, di un apostolo, non di un narratore della seconda generazione.
Una ragione si potrebbe trovare, ma essa è dedotta da pazienti raffronti di testi, quali certo non eseguirono i Padri citati o le tradizioni cui essi riferiscono. Il III Vangelo e gli Atti si muovono nell'orbita del pensiero di S. Paolo: e sono opera riconosciuta di un suo compagno. Ora, posta l'identità dell'autore del "giornale di viaggio" della seconda parte degli Atti con l'autore di essi e del III Vangelo, i collaboratori più noti di S. Paolo vengono esclusi da Atti, XX, 4-5: "E accompagnarono lui (Paolo), Sopatro di Pirro di Berea, Aristarco e Secondo tessalonicesi, Gaio di Derbe e Timoteo e gli asiani Tichico e Trofimo. Questi, essendo partiti prima, ci aspettarono a Troade". Non è impossibile, ma è difficile presentare Sila come scrittore del "giornale di viaggio". Rimane Tito: ma non si vede ragione di preferirlo a Luca contro la tradizione. D'altra parte non è privo di ogni valore lo studio del linguaggio medico del Vangelo e degli Atti, come conferma della tradizione a favore del "medico carissimo" di S. Paolo. Come tale egli aveva dovuto ricevere quell'istruzione letteraria che si rivela nel Vangelo. Infine, tolto il nome di Luca, è impossibile sostituirlo: e pare strano che le comunità cristiane abbiano trascurato il nome dell'autore di due tra i più insigni scritti della storia delle origini del cristianesimo, o abbiano errato nel trasmetterlo.
Queste le ragioni della tesi tradizionale. Sull'evolversi delle tesi della critica indipendente e le loro motivazioni v. atti degli apostoli: La critica moderna: poiché necessariamente ogni idea sulle origini degli Atti si porta anche sul III Vangelo. Anzi per l'influsso del sistema critico di F. Baur, che pose al primo piano nella storia dei primordî cristiani la lotta tra giudeo-cristianesimo e universalismo, la critica puntò più sugli Atti che non sul Vangelo. Dalla seconda metà del secolo II, a cui era stata relegata dalla scuola del Baur, l'origine del Vangelo con il Holsten venne fissata verso il 100. Tra il 90 e il 100 lo collocano ancora parecchi critici: J. Holtzmann, A. Loisy, A. Jülicher, P. W. Schmiedel, A. Omodeo, P. Haupt, ammettendo molti fra essi uno scritto originario di L. utilizzato e incorporato nel Vangelo e negli Atti: mentre una tendenza, rappresentata dal Harnack, A. Plummer e poi da E. Meyer, fu portata a riconoscere i dati tradizionali.
Data. - La data del terzo Vangelo non può essere fissata con elementi tradizionali sicuri, ma si deve dedurre dal testo del Vangelo e degli Atti; essa è in rapporto stretto con la data assegnata ai Vangeli di Marco e di Matteo. Ireneo fornisce dati (Haer., III, 1) sulle origini dei due primi Vangeli: ma non su quello di Luca, se non indirettamente collocandolo al terzo posto. La critica cattolica ne fissa di conseguenza le origini verso il 60: alcuni dopo il 70. Per le date assegnate dai critici che negano la genuinità del Vangelo, v. sopra.
