ROBERTO BELLARMINO, santo
ROBERTO BELLARMINO, santo. – Nacque a Montepulciano il 4 ottobre 1542, da Vincenzo, di famiglia patrizia di scarsi averi, e da Cinzia Cervini. Fu battezzato Roberto Francesco Romolo. Terzo di cinque fratelli e sette sorelle, fu con il secondo, Tommaso, erede del patrimonio di casa. La grafia originaria del cognome è Bellarmini, e solo dal 1573 il giovane prese a firmarsi con il nominativo umanistico Bellarmino, da allora entrato nell’uso.
Ai fini della precoce vocazione religiosa fu fondamentale per lui la figura della madre, sorella di secondo letto del cardinale Marcello Cervini, che regnò come papa per soli ventuno giorni nell’aprile del 1555 con il nome di Marcello II. Quest’ultimo, raffinato umanista e rappresentante della fazione intransigente del Sacro Collegio, era stato patrocinatore della neonata Congregazione dei gesuiti, che dietro suo impulso si erano stabiliti nel territorio di Montepulciano svolgendo intensa attività pastorale. I vincoli di fedeltà che si stabilirono tra le famiglie Cervini e Bellarmini e gli uomini di Ignazio di Loyola, insieme con la forte religiosità della madre e la sua devozione alla memoria del fratello, furono all’origine della decisione di Bellarmino di entrare nella Compagnia di Gesù, maturata verso la fine del 1557 e peraltro comune al cugino Ricciardo Cervini. L’opposizione del padre, che aveva in animo di avviare il figlio agli studi di medicina a Padova, fu rapidamente superata. L’anno di probazione, per speciale privilegio del generale Diego Laynez, fu svolto dai due adolescenti presso la tenuta di famiglia, a Vivo d’Orcia, nel 1559-60, diviso fra pratica devota e studio dei classici greci e latini sotto la direzione dello zio Alessandro Cervini.
Il 20 settembre 1560 i cugini furono accolti nella casa professa della Compagnia a Roma, all’epoca presso l’antica sede di S. Maria della Strada. Dalla fine dell’ottobre successivo il giovane Bellarmino cominciò presso il Collegio romano la frequenza dei corsi di filosofia e retorica, assistendo alle lezioni di Francisco de Toledo, Juan Perpinyá e Benito Pereyra. Tra il 1563 e il 1567 fu destinato ai collegi di Firenze e Mondovì, con incarichi di insegnamento di matematiche e retorica e, soprattutto, di predicazione, sia all’interno sia all’esterno degli istituti. Il suo impegno oratorio proseguì poi nell’anno e mezzo circa trascorso a Padova, fino alla primavera del 1569, quando fu inviato per dare avvio alla propria istruzione teologica presso l’Università e il collegio locale. Più che i corsi lì frequentati, però, fu lo studio privato della Summa theologiae sulla base di una copia delle relectiones tenute dal padre Toledo a Roma a fornirgli una solida perizia teologica: egli, infatti, non completò mai gli studi, e la sua somma competenza in materia deve essere considerata in buona parte il frutto di una preparazione da autodidatta.
Nel maggio del 1569 Bellarmino raggiunse il collegio della Compagnia di Gesù a Lovanio, nel Brabante. La destinazione era stata decisa da qualche mese dalla dirigenza dell’Ordine, non senza timori relativi alla cattiva salute del giovane (soffriva all’epoca, ebbe a scrivere, di tisi); la permanenza sarebbe dovuta durare un paio d’anni circa: il compito era quello di concludere gli studi teologici e predicare in latino agli studenti dell’Università, prestigioso Ateneo di fondazione pontificia.
Non è chiaro se il giovane Bellarmino abbia realmente frequentato le aule universitarie di Lovanio neppure durante l’anno accademico 1569-70, dato che il suo nome non risulta negli elenchi delle immatricolazioni. Di certo non lo fece negli anni successivi, mentre già dal 1570 ricoprì nel collegio l’insegnamento di teologia scolastica, commentando la Summa di Tommaso che stava allora affermandosi come testo di riferimento nelle scuole cattoliche al posto dei Libri sententiarum di Pietro Lombardo.
