PIETRO, Santo
L'apostolo P., noto anche come Simone (At. 15, 14), nacque a Betsaida, presso il lago di Genesaret, ove svolgeva il mestiere di pescatore, insieme al fratello Andrea, quando fu scelto come discepolo da Gesù. La sua vocazione divenne definitiva dopo la pesca miracolosa (Lc. 5, 11; Mt. 4, 18; Mc. 1, 16-18), che lo rese 'pescatore di uomini'.
L'anno del suo martirio a Roma viene solitamente collegato ai fatti conseguenti all'incendio neroniano e, per questo, fissato tra il 64 e il 67, mentre sulla tipologia del supplizio, nella specie della crocifissione, hanno lasciato testimonianza molti Padri della Chiesa, tra cui Tertulliano (Scorpiace, 15) e Lattanzio (De praescript., 36, 2).Le fonti storiche identificano il luogo del martirio con quello della sepoltura nell'ager Vaticanus. Lo storico Eusebio di Cesarea (Hist. eccl., 2, 25) ha lasciato la preziosa testimonianza relativa a un presbitero Gaio che, al tempo di papa Zefirino (199-217), poteva ammirare in Vaticano il trofeo di Pietro. Tale trofeo doveva rappresentare una prima monumentalizzazione del sepolcro dell'apostolo, di cui sono state trovate tracce durante le indagini promosse da Pio XII tra il 1939 e il 1949. In tale occasione è stata rinvenuta una necropoli, sorta proprio durante il sec. 1°, nel cui settore occidentale, in un'area aperta, definita dagli scavatori campo P, venne alla luce un singolare organismo, costituito da due nicchie sovrapposte e distinte da un mensa in pietra, che monumentalizzava una tomba terragna attorno alla quale si disposero, durante i secoli, altri sepolcri in segno di devozione. Tale tomba può essere intesa come quella di P., anche perché l'edicola che la segnala fu prima ulteriormente definita da due muretti paralleli e poi inclusa in un'urna marmorea che divenne il fulcro del monumento basilicale che Costantino fece erigere in onore dell'apostolo.
Su uno dei due muretti di definizione è stata individuata una cassetta, nella forma di un incavo parallelepipedo, rivestita di marmo, che forse dovette servire ad accogliere i resti di P., dopo che questi erano stati tumulati per un periodo, in corrispondenza con la persecuzione di Valeriano (253-260), sulla via Appia, nel complesso di S. Sebastiano, insieme a quelli di s. Paolo, tanto che tale santuario era anche definito memoria apostolorum. Dal culto congiunto sulla via Appia deve dipendere anche la commemorazione uno die, il 29 giugno, dei principi degli apostoli.Nonostante le fonti facciano talora cenno all'esistenza di ritratti-icona dei principi degli apostoli (Eusebio di Cesarea, Hist. eccl., 7, 19), non sono attestate immagini caratterizzate fisionomicamente di P. e Paolo per il periodo più antico. L'unica eccezione è rappresentata da un affresco che riproduce l'episodio in cui P. viene salvato dai flutti, nell'ambiente-battistero della domus ecclesiae di Dura Europos in Siria, riferibile alla prima metà del sec. 3°, ma la figura dell'apostolo assume tutti i caratteri dell'immagine anonima e afisiognomica.
L'iconografia petrina tardò a costituirsi e a diffondersi sino al principio del sec. 4°, quando nel registro superiore del c.d. sarcofago romano di Giona (Roma, Mus. Vaticani, Mus. Pio Cristiano) due scene singolari e non ancora perfettamente codificate nello schema sembrano alludere a P., svolgendo rispettivamente l'episodio del Miracolo della fonte e quello relativo all'Arresto di Pietro. Da quel momento i due episodi, ispirati agli scritti apocrifi (AASS, Iulii, I, Paris-Roma 1867, pp. 303-304) e ad At. 12, 1-5, congiuntamente al celebre e canonico momento evangelico del ter negabis (Mt. 26, 34; Mc. 14, 30; Lc. 22, 61; Gv. 13, 38), entrarono a far parte dei fregi continui dei sarcofagi paleocristiani, creando una vera e propria trilogia petrina. Tale introduzione avvenne in un momento delicato della storia della Chiesa, dopo le persecuzioni di Decio (249-251) e Valeriano (253-260) e prima delle gravi disposizioni dioclezianee, e assunse un significato propriamente storico, facendo assurgere la figura di P. a manifesto del perdono nei confronti dei lapsi, che avevano apostatato durante le precedenti persecuzioni. In questo senso, specialmente la negazione di P., che ebbe diffusione anche in pittura, come nel cubicolo di Leone nel cimitero romano di Commodilla (fine sec. 4°), prese a significare paradossalmente una vera e propria professione di fede.Alla trilogia petrina si associò, negli anni centrali del sec. 4°, un quarto enigmatico episodio, che, ispirandosi ancora agli scritti apocrifi (AASS, Iulii, I, Paris-Roma 1867, pp. 303-304), sembra fissare il momento in cui P. catechizza i due carcerieri Processo e Martiniano, rappresentati con il tipico berretto pannonico, con espressione attenta, quasi ipnotizzata, in una situazione bucolica. Questa scena potrebbe anche alludere alla festività della cathedra Petri che si teneva il 22 febbraio e di cui esiste già memoria nell'antico calendario attribuito a Furio Dionisio Filocalo, il Cronografo del 354.