Un elemento importante è dato dal punto d'arrivo della storia degli Atti. Essi conducono Paolo a Roma, e s'arrestano con l'accenno al biennio della sua prigionia nell'Urbe: "Rimase (Paolo) un biennio intero nel locale da lui preso in affitto e vi riceveva quanti andavano a lui, predicando il regno di Dio e insegnando quanto si riferisce al Signore Gesù Cristo con tutta franchezza senza impedimenti". Ora S. Paolo venne al termine di quel periodo, messo dall'autorità romana in libertà, per essere poi catturato di nuovo pochi anni più tardi e giustiziato. Sino dal sec. II gli scrittori ecclesiastici si sono posti il problema che ne sorge: per quale motivo l'autore, se scriveva dopo la sentenza favorevole, non accennò alla liberazione concessagli dalla suprema autorità dell'Impero cui aveva appellato, mentre nel racconto nota premurosamente il favore dei magistrati romani e la salvezza spesso loro dovuta? E se scriveva più tardi, trascorsi dei decennî dopo la decapitazione di Paolo, perché non esaltava il suo martirio che non aveva impedito lo svolgersi di quel Vangelo da lui descritto nel suo espandersi dall'Oriente sino all'Urbe? La soluzione degli antichi e di molti recenti fu questa: a quel punto erano arrivati gli avvenimenti quando L. scriveva, cioè nell'anno 62. È celebre il ritorno progressivo del Harnack alla data tradizionale (date assegnate agli Atti: a. 1887 tra il 78-93; a. 1897, verso l'80; a. 1910, avanti il 64). Altri critici suppongono che L. ideasse scrivere un terzo volume, o evitasse di accennare alla condanna di S. Paolo da parte dell'autorità imperiale, mentre conveniva mostrare la tolleranza e l'appoggio dato dai magistrati di Roma a lui cittadino romano. Se l'antica interpretazione della chiusa degli Atti è mantenuta, il Vangelo, composto in precedenza, dové essere compiuto verso il 60. Si spiega meglio a tale data il tono di serenità, l'ottimismo che pervadono Vangelo e Atti specialmente nei riflessi della giustizia dell'autorità romana e della sua provvidenziale funzione: quell'ottimismo di Paolo stesso nella lettera ai Romani in cui mostrava il suo lealismo verso di essa ed esprimeva le sue speranze: "Vuoi non temere l'autorità? Compi il bene, e avrai lode da essa" (Rom., XIII, 3).
Un dato su cui si è pure molto insistito in direzione opposta è la maggiore determinatezza di L. nella predizione della rovina di Gerusalemme in raffronto dei due primi Vangeli. Matt., XXIV, 15: "Quando vedrete l'abbominio della desolazione, predetta da Daniele profeta stare nel luogo santo, chi legge ponga mente...". Luc., XXI, 20, 23, 24: "Quando vedrete che Gerusalemme viene circondata da un esercito, sappiate allora che s'avvicina la sua desolazione... e cadranno a filo di spada e saranno condotti schiavi fra tutte le genti, e Gerusalemme sarà calpestata dalle genti...". Esegeti anche conservatori sono stati mossi da questa maggiore decisione di linee in L. a ritardare il Vangelo a epoca posteriore al 70. Ma si può supporre che l'attesa cristiana avesse cercato di spiegare soprattutto a lettori greci quell'enigma dell'abbominio della desolazione accennato nella parola di Daniele, e concretasse nel modo più semplice quella tribolazione senza esempî che era preannunciata per Gerusalemme.
Il Krenkel sostenne nel 1894 una dipendenza di L. da Flavio Giuseppe (v.), e la sua tesi, che non convinse F. Schürer e W. Sanday, ha tuttora patroni quali I. Jüngst, F. C. Burkitt e altri. Essa permetterebbe di datare il Vangelo, poiché le Antiquitates di Fl. Giuseppe ebbero compimento nel 93. Ma i contatti sono assai limitati; sul Battista e i motivi della sua uccisione, su Cristo, su Teuda, le divergenze sono maggiori delle somiglianze: e un confronto linguistico e stilistico non può non lasciare perplessi sui risultati, che sarebbero uguali confrontando Polibio. Cfr. il prologo di Luca con Fl. Giuseppe, C. Apion., I, 13, e Polibio.
Le fonti. - Per l'uso di Matteo, di Marco e delle loro fonti da parte di Luca, v. sinottici, vangeli. Qui si tratterà solo delle fonti delle parti proprie a Luca.
