METODIO, santo
METODIO, santo. – Nacque nel 789-790 da nobile e ricca famiglia a Siracusa, dove ricevette un’accurata formazione culturale. Nell’810 si recò a Costantinopoli per proseguire gli studi umanistici e fare carriera burocratica. Probabilmente per intervento di Eutimio vescovo di Sardi, che forse M. aveva accompagnato a Costantinopoli nel viaggio di ritorno dall’esilio a Pantelleria, scelse la vita ascetica, che abbracciò nel monastero di Chenolakkos ai piedi dell’Olimpo. A 25 anni era arcidiacono.
Nell’815, quando l’imperatore d’Oriente Leone V l’Armeno iniziò la persecuzione iconoclasta, M. divenne igumeno del monastero di Chenolakkos e di un altro (sembra quello degli Eligmoi in Bitinia) da lui stesso fondato nella diocesi di Kios (non Chios: Janin, 1975, p. 144). Nell’815 il patriarca Niceforo, che aveva ripreso le relazioni con la S. Sede, fu deposto e in aprile il sinodo apertosi in S. Sofia, sotto la presidenza del nuovo patriarca Teodoto Melisseno, aveva sconfessato il concilio di Nicea e riconosciuto, invece, gli atti del concilio iconoclasta del 754. M. lasciò allora Costantinopoli per Roma, dove rimase sino all’821. Per alcuni fu latore di lettere sinodiche a papa Leone III da parte di Niceforo; per altri fu a Roma in volontario esilio per sfuggire alla persecuzione iconoclasta: le due ipotesi potrebbero coesistere. A Roma difese l’ortodossia e, con l’aiuto del vescovo Giovanni di Monemvasia, contribuì al fallimento dell’ambasciata inviata dall’iconoclasta Leone V l’Armeno e dal patriarca Teodoto Melisseno (che aveva anche esiliato i vescovi iconofili) per ottenere l’appoggio di papa Stefano IV. M. e Giovanni di Monemvasia impedirono che il nuovo papa Pasquale I approvasse la lettera sinodica di Teodoto; grazie al loro intervento il papa fu informato della deposizione del patriarca Niceforo, sostituito con l’eretico Teodoto. M. fu latore di un’epistola in greco inviata in risposta da Pasquale I a Leone V l’Armeno; alcuni sostengono che il documento sarebbe arrivato nell’821. Pitra (p. X) afferma che la lettera di Pasquale I fu portata da M. a Leone V nell’818; per la communis opinio, invece, M. avrebbe ricoperto la funzione di legato pontificio nell’821 sotto il successore di Leone V l’Armeno; la lettera invitava a seguire la dottrina del concilio di Nicea sul culto delle immagini sacre. Pare che i redattori greci ne stilassero estratti da divulgare a Costantinopoli per confortare gli iconofili. Nello stesso tempo M. e Giovanni consegnarono a Dionisio ed Eufemiano una lettera per Teodoro Studita che, inviando al papa la seconda missiva, ne scrisse in risposta una a M. e Giovanni, dalla quale si evinceva la funzione mediatrice di M. che facilitò l’accesso dei legati provenienti dall’Oriente presso il pontefice. I monaci bizantini a Roma erano ospitati o nel convento di S. Prassede o in quello di S. Saba, diretto dall’archimandrita Basilio. M. avrebbe trovato ospitalità nel primo, di cui sarebbe pure divenuto igumeno (ipotesi non da tutti condivisa: Bernardini, p. 78).
Secondo Anastasio Bibliotecario M. lasciò Roma da sacerdote dopo la morte di Leone V l’Armeno, il che fa supporre che abbia ricevuto lì l’ordinazione canonica.
Intanto a Roma si era diffusa la notizia dell’uccisione di Leone V nella notte di Natale dell’820. M. tornò a Costantinopoli, latore di un documento dommatico papale, sul culto delle immagini, al nuovo imperatore Michele II il Balbo, sotto il cui impero le dispute religiose conobbero un periodo di tregua, ma non si giunse alla restaurazione del culto delle immagini in quanto Michele II, iconoclasta più moderato, proibì ogni discussione su tale divieto che riguardava Costantinopoli e non riconobbe né il concilio di Nicea, né i sinodi iconoclasti.
Tornato a Costantinopoli, M. fu perseguitato da Michele II e da suo figlio Teofilo (829-842), forse perché sospettato di collusione con il ribelle generale Tommaso lo Slavo, o perché lo si reputava calunniatore della corte bizantina presso il papa a Roma; probabilmente M. era sospettato di spionaggio e considerato un emissario di Roma. Non fu, quindi, imprigionato in quanto iconofilo ma perché il legame tra gli iconofili bizantini e Roma aveva suscitato il risentimento dell’imperatore.