Mentre nacquero e si diffusero queste scene, si costituì anche il ritratto di P., improntato a una solidità fisionomica e a una potenza espressiva, dai tratti spesso marcati e decisi, con capigliatura ricca e aderente al capo, ovale ampio, stereometrico, barba corta e mossa. Tale ritratto fornisce i parametri per il contrappunto paolino, che com'è noto aderisce ai canoni dell'ispirato e grave volto di filosofo (v. Paolo), e si propone come primo elemento distintivo nei collegi apostolici, dai quali, durante la seconda metà del sec. 4°, emerse e venne stralciato il segmento centrale e saliente, ovvero il gruppo ternario Cristo-Paolo-P., dando luogo a una specie di imago brevis del collegio apostolico stesso.
P. e Paolo rappresentano proprio le due entità della Chiesa, il primo quella ex circumcisione, il secondo quella ex gentibus. Il gruppo ternario ispira situazioni iconografiche ad alto tenore simbolico, che vedono P. e Paolo come attori comprimari di investiture politico-religiose, come nel caso della Traditio legis, che, senza ispirarsi a un particolare luogo evangelico, vede Cristo donare il rotulo della legge a P., che lo riceve con le mani velate, il tutto secondo una gestualità e un cerimoniale presi a prestito dai più alti comportamenti della corte imperiale. Il tema, con P. impegnato in una situazione che duplica l'episodio di Mosè che riceve la legge, ebbe grande diffusione dalla metà del sec. 4° sino al primo Medioevo, a cominciare dal mosaico di un'abside del mausoleo di S. Costanza e continuando con un gruppo di sarcofagi romani e gallici, con un'incisione sulla lastra di Priscilla (Anagni, Mus. dell'Ist. di Storia e di Arte del Lazio Meridionale), con un mosaico del battistero di S. Giovanni in Fonte a Napoli, con una lunetta dipinta nel cimitero di Grottaferrata (prov. Roma), con il coperchio del cofanetto eburneo di Samagher (Mus. Archeologico), con alcuni vetri dorati conservati a Roma (BAV, Mus. Sacro), per non parlare dei monumenti scomparsi, innanzitutto, con molta probabilità, la decorazione dell'antico S. Pietro in Vaticano.Sul tipo della Traditio legis si formò anche la scena della Traditio clavium, che, pur ispirandosi a un'espressione evangelica (Mt. 16, 19), mantenne l'impianto del cerimoniale imperiale, con Cristo che consegna dignitosamente le chiavi a P., che le riceve con le mani spesso velate da un lembo del pallio, come in un gruppo di sarcofagi romani, primo fra tutti uno conservato nel Mus. di S. Sebastiano e riferibile al 370 circa. Altre rappresentazioni sono nell'altra absidiola del mausoleo di S. Costanza (metà sec. 4°), in un affresco del cimitero di Commodilla (sec. 6°-7°) e nel sarcofago ravennate dei dodici apostoli (430-450; Ravenna, S. Apollinare in Classe), dove però P. presenta un'altra sua insegna caratteristica, ossia la croce martiriale-trionfale.Tornando all'imago brevis del collegio apostolico, già durante il sec. 4° il perno cristologico centrale poteva essere costituito da altri elementi simbolici, talora ancora con valenza cristologica, come la croce (sarcofago del principe, metà sec. 4°, Istanbul, Arkeoloji Müz.; altare della via Cornelia, sec. 4°, Roma, Ss. Mario, Marta, Abacuc e Audifax), talora dalla figura stessa dei defunti oranti, accolti in paradiso da P. e Paolo (pannello centrale di un sarcofago, 320-350, Roma, cimitero di Pretestato), talora, infine, da potenti segnali parusiaci (trono dell'Etimasia, 432-440, Roma, S. Maria Maggiore, arco trionfale). I principi degli apostoli si trovano invece 'faccia a faccia' nel mosaico del mausoleo di Galla Placidia a Ravenna e sono ridotti a busti-ritratto in alcuni vetri dorati, come in quello del pieno sec. 4° conservato a Roma (BAV, Mus. Sacro).Il filone narrativo relativo alla persona di P. continuò nel gruppo dei c.d. sarcofagi di Passione o dell'Anastasi, che videro la loro massima diffusione proprio nell'ultimo scorcio del 4° secolo. In questi sarcofagi - per es. quelli a colonne e ad alberi (Roma, Mus. Vaticani, Mus. Pio Cristiano) o quello nella basilica di S. Valentino a Roma - alcune scene ispirate al martirio degli apostoli e alla passio Christi sono allineate, in un paradossale contrappunto, attorno al signum dell'Anastasi, situato al centro dei rilievi. Prima ancora della concezione di questi sarcofagi, ideati in un atelier romano, scene di arresto e di supplizio dei principi degli apostoli apparvero già in altri celebri sarcofagi della metà del sec. 4°, come quello a colonne e quello di Giunio Basso conservati a Roma (S. Pietro in Vaticano, Grotte), e in un sarcofago del 340-350 oggi a Madrid (Mus. Arqueológico Nac.).