Nella prefazione s'accenna a preesistenti scritti sulla vita e l'insegnamento di Gesù: "Poiché varî (πολλοί) posero mano a tessere il racconto delle cose compiutesi tra noi..." (I, 1). L'uso di πολλοί esige un minimo di tre documenti: almeno un altro quindi oltre Matteo e Marco, se questi erano presenti a L. Molti degli antichi pensarono che gli scritti accennati dal Vangelo fossero da esso disapprovati, ed esclusero quindi dal loro novero i Vangeli canonici: ma è idea ora da tutti abbandonata. Come prima fonte la prefazione accenna alla tradizione dei testi oculari (οἱ ἀπ'ἀρχῆς αὐτόπται) divenuti poi "ministri della parola", con frase che traduce in linguaggio comune i termini divenuti correnti di Dodici e d'Apostoli, incomprensibili avanti la lettura del Vangelo.
Delle fonti, quindi, alcune erano scritte e altre orali. Il problema della loro ricerca sembra capovolto nella teoria di quei critici che distinguono da L. un redattore che ne avrebbe usati e incorporati gli scritti. Ma è più l'apparenza formale che la realtà se ci si limita alla questione precipua, quella delle origini delle parti proprie al Vangelo. Se in esso fu inserito uno scritto di L., il suo contenuto non può ricercarsi fuori delle parti stesse che non hanno né Matteo né Marco: tant'è vero che esse formano tuttora un blocco a sé, tra l'evangelizzazione in Galilea e l'ultimo viaggio a Gerusalemme. Il problema si risolve quindi ancora nella ricerca delle fonti avute dal genuino compagno di S. Paolo.
Alcuni recenti hanno congetturato una fonte scritta ampia, che avrebbe contenuto, oltre al materiale della sezione mediana del Vangelo, i due primi capi dell'infanzia di Gesù e altro materiale scomparso: detta fonte è stata contrassegnata da B. H. Streeter con la sigla L (Luca) o denominata Proto-Luca. Oltre allo Streeter anche V. Taylor e E. Burton, hanno assegnato a questa fonte una parte preponderante, non solo per le origini del III Vangelo, ma per una nuova soluzione della questione sinottica. Il Feine e B. Weiss pensarono anzi che il redattore finale del III Vangelo la trovasse già congiunta all'altra fonte principale comune ai Sinottici, contrassegnata con la sigla Q (Quelle) presso i critici germanici. Si può chiedere allora che rimaneva a fare al "redattore". Nuovo elemento, seguendo da vicino la teoria dello Streeter, introduce V. Bartlet, secondo il quale l'unione di queste due fonti era già stata fatta per proprio conto da L., che avrebbe redatto in scritto avanti il Vangelo memorie per il suo ministero di evangelizzatore. È un fatto che nelle lettere di S. Paolo s'avverte l'introdursi di uno speciale ministero, l'"evangelista", che narrava ed esponeva oralmente nella forma nativa i fatti e le massime di Gesù. Questi "evangelisti" non essendo apostoli, poiché il loro ministero è tenuto distinto, dovettero avere o procurarsi qualche memoria scritta. Di tali "evangelisti" orali poté essere Luca, cui l'antica esegesi appropriava la frase di II Cor., VIII, 18: "quel fratello di cui la lode pel vangelo risuona per tutte le chiese". Anche per tale ministero L. si sarebbe procurato un ampio materiale: "da tempo antico" dice la prefazione, se s'interpreta l'ἄνωϑεν di I, 3 in senso temporale come i più oggi ritengono. E questa ultima tesi merita favore, poiché Vangelo e Atti manifestano tale ampiezza di disegno da esigere una notevole preparazione, testificata del resto dal metodo del "giornale di viaggio" per gli Atti e dalla prefazione del Vangelo. Tuttavia, mancando elementi di riscontro, quali si hanno nei tratti paralleli con Marco e Matteo, è difficile definire l'ampiezza e il contenuto di tale fonte scritta: tanto più che un espositore di tale spontaneità qual'è Luca malamente potrebbe ridursi a un copista di manoscritti altrui o proprî. Le fonti poi da lui utilizzate