MICHELE Arcangelo, santo
Arcangelo il cui nome, che in ebraico significa 'chi come Dio?' (Mīkā'el), è più volte esplicitamente citato nei libri vetero e neotestamentari e nei testi apocrifi con ruoli differenti e compiti specifici.Insieme a Raffaele e Gabriele, M. è uno degli arcangeli riconosciuti dalla Chiesa, i cui nomi ebbero origine, secondo la tradizione rabbinica, durante la cattività babilonese, nonostante la credenza in simili entità fosse precedente al contatto con l'impero di Babilonia (Bussagli, 1991, p. 14).M. è presentato nell'Antico Testamento come 'principe grande', ovvero capo supremo, che lotta per la difesa e la protezione del popolo d'Israele minacciato dalla potenza persiana (Dn. 10, 13 e 21; 12, 1). Nel celebre combattimento celeste contro Satana, descritto in Ap. 12, 7, il nome di M. è privo di una precisa qualifica, tuttavia egli appare quale capo della schiera angelica fedele a Dio, che respinge sulla Terra il drago insieme a tutti gli angeli ribelli. Soltanto in Gd. 9, dove si accenna alla contesa tra M. e il diavolo per il possesso del corpo di Mosè, M. è nominato ὁ ἀϱχάγγελοϚ. Tale appellativo, che appare per la prima e unica volta nella Sacra Scrittura, sembra inequivocabilmente ribadire la carica di comandante della milizia celeste.Nella tradizione giudaica viene dato particolare risalto al carattere guerriero di M., quale protettore del popolo di Israele (Enoch etiopico, 20, 5; Testamento di Levi, 5, 6; Testamento di Daniele, 6, 2), così come in quella cristiana il ruolo militare è sottolineato dall'uso del termine ἀϱχιϚτϱάτηγοϚ, capo degli strateghi celesti (Epistola Apostolorum, 43). La qualifica di combattente non esaurisce tuttavia la molteplicità degli attributi e delle funzioni che consentono di specificare la partecipazione dell'arcangelo nella dottrina escatologica cristiana. A M. spetta infatti il singolare privilegio di accompagnare e pesare le anime dei defunti davanti a Dio il giorno del Giudizio universale. Conformemente alla credenza giudaica e cristiana sul ruolo psicagogico degli angeli, la letteratura apocrifa ha insistito sulla funzione di guida di anime ricoperta dall'arcangelo. Nella recensione latina del Vangelo di Nicodemo (B IV, 3), per es., è assegnato a M. il compito di praepositus Paradisii, ovvero di custode del paradiso, mentre nel Transito romano (XXXV) egli ha il privilegio di ricevere direttamente da Cristo l'anima della madre defunta.La storia della devozione micaelica ha comunemente origine in Frigia, regione dell'Asia Minore, dove l'esistenza di numerosi santuari confermerebbe la venerazione già agli inizi dell'età cristiana (Kazhdam, Ševčenco, 1991). In questa regione presso Cheretopa, Chonai, Colossae sono attestate le prime apparizioni, strettamente legate sia alla sostituzione diretta dell'arcangelo alla divinità pagana precedentemente venerata sia alla nascita di fonti d'acqua dai poteri terapeutici. Il ricordo di questi episodi miracolosi è testimoniato da un'anonima Narratio, datata tra il sec. 5° e l'8°, in cui appare evidente come le capacità iatriche e curative dell'arcangelo caratterizzino la venerazione delle origini (Otranto, 1990, p. 6).Successivamente il culto di M. giunse a Costantinopoli, dove Costantino stesso (306-337), in seguito a un'apparizione, fece erigere nei primi anni del suo regno un Michelion, localizzato presso Hestiae sul Bosforo, che divenne famoso per i miracoli operati dall'arcangelo (Otranto, 1990, p. 10). Se agli esordi della devozione M. si impose come guaritore e patrono di fonti termali, a partire dal sec. 7°, nel mondo grecobizantino, in concomitanza con particolari episodi storici, prese il sopravvento l'aspetto militare e l'arcangelo divenne il difensore delle armate imperiali (Kazhdam, Ševčenco, 