Nelle Lectiones Lovanienses, le lezioni di commento di Bellarmino alla Summa, è dato di identificare il primo stadio di evoluzione di quella grande sintesi teologica che, passando per l’insegnamento al Collegio romano, sfocerà nell’opus magnum dell’autore, le Disputationes de controversiis; l’esempio più chiaro lo si ha nel trattatello manoscritto De iudice controversiarum, relativo alla prerogativa papale di giudizio sulle controversie di fede, sviluppato a margine del commento alla Secunda secundae (ottobre 1574) e contenente in nuce il materiale che finì più distesamente sistemato nelle controversie De verbo Dei, De conciliis et Ecclesia e De Summo pontifice delle Disputationes.
Al periodo fiammingo risalgono anche l’ordinazione sacerdotale (marzo 1570) e la pronuncia dei quattro voti solenni che lo ascrissero ai professi della Compagnia (luglio 1572).
Il ritorno in Italia, nel settembre del 1576, voluto dal generale per non metterne ulteriormente a repentaglio la salute, portò subito Bellarmino alla cattedra di controversie del Collegio romano, da lui coperta dal novembre di quell’anno al 1588. Il corso, tenuto per breve tempo qualche anno prima, nel 1570-71, da Diego de Ledesma, fu riaperto proprio in occasione del suo ritorno e di nuovo messo a tacere dopo il 1588 per oltre un secolo. Le lezioni al Collegio romano fornirono la materia dell’opera più celebre di Bellarmino, le monumentali Disputationes de controversiis Christianae fidei adversus huius temporis haereticos (Ingolstadt, D. Sartorius, 1586-1593).
L’opera, che conobbe numerose ristampe e una fortuna straordinariamente lunga, può essere considerata il compendio più esaustivo dell’ortodossia tridentina, articolato in una successione di dispute contro il pensiero riformato attorno a tutte le questioni di fede: Scrittura, cristologia, ecclesiologia, teologia sacramentale, antropologia teologica, culto dei santi e delle immagini. Il confronto fra il suo palinsesto e quello delle lezioni dalla cattedra, restituito da trascrizioni apografe conservate nella Biblioteca apostolica Vaticana, ne rivela esplicitamente il carattere di manifesto di una compiuta visione della Chiesa, che però supera quella prodotta dal Tridentino laddove stabilisce categoricamente rapporti gerarchici fra il caput e le membra del corpo ecclesiastico: la controversia De Christo, che al Collegio romano era affrontata solo al sesto anno di corso, divenne il secondo tema nella versione a stampa del testo, dopo la controversia De verbo Dei sulla Scrittura; la controversia De Summo pontifice, preceduta nelle lezioni da quelle sulla Chiesa e i concili, divenne in essa la terza, a rappresentare plasticamente la trasmissione del supremo potere spirituale da Cristo al suo vicario in terra, il papa.
L’accoglienza riservata alle Disputationes fu di gran lunga superiore alle attese: il primo volume fu ristampato dall’editore, David Sartorius, in formato minore. Una seconda edizione, corretta e ampliata dall’autore, uscì a Venezia nel 1599. Non sono da trascurare, però, le reazioni ostili che essa sollevò anche all’interno del mondo cattolico: papa Sisto V nell’estate del 1590 ne ordinò l’inclusione nell’Indice dei libri proibiti per il rifiuto dell’antica tesi della monarchia diretta del pontefice sul mondo intero, e solo la sua morte impedì che l’Index che la comprendeva vedesse la luce; il confratello gesuita Stephanus Arator, nel 1591, denunciò dall’Ungheria al generale Claudio Acquaviva che l’opera, con la sua puntuale esposizione della materia ereticale, offriva paradossalmente materiale apologetico agli eretici stessi.