dovettero essere di primo valore, perché quant'egli raccolse di parabole è tra le cose più preziose che abbia il Vangelo. Per i due primi capi l'idea più corrente, comune sino a pochi anni or sono, è che essi ripetano un'antica fonte palestinese. Il colore linguistico, la pietà e la "giustizia" del mondo ebraico: la presenza e frequenza di cantici per concetti e la forma del parallelismo, di origine ebraica, tendono a produrre questa impressione. Ma la critica è tornata sui proprî passi. Il Harnack isolava come d'origine ellenistica il tratto I, 34-35 parendogli che l'idea della concezione verginale di Gesù non potesse nascere nell'ambiente giudaico manifestato dallo scritto. A. Loisy preferisce considerare i cantici aggiunta posteriore a una fonte giudaico-cristiana che ne era priva. M.-J. Lagrange ritorna all'idea d'una redazione diretta dell'evangelista, che si era reso proprio lo stile biblico. Ma il sapore ebraico e il tono poetico non è solo d'alcuni versetti o dei cantici, ma pervade tutto il racconto: e L., quando certamente compone da sé, rivela maggiormente il nativo ambiente e linguaggio greco. Si noti che in II, 19, 51 è suggerita dall'autore come ispiratrice Maria, la madre di Gesù, com'è largamente riconosciuto.
Per le fonti orali il Prologo del secolo II dice L. "discepolo d'apostoli" e compagno di S. Paolo sino al martirio. Anche Ireneo rileva i legami del Vangelo con Paolo: "L. il compagno di Paolo, mise in un libro il Vangelo predicato da questo" (Haer., III, 1, 1). I vincoli personali tra l'evangelista e Paolo sono manifesti dal rilievo quasi esclusivo dato a Paolo nella seconda parte degli Atti. Ma Paolo non conobbe personalmente Gesù, e dovette attingere alla tradizione. D'altra parte, se Paolo nelle sue lettere mostra di conoscere a fondo il pensiero di Gesù, quasi mai riporta fatti della sua vita o detti di lui nella loro forma nativa. La colleganza con Paolo è manifesta nelle rassomiglianze più strette nel racconto e nelle parole dell'istituzione eucaristica (Luca, XXII, 19-20: I Cor., XI, 24-25) e dall'insistenza sul carattere universale del beneficio del Vangelo. Mentre Matteo s'inizia con la genealogia di Gesù sino a Davide e Abramo, cui erano state rivolte le promesse messianiche e che erano i massimi rappresentanti del popolo ebraico, L. farà risalire la genealogia sino ad Adamo, anzi sino a Dio. Il Cristo cioè interessa tutte le genti, tutti i figli di Dio. Ma, a parte questi punti e un sentimento intenso di misericordia verso i traviati nelle parabole da lui raccolte, è difficile rilevare influssi particolari di Paolo sul Vangelo. Mai viene in esso trasferita qualcuna delle tesi favorite di Paolo, ovvero il frasario della sua teologia. L. non ha la mente speculativa di Paolo; fa opera di narratore, non di teologo. I metodi redazionali da lui usati possono rilevarsi dal confronto con le parti possedute in comune con Marco e Matteo. Il confronto fornisce la riprova che egli non si permise d'allontanarsi dalla forma ricevuta del pensiero di Gesù.
Fra i testi orali hanno probabilità Giovanna moglie di Chusa procuratore di Erode Antipa, che solo L. menziona, e Manahen, fratello di latte dello stesso Erode che viene annoverato in Atti, XIII, 1, tra i "profeti e maestri" della comunità d'Antiochia. Si è pensato al diacono Filippo evangelizzatore della Samaria, per i ricordi locali, e agli apostoli Giacomo e Giovanni, specie a quest'ultimo, per i nuovi particolari a essi relativi. A Roma L. poté trovarsi con Pietro e Marco l'evangelista. Gli Atti e l'epistolario di Paolo ci descrivono del resto al vivo la mobilità dei primi evangelizzatori: e le vicende minute raccolte negli Atti dimostrano la conoscenza che L. ebbe dell'ambiente del cristianesimo primitivo, e quanto larghi furono i contatti con i suoi personaggi principali.
