SILVESTRO I, santo
Il pontificato di S. si estende dal 31 gennaio del 314 al 31 dicembre del 335: questi i dati che si ricavano dal Catalogo Liberiano e dalla Depositio episcoporum (relativamente alla sola data di morte), mentre le indicazioni del Liber pontificalis, nr. 34, sono insufficienti, e si devono considerare erronee le date del Chronicon eusebiano (continuato da Girolamo nella sua versione latina per il periodo successivo al 326), che pone l'episcopato tra il 310 e il 331. Agostino (De unico baptismo 16, 27) accenna alle accuse che erano state fatte a S. e Marcello, presbiteri sotto papa Marcellino, di avere consegnato i libri sacri e di avere offerto incenso, scagionandoli. Alla stessa vicenda sembra alludere il passo di una lettera sinodale di un concilio romano che si pone fra il 379 e il 380, indirizzata agli imperatori Graziano e Valentiniano: "Nam et Sylvester papa a sacrilegis accusatus, apud parentem vestrum Constantinum causam propriam prosecutus est". S. era stato ordinato da pochi mesi quando nell'agosto del 314 si riunì ad Arles il concilio convocato dall'imperatore Costantino su richiesta dei donatisti, insoddisfatti dell'esito del concilio romano del 313 in cui era stato condannato Donato, dando ragione ai rappresentanti della gerarchia cattolica africana. A questo concilio, presieduto da Marino vescovo di Arles, S. si fece rappresentare dai presbiteri Claudiano (o Claudio) e Vito, e dai diaconi Eugenio e Ciriaco. Anche questa volta i donatisti ne uscirono sconfitti. Nella lettera sinodale inviata a S. i rappresentanti della Chiesa cattolica riuniti ad Arles rimpiangono che il papa non fosse stato presente, perché in tal caso la sentenza di condanna sarebbe stata più severa, e riconoscono come un dato di fatto che il papa non può allontanarsi dalla Sede apostolica. Si è pensato che l'assenza di S. fosse dovuta al desiderio di evitare che l'autorità del vescovo di Roma risultasse sminuita dalla partecipazione a un concilio convocato ancora una volta dall'imperatore, che doveva tornare su una condanna già pronunciata dal precedente vescovo di Roma. Di fatto però gli stessi vescovi cattolici presenti ad Arles non si dimostrarono così sensibili all'autorità del deliberato del concilio romano del 313, se riformularono la condanna dei donatisti senza nemmeno farvi cenno. Il comportamento di S. in occasione del concilio di Nicea del 325 non fu diverso da quello tenuto nei confronti del concilio di Arles. Già qualche anno prima del 325 S. era stato informato da una lettera di Alessandro di Alessandria - la notizia si legge in una lettera di papa Liberio all'imperatore Costanzo riportata da Ilario di Poitiers (Fragmenta historica, Series A VII, 4) - in cui il vescovo rendeva noto di avere espulso undici ecclesiastici seguaci delle dottrine di Ario. Una iniziativa analoga sarebbe stata quella presa dai vescovi che, riuniti ad Antiochia nel 325 per l'elezione del successore di Filogonio sulla cattedra locale, avrebbero espresso una professione di fede in senso nettamente antiariano in una lettera sinodale, pervenuta solo in versione siriaca, indirizzata ad Alessandro vescovo della Nuova Roma, cioè Bisanzio: una nota posta in calce alla lettera afferma che i vescovi riuniti in quella circostanza avrebbero scritto sullo stesso argomento ai vescovi d'Italia che dipendevano dalla Sede romana, e che questi avrebbero risposto concordando sulle decisioni disciplinari e di fede espresse ad Antiochia. Il reale svolgimento di questo sinodo antiocheno è stato oggetto di ampio dibattito: se tuttavia l'orientamento più recente è quello di ammetterlo, restano dubbi sull'autenticità della lettera sinodale. La nota storica ha però tutto l'aspetto di una aggiunta posteriore ad opera del redattore della collezione canonica, originariamente in greco e poi tradotta in siriaco, che ha trasmesso la lettera. In ogni caso nella nota non si fa alcun riferimento diretto a S., se non per il fatto che all'epoca questi reggeva la Sede romana da cui dipendevano i vescovi ai quali si erano rivolti quelli riuniti nel sinodo antiochiano. Il concilio di Nicea era stato convocato per il maggio del 325, ma S. non vi si recò. Forse non avrebbe fatto in tempo a raggiungere il luogo, dovendo attendere l'apertura della navigazione. Una spiegazione dell'assenza di S. a Nicea è espressa per la prima volta da Eusebio di Cesarea (Vita Constantini III, 7, 2), quando dice che S. non vi si poté recare per l'età avanzata: questa precisazione mette in dubbio anche i motivi per cui secondo la lettera sinodale del concilio di Arles S. non vi avrebbe partecipato. A Nicea S. si fece rappresentare dai presbiteri Vito, già inviato ad Arles, e Vincenzo, futuro vescovo di Capua: una delegazione ancora più ristretta di quella presente al concilio del 314. A quanto pare la funzione dei due presbiteri fu quella di semplici osservatori (si veda in proposito Teodoreto, Historia ecclesiastica I, 7, 3) e del resto non si ha notizia di loro interventi al concilio. Nella maggior parte delle liste dei firmatari del concilio i loro nomi compaiono dopo quello del vescovo Ossio di Cordova, citato al primo posto. A proposito di quest'ultimo, non sembra aver credito la notizia riportata da Gelasio di Cizico (Historia ecclesiastica II, 5, 3) secondo cui egli avrebbe fatto parte della delegazione papale. Per i dieci anni che seguono il concilio di Nicea fino