La rapida fama delle Disputationes de controversiis, alimentata dall’imponenza e dalla solidità del loro impianto argomentativo, ebbe l’effetto di concentrare l’attenzione della platea dei dotti sul tema, all’epoca dibattutissimo, della suprema autorità spirituale sui cristiani rivendicata dalla Sede apostolica. La soluzione della potestas indirecta, che Bellarmino aveva mutuato dalla scolastica precedente, in particolare da Francisco de Vitoria, fu adottata da Roma quale fondamento teorico della superiorità del potere spirituale su quello temporale, incarnata dalla prerogativa pontificia di scomunica dei sovrani e dal conseguente scioglimento del vincolo di obbedienza che ne impegnava i sudditi. Bellarmino fu da allora identificato, nella polemica confessionale dell’epoca, come il campione del Papato e delle sue pretese di ingerenza negli ordinamenti civili.
Lasciata la cattedra di controversie per potersi dedicare con agio alla trattatistica teologica, Bellarmino subì nel 1589 una prima interruzione della propria attività con la nomina a consigliere del cardinale Enrico Caetani, messo a capo di una missione diplomatica in Francia decisa da Sisto V dopo la morte di Enrico III per scongiurare il possibile appoggio dei vescovi francesi al candidato alla successione al trono Enrico di Navarra. La scelta del gesuita, in realtà, fu dovuta probabilmente alla volontà del papa di allontanarlo temporaneamente da Roma a seguito della crescente ostilità che egli nutriva verso la Compagnia di Gesù e della sua avversione alla tesi della potestas indirecta. La legazione Caetani entrò a Parigi nel gennaio del 1590 e vi restò presto bloccata dall’assedio portato dal Navarra in marzo, che ridusse alla fame la città. In quei mesi Bellarmino fu incaricato da Caetani di stendere la lettera indirizzata a dissuadere l’episcopato francese dalla partecipazione al sinodo di Tours, favorevole a una politica conciliatoria. Solo all’inizio di settembre, dopo il ritiro degli assedianti e la morte di Sisto V, la missione fece ritorno in Italia.
Sotto i pontificati di Gregorio XIV (1590-91), Innocenzo IX (1591-92) e Clemente VIII (1592-1605) il lavoro di Bellarmino all’interno degli organi di Curia e della Compagnia di Gesù divenne indefesso. Fra il 1592 e il 1595 ebbe l’incarico di rettore del Collegio romano, in virtù del quale partecipò alla congregazione generale dei gesuiti del 1593 e prestò servizio nella commissione incaricata della redazione conclusiva della Ratio studiorum. Fra il 1595 e il 1597 ricoprì il ruolo di provinciale dell’Ordine a Napoli; tornato a Roma, fu rettore della Penitenzieria apostolica all’inizio del 1599. Nel frattempo era stato nominato consultore della congregazione dell’Indice (1587) e di quella del S. Uffizio (1597). A questo periodo risale comprensibilmente un rallentamento della sua attività pubblicistica, che si concentrò essenzialmente nella stesura del catechismo ufficiale della Sede apostolica, la Dichiaratione più copiosa della dottrina christiana (1598), seguita un anno dopo da una Dottrina christiana breve. Al contrario, si moltiplicarono i documenti – pareri, relazioni – da lui stilati dietro mandato delle congregazioni, del pontefice stesso o del generale Acquaviva.
Fra questo materiale si segnala per interesse quello relativo ai lavori della commissione speciale istituita da Gregorio XIV, e affidata al cardinale Marco Antonio Colonna, per risolvere la questione della Vulgata personalmente riveduta da Sisto V e uscita nel maggio del 1590 per i tipi della Tipografia vaticana con almeno un centinaio di errori sostanziali e innumerevoli variazioni di forma. Bloccata la distribuzione e ritirate capillarmente le copie già circolanti, il testo venne purgato dalla commissione nell’estate del 1591 e ripubblicato l’anno successivo – è la cosiddetta Vulgata sisto-clementina – con una prefazione scritta da Bellarmino nella quale era attribuita allo stesso defunto papa la decisione di abrogare la prima edizione a causa di presunti «vizi di stampa».
