SERGIO I, santo
Secondo il Liber pontificalis, unica fonte di informazioni su di lui, S. nacque a Palermo. Il padre Tiberio era di origine sira, della regione d'Antiochia; è probabile che la famiglia si fosse trasferita in Sicilia per sfuggire all'invasione degli Arabi, che avevano conquistato Antiochia nel 636/637. Sotto papa Adeodato, il giovane S. venne a Roma, ove fu accolto nel clero e ricevette l'educazione superiore nella "schola cantorum". Nel 680 circa S. divenne accolito; poi, da papa Leone II, anch'egli di origine siciliana, fu ordinato presbitero del titolo di S. Susanna, una chiesa che S. continuò a beneficare anche da papa. Sempre il Liber pontificalis mette in rilievo che, da presbitero, S. si sarebbe impegnato nel servizio liturgico delle chiese cimiteriali, progressivamente abbandonate dal VI secolo data l'insicurezza regnante nelle zone suburbane. Forse è suo un graffito autografo nella cripta di S. Cornelio sulla via Appia che reca appunto "Sergius presbyter" (Inscriptiones Christianae urbis Romae. Nova series, IV, nr. 9373a). Dopo il breve pontificato di Conone, che, come S., era stato educato in Sicilia, due candidati si contesero la sua successione: l'arcipresbitero Teodoro, appoggiato dal ceto militare romano e già candidato nella precedente elezione, e l'arcidiacono Pasquale. Per superare la situazione di crisi che vedeva i due contendenti barricati in due diversi quartieri del Palazzo Lateranense e senza nessuna intenzione di cedere, una parte dell'elettorato, soprattutto la fazione dei presbiteri, si riunì nel palazzo imperiale sul Palatino presentando la candidatura di S., che fu eletto nella cappella di S. Cesareo e introdotto con la forza nel Palazzo Lateranense. Dato che tra i diretti predecessori di S. vi erano stati Giovanni V, un siro della provincia d'Antiochia, i due siciliani Agatone e Leone II, e Conone educato in Sicilia, si può presumere che S. avesse potuto contare, entro il clero romano, su un forte schieramento di connazionali, che forse gli avevano agevolato la rapida carriera. Mentre l'arcipresbitero Teodoro lo riconobbe subito papa, l'arcidiacono Pasquale si rivolse all'esarca, invocandone il soccorso. Questi, giunto inatteso a Roma, vedendo che l'elettorato romano si era ormai messo d'accordo sulla persona di S., costrinse il papa eletto a consegnargli, prima della conferma ufficiale, le 100 libbre d'oro che gli erano state promesse da Pasquale, ancora vivo Conone, in cambio del suo appoggio. Soltanto dopo la consegna della somma richiesta, ottenuta con il pignoramento delle preziose corone e dei càntari offerti dai credenti alla confessio di S. Pietro, S. fu ordinato papa il 15 dicembre del 687, quasi tre mesi dopo la morte del suo predecessore. L'esperienza negativa fatta con le autorità bizantine all'inizio del suo pontificato è forse all'origine di una delle prime azioni note di S., cioè la traslazione delle reliquie di papa Leone I dalla precedente sepoltura nel portico di S. Pietro ad un apposito oratorio nel transetto meridionale della basilica (28 giugno 688), probabilmente per facilitare il culto del suo grande predecessore, strenuo difensore dell'ortodossia e del primato della Chiesa di Roma. Questo evento, ricordato da una iscrizione esaugurale in distici (ibid., II, nr. 4148), assume un significato programmatico se considerato nell'ottica dell'atteggiamento assunto da S. nei confronti dell'imperatore Giustiniano II dopo il concilio detto Quinisextum o Trullanum, celebrato a Costantinopoli nel 691-692 per deliberare sui canoni disciplinari da aggiungere ai decreti dei concili ecumenici V (553) e VI (680-681), che si erano limitati ad affrontare questioni di carattere teologico. Il comportamento tenuto dalla legazione della