Sulla cronologia della prigionia di M. e sul luogo della sua detenzione le fonti non sono concordi. La Vita di Eutimio di Sardi, composta dallo stesso M., ha messo fine alle incertezze riguardo alla sua detenzione: ormai imprigionato da tempo, M. fu rinchiuso in una tomba dell’isola di Sant’Andrea sul litorale bitinico, vicino al capo Acritas, quando, proprio pochi mesi prima che morisse Michele II (829), circolò un libretto, attribuito a M., che profetizzava la morte imminente dell’imperatore (un testo analogo era già stato attribuito a M. durante il suo soggiorno a Roma); nell’831 fu rinchiuso nella stessa prigione anche Eutimio di Sardi, che morì poco dopo assistito dallo stesso M., che, ancora in carcere, ne scrisse, appunto, la Vita; questo dato rende inaccettabile la tradizione che M. sia stato liberato da Michele II. Fu Teofilo che liberò M. poco prima della fine del suo regno e lo fece vivere per qualche tempo a suo fianco a palazzo, facendosi accompagnare varie volte da M. nelle sue spedizioni militari contro i Saraceni, forse perché temeva che la sua presenza a corte potesse nuocergli.
C’è chi sostiene che M. sia rimasto a corte come moderatore della politica religiosa di Teofilo e che, uscito dal carcere, sia passato nel Sigma, costruito nell’840.
Il 20 genn. 842, alla morte di Teofilo, Giovanni Grammatico fu deposto dal patriarcato e allontanato, mentre M. fu esiliato in Bitinia, nel suo convento degli Eligmoi, dove trascrisse (durante la quaresima dell’842) i Sette Salteri. Per altri, M. fu igumeno del monastero costantinopolitano dei Ss. Sergio e Bacco (in quest’ultimo caso Stiernon ipotizza una possibile confusione con Giovanni Grammatico).
Alla morte di Teofilo il figlio e successore Michele III aveva tre anni e la reggenza fu assunta dalla madre, Teodora. Il 4 marzo 843 M. fu eletto patriarca di Costantinopoli.
Forse M. più degli altri personaggi proposti garantiva a Teodora e alla sua corte una soluzione non estremistica al problema del secondo iconoclasmo. Il nuovo governo considerò la restaurazione del culto delle icone come il compito primario e più urgente. Eppure, a differenza di Irene, Teodora e M. non ritennero necessaria l’approvazione di Roma per la restaurazione del culto delle immagini: era necessario che Bisanzio si liberasse della sovranità di Roma dopo che l’Occidente si era sottratto alla supremazia dell’Oriente.
La solenne cerimonia di intronizzazione fu celebrata l’11 marzo 843 in S. Sofia. Nel discorso inaugurale M., pur esprimendo soddisfazione per il trionfo dell’iconodulia, esortava al perdono e, piuttosto che a vendicarsi degli iconoclasti, invitava a indurli a spontanea conversione. Michele il Sincello (già igumeno del monastero di Chora) divenne suo vicario generale alla morte di Simeone di Lesbo.
M. lottò contro gli iconoclasti, ma anche contro i rigoristi studiti; fece restaurare dal monaco Lazzaro il Kazaro l’icona di Cristo della Chalki, distrutta da Leone III; intervenne nella traslazione a Costantinopoli delle spoglie di Teodoro Studita e di Giuseppe, suo fratello; ordinò il trasferimento di Teofilatto di Nicomedia dal luogo dell’esilio nella sua città episcopale; presiedette alla dedica del restauro delle immagini; depose gli abati iconoclasti e i vescovi iconomachi relapsi ma la sua moderazione suscitò il malcontento dei monaci studiti e fu quindi costretto ad applicare l’anatema canonico e poi la deposizione (845-846); riconobbe i canoni del II concilio di Nicea (787) e ripristinò il culto delle immagini sacre per cui la Chiesa greco-ortodossa celebra annualmente, nella prima domenica di quaresima, la festa dell’ortodossia (istituita da M. l’11 marzo 843): la sconfitta dell’iconoclastia rappresentava a Bisanzio il fallimento del tentativo di subordinare completamente la Chiesa al potere statale. Un anno dopo, il 2 marzo 844, fu letto pubblicamente il famoso Synodikon, redatto da M., canone per la vittoria dell’ortodossia (Analecta hymnica Graeca, X, p. 343 e n. 2; Patr. Graeca, XCIX, coll. 1768-1780) in cui si inneggiavano gli iconofili prima in forma impersonale e poi nominando i patriarchi, i vescovi e i monaci. A differenza del periodo di Irene, la svolta ecclesiastica avvenne senza attriti sicché Teodora e Teoctisto, con l’appoggio di M., liquidarono con prudenza il precedente sistema, dimostrando grande diplomazia nei confronti degli ex iconoclasti.