Bibl.: Tra i Padri della Chiesa commentarono il Vangelo di S. Luca: Origene, Eusebio di Cesarea, S. Cirillo d'Alessandria, Teofilatto, Eutimio Zigabeno, S. Ambrogio: nel Medioevo Beda il Venerabile; notevoli le Catenae, edite dal Cramer, Oxford 1841. Ancora degni di consultazione: Card. Gaetano, In quattuor Evangelia, Lione 1556; Maldonato, Commentarium in quattuor Evangelistas, II, Port-à-Mousson 1596.
Recenti: P. Schanz, Commentar über das Evangelium des heiligen Lucas, Tubinga 1883; J. Knabenbauer, Evangelium secundum Lucam, Parigi 1896; H. J. Holtzmann, Die Synoptiker, 3ª ed., Tubinga 1901; A. Loisy, L'évangile selon Luc, Parigi 1924; A. Plummer, A critical and exegetical Commentary on the Gospel according to St Luke, ultima ristampa, londra 1910; B. Weiss, Die Evangelien des Markus und Lukas, 9ª ed., Gottinga 1901; J. Weiss, Das Lukas-Evangelium, Gottinga 1907; J. Wellhausen, Das Evangelium Lucae, Berlino 1904; Th. Zahn, Lukas, 1ª e 2ª ed., Lipsia 1913; E. Klostermann, Das Lukasevangelium, 2ª ed., Tubinga 1929; M.-J. Lagrange, Évangile selon Saint Luc, Parigi 1921; B. S. Easton, The Gospel according to St Luke, Edimburgo 1926; A. Valensin, Évangile selon Saint Luc, Parigi 1927. Sempre notevoli: A. v. Harnack, Lukas der Arzt, Lipsia 1906; Neues Untersuchungen zur Apostelgeschichte, Lipsia 1911; E. Norden, Die antike Kunstprosa, voll. 2, Lipsia e Berlino 1909; E. Meyer, Ursprung u. Anfänge des Christentums, I, Berlino 1921. Per il linguaggio medico di L. v.: W. Hobart, The Medical language of St. Luke, Dublino 1882. Per le ultime tesi sulle fonti di Luca: R. Bultmann, Die Geschichte der synoptischen tradition, Gottinga 1921; id., Die Erforschung der synoptischen Evangelien, Giessen 1925; H. I. Cadbury, The style and literary method of Luke, in Harvard theol. Studies, voll. 2, Cambridge 1919-20; id., The Making of Luke-Acts, Londra 1927; V. Taylor, Behind the third Gospel: a study of the Proto-Luke hypotehesis, Oxford 1926; A. M. Perry, "Proto-Luke" and the Chicago theorie of the Synoptic Problems, in Journal of biblical Literatur, XLVII (1928), pp. 91-116.
Breve informazione in A. Pincherle, Bollettino del Nuovo Testam., in Ricerche religiose, 1925 segg.; A. M. Vitti, Vangeli e recente critica letteraria, in Scuola cattolica, XVI (1930), pp. 352-65. - Per le ultime ricerche sui Prologhi ai Vangeli, D. De Bruyne, Les plus anciens prologues latins des Évangiles, in Revue Bénédictine, 1928, pp. 193-214; A. v. Harnack, Die ältesten Evangelien-Prologe und die Bildung des N. T., in Sitzungsberichte der preuss. Akad. d. Wissenschaften, phil.-hist. Kl., I (1928), pagine 329-341; M.-J. Lagrange, in Revue Biblique, 1929, pp. 114-121.