Sede di Roma al Trullanum è oggetto di discussione: secondo il Liber pontificalis, i legati romani (i loro nomi non vengono indicati), ingannati, avrebbero sottoscritto gli atti del concilio, e sarebbero stati in seguito sconfessati dal papa. Tuttavia le loro sottoscrizioni mancano nei protocolli. È, quindi, possibile che il pontefice fosse stato rappresentato dai metropoliti dell'Illyricum orientale, che allora appartenevano ancora alla giurisdizione ecclesiastica di Roma e che in effetti firmarono gli atti del concilio. Quando, nel 693, l'imperatore mandò a Roma sei copie degli atti, sottoscritti da lui, dai patriarchi di Costantinopoli, Alessandria ed Antiochia e dagli altri metropoliti e vescovi orientali, chiedendo al pontefice di apporre la sua firma, S. si rifiutò, poiché, sempre secondo il Liber pontificalis, alcuni canoni promulgati al concilio non erano conformi alla tradizione della Chiesa romana, né era stata rispettata l'antica procedura sinodale. I canoni in contrasto con la tradizione di Roma erano i seguenti: 1) conferma dell'anatema a papa Onorio; 2) dichiarazione di validità degli ottantacinque canoni apostolici, mentre l'Occidente ne riconosceva soltanto cinquanta; 13) divieto di chiedere, prima dell'ordinazione sacerdotale, una promessa di celibato ai chierici sposati; 36) conferma delle delibere dei concili del 381 e del 451, che riconoscevano al patriarca di Costantinopoli le stesse prerogative d'onore spettanti al papa; 55) divieto del digiuno del sabato; 82) divieto di rappresentare Cristo nella forma dell'Agnus Dei. In un primo momento, l'imperatore convocò a Costantinopoli il vescovo di Porto, Giovanni, legato apostolico al concilio del 680-681 e il "consiliarius apostolicae sedis" Bonifacio; poi inviò a Roma il protospatario Zaccaria con il compito di condurre con la forza il papa nella capitale dell'Impero. Alla luce della sorte di papa Martino I, che aveva pagato la sua ferma opposizione alla politica religiosa di Costante II con un processo umiliante a Costantinopoli e la morte in esilio a Cherson (653-654), la situazione di S. sembrava preoccupante. E però, di fronte alla ribellione dell'esercito di Ravenna e della Pentapoli accorso a Roma in difesa del pontefice ed entrato nel Palazzo Lateranense, a Zaccaria non restò che cercare scampo, rifugiandosi sotto il letto del papa, che riuscì a placare gli animi dei soldati, salvando così la vita dell'inviato imperiale, che fu espulso con ignominia dalla città. Dal momento che Giustiniano II venne deposto nel 695, la rivolta italiana contro l'inviato imperiale non provocò ritorsioni contro Sergio. Al suo pontificato viene attribuita una moneta d'argento (frazione di siliqua) della zecca di Roma, del primo impero di Giustiniano II (685-695), che reca il monogramma di S. ed è la prima moneta controfirmata da un papa. Non si sa se si tratti di una prima espressione di autonomia pontificia, da collegare con la rivolta contro Zaccaria, oppure se sia da attribuire ad una delega imperiale sul piano monetario (il che sarebbe più plausibile). Non vi sono notizie sui rapporti tra S. e i successori dell'imperatore Giustiniano II, Leonzio (695-698) e Tiberio III (698-705). Da vari elementi si può dedurre che, durante il suo pontificato, si sia avuta una certa affermazione della Sede apostolica in Italia e nell'Europa occidentale: in quegli anni, infatti, con l'approvazione del secondo Apologeticum del vescovo Giuliano di Toledo, il cui testo fu mandato all'imperatore per conoscenza (688), furono annullati gli ultimi disaccordi dottrinali con la Chiesa spagnola. Dieci anni dopo, per ordine del re longobardo, Cuniperto, furono inviati al papa, perché li approvasse, gli atti del sinodo pavese, che si era pronunziato