1991; Martin-Hisard, 1994, p. 352).La natura stessa del culto, semplice ed elementare, immediatamente intelligibile a ogni livello culturale, facilitò il propagarsi della devozione per M., che arrivò relativamente presto in Occidente e in particolare nei paesi mediterranei, fra cui l'Italia. Nella difficoltà di stabilire una priorità tra le regioni della penisola che accolsero inizialmente il culto, va tuttavia osservato che nell'area centromeridionale, quella maggiormente influenzata dalla cultura bizantina, si è potuto constatare un più naturale passaggio dalla devozione per divinità pagane a quella per Michele. I culti ctonî e iatrici diffusi in queste zone vennero con facilità sostituiti da quello dell'arcangelo, che si impose da principio con un corredo di attributi di chiara matrice orientale. Tra le prime apparitiones in Occidente documentate dalle fonti si ricorda quella avvenuta sul monte Tancia in Sabina, all'epoca di papa Silvestro (314-335; Poncelet, 1906, pp. 545-547; Mara, 1960, pp. 273-275; Righetti Tosti-Croce, 1985, pp. 14-16). La leggenda, nota da testi del sec. 12° e del 14°, racconta come l'arcangelo sconfisse un serpente malefico, simbolo del paganesimo, rifugiatosi all'interno di una grotta posta sulle pendici del monte. Anche la città di Roma vanta una miracolosa apparizione al papa Gregorio Magno (590-604), avvenuta sulla cima del mausoleo di Adriano, dove, agli inizi del sec. 7°, venne eretto un oratorio noto come S. Angelus inter nubes (Réau, 1956, p. 51; Mara, 1967, col. 422). Ma il più celebre centro di ricezione e diffusione del culto micaelico in Italia e in tutto l'Occidente latino è certamente la grotta garganica, posta sul promontorio pugliese, in ambiente fortemente ellenizzato, che accolse la devozione tra la fine del 4° e gli inizi del 5° secolo. Le leggendarie origini dell'insediamento dell'arcangelo sul monte sono contenute nel Liber de apparitione Sancti Michaelis in monte Gargano, opera di autore anonimo, variamente datata tra il sec. 6° e il 9° (Petrucci, 1963, p. 162; Testini, 1970, p. 6; Otranto, 1988, p. 385; 1990, p. 15). Il testo si articola in tre racconti, corrispondenti a tre distinte apparizioni di M. al vescovo di Siponto, noti come gli episodi del toro, della battaglia e della dedicazione della basilica. Il santuario garganico a Monte Sant'Angelo divenne meta ininterrotta di pellegrinaggi già a partire dal sec. 5°, in coincidenza soprattutto delle due festività micaeliche, l'8 maggio e il 29 settembre, rispettivamente l'apparitio sul monte Gargano e la inventio della chiesa (Otranto, 1984, pp. 58-59). Sulla scia della fama pugliese si moltiplicarono in Italia e in Europa i luoghi consacrati all'arcangelo, con una particolare predilezione per le cime di monti e le spelonche naturali, di indubbia derivazione garganica.La molteplicità degli attributi insiti nel culto dell'arcangelo e la loro diversa configurazione nel tempo e nello spazio chiariscono pienamente la ricchezza del repertorio iconografico. Per l'interpretazione dei numerosi contesti figurativi che ne accolgono l'immagine, va sottolineata l'importanza di almeno tre aspetti principali dell'iconografia: raffigurazioni non inserite propriamente in un contesto narrativo, scene desunte dalle leggende delle apparizioni, immagini tratte dai racconti biblici e apocrifi.Al primo gruppo appartengono rappresentazioni che, privilegiando il ruolo dell'arcangelo guerriero e archistratega, descrivono M. generalmente a piedi, ieratico, imberbe, ad ali aperte, vestito di una lunga tunica, con una lancia o una spada in una mano e il globo crucisignato nell'altra. In ambito bizantino indossa di preferenza la clamide purpurea o il lóros della corte imperiale e impugna con la destra il labaro con