SILVERIO, santo
Figlio di papa Ormisda, S. nacque a Frosinone. Alla morte del padre, nel 523, ne compose l'epitaffio, oggi perduto, che celebrava la ricomposizione dello scisma fra gli ultimi sostenitori di Lorenzo e quelli di Simmaco, i tentativi di riconciliazione con l'Oriente e il ritorno dell'Africa alla libertà. Non è noto se all'epoca S. fosse già entrato nel clero, poiché sull'iscrizione non porta alcun titolo, ma quando giunse la notizia della morte di Agapito, avvenuta a Costantinopoli il 22 aprile 536, era suddiacono della Chiesa di Roma. Il pontificato di S., seppur breve, pone particolari difficoltà nell'uso delle fonti. Gli storici concordano nel riconoscere l'apporto di almeno due autori (L. Duchesne), forse tre (F. Savio, H. Hildebrand), nella notizia del Liber pontificalis dedicata a questo papa. Il primo, contemporaneo agli eventi narrati, è fortemente ostile al papa, portato al pontificato dal potere goto, e ripercorre la vita di S. fino alla sua deposizione. Il secondo ha composto presumibilmente il suo testo sotto il pontificato di Vigilio (L. Duchesne) o di Pelagio I (F. Savio), in una prospettiva di distanza temporale dagli eventi e nel contesto della controversia dei Tre Capitoli: trapela un violento astio nei confronti di Vigilio che l'indurrebbe a presentare S. come una sua vittima. Il terzo autore dovrebbe essere un compilatore, attivo sotto il pontificato di Pelagio II o di Onorio I (H. Hildebrand), che ha fuso le due parti della notizia senza coglierne le reciproche contraddizioni. I resoconti dei cronisti africani Liberato di Cartagine e Vittore di Tunnuna, che risentono del clima del dibattito sui Tre Capitoli, riflettono il punto di vista del secondo autore del Liber pontificalis, e lo stesso vale per lo storico carolingio Paolo Diacono. Procopio di Cesarea, il quale evoca la figura di S. sia narrando la guerra contro i Goti che negli Anecdota, è il solo testimone a mantenere un'indipendenza di giudizio, tanto più significativa essendo lo storico presente a Roma nel 536-537. La sua versione dei fatti è ripresa dalla cronaca del conte Marcellino, e se ne ritrova lo spirito nella testimonianza originale, ma molto tarda, del cronista Landolfo Sagace. Il tentativo di discernere tra verità e leggenda nella triste storia di papa S. appare un'impresa abbastanza infruttuosa: è invece più produttivo passare in rassegna le diverse fonti, senza esitare a metterne in luce le contraddizioni. Morto Agapito, S. fu elevato al soglio pontificio l'8 giugno dello stesso anno, senz'altro prima dell'arrivo a Roma delle spoglie del papa, che venne sepolto a S. Pietro in Vaticano solo il 20 settembre. Il cronista del Liber pontificalis assicura che re Teodato impose la candidatura di S., suscitando un diffuso malumore tra il clero, reazione verosimile a causa del rango modesto del candidato nella gerarchia ecclesiastica. In effetti, per la prima volta un suddiacono accedeva al pontificato. Il cronista aggiunge che fu lo stesso S. a prendere l'iniziativa, offrendo denaro, e precisa che, contrariamente alla consuetudine, la consacrazione ebbe luogo prima che l'assemblea del clero approvasse il decreto d'elezione. L'accusa di simonia è ricorrente nelle elezioni romane del VI secolo, ma ciò non pregiudica l'autenticità dell'informazione. Dopo lo sbarco in Campania dei Bizantini al comando di Belisario e la caduta di Napoli, l'inerzia di Teodato esasperò i Goti provocando la sua deposizione e l'acclamazione di Vitige, all'inizio del mese di dicembre, in quanto Procopio precisa che Teodato era giunto al terzo anno di regno. Il nuovo re sostò brevemente a Roma, prima di partire alla volta di Ravenna per organizzarvi la difesa gota. Radunò il popolo, il Senato e il clero, rivolgendosi in particolare