Dell’elevazione di Bellarmino al cardinalato si prospettarono le prime possibilità già nel 1594. Secondo il cardinale Mariano Pierbenedetti furono allora nemici interni all’Ordine a impedire il buon esito della faccenda, di per sé assai delicata visto che le Costituzioni della Compagnia proibivano di accettare cariche ecclesiastiche. Il primo cardinale gesuita, Francisco de Toledo, aveva in effetti rotto ogni relazione con i confratelli. La morte di quest’ultimo, nel settembre del 1596, riaccese comunque le speranze: dal gennaio del 1597 Bellarmino, tornato da Napoli, fu di fatto il principale consigliere teologico di Clemente VIII, che seguì anche nel viaggio per la presa di possesso di Ferrara dopo la morte di Alfonso II d’Este, fra il maggio e il dicembre 1598. La porpora gli fu infine concessa nel concistoro del 3 marzo 1599, con l’assegnazione del titolo presbiteriale di S. Maria in Via. Nei mesi successivi il nuovo cardinale fu ascritto come membro alle congregazioni del S. Uffizio, De auxiliis e dell’Indice; nel 1605 ai Riti e a Propaganda fide. Il suo stile di vita non cambiò però di tanto: le testimonianze raccolte per il processo canonico attestano che proseguì a dimorare all’interno delle strutture del Collegio romano, con frugalità, senza concedere donativi ai parenti né chiamandoli presso di sé.
L’autorevolezza intellettuale di Bellarmino e il suo ascendente su Clemente VIII ebbero naturalmente un notevole peso sulle scelte teologiche della Curia romana. Casi celebri furono l’abrogazione, dietro suo consiglio, della cattedra di teologia platonica della Sapienza, decisa dal papa subito dopo la morte del titolare, Francesco Patrizi, nel 1597, e la condanna di Giordano Bruno sulla base di un elenco di otto proposizioni estrapolate dai suoi scritti che fu stilato da Bellarmino nel gennaio 1599.
La vicenda più difficile fu quella della controversia de auxiliis, nella quale, in merito ai modi d’azione della grazia divina, si confrontavano l’ortodossia tomista domenicana e il molinismo professato dai gesuiti, e nella quale il cardinale non risparmiò energie per evitare la condanna del proprio Ordine. Con l’ingresso a pieno titolo nella congregazione appositamente istituita sulla questione egli trasformò infatti quello che fino ad allora era stato un processo a carico della Concordia di Luís de Molina in un contraddittorio fra due tesi opposte. Un memoriale fu consegnato da Bellarmino al papa tra il dicembre del 1601 e il gennaio del 1602, con il suggerimento di quella che sarebbe stata poi la soluzione adottata da Paolo V, la sospensione del dibattimento.
I rapporti fra Bellarmino e Clemente VIII si incrinarono in realtà in tempi piuttosto rapidi. Un memoriale sulla riforma della Chiesa centrato sull’annosa questione della selezione e della residenza dei vescovi, il De officio primario Summi pontificis, risalente all’autunno del 1600, suscitò l’irritazione del pontefice. Il 20 gennaio 1602 si ebbe tra i due un violento alterco in merito alla controversia de auxiliis. Il 21 aprile di quell’anno Bellarmino fu allontanato da Roma con la consacrazione ad arcivescovo di Capua, dove si trattenne fino alla morte di papa Aldobrandini, il 3 marzo 1605. Dopo il brevissimo pontificato di Leone XI (1-27 aprile), al conclave che si aprì l’8 maggio e si concluse con l’elezione di Paolo V si raccolsero sul suo nome quattordici voti, in particolare per iniziativa dei cardinali Farnese, Acquaviva e Sfondrati.