il trisághion, come nei mosaici del sec. 6° sull'arco trionfale di S. Apollinare in Classe a Ravenna. In età longobarda l'immagine di M. venne posta, per la prima volta, sulle monete di re Cuniperto (688-700), sulle quali è rappresentato stante, di profilo, armato di scudo rotondo e di lancia sormontata da una croce (Cagiano de Azevedo, 1980, p. 511). Più rara è la versione di M. a cavallo, che appare nell'affresco del nartece della chiesa degli Arcangeli a Lesnovo, in Serbia, dove l'arcangelo, nimbato e riccamente vestito, monta un elegante cavallo bianco. La pittura, collocata entro una nicchia, è generalmente assegnata alla metà del sec. 14° (Petrovič, 1940, I, fig. 131a).In tutto l'Occidente latino durante i secoli medievali ebbero notevole diffusione le immagini desunte dalla leggenda della prima apparizione pugliese, relativa all'episodio del toro, divenuto simbolo del culto garganico. La storia del ricco pastore Gargano, che tenta invano di uccidere il proprio toro con una freccia avvelenata, la quale miracolosamente torna indietro e lo colpisce, appare credibilmente per la prima volta proprio nel santuario pugliese. L'immagine frammentaria, affrescata su strutture murarie del sec. 10° e oggi nota solo da una riproduzione fotografica, mostra infatti un quadrupede con zoccoli da bovino, affiancato da una figura alata (Belli D'Elia, 1994, p. 577). Il soggetto è stato nei secoli variamente interpretato dagli artisti, che hanno dato più o meno rilievo ai diversi particolari del racconto. Se nel concio di pietra calcarea murato sul lato orientale del castello di Dragonara, presso Castelnuovo della Daunia, o nel capitello proveniente dal monastero di Piantangeli ora a Tolfa (Mus. Civ.) l'episodio garganico è sinteticamente evocato dalla sola presenza di un quadrupede e di una figura armata di balestra (Otranto, 1985), in altri contesti figurativi, come nel duecentesco dossale di Vico l'Abate (San Casciano in Val di Pesa, Mus. Vicariale d'Arte Sacra) o nel trecentesco affresco della grotta di S. Maria del Parto a Sutri, le scene seguono più fedelmente il testo della leggenda.Altre interessanti testimonianze del culto garganico provengono dalla Catalogna, dove paliotti d'altare, databili tra il sec. 12° e il 13°, e un bassorilievo calcareo della fine del Trecento inseriscono brani di ispirazione specificamente pugliese accanto a immagini di M. psicopompo e trionfatore sul drago (Barcellona, Mus. d'Art de Catalunya; Belli D'Elia, 1994, pp. 579-580). Di particolare interesse è un antependium catalano (Parigi, Mus. des Arts Décoratifs), dello stesso periodo dei precedenti, sul quale campeggia la gigantesca immagine centrale di M., pesatore di anime e al tempo stesso uccisore del drago, fiancheggiata da quattro piccoli riquadri simmetrici che raccontano simultaneamente, in un gioco di rimandi e parallelismi, gli episodi più salienti della leggenda garganica e di quella, analoga, di Mont-Saint-Michel in Normandia (Belli D'Elia, 1994, p. 581).Tutte e tre le apparizioni micaeliche al vescovo di Siponto sono invece riconoscibili sulle formelle del portale bronzeo del santuario di Monte Sant'Angelo, fuse e ageminate a Costantinopoli nel 1076 su commissione di Pantaleone di Amalfi. L'interpretazione dei riquadri, dalle immagini scarne ed essenziali, è facilitata dalla presenza di didascalie direttamente desunte dal testo del Liber de apparitione (Grabar, 1971, p. 356; Belli D'Elia, 1994, p. 578). Anche la teofania romana a Gregorio Magno è stata spesso inserita in cicli di storie micaeliche. Nel coro della chiesa di S. Michele a Paganico, per es., essa è rappresentata negli affreschi (1363-1377) di Biagio di Goro Ghezzi accanto alla vicenda del toro garganico e all'uccisione del drago.L'episodio biblico