a S., rievocò il regno di Teoderico ed esortò tutti alla lealtà verso i Goti, prima di lasciare una guarnigione di mille uomini per difendere la città. Procopio, che riferisce l'episodio, cita S. tra i principali destinatari del discorso del re, dando così conferma dei legami tra il papa e il potere goto. Quando le armate di Belisario marciarono su Roma, gli abitanti, paventando di subire la stessa sorte dei Napoletani, decisero di aprire le porte della città alle truppe imperiali. E secondo Procopio, S., più di ogni altro, insistette per questa soluzione (Procopio, De bello gothico V, 14, 5). Fidelis, che era stato questore di Atalarico, venne incaricato di negoziare l'ingresso degli Imperiali in città, che si svolse pacificamente il 9 dicembre 536: i Bizantini entrarono dalla porta Asinaria, mentre la guarnigione gota imboccava la via Flaminia in direzione di Ravenna (ibid.). Landolfo Sagace attinge da una fonte ignota la notizia che S. rimproverò a Belisario la ferocia dimostrata dalle sue truppe a Napoli e il generale, pentito, si recò in Campania in cerca di uomini con cui ripopolare Roma, ormai in parte disabitata. Con il ritorno a Roma dei Bizantini, S. divenne un protagonista della politica ecclesiastica di Giustiniano. Se l'ambasceria di Agapito a Costantinopoli si era rivelata un fallimento nel quadro delle relazioni politiche fra Goti e Bizantini, aveva rappresentato di converso per la politica pontificia un clamoroso successo, che la morte del papa non aveva intaccato. Dal 2 al 4 giugno 536 si era riunito un concilio presieduto dal patriarca di Costantinopoli Mena, allo scopo di portare a compimento l'opera di Agapito confermando le condanne contro i monofisiti. Il concilio condannò in contumacia Antimo deponendolo dalla sua sede di Trebisonda, rinnovò le condanne contro Severo di Antiochia, capo dei monofisiti, e i suoi discepoli, Pietro, già vescovo di Apamea, e il monaco Zoaras. Questa politica di repressione del monofisismo indispose l'imperatrice Teodora, la quale, come tutte le testimonianze concordano nel dire, cercò di vanificare l'opera di Agapito. Giustiniano, da parte sua, voleva almeno che la Sede apostolica fosse assegnata ad un alleato della causa imperiale. Il candidato di Costantinopoli era il diacono Vigilio, che risiedeva da diversi anni nella città imperiale. S. divenne così, forse a sua insaputa, il rivale di Vigilio. L'uso delle fonti che informano sulla politica di Vigilio fra l'aprile 536 e il marzo 537 si rivela non meno arduo di quelle riguardanti S.; sono analizzate nella notizia dedicata a questo papa ed è sufficiente sapere che è impossibile accogliere incondizionatamente l'una o l'altra versione degli eventi. Liberato afferma che, dopo la morte di Agapito, Teodora avrebbe promesso a Vigilio la Sede romana e un'ingente quantità di oro in cambio del suo impegno ad annullare il concilio (di Calcedonia) e ad entrare in comunione con Antimo di Trebisonda, Teodoro di Alessandria e Severo di Antiochia. Secondo il cronista il diacono accettò e apprese la notizia dell'elezione di S. solo all'arrivo in Italia; qui avrebbe versato una forte somma a Belisario per convincerlo a deporre il nuovo papa. Il cronista del Liber pontificalis (il secondo redattore, ostile a Vigilio e favorevole a S.) sostiene che Vigilio era ancora a Costantinopoli quando Belisario entrò a Roma trovandovi S. papa. Teodora confidava in una decisione di Roma che revocasse la condanna di Antimo e pretese da Giustiniano riparazione per il concilio del giugno 536. Giustiniano avrebbe scritto a S., su consiglio di Vigilio, chiedendogli di raggiungere Costantinopoli per restaurare Antimo nella sua sede. E S. avrebbe risposto: "Domina Augusta, mai mi renderei colpevole di questo crimine: richiamare un