a favore della condanna dei Tre Capitoli. In tal modo fu chiuso lo scisma che per oltre un secolo aveva separato una parte dell'episcopato longobardo dalla Chiesa di Roma. Analogamente, con l'ordinazione a Roma dell'arcivescovo di Ravenna Damiano (27 febbraio 693) ad opera del papa furono cancellate le aspirazioni all'autocefalia dei prelati della capitale politica dell'Italia bizantina. Il predecessore di Damiano, Teodoro, consacrato a Ravenna dai suoi suffraganei, era tornato all'ubbidienza romana sotto il pontificato di Leone II. Ma il nome di S. è legato in particolare alla storia della Chiesa inglese. Infatti, egli è spesso menzionato nelle cronache medievali inglesi, da Beda il Venerabile a Guglielmo di Malmesbury: anche se non tutte le lettere tramandate sotto il suo nome da quest'ultimo sono autentiche, sono comunque ben documentati i suoi rapporti con gli esponenti più ragguardevoli della vita ecclesiastica e monastica dell'isola, molti dei quali durante il suo pontificato si recarono a Roma. Alla vigilia di Pasqua del 689 (10 aprile) Cædwalla, il re del Wessex che, gravemente ferito in combattimento, aveva abdicato dopo due anni di regno, fu battezzato a S. Pietro dal pontefice, che gli impose il nome di Pietro. Dieci giorni dopo Cædwalla morì e fu sepolto nella basilica ove l'evento fu ricordato da una iscrizione funeraria visibile nel XVI secolo, e il cui testo si conserva tuttora. Come i suoi predecessori Agatone e Benedetto II, S. intervenne nel contenzioso tra i vescovi Teodoro di Canterbury e Wilfrido di York, a favore di quest'ultimo. Nel 693 egli diede il pallium all'arcivescovo Bertaldo di Canterbury, che era stato ordinato (29 giugno) dal vescovo di Lione. È probabile che S. abbia rilasciato un privilegio a favore di Aldelmo, abate dei SS. Pietro e Paolo di Malmesbury (circa 695), che aveva visitato Roma in quel periodo e, a richiesta dell'abate di Wearmouth e Jarrow, Ceolfrido, il quale gli aveva mandato una delegazione composta di monaci della sua abbazia, abbia confermato il privilegio emanato a favore del monastero nel 679 da papa Agatone. Anche l'abate Hwaetberto, successore di Ceolfrido, avrebbe studiato a Roma sotto il pontificato di Sergio. Infine, Willibrord (658-739), l'apostolo dei Frisoni, si recò a Roma due volte durante il suo pontificato. Dietro richiesta di Pipino di Herstel, bisnonno di Carlomagno e promotore politico di questa missione, il papa lo ordinò arcivescovo dei Frisoni il 21 novembre del 695 a S. Cecilia in Trastevere. Sono invece tarde e incerte le leggende che riconoscono in S. il papa cui un angelo avrebbe annunziato il martirio di s. Lamberto, vescovo di Maastricht-Tongerloo, e al quale si dovrebbe la consacrazione del successore di questi, s. Uberto. Infatti, questi eventi ebbero luogo soltanto nel 703 o nel 705, e perciò alcuni anni dopo la morte di Sergio. Nella città di Roma S. si mostrò attivo sia sul piano dottrinale e liturgico, sia su quello edilizio: sotto il suo pontificato era stata terminata la traduzione latina degli atti del VI concilio (iniziata a Roma nell'estate del 682, sotto Leone II) e depositata nel "patriarchium sancte ecclesie Romane"; nell'ordine del messale romano introdusse l'Agnus Dei (di origine orientale) e, sempre secondo la tradizione bizantina, rafforzò il culto mariano, istituendo delle processioni da S. Adriano a S. Maria Maggiore durante le quattro feste principali: Purificazione (2 febbraio), Annunciazione (25 marzo), Assunzione (15 agosto) e Natività (8 settembre). Inoltre, avendo trovato a S. Pietro una preziosa reliquia - ormai dimenticata - della Croce, istituì nella basilica lateranense la celebrazione dell'Esaltazione della Croce. Durante il suo pontificato durato tredici anni, uno