Le Storie di P., insieme a quelle di Paolo, ebbero tuttavia sviluppi ciclici specialmente sulle pareti delle navate degli edifici di culto, primi fra tutti quelli dell'antico S. Pietro in Vaticano e del primitivo S. Paolo f.l.m., del quale rimangono preziosi disegni (Roma, BAV, Barb. lat. 4406) relativi ad alcune scene, come quella singolare che, ispirandosi alla letteratura apocrifa, riporta il forte abbraccio tra i principi degli apostoli, secondo un'iconografia che ritorna in un affresco catacombale del comprensorio della via Appia (ex Vigna Chiaraviglio), del tardo sec. 4°, e in un più tardo avorio di Castellammare di Stabia (Mus. Diocesano).Della decorazione leonina (440-461) dell'antico S. Paolo f.l.m. sembra rimanere anche un importante lacerto musivo, sia pure assai restaurato, riferibile all'arco trionfale, relativo proprio al volto di P. (Roma, S. Pietro in Vaticano, Grotte). Il volto lascia indovinare tutti i caratteri della forza e dell'energia espressiva dell'iconografia petrina, così come si definiva in Occidente negli anni centrali del 5° secolo.P. entra anche nei programmi decorativi dei catini absidali, sia nella Trasfigurazione (Ravenna, S. Apollinare in Classe; chiesa di S. Caterina sul monte Sinai, 550-565), sia quando viene chiamato, insieme a Paolo, a far parte degli stuoli di santi e martiri nei contesti parusiaci-paradisiaci, dall'affresco del cimitero romano dei Ss. Pietro e Marcellino (410-420), al mosaico feliciano della basilica dei Ss. Cosma e Damiano a Roma (526-530), a un affresco del cimitero di S. Senatore ad Albano Laziale (sec. 6°-7°), ad altre pitture del cimitero di S. Gennaro a Napoli (sec. 6°), ai mosaici protomedievali delle basiliche romane, sino a quello carolingio commissionato da Pasquale I (817-824) per il catino di S. Prassede.Mentre la figura di P. subisce un processo di iconizzazione, prosegue un filone narrativo, di cui si evince la vitalità soltanto dalle sporadiche e spesso decontestualizzate arti suntuarie. A questo riguardo si possono ricordare, innanzitutto, la lipsanoteca di Brescia (Civ. Mus. Cristiano), dello scorcio del sec. 4°, con l'episodio di Anania e Saffira (At. 5, 1) e quello del ter negabis; quest'ultimo episodio, secondo lo schema stabilito nel primo momento cristiano, con il 'faccia a faccia' di Cristo e P., connotato soltanto dalla presenza dell'elemento chiave del gallo, torna in altre opere, per es. in un cofanetto del sec. 6° (Londra, British Mus.), in una tavola eburnea del sec. 6° (Parigi, Louvre) e in un dittico del sec. 9° (Firenze, Mus. Naz. del Bargello). Nelle arti suntuarie ritorna anche la fortunata scena del Miraculum fontis, per la intuitiva corrispondenza mosaica e per i risvolti significativi di ordine battesimale, per es. in una lampada bronzea della fine del sec. 4° (Firenze, Mus. Archeologico) e nel celebre recipiente vitreo inciso del sec. 5° (San Pietroburgo, Ermitage), rinvenuto a Podgorica, dove la scena è definita da una sgrammaticata ma esplicita didascalia.Tuttavia, nella produzione suntuaria prevale specialmente l'immagine-icona di P. stante o solennemente seduto in cattedra, insignito dei simboli delle chiavi e della croce. Talora la Traditio clavium è rappresentata secondo lo schema pieno e canonico, come in un'amula argentea del sec. 6° (Londra, British Mus.), ma più spesso prevale la figura isolata con due o tre chiavi, per es. in una tavola eburnea della fine del sec. 6° (Bruxelles, Mus. Royaux d'Art et d'Histoire), in un trittico del sec. 6° (New York, Metropolitan Mus.), dove appare anche il pendant di Paolo insignito del libro, in una statuetta metallica (Washington, Dumbarton Oaks, Research Lib. and Coll.), ingiudicabile per la cronologia e proveniente da Chrsada (India), e infine in una lucerna fittile del sec. 6° (Strasburgo, Coll. Forrer), dove compare anche Paolo con la spada.L'icona di P. clavigeno prosegue attraverso la civiltà bizantina sino a tutto il Medioevo e si arricchisce della doppia insegna chiavi-croce, come in una tavoletta del sec. 6° (Londra, British Mus.) e in un avorio del 7° (Brynathyn, Pitcairn Coll.).