eretico condannato per la sua perfidia". Solo allora l'imperatrice avrebbe deciso la rovina di S., inviando Vigilio a Roma, latore di una lettera per Belisario, in cui gli intimava di deporre il papa e di sostituirlo con il diacono. Secondo questa versione Vigilio arrivò a Roma fra il dicembre 536, quando i Bizantini fecero il loro ingresso in città, e il marzo 537. È comunque accertato che Belisario non adottò immediatamente provvedimenti contro Silverio. I primi mesi del dominio bizantino trascorsero senza che vi fosse traccia di conflitti tra il generale e il papa. Durante questo periodo il papa assolse alle sue funzioni nel modo consueto, poiché nel corso del mese di dicembre procedette all'ordinazione di quattordici presbiteri e diciotto vescovi. Solo nel febbraio 537, quando le armate gote diedero inizio all'assedio di Roma, il papa fu accusato di tradimento. La voce che il papa intendesse aprire le porte alle truppe di Vitige, come già era accaduto alcuni mesi prima con i Bizantini, è riportata da tutte le fonti, seppure in termini diversi. Liberato riferisce che Belisario, consapevole dei motivi del rancore nei confronti del pontefice, cercò invano di convincerlo ad acconsentire alle richieste dell'imperatrice. S. abbandonò il Laterano, troppo vicino ad una delle porte d'accesso alla città, per stabilirsi a S. Sabina sull'Aventino. Belisario mandò il figlio Fozio a convocare il papa, il quale accettò di recarsi a palazzo con la promessa che non gli avrebbero fatto alcun male: ebbe l'opportunità di lasciare il palazzo, ma una seconda convocazione gli fu fatale e, una volta varcata quella soglia, nessuno a Roma lo rivide più. Il secondo cronista del Liber pontificalis tratteggia un drammatico resoconto della deposizione del papa, disseminato di riferimenti evangelici che lo rendono una sorta di Passio Silverii modellata sul processo di Cristo. Viene menzionata un'unica convocazione, nella "domus Pinciana", dove Belisario si era acquartierato. Al papa furono presentate alcune lettere che documentavano il suo tradimento, fabbricate, secondo Liberato, da ufficiali bizantini. Mentre tutto il seguito rimase in attesa all'esterno, S., accompagnato dal solo Vigilio, varcò la soglia del "musileum" e si trovò al cospetto di Belisario e della moglie Antonina. Dopo che gli fu rinnovata l'accusa, entrò il suddiacono Giovanni, regionario della prima regione, per togliergli il "pallium". Poi condusse S. in una stanza, dove lo spogliò delle vesti papali per rivestirlo dell'abito monastico e rinchiuderlo. Il suddiacono Sisto, regionario della sesta regione, diede l'annuncio al clero atterrito dell'avvenuta deposizione del pontefice. Secondo Liberato, Belisario convocò i presbiteri, i diaconi e tutto il clero affinché eleggessero Vigilio, ordine che venne eseguito malgrado i dubbi sulla colpevolezza di Silverio. Vigilio fu consacrato il 29 marzo 537, sebbene il Liber pontificalis lo designi come diacono fino alla morte del suo predecessore. I resoconti relativi agli ultimi mesi dell'esistenza di S. appaiono, una volta di più, discordanti. Il Liber pontificalis si limita ad annotare che Vigilio confinò S., ridotto allo stato monastico, nell'isola di Palmarola, una delle Pontine, sotto la sorveglianza di due chierici romani, dove lo nutrì del "pane delle tribolazioni e dell'acqua dell'angoscia" fino alla morte, dopo la quale venne "fatto confessore". Liberato parla di un primo esilio a Patara, in Licia, mostrando una relativa concordanza con Procopio, il quale riferisce che Belisario mandò il papa accusato di tradimento "in Grecia". Il vescovo di Patara, indignato per la sorte del pontefice, perorò la causa di S. presso Giustiniano. Si stenta a dar credito all'affermazione del cronista, il quale sostiene che