Ai primi anni del pontificato Borghese risalgono le grandi dispute sostenute da Bellarmino davanti all’opinione pubblica europea. Nel 1606 fu incaricato dal papa di esplicitare le ragioni del breve che proibiva ai cattolici inglesi di pronunciare il giuramento di fedeltà alla Corona imposto da re Giacomo I dopo la Congiura delle polveri. Ne seguì un duro scambio di scritture con il sovrano sui reciproci limiti dell’autorità spirituale e temporale. Nello stesso 1606 Bellarmino fu anche impegnato dalla controversia sull’Interdetto di Venezia, stilando cinque opuscoli contro il collegio dei teologi della Repubblica guidato da Paolo Sarpi. Nel 1610, infine, riprese la tesi del potere indiretto con un De potestate Summi pontificis in rebus temporalibus, in risposta al De potestate papae del giurista cattolico William Barclay. Il testo fu condannato al rogo dal Parlamento di Parigi nel novembre di quell’anno, nel clima acceso che fece seguito all’assassinio di Enrico IV. Solo l’intervento della regina madre, Maria de’ Medici, determinò la sospensione del provvedimento.
La questione per la quale il cardinale Bellarmino è stato più a lungo ricordato dalla storiografia novecentesca, e cioè la condanna del copernicanismo, fu un episodio senza dubbio minore nella sua biografia. Sappiamo che già a Lovanio, nel commentare la Summa, egli si era discostato dall’ortodossia tolemaica dichiarandosi a favore della fluidità dei cieli e del libero moto dei pianeti. Nell’aprile del 1611, poi, aveva scritto agli astronomi del Collegio romano, all’epoca coordinati da Christoph Clavius, per avere il loro parere sulle scoperte astronomiche descritte da Galileo Galilei nel Sidereus nuncius. Allorché i domenicani di Firenze denunciarono la teoria copernicana e consegnarono al S. Uffizio la Lettera a Benedetto Castelli di Galilei, archetipo della più nota Lettera a Cristina di Lorena e implicitamente indirizzata a Bellarmino per proporre un’ermeneutica biblica fondata sulla distinzione tra scienza e fede, il cardinale dovette occuparsi del caso. Lo fece con una celebre lettera indirizzata, il 12 aprile 1615, al padre carmelitano Paolo Antonio Foscarini, che gli aveva inviato copia della sua Lettera sopra l’opinione de’ pittagorici, e del Copernico in cui avanzava l’arrischiata ipotesi di un’esegesi eliocentrica di alcuni passi biblici. La lettera, nella quale il cardinale si rivolgeva anche a Galilei, riaffermò l’antico approccio ‘ipoteticista’ alla descrizione dei cieli, per il quale compito del matematico era semplicemente quello di fornire ipotesi sul moto dei corpi celesti, senza pretendere di descriverne la realtà. Questo punto di vista venne puntualmente adottato un anno dopo, il 5 marzo del 1616, con la messa all’Indice del De revolutionibus di Copernico e la successiva espunzione da esso dei passaggi che prefiguravano un’interpretazione realista della teoria eliocentrica. Al 26 maggio successivo, invece, risale la scrittura privata consegnata a Galilei in cui il cardinale attestava che questi non era stato costretto all’abiura delle proprie tesi, ma solo informato del provvedimento di censura.
Degli ultimi anni di vita di Bellarmino restano, oltre al materiale prodotto in seno alle congregazioni, sei volumetti di spiritualità pubblicati con cadenza annuale fra il 1615 e il 1620, dei quali il primo e più noto, il De ascensione mentis in Deum per scalam rerum creatarum, riprende il tema bonaventuriano della contemplazione di Dio attraverso le opere del creato.
Morì il 17 settembre 1621 a Roma presso il noviziato di S. Andrea al Quirinale, circondato dalla devozione degli alunni del Collegio romano.