Eppure tale politica non godette dell’assenso degli zeloti, per cui si riaprì l’antico scisma. Nonostante Teodora, fervente ortodossa, chiedesse perdono per il marito, l’iconoclasta imperatore Teofilo, i suoi seguaci a corte aspettavano una mossa falsa di M. per spingere Teodora all’eresia. M. ricorse alla moderazione contrariamente all’opinione dei monaci studiti e così Teofilo non fu scomunicato quale eretico. Per i capi, i recidivi e gli estremisti si era optato per la condanna, al doppio fine di epurare la gerarchia e di reintegrare elementi nuovi.
M. non scelse i suoi vescovi tra gli studiti ortodossi probabilmente perché temeva la loro rigidità nell’applicazione dei canoni e il loro eccesso di zelo, che poteva ricondurre la corte all’iconoclastia. La sua scelta ricadde su vescovi ortodossi più elastici.
Morì a Costantinopoli il 14 giugno 847. Fu sepolto nella chiesa dei Ss. Apostoli.
Il suo nome fu inserito nelle acclamazioni della domenica dell’Ortodossia. Il 14 giugno è celebrato nella Chiesa occidentale e nei menei bizantini, mentre nel Synaxarium Ecclesiae Constantinopolitanae la sua ricorrenza è fissata al 15 giugno; l’iscrizione al 5 novembre nel calendario marmoreo di Napoli sembra una contaminazione della festa di Giovanniccio. Gli sono attribuiti due miracoli. Una trentina d’anni dopo la sua morte, Anastasio Bibliotecario, scrivendo a Carlo il Calvo, informava che M., dalla sua elezione al patriarcato, era stato da tutti venerato come santo.
Pitra (pp. 353-355) elenca trentotto scritti di M. di cui si ricordano: Encomio di s. Agata (Bibliotheca hagiographica Graeca [=B.H.G.], I, n. 38; Stelladoro); Vita di Eusebio Alessandrino (B.H.G. e Novum auctarium B.H.G., n. 635x); la già citata Vita di Eutimio di Sardi (Gouillard, 1987), che pare risalire al periodo della sua reclusione a Sant’Andrea e quindi all’inizio dell’832; Vita di s. Nicola di Mira (B.H.G., II, n. 1362y; il cosiddetto Methodius ad Theodorum: testo in Anrich), scritta probabilmente per Teodoro Cratero, tra l’821 e l’838 (Ševčenko, Hagiography, pp. 17 s.); l’Encomio in s. Nicolaum ep. Myrrensis, collocabile intorno all’838-840, attribuito a M. dalla più antica tradizione manoscritta (ma alcuni preferiscono restituirlo a Basilio di Lacedemonia). Se è credibile la tradizione che attribuisce a M. la composizione del De Ioanne auctoris patre (B.H.G., II, n. 1357), allora suo padre si chiamerebbe Giovanni, devotissimo a s. Nicola dal quale sarebbe stato salvato da naufragio (Anrich, pp. 169 s.). Vita di s. Teofane il confessore (B.H.G., II, n. 1787z), che pare composta dopo la traslazione del santo (822). Sono attribuite a M. numerose composizioni liturgiche (cfr. Follieri).
La raccolta agiografica di Parigi e il Corpus dionisiaco di Londra non sono le sole testimonianze dell’attività di copia del patriarca Metodio. All’attività di copista esplicata da M. a Roma si attribuisce la trascrizione delle opere dello Pseudo Dionigi e di una raccolta agiografica in due volumi (Canart).
La Vita Methodii è stata editata da ultimo da Beck (1959, pp. 496-498), che l’ha sintetizzata. L’opera, anonima, è stata attribuita a Gregorio Asbesta, allievo prediletto di M., pure oriundo di Sicilia ma da anni trapiantato a Costantinopoli, divenuto poi arcivescovo di Siracusa (B.H.G., II, n. 1278).
Per l’iconografia di M. cfr. Stiernon.
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M. Stelladoro