rappresentato con più frequenza nell'arte cristiana è certamente quello relativo all'arcangelo che uccide il drago, simbolo del male per antonomasia e di un paganesimo ormai definitivamente sconfitto. L'origine dell'iconografia micaelica è stata in passato messa in relazione con una figura di eroe, dotato di lancia, rappresentato in piedi sopra il corpo dell'animale su stoffe copte del sec. 6° (Jerphanion, 1938). Tra le prime immagini che hanno fissato il tipo di M. sul drago, va menzionato l'affresco perduto nel santuario di Monte Sant'Angelo, datato anteriormente al sec. 9° (Lamy-Lasalle, 1971, p. 54).L'arte bizantina generalmente ha rifiutato la raffigurazione dell'arcangelo combattente, preferendo piuttosto, come nel mosaico del sec. 12° nella cattedrale di Torcello, M. immobile con il drago sotto i piedi. L'arte occidentale, diversamente, ha prediletto l'immagine di M. colto nell'atto di infiggere la spada nel corpo dell'animale, secondo uno schema iconografico vicino a quello di s. Giorgio. Ma ciò che consente di distinguere M. da quest'ultimo è l'inconfondibile attributo delle ali e, talvolta, la presenza della schiera angelica, che, sulla base del testo dell'Apocalisse, differenzia la battaglia aerea di M. dal più semplice duello disputato da s. Giorgio (Réau, 1956, p. 48; Lamy-Lasalle, 1971, p. 62). Il tema del combattimento, a partire dall'età romanica, e soprattutto in territorio francese, trovò nuove e più articolate soluzioni. Un mirabile esempio è infatti costituito dalla scena dell'Apocalisse affrescata agli inizi del sec. 12° nel portico della chiesa di Saint-Savin-sur-Gartempe (dip. Vienne), dove due angeli, armati di lancia e scudo, procedono all'attacco del drago, montando cavalli al galoppo.Altrettanto diffusa, in Oriente e in Occidente, è l'immagine di M. protettore dei defunti, nelle due funzioni di psicopompo e pesatore di anime. La contesa di M. con esseri demoniaci davanti alla bilancia per il possesso delle anime da condurre in paradiso raggiunse in età romanico-gotica formulazioni dal tono vivacemente narrativo e talvolta anche caricaturale, come per es. a Vézelay (Mus. Lapidaire) nel capitello del sec. 12° proveniente dalla cattedrale o nella scena del Giudizio universale sul timpano della chiesa di Saint-Lazare ad Autun, eseguita dallo scultore francese Gisleberto (Fournée, 1971, p. 81).Per quanto riguarda lo psicopompo, la notorietà dei racconti apocrifi ha reso comune anche l'immagine di Cristo che offre l'anima della madre, sotto forma di un infante in fasce, agli arcangeli M. e Gabriele, come nel celebre mosaico del sec. 12° nella chiesa della Martorana a Palermo e nell'affresco duecentesco con la Dormizione nel monastero di Sopočani, in Serbia.Al già vasto e articolato repertorio figurativo si possono infine aggiungere i numerosi miracoli biblici compiuti da anonimi angeli, arcangeli e serafini, che sono stati riferiti in particolare a M., contribuendo in tal modo ad arricchire e diversificare la caratterizzazione dell'arcangelo e il suo repertorio iconografico. L'intervento salvifico di M. è stato di preferenza individuato nell'episodio della piscina probatica (Gv. 5, 4), nella vicenda dei tre giovani ebrei caduti nella fornace (Dn. 3, 49-50), nel sacrificio di Isacco (Gn. 22, 11-13), nella storia di Daniele tra i leoni (Dn. 14, 31-38) e ancora nell'apparizione a Lot (Gn. 19, 1-14). Generalmente queste scene sono inserite in un più ampio contesto di storie micaeliche, come sulla porta del santuario di Monte Sant'Angelo o nel portale meridionale della cattedrale di Suzdal, nella Russia nordorientale, dove insieme ai racconti biblici si allinea una non comune raffigurazione dell'apparizione di Chonai.
Bibl.:
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