Bibl.: P. Styger, L'apostolo S. Pietro sui sarcofagi dell'arte cristiana antica, Wien 1912; G. Stuhlfauth, Die apokryphen Petrusgeschichten in der altchristlichen Kunst, Berlin-Leipzig 1925; E. Dinkler, Die ersten Petrusdarstellungen, MarbJKw 11-12, 1938-1939, pp. 1-80; Esplorazioni sotto la confessione di San Pietro in Vaticano eseguite negli anni 1940-1949, 2 voll., Città del Vaticano 1951; A. Prandi, La zona archeologica della confessione vaticana, Città del Vaticano 1956; M. Sotomayor, San Pedro en la iconografía paleocristiana, Granada 1962; P. Testini, Osservazioni sull'iconografia del Cristo in trono fra gli Apostoli. A proposito dell'affresco di un distrutto oratorio cristiano presso l'Aggere serviano a Roma, RINASA, n.s., 11-12, 1963, pp. 230-300; Studi Petriani, Roma 1968; Saecularia Petri et Pauli (Studi di antichità cristiana, 28), Città del Vaticano 1969; C. Pietri, Roma Christiana. Recherches sur l'Eglise de Rome, son organisation, sa politique, son idéologie de Miltiade à Sixte III (311-440) (BEFAR, 224), Roma 1976, I, p. 341ss.; U.M. Fasola, Pietro e Paolo a Roma, Roma 1980; M. Guarducci, Pietro in Vaticano, Roma 1983; V. Fiocchi Nicolai, Un altare paleocristiano dal santuario dei martiri Mario, Marta, Audifax e Abacuc sulla via Cornelia, RendPARA 57, 1984-1985, pp. 89-110; R. Giordani, Spigolature su un frammento di rilievo funerario a carattere cristiano dei Magazzini comunali di Roma, RivAC 62, 1986, pp. 292-297; M. Andaloro, Il mosaico con la testa di Pietro. Dalle grotte vaticane all'arco trionfale della basilica di S. Paolo f.l.m., in Fragmenta Picta. Affreschi e mosaici staccati del Medioevo romano, cat., Roma 1989, pp. 111-118; A.M. Ramieri, ''Negazione di Pietro''. Un nuovo contributo della catacomba di S. Callisto, in Miscellanea M. Santa Maria, Città del Vaticano 1989, pp. 69-75; F. Bisconti, La catechesi di Pietro. Una scena controversa, in Esegesi e catechesi nei Padri (II-IV sec.), Roma 1992, pp. 171-179; id., L'abbraccio tra Pietro e Paolo ed un affresco inedito del cimitero romano dell'ex Vigna Chiaraviglio, CARB 42, 1995, pp. 71-93; M. Falla Castelfranchi, La committenza dell'icona di San Pietro al Sinai, ivi, pp. 337-346.
F. BiscontI
Nella decorazione musiva del triclinio Lateranense a Roma (800 ca.), P. è la figura intorno alla quale si fonda l'idea della trasmissione dei poteri divini in chiave ecclesiologica, quale manifesto programmatico della supremazia del papato sul neonato impero carolingio. Nella Missio apostolorum che occupa il catino absidale, Cristo affida, in primis, a P. la missione evangelizzatrice, mentre sul pennacchio sinistro dell'arco lo stesso apostolo è raffigurato in cattedra con ai lati papa Leone III (795-816) e Carlo Magno, inginocchiati nell'atto di ricevere rispettivamente il pallio e il vessillo; sul pennacchio destro, in un'immagine speculare, Cristo legittimava Costantino il Grande (v.) quale primo imperatore cristiano e conferiva a papa Silvestro I il ruolo di suo vicario in terra tramite la consegna delle chiavi (Belting, 1976; Iacobini, 1989).La centralità della figura di P. nell'elaborazione dell'ideologia teocratica del papato medievale, fondata su presupposti apostolici, andò di pari passo con lo sviluppo di cicli figurativi che ne narravano la vicenda biografica. In tale contesto, la basilica dedicata a P. a Roma costituì un modello paradigmatico per la decorazione delle chiese medievali in Occidente e fu continua fonte di ispirazione per la diffusione dell'iconografia petrina (Kessler, 1989a; 1989b). L'esigenza di una visualizzazione della 'vita' dell'apostolo è da collegare anche all'imponente fenomeno del pellegrinaggio ad limina apostolorum, come dimostra il fatto che per la basilica di S. Paolo f.l.m. venne concepito all'inizio del sec. 5° un ciclo agiografico paolino ad hoc, desunto dagli Atti degli Apostoli (Garber, 1918; Eleen, 1985). È probabile che, in origine, nella basilica vaticana episodi della vita di P. fossero dipinti sulla parete sinistra, a concludere la vicenda petrina iniziata nel vangelo con l'episodio della 'chiamata' di P. e Andrea sul lago di Genesaret, mentre su quella destra si svolgevano - come nella basilica ostiense - le storie veterotestamentarie. Purtroppo l'assetto decorativo della parete sinistra, precedente la definitiva distruzione dell'edificio costantiniano, avvenuta all'inizio del sec 17°, è noto unicamente attraverso la descrizione e le copie delle poche scene allora ancora superstiti. Sulla base di considerazioni di ordine iconologico e liturgico è stato ipotizzato che esse fossero parte di un ciclo neotestamentario eseguito ex novo nella basilica alla fine del sec. 7° (Tronzo, 1985) o intorno alla metà del 9° (Kessler, 1989b), ma non è escluso si fosse trattato, piuttosto, di un ampliamento del ciclo cristologico a scapito degli episodi petrini. In tale contesto si giustifica anche l'iniziativa di papa Leone IV (847-855) di donare vela con scene della Vita di P. destinati agli intercolumni della navata (Weis, 1963; Kessler, 1989b, p. 49).