l'imperatore era all'oscuro di quanto era accaduto a Roma. Malgrado le proteste del diacono Pelagio, apocrisario romano dalla fine del pontificato di Agapito, S. fu rimandato a Roma. Venne disposta un'inchiesta: se le lettere attribuite a S. si fossero rivelate false, quest'ultimo sarebbe stato reintegrato nella sua sede, mentre in caso contrario bisognava lasciare che il papa "restasse come vescovo in una qualsiasi città". Al suo ritorno in Italia S. fu consegnato a Vigilio, il quale lo bandì a Ponza dove morì di fame. Procopio, negli Anecdota, addossa la responsabilità della morte di S. ad un servitore di Antonina, Eugenes, che avrebbe affrettato la fine del prigioniero commettendo un crimine sacrilego. Da queste notizie, talvolta contraddittorie e anche inverosimili sul piano strettamente cronologico, è opportuno enucleare due elementi. Innanzitutto, l'importanza dell'accusa di tradimento mossa a S., unico tratto comune a tutte le fonti. La designazione del pontefice emanata dall'autorità reale gota (analogamente all'intervento di Teoderico dopo la morte di Giovanni II), il ruolo determinante avuto da S. nella decisione di aprire le porte ai Bizantini, la concomitanza fra l'accusa di tradimento e l'inizio dell'assedio di Roma, sono tutti tasselli di un quadro complessivo che mostra una forte coerenza interna. Procopio si sofferma soltanto sulla dimensione politica della deposizione di S., dichiarando che all'origine del provvedimento vi era l'accusa di aver avviato negoziati sleali con i Goti, in seguito alla quale Belisario lo relegò senza indugio in Grecia. L'episodio è citato tra le varie disposizioni con cui il generale intendeva garantire la sicurezza della città di Roma: insediamento di guarnigioni e di soldati a guardia delle mura, esilio dei senatori sospetti di collusioni con Vitige (Procopio, De bello gothico V, 25, 13). In questa prospettiva assumono un chiaro significato l'esilio in Oriente, il ritorno a Roma, la condanna allo stato monastico, il rapporto tra autorità secolare ed ecclesiastica. Se S. è stato riconosciuto colpevole, il passaggio dalla giurisdizione civile (per reati di tradimento) a quella ecclesiastica (dovendo giudicare un membro del clero) è perfettamente in sintonia con le consuetudini dell'epoca. La condanna ad essere confinato in un monastero è anch'essa conforme alla legislazione. La dimensione specificamente ecclesiastica della deposizione di S. ha un fondamento almeno nell'ostilità di Teodora nei suoi confronti. Alle fantasiose ricostruzioni del secondo cronista del Liber pontificalis e ai riflessi del dibattito sui Tre Capitoli che traspaiono nel racconto dell'accesso di S. al pontificato proposto da Liberato di Cartagine, si deve aggiungere la testimonianza di Procopio. Negli Anecdota, in effetti, lo storico associa implicitamente la caduta di S. alla politica dell'imperatrice, affermando che Antonina riuscì a guadagnarsi l'amicizia di Teodora grazie ai servizi che le aveva reso all'epoca dell'assassinio di S. (Anecdota I, 14, a cura di J. Haury, Leipzig 1906, p. 15). Quest'osservazione è compatibile con una lettura in chiave politica della deposizione del papa: una volta deposto S., gli subentrò Vigilio, la cui posizione tuttavia non fu interamente legittimata finché il suo predecessore rimase in vita. Le "circostanze molto pressanti" non consistono tanto nella necessità di deporre S., quanto piuttosto nell'impossibilità di mantenere in carica due persone che portavano entrambe il titolo di vescovo di Roma. La disgrazia di S. non si estese a tutta la famiglia di papa Ormisda, dato che è noto un discendente di questo pontefice ("sanguine iunctus"), Geronzio, primicerio dei notai morto nel 565, il quale esercitò le sue funzioni "pontificale decus". Non si è potuto