Promosso dalla Compagnia di Gesù già poco dopo la sua morte, nel 1622, il processo di canonizzazione di Bellarmino ebbe un’eccezionale durata, a causa delle numerose interruzioni subite in sede di dibattito nella congregazione dei Riti, dovute sia all’associazione del suo nome alla tesi della sovranità indiretta del papa sui regimi politici sia alle polemiche fra i gesuiti e i loro oppositori interni alla Chiesa. Il processo si concluse finalmente tre secoli dopo, con la beatificazione nel 1923, la canonizzazione nel 1930 e la proclamazione a dottore della Chiesa nel 1931.
Opere. La prima raccolta, incompleta (Venezia 1721-1728), reca i titoli delle singole opere. L’edizione più esaustiva sono gli Opera omnia ex editione Veneta, pluribus tum additis, tum correctis, a cura di J. Fèvre, Parisiis, 1870-1874. L’elenco completo delle ristampe e delle traduzioni in C. Sommervogel, Bibliothèque de la Compagnie de Jésus, I, Bruxelles-Paris, 1890, pp. 1151-1254. Institutiones linguae Hebraicae, Romae 1578; De translatione imperii Romani a Graecis ad Francos, Antverpiae 1584; Iudicium de libro, quem Lutherani vocant, Concordiae, Ingolstadii 1585; Responsio ad praecipua capita apologiae, quae falso catholica inscribitur, pro successione Henrici Navarreni, in Francorum regnum, Romae 1586 (con lo pseudonimo di Franciscus Romulus); Disputationes de controversiis christianae fidei adversus huius temporis haereticos, Ingolstadii, D. Sartorius, 1586-1593 (II ed. rivista, Venetiis 1599); Dichiaratione più copiosa della dottrina christiana, Roma 1603 (una versione abbreviata è pubblicata come Dottrina cristiana breve, Feltre 1621); Dichiaratione del Simbolo, Roma 1604; Risposta a due libretti; uno de’ quali s’intitola: Risposta d’un dottore di teologia […] sopra il Breve di censure della Santità di Paolo V publicate contra li signori Venezziani, e l’altro Trattato e resoluzione sopra la validità delle scommuniche di Gio. Gersone teologo e cancellier parisino, Roma 1606; Risposta al trattato de i sette teologi di Venezia sopra l’interdetto della Santità di Nostro Signore papa Paolo quinto, ed alle opposizioni di f. Paolo servita, Roma 1606; Recognitio librorum omnium, Romae 1607; Apologia pro responsione sua ad librum Iacobi Magnae Britanniae regis, cuius titulus est, Triplici nodo triplex cuneus, Romae 1609; Responsio ad librum inscriptum, Triplici nodo triplex cuneus, Coloniae 1609 (con lo pseudonimo di Matthaeus Tortus); Tractatus de potestate Summi pontificis in rebus temporalibus. Adversus Gulielmum Barclaium, Romae 1610; In omnes Psalmos dilucida explanatio, Romae 1611; Admonitio ad episcopum Theanensem, nepotem suum, quae necessaria sint episcopo qui vere salutem suam aeternam in tuto ponere velit, Parisiis 1612; Examen ad librum falso inscriptum Apologia cardinalis Bellarmini pro iure principum, Romae 1612; De scriptoribus ecclesiasticis liber unus…, Romae 1613; Conciones habitae Lovanii ante annos circiter quadraginta, Coloniae Agrippinae 1615; De ascensione mentis in Deum per scalas rerum creatarum, Romae 1615; De aeterna felicitate sanctorum libri quinque, Romae 1616; De gemitu columbae, sive de bono lacrymarum libri tres, Romae 1617; De septem verbis a Christo in cruce prolatis libri II, Romae 1618; De officio principis christiani libri tres, Romae 1619; De arte bene moriendi libri duo, Romae 1620.