Parallela a quella dei cicli monumentali, la tradizione manoscritta degli Atti degli Apostoli tramandò, nel corso del Medioevo, un notevole repertorio figurativo, anche attraverso la successiva mediazione di libri di modelli, come dimostrano la sostanziale omogeneità iconografica delle scene e la fedeltà al testo. Talvolta, episodi di particolare rilevanza teologica o ideologica venivano estrapolati e utilizzati singolarmente; è questo il caso della c.d. leggenda di Cornelio (At. 10), testo simbolico della conversione dei Gentili, rappresentata in un rotolo manoscritto (Vercelli, Bibl. Capitolare; prima metà del sec. 13°), copia della perduta decorazione pittorica del duomo di S. Eusebio a Vercelli, e nella Alte Kirche di Wunstorf-Idensen, in Bassa Sassonia (1130 ca.; Ehmke, 1958), ridotta nel fonte battesimale in bronzo di Renier de Huy (Liegi, Saint-Barthélemy; sec. 12°), alla sola scena del Battesimo impartito da P. al centurione Cornelio. I due episodi della Conversione - P. predica davanti a Cornelio - e del Battesimo, raffigurati sovrapposti in un avorio (Firenze, Mus. Naz. del Bargello) prodotto a Metz nel 960 ca. su commissione del vescovo Adventius (Melzak, 1995), rappresentano un chiaro riferimento alle prerogative dell'autorità vescovile.
La fortuna del racconto dell'angelo che libera P. rinchiuso in prigione da Erode Agrippa a Gerusalemme (At. 12, 1-8) è, invece, da imputare in primo luogo all'istituzione il 1° agosto della festa de Santo Petro ad Vincula. Nell'iconografia della scena, rappresentata regolarmente sia nei cicli monumentali (per es., nella chiesa rupestre di S. Michele a Olevano sul Tusciano, in prov. di Salerno, della seconda metà del sec. 10°; Zuccaro 1977) sia nelle miniature dei calendari liturgici (Stoccarda, Württembergische Landesbibl., Hist. 2° 415, c. 56r, del 1162 ca.; Pistoia, Bibl. Capitolare, R 69, c. 150v, della prima metà del sec. 12°), un posto di primo piano era riservato alle catene dell'apostolo, reliquia assai venerata durante tutto il Medioevo. In una variante di notevole interesse per il suo esplicito richiamo alla risurrezione di Cristo dal sepolcro, P., rappresentato sul tetto di un edificio di forma esagonale con la porta chiusa, mostra i polsi liberati dalle catene mentre quattro guardie, con lancia e scudo, giacciono addormentate (per es. Wolfenbüttel, Herzog August Bibl., Guelf. 84.5 Aug. 2°, c. 69v, dell'inizio del sec. 11°). L'attitudine propria delle illustrazioni agiografiche, e in particolare di quelle martiriali, a prendere in prestito il vocabolario iconografico cristologico contraddistingue le scene che riguardano la vicenda di P., a partire dalle guarigioni miracolose narrate negli Atti degli Apostoli sino alla leggenda apocrifa della sua morte in croce, ma capovolto, quale estremo gesto di umiltà nei confronti del sacrificio esemplare di Cristo.Il testo canonico degli Atti degli Apostoli si conclude con la partenza di P. da Gerusalemme. A colmare la lacuna storica e a collegare definitivamente la vicenda di P. a Roma e alla fondazione della Chiesa, nella logica della concordia apostolorum, furono gli scritti apocrifi: gli Atti di Pietro dell'inizio del sec. 3°, noti attraverso un frammento copto e una più estesa redazione latina del sec. 4° (Actus Vercellenses), la Passione di Pietro dello Pseudo-Lino (sec. 4°) e la Passio sanctorum apostolorum Petri et Pauli, redatta tra il 5° e il 6° secolo. Essi fornirono le fonti primarie, anche attraverso le successive traduzioni e rielaborazioni medievali, da Onorio Augustodunense a Jacopo da Varazze, per cicli narrativi e immagini singole dell'apostolo.L'assenza del racconto della disputa tra P. e Paolo e Simon Mago al cospetto dell'imperatore Nerone, ma soprattutto del martirio dei due apostoli