comunque appurare quale sia il legame di parentela con S. (Inscriptiones Christianae urbis Romae, I, nr. 1098, p. 501). Nella biografia di S. non c'è alcun riferimento ad interventi edilizi realizzati dal pontefice, anche se si ricorda che "ecclesias et corpora martyrum sanctorum exterminatae sunt a Gothis" (Le Liber pontificalis, p. 291); evidentemente il pontefice non ebbe il tempo di promuovere un programma sistematico di restauro dei monumenti di cui invece si fece protagonista il suo successore, Vigilio, soprattutto per quanto riguarda i santuari suburbani. Secondo il Liber pontificalis S. fu sepolto nel luogo in cui era stato recluso e la sua tomba divenne meta di pellegrinaggio a causa dei miracoli di cui era teatro. Un culto in onore di S., che oggi è il patrono dell'isola di Ponza, è attestato a Roma a partire dal XIV secolo. La sua memoria liturgica si celebra il 20 giugno. Fonti e Bibl.: Acta Sanctorum [...], Iunii, V, Parisiis-Romae 1867³, pp. 11-2; Inscriptiones Christianae urbis Romae septimo saeculo antiquiores, a cura di G.B. de Rossi, I-II, Romae 1857-88: I, nr. 1098, p. 501 (epitaffio di Gerontius); II, nr. 15, p. 130; Paulus Warnefried diaconus, Historia Romana XVI, XVIII, in M.G.H., Auctores antiquissimi, II, a cura di H. Droysen, 1879, p. 222; Landolfus Sagax, Additamenta ad Pauli Historia Romana, ibid., pp. 373-74; Le Liber pontificalis, a cura di L. Duchesne, I, Paris 1886, pp. CCXXXI-CCXXXII (doppia redazione della notizia di S.), 290-93 (vita di S.), 297-302 (vita di Vigilio); Marcellini comitis Chronici continuatio, in M.G.H., Auctores antiquissimi, XI, a cura di Th. Mommsen, 1893, p. 105; Victor Tonnennensis episcopus, Chronica a. CCCCXLIV-DXLVII, ad a. 567, ibid., pp. 184-206; Procopius, De bello gothico I, 11, 26; 14, 4; 25, 13; V, 14, 5; 25, 13, a cura di J. Haury, Leipzig 1905; Liberatus archidiaconus Carthaginensis, Breviarium causae Nestorianorum et Eutychianorum 22, in Acta Conciliorum Oecumenicorum, II, 5, a cura di E. Schwartz, Berlin-Leipzig 1936, pp. 98-141; Procopius, Historia Arcana 27, 24, a cura di H.B. Dewing, London-Cambridge 1960, p. 324; Vittore da Tunnuna, Chronica: Chiesa e Impero nell'età di Giustiniano, a cura di A. Placanica, Firenze 1997; L. Duchesne, Vigile et Pélage. Étude sur l'histoire de l'Église romaine au milieu du VIe siècle, "Revue des Questions Historiques", 36, 1884, pp. 369-440; Id., Les papes du VIe siècle et le second concile de Constantinople. Réponse de M. l'abbé Duchesne, ibid., 37, 1885, pp. 579-93; F. Savio, Il papa Vigilio. Studio critico-storico, Roma 1904, pp. 553-64; Ch.J. Hefele-H. Leclercq, Histoire des conciles d'après les documents originaux, III, 1, Paris 1909, pp. 1-141; H. Hildebrand, Die Absetzung des Papstes Silverius (537), "Historisches Jahrbuch", 42, 1922, pp. 213-42; O. 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Markus, La politica ecclesiastica di Giustiniano e la chiesa d'Occidente, in Il mondo del diritto nell'epoca giustinianea: caratteri e problematiche, a cura di G.G. Archi, Ravenna 1985, pp. 113-24; A. Cameron, Procopius and the Sixth Century, London-New York 1985, pp. 49-66, per una migliore valutazione degli Anecdota; C. Sotinel, Les Églises et la reconquista byzantine, in Histoire du Christianisme, III, a cura di L. Pietri, Paris 1998, pp. 723-26. V. anche i seguenti lemmi: E.C., XI, s.v., coll. 593-94; Dictionnaire de théologie catholique, XIV, 2, Paris 1941, s.v., coll. 2065-67; Lexikon für Theologie und Kirche, IX, Freiburg 1964², s.v., col. 757; V. Monachino, Silverio, in B.S., XI, coll. 1069-72; J.N.D. Kelly, The Oxford Dictionary of Popes, New York 1986, s.v., pp. 59-60; Dizionario storico del Papato, a cura di Ph. Levillain, II, Milano 1996, pp. 1577-78. Traduzione di Maria Paola Arena.