Opere postume. Epistolae familiares, a cura di I. Fuligatti, Romae 1650; Bellarmin avant son cardinalat, 1542-1598. Correspondance et documents, a cura di X.-M. Le Bachelet, Paris 1911 (oltre all’epistolario precedente il 1599 si segnala la breve autobiografia redatta nel 1613, pp. 438-466); Auctarium Bellarminianum. Supplément aux Oeuvres du Cardinal Bellarmin, a cura di X.-M. Le Bachelet, Paris 1913 (in buona parte si tratta di pareri e resoconti stesi quale consultore e membro di diverse congregazioni; l’unico testo concepito per la pubblicazione è lo Hieratikón dôron, composto nel 1604 per replicare al Basilikón dôron di Giacomo I Stuart, pp. 209-256); S. Tromp, Tractatus S. Roberti Bellarmini iuvenis de praedestinatione, in Gregorianum, XIV (1933), pp. 248-268; Id., Auctarii auctaria. Addenda quaedam ad Auctarium Bellarminianum, a cura di X.-M. Le Bachelet, ibid., XV (1934), pp. 132-139; Id., De Bellarmini indice haereticorum Treviris reperto, ibid., pp. 187-214; Id., Auctarii auctaria II. Addenda quaedam ad Auctarium Bellarminianum Patris X.M. Le Bachelet, in Archivum historicum Societatis Iesu, IV (1935), 234-252; S. Roberti Bellarmini liber de locis communibus continens tractatum primum de R. Pontifice, a cura di X.-M. Le Bachelet, Romae, 1935; Opera oratoria postuma, adiunctis documentis variis ad gubernium animarum spectantibus, a cura di S. Tromp, Romae, 1942-1969 (omelie e allocuzioni tenute fra il 1598 e il 1621); Sententiae d. Michaelis Baii doctoris Lovaniensis a duobus pontificibus damnatae et a Roberto Bellarmino refutatae, in G. Galeota, B. contro Baio a Lovanio. Studio e testo di un inedito bellarminiano, Roma 1966, pp. 169-388; The Louvain Lectures (lectiones Lovanienses) of Bellarmine and the Autograph Copy of his 1616 Declaration to Galileo, a cura di U. Baldini - G.V. Coyne, Città del Vaticano 1984 (stralci delle relectiones di Lovanio e l’autografo dell’attestato di non incriminazione rilasciato a Galilei nel maggio del 1616); M. Biersack, Initia Bellarminiana. Die Prädestinationslehre bei Robert Bellarmin SJ bis zu seinen Löwener Vorlesungen 1570-1576, Stuttgart 1989 (altri stralci delle relectiones di Lovanio sulla I e la I-II della Summa theologiae); P. Godman, The saint as censor. Robert Bellarmine between Inquisition and Index, Leiden 2000 (i pareri conservati nell’Archivio della Congregazione per la Dottrina della fede).
Fonti e Bibl.: La maggior parte dei manoscritti di Bellarmino pubblicati nelle edizioni ora citate è conservata a Roma, Archivum Romanum Societatis Iesu e nell’Archivio della Pontificia Università Gregoriana. I due più importanti corpi testuali ancora per la maggior parte inediti restano gli autografi delle relectiones di Lovanio (Lectiones Lovanienses), conservati in Archivum Romanum Societatis Jesu, Opp. NN., 234-237 (1569-76), e l’epistolario dal 1599 al 1621, Opp. NN., 240-250. Di entrambi si ha la copia dattiloscritta in Archivio della Pontificia Università Gregoriana, Fondo Roberto Bellarmino, rispettivamente 2419-30 e 1601-36. Il testo completo, apografo, delle relectiones tenute al Collegio romano fra il 1576 e il 1588 in Biblioteca apostolica Vaticana, Vat. lat., 6613-6617. Altre copie parziali sono conservate in diverse biblioteche europee, elencate in S. Tromp, Conspectus chronologicus praelectionum quas habuit S. Robertus Bellarminus in Collegio S.I. Lovaniensi et Collegio Romano, in Gregorianum, XVI (1935), pp. 97-105. In Archivum Romanum Societatis Jesu, Fondo Roberto Bellarmino, e Archivio della Pontificia Università Gregoriana, Archivio della Postulazione generale della Compagnia di Gesù, 427-550, è conservato il materiale relativo al processo di beatificazione e canonizzazione.
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