nell'arte cristiana delle origini, quando noti erano invece episodi quali l'Incontro a Roma di P. e Paolo e l'Arresto, fa presumere una cesura tra le due tradizioni iconografiche.La più antica raffigurazione documentata, benché perduta, del martirio di P. e Paolo faceva parte della decorazione dell'oratorio di papa Giovanni VII (705-707), insieme alla Disputa davanti a Nerone, alla Caduta di Simon Mago e alla Predicazione di P. a Gerusalemme, Antiochia e Roma. Il sacello, eretto presso la controfacciata della basilica di S. Pietro a Roma nel 706, era dedicato alla Vergine, la cui immagine era affiancata da scene dell'Infanzia di Cristo. Appare coerente alla concezione della Chiesa romana, nata dalla fusione delle due chiese ex circumcisione et ex gentibus, un affresco che si trovava nella chiesa romana di S. Andrea in Catabarbara (sec. 11°-12°; Waetzoldt, 1964, pp. 29-30), dove alla Predica dei due apostoli corrispondeva la raffigurazione del loro doppio martirio. Nella chiesa di S. Balbina, sempre a Roma, sopravvive invece la più antica immagine romana della Crocifissione di P. (sec. 8°-9°). È probabile che tale proliferazione nell'Urbe di immagini tratte dalla 'leggenda romana' di P. e Paolo trovasse il suo naturale prototipo nel ciclo vaticano del transetto, databile secondo l'ipotesi di Weis (1963) intorno alla metà del 7° secolo.Un precoce ciclo pittorico incentrato sulla tradizione iconografica d'ispirazione apocrifa si svolge nella zona absidale della chiesa di St. Johann a Müstair (Svizzera): gli affreschi, eseguiti nell'800 ca. (Traditio Legis, Incontro di P. e Paolo, Predica di P. ai pagani, Disputa con Simon Mago al cospetto di Nerone), furono tuttavia restaurati verso la metà del sec. 12° (P. che ammansisce i cani di Nerone, Caduta di Simon Mago, Martirio di P. e Paolo e Funerali dei due apostoli).
Appare comunque assodata, in Occidente come in area bizantina, un'improvvisa concentrazione d'immagini petrine a partire dal sec. 9°, con una prevalenza incontrastata di quella del martirio. La Decollazione di Paolo (v.) e la Crocifissione di P. illustrarono precocemente le letture dedicate ai due principi degli apostoli nel giorno della loro festa, il 29 giugno, in numerosi manoscritti liturgici, come per es. il Salterio di Utrecht (Bibl. der Rijksuniv., c. 19; 816-823), il Sacramentario di Drogone (Parigi, BN, lat. 9428, c. 86r; 860 ca.) e le Omelie di Gregorio Nazianzeno (Parigi, BN, gr. 510, c. 32v; fine del sec. 9°). La scena del martirio di P. si svolgeva tra due edifici 'antichi' di forma piramidale che caratterizzavano la zona presso il circo di Nerone, o Naumachia: la Meta Romuli e il Terebintus Neronis; poteva, invece, variare il numero dei personaggi che assistevano all'evento accanto all'imperatore pagano e quello dei carnefici intenti a inchiodare e/o legare con le funi P. alla croce. A partire dall'età romanica P. fu di frequente rappresentato, sempre secondo la logica dell'imitatio Christi, con il colobium, una tunica a maniche lunghe (New York, Pierp. Morgan Lib., 641, c. 122v, metà del sec. 11°; Vic, Mus. Arqueologic-Artistic Episcopal, affreschi dalla chiesa di Sant Martí, primo quarto del sec. 12°; Monaco, Bayer. Staatsbibl., Clm. 16002, c. 32v, sec. 13°).
La preferenza in ambito imperiale, carolingio come ottoniano, per la figura di P. si concretizzò anche nella committenza di paramenti sacri e arredi liturgici. Un ciclo petrino completo, descritto nei Carmina di Sedulio Scoto, ornava il pallio che la regina Ermengarda fece eseguire in occasione dell'incoronazione e consacrazione del figlio Ludovico II nell'850 (Melzak, 1995), replicato, in versione ridotta, nel più tardo mantello di s. Cunegonda, moglie di Enrico II (Bamberga, Diözesanmus.; primo quarto del sec. 11°).