dei più lunghi del VII secolo, S. si impegnò nel restauro e nella decorazione delle chiese romane: in modo particolare favorì S. Pietro con preziose donazioni (un'immagine d'oro dell'apostolo, una pesante patena d'oro, turiboli, candelabri d'argento, veli da appendere intorno all'altare e un baldacchino sopra la cattedra) e restauri del portico, degli edifici circostanti e del mosaico sulla facciata della basilica (Le Liber pontificalis, I, p. 374). A S. Paolo fece restaurare le immagini degli apostoli e riparò il tetto con travi provenienti dalla Calabria (ibid., p. 375). Importanti restauri e donazioni sono menzionati per i SS. Cosma e Damiano e S. Susanna, la sua chiesa presbiteriale, e altri lavori furono eseguiti a S. Eufemia (chiesa devozionale del "vicus patricius" presso S. Pudenziana), S. Aurea ad Ostia, S. Andrea in via Labicana e nell'oratorio di S. Paolo presso i SS. Vincenzo ed Anastasio "ad Aquas Salvias" sulla via Laurentina (ibid., pp. 375-76). In particolare nella chiesa dei SS. Cosma e Damiano costruì un ambone e un ciborio e restaurò il tetto dell'edificio circolare che costituisce il vestibolo d'ingresso alla basilica. Nella chiesa di S. Susanna, definita per la prima volta anche con la denominazione "Duas Domos" (ibid., p. 371), S. sostituì il ciborio di legno con uno di marmo; inoltre il testo della bolla papale con l'elenco dei donativi offerti alla chiesa venne riportato su un'epigrafe che fu letta nel XVI secolo e di cui rimane solo un frammento (A. Silvagni, Monumenta, tav. XII, 3), un esempio di "charta lapidaria". La chiesa di S. Andrea è probabilmente da identificare con quella menzionata nella biografia di Gelasio, sempre sulla via Labicana, ma di incerta localizzazione (Le Liber pontificalis, I, p. 255). Da ricordare inoltre la donazione di "arcos argenteos" a S. Lorenzo in Lucina (ibid., p. 376). Dal momento che S. aveva introdotto nella liturgia romana l'Agnus Dei e si era rifiutato di firmare gli atti del "Trullanum", il cui canone 82 proibiva la rappresentazione di Cristo sotto forma dell'agnello, alcuni studiosi gli attribuiscono la committenza del mosaico con l'Agnello apocalittico nell'arco dei SS. Cosma e Damiano (G. Matthiae) e di quello simile, conservato soltanto in un disegno del XII secolo, sulla facciata dell'antica basilica di S. Pietro (H. Grisar). Tuttavia, essendo questo motivo diffuso in Italia già dal sec. V, in genere tali attribuzioni non sono state accolte favorevolmente. È comunque interessante notare che, durante scavi recenti, anche a S. Susanna sono stati trovati frammenti di pittura dell'VIII secolo, o forse anche più antica, con l'iscrizione "Ecce agnus dei, ecce qui tollit peccata mundi" (A. Bonanni). S. morì a Roma il 7 settembre del 701 e fu sepolto nel portico della basilica di S. Pietro. Sotto questa data il suo nome ("Sergius papa") è inserito nel calendario di Willibrord (Paris, Bibliothèque Nationale, Paris. lat. 10837), il che fa pensare che già poco tempo dopo la morte sia stato considerato santo. Fonti e Bibl.: Willelmi Malmesburiensis monachi De gestis pontificum Anglorum libri quinque, a cura di N.E.S.A. Hamilton, London-Oxford 1870, pp. 46, 52-5, 235, 334 s., 346, 364-70; Carmen de synodo Ticinensi, a cura di L. Bethmann, in M.G.H., Scriptores rerum Langobardicarum et Italicarum saec. VI-IX, a cura di G. Waitz, 1878, p. 191; Regesta Pontificum Romanorum, a cura di Ph. Jaffé-G. Wattenbach-S. Loewenfeld-F. Kaltenbrunner-P. Ewald, I, Lipsiae 1885, pp. 244 s.; II, ivi 1888, p. 699; Le Liber pontificalis, a cura di L. Duchesne, I, Paris 1886, pp. 371-82; III, a cura di C. Vogel, ivi 1957, pp. 97 s.; H.A. Wilson, The Calender of St. Willibrord from Ms. Paris. 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