Cicli pittorici monumentali, a partire dall'età romanica, citarono esplicitamente l'impianto decorativo della basilica vaticana riservando costantemente la zona del transetto a una selezione di storie petrine tratte sia dalle fonti canoniche sia dagli scritti apocrifi, come nella chiesa di S. Maria Montis Domini a Marcellina, presso Tivoli, della fine del sec. 12° (Disputa e Caduta di Simon Mago), in quella di S. Pietro a Tuscania, del primo quarto del sec. 12° (Guarigione del paralitico, P. e Giovanni davanti al Tempio, Liberazione di P., Incontro di P. e Paolo, Disputa e Caduta di Simon Mago; Kessler, 1989b) e, infine, nella basilica superiore di S. Francesco ad Assisi, dell'ultimo quarto del sec. 13° (Guarigioni miracolose, Disputa e Caduta di Simon Mago, Crocifissione di P. e Decollazione di Paolo; Belting, 1983).L'estremo sviluppo della tradizione agiografica petrina di matrice romana comprende anche gli episodi successivi al martirio dei due apostoli (funerale, sepoltura, trafugamento dei corpi e miracoli post mortem) e si connette alla leggenda di Costantino e s. Silvestro, la quale si conclude con la fondazione della basilica vaticana da parte del neoconvertito imperatore. Un ciclo pittorico così composto decora le pareti della navata e dell'abside della chiesa pisana di S. Piero a Grado (1300 ca.; Wollesen, 1977), su modello di quello che si svolgeva nell'atrio dell'antica basilica di S. Pietro a Roma e di cui sopravvivono solo le due teste dei principi degli apostoli (Roma, S. Pietro in Vaticano, Reverenda Fabbrica). L'impresa decorativa fu attribuita da Vasari (Le Vite, II, 1967, p. 91) al tempo di Urbano IV (1261-1264; Hueck, 1969-1970) e, più di recente, posticipata a Niccolò III (1277-1280; Wollesen, 1983; Tomei, 1989), committente anche degli affreschi con il Martirio di P. e Paolo nella cappella del Sancta Sanctorum al Laterno, dove era conservata la reliquia delle teste dei due apostoli (Romano, 1995; Tomei, 1995).Tra le opere concepite sulla falsariga della contaminazione della vicenda di P. e Paolo tramandata negli Atti degli Apostoli con quella apocrifa della Disputa con Simon Mago si ricordano i cicli musivi normanni della Cappella Palatina di Palermo (1143-1150) e del duomo di Monreale (1180-1190; Demus, 1949). Di poco successiva, ed esemplare per il livello di elaborazione e sviluppo raggiunto in una prospettiva agiografica sufficientemente autonoma rispetto alla tradizione romana, è la decorazione scolpita sull'archivolto del portico della cattedrale di Sessa Aurunca (prov. di Caserta), della prima metà del sec. 13°, per la quale Glass (1970), sulla base della presenza di episodi della leggenda di P. e Paolo raramente rappresentati e di un'inedita sequenza narrativa, ha ipotizzato un'origine orientale. Tuttavia, nell'arte mediobizantina vi sono soprattutto immagini iconiche doppie dei ss. P. e Paolo o del solo P. (per es. Istanbul, Kariye Cami, icona musiva del primo quarto del sec. 14°), mentre gli episodi narrativi compaiono inseriti in più ampi contesti decorativi dedicati al racconto evangelico e a cicli agiografici misti (Pskov, monastero del Salvatore, 1156 ca.; Lazarev, 1967, p. 227). Le scene sono desunte, per la maggior parte, dagli Atti degli Apostoli, di cui sopravvivono numerosi esemplari manoscritti illustrati (per es. Sacra Parallela di Giovanni Damasceno, Parigi BN, gr. 923, sec. 9°), ma non mancano anche episodi quali l'Abbraccio di P. e Paolo (per es. Monte Athos, monastero di Vatopedi, affresco della fine del sec. 12°; Lazarev, 1967) La diffusione di immagini e storie petrine nella scultura monumentale di età romanica, in particolare in Francia, nei capitelli istoriati (Moissac, Saint-Pierre, chiostro; Conques, Sainte-Foy, transetto; Vézelay, Sainte-Madeleine; Autun, Saint-Lazare) o nelle lunette dei portali (per es. chiesa di Saint-Pierre ad Aulnay, chiesa di Pont-l'Abbé-d'Arnoult, entrambe raffiguranti la crocifissione di P.), subì un notevole incentivo sotto la spinta congiunta della riforma gregoriana promossa dall'Ordine cluniacense - la stessa abbazia di Cluny era dedicata ai ss. P. e Paolo - e dell'intensificarsi del pellegrinaggio che trovava in Santiago de Compostela, Roma e Gerusalemme i vertici di un ideale triangolo che univa l'Europa occidentale al Mediterraneo. Anche grazie alla portata culturale di tale fenomeno, l'iconografia petrina giunse fino in Spagna (Ripoll, Santa Maria, archivolto del portale; Elna, cattedrale, capitelli del chiostro, metà del sec. 12°) e in Terra Santa (Nazareth, Mus. della basilica, capitelli provenienti dalla chiesa dell'Annunciazione).Durante il sec. 13° le maggiori chiese e cattedrali gotiche d'Europa riservarono a P. o a entrambi i principi degli apostoli uno spazio privilegiato nelle vetrate istoriate (per es. nella cattedrale di Chartres e, sempre a Chartres, nella chiesa di Saint-Pierre, con una doppia vetrata dedicata ai ss. P. e Paolo, o nelle cattedrali di Bourges e Lione).P., custode del Regno dei cieli, in virtù del potere solvendi et ligandi conferitogli da Cristo con la consegna delle chiavi, compare, inoltre, nelle scene di Giudizio Universale nell'atto di introdurre i beati attraverso la porta del Paradiso (v.). La chiave può essere singola, doppia o tripla (per es. nel Sacramentario di Saint- Bertin, Parigi, BN, lat. 819, c.75v, della prima metà del sec. 12°). Le due chiavi, di norma legate con una cordicella rossa, divennero insegna del papato medievale nella sua duplice natura divina e terrena. L'identificazione simbolica del pontefice con P. comportò anche l'assunzione dei suoi attributi: Bonifacio VIII (1295-1303) venne ritratto da Arnolfo di Cambio (v.) in una statua a mezzo busto (Roma, Palazzi Vaticani) con le due chiavi nella mano sinistra. Viceversa, in una significativa interscambiabilità iconografica, P. può essere anche rappresentato con tiara papale e pastorale, come nel portale centrale del transetto settentrionale della cattedrale di Chartres (primo decennio del sec. 13°) o in una lancetta della vetrata absidale del Saint-Pierre. Tuttavia, a partire dal Duecento e per tutto il secolo successivo, fu l'immagine di P. in cattedra a stigmatizzarsi quale icona simbolica del potere pontificio. Il culto della cattedra di P. si collegò all'esistenza materiale della reliquia del seggio apostolico solo a partire dal tempo di Innocenzo III (1198-1216), eletto proprio nel giorno dell'antica ricorrenza petrina: il papa siede fisicamente sul seggio che fu del primo vescovo di Roma (Maccarone, 1985). Una leggenda relativa alla festa della Cathedra sancti Petri, diffusa durante tutto il Medioevo e tramandata dalla Legenda aurea di Jacopo da Varazze, narra di quando P., convertito Teofilo, governatore di Antiochia, dopo averne risuscitato il figlio, fu elevato per la prima volta alla carica vescovile. Gli episodi furono rappresentati, tra gli altri, in un polittico oggi smembrato dedicato a P., eseguito da Jacopo di Cione intorno al 1370 per la chiesa di S. Pier Maggiore di Firenze (Providence, Rhode Island School of Design; Filadelfia, Mus. of Art, Johnson coll.; Roma, Mus. Vaticani, Pinacoteca; Volbach, 1987, pp. 21-22).La serie delle tavole con P. in cattedra si apre con quella attribuita a Guido da Siena (v.; Siena, Pinacoteca Naz., dalla chiesa di S. Pietro in Banchi, 1280 ca.), che presenta, negli scomparti laterali, le scene della Vocazione e Liberazione di P., la Caduta di Simon Mago e la Crocifissione dell'apostolo. La tavola dipinta dal Maestro della S. Cecilia (v.; Firenze, Uffizi) nel 1307, con P. in cattedra fiancheggiato da angeli, ricalca piuttosto l'iconografia della Maestà, così come quella di poco successiva nella chiesa dei Ss. Simone e Giuda, sempre a Firenze, di Gaddo Gaddi (v.). Il parallelo con la figura di Cristo in trono si concretizza e matura, in tutta la sua valenza simbolica e ideologica, nel polittico Stefaneschi (Roma, Mus. Vaticani, Pinacoteca), commissionato dal cardinale Jacopo Stefaneschi a Giotto (v.) per l'altare maggiore della basilica vaticana. Alla figura del Redentore in trono sul verso della tavola centrale corrisponde, sul recto, quella di P. clavigero e benedicente in cattedra, vestito di un mantello rosso bordato d'oro, con ai lati due angeli, santi e il committente in ginocchio. I due scomparti laterali del lato opposto presentano il martirio di Paolo e quello di P., che segue alla lettera il testo della Legenda aurea, anche in particolari secondari come quello di Cristo che appare in cielo mostrando il libro o quello dei due carnefici che assistono immobili al momento della morte e ascensione dell'apostolo, ma che nell'impianto compositivo riprende in maniera palmare la Crocifissione di Cristo, così come si era diffusa nella pittura italiana del primo Trecento.
Tra le più note versioni tridimensionali di P. in cattedra, divenuto oggetto di culto privilegiato all'interno della basilica vaticana, si ricorda quella della statua bronzea eseguita da Arnolfo di Cambio intorno al 1300 (Romanini, 1989; 1990).
Bibliografia:
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S. Manacorda