alla morte di S., non si hanno su di lui altre notizie, se non quella della sua deposizione nel cimitero di Priscilla. La data della morte attestata dalla Depositio episcoporum il 31 dicembre è successivamente passata al Martyrologium Hieronymianum e ai martirologi occidentali: nei sinassari bizantini S. è commemorato il 2 gennaio. È difficile esprimere un giudizio sul pontificato di S., proprio in mancanza di notizie precise su iniziative e posizioni che lo caratterizzino, ma anche di critiche dei contemporanei sul suo operato. Quest'assenza può comunque dipendere dalla valutazione delle iniziative di Costantino in favore della Chiesa, che si è come riflessa, anche con toni agiografici, sul pontificato di S.: si può certo supporre che quella di S. fosse una personalità poco accentuata, e per questo messa in ombra dall'azione di Costantino in campo ecclesiastico, soprattutto per quanto riguarda l'indizione dei due concili. Non sono mancati giudizi pienamente negativi sul pontificato di S.: si è notato che del suo più che ventennale pontificato si sa meno che di quello di ogni altro papa del sec. IV (E. Caspar) e si è parlato per il suo periodo di "tempi oscuri" (Ch. Pietri). D'altra parte non convincono i tentativi di evitare simili giudizi: poco vale appellarsi al fatto che la teologia del pontificato romano non era ancora molto esplicita agli inizi del sec. IV per giustificare un comportamento non coerente con lo sviluppo di idee e di fatti solo successivi (così il curatore italiano G.D. Gordini della III ed. della Storia della Chiesa, III, 1, p. 43 n. 116). La portata simbolica del pontificato di S., in connessione con gli anni di impero di Costantino, non è tanto il riflesso di una sua azione ecclesiastica e politica, quanto il prodotto di una leggenda che su di lui si è sviluppata, consegnata a una serie di documenti che si scaglionano nell'arco di circa mezzo millennio, nei quali S. è considerato il protagonista di una vicenda, appunto ecclesiastica e politica, carica di conseguenze fino alle soglie dell'età moderna. Il documento più antico che fonda la fortuna storica e agiografica di S. sono gli Actus (o Vita, Gesta) Silvestri, una leggenda agiografica nota tanto in latino, quanto in greco, siriaco e armeno. Prima di riferire sulle ipotesi di composizione degli Actus, è opportuno darne un sunto schematico, secondo la redazione attualmente più accessibile, quella pubblicata nel Sanctuarium di Bonino Mombrizio verso il 1475, ed edita nuovamente nel 1910, pur tenendo presente sin d'ora che essa si ricollega alla recensione più tardiva del testo. Con il titolo di Vita sancti Sylvestri papae et confessoris, essa si presenta divisa in due libri, il primo dei quali comprende il prologo di tutta l'opera. In questo l'anonimo autore afferma di tradurre la storia di S. da un'opera di Eusebio di Cesarea in venti libri sui vescovi delle sedi apostoliche. La prima sezione narrativa è dedicata alla giovinezza di S. fino alla sua elezione e al ritiro sul monte Soratte per evitare la persecuzione. S. vi figura come il figlio della vedova Giusta, da questa affidato per la sua formazione al presbitero Cirino. Durante una persecuzione S. ospita Timoteo, venuto a Roma a predicare il Cristo e a compiere molte conversioni. Dopo poco più di un anno di predicazione, Timoteo è mandato a morte dal prefetto Propinna Tarquinio. S., dopo aver pregato insieme a papa Milziade, seppellisce il martire nel giardino della cristiana Teona, non lontano dalla tomba di s. Paolo. Tarquinio fa arrestare S. chiedendogli la consegna dei beni di Timoteo e di sacrificare agli dei, ma S. gli preannuncia che quella sera stessa il prefetto morirà, invitandolo perciò a riconoscere il Dio dei cristiani. La predizione si avvera e S., dopo essere stato liberato dalla prigione, è ordinato presbitero. Alla morte di Milziade, S. è eletto vescovo al suo posto, e si segnala per le opere di carità nei confronti dei poveri e per le sue cure pastorali. Giunge dall'Oriente il vescovo Eufrosino, che aveva subito la persecuzione e si segnalava per la sua predicazione e per il potere di scacciare i demoni al solo contatto della sua veste. Eufrosino introduce nella Chiesa di Roma l'uso del colobium, la tunica senza maniche, in quanto nella celebrazione della messa usava quello che era stato dell'apostolo Giacomo: uso che nella Chiesa di Roma si mantiene fino a papa Liberio, finché il colobium non è sostituito dalla dalmatica. Ma alla richiesta di Eufrosino e dei Greci di imporre una osservanza festiva del sabato, S. oppone, in forza della tradizione apostolica romana, il digiuno del sabato, oltre che del mercoledì e del venerdì secondo l'uso dei Greci, e una osservanza festiva del giovedì, a ricordo dell'ultima cena e dell'ascensione di Gesù, e per il fatto che in quel giorno avveniva la consacrazione del crisma. La seconda sezione narrativa ha per oggetto la conversione di Costantino. L'imperatore promulga un editto che impone ai cristiani di sacrificare agli idoli. S. si nasconde con il clero sul monte Soratte. A punizione della strage di cristiani che ha ordinato in tutte le province, Costantino è colpito dalla lebbra. I maghi e i medici gli prescrivono allora di bagnarsi nel sangue di fanciulli in una piscina sul Campidoglio, ma all'ultimo momento Costantino si rifiuta di compiere questo ulteriore delitto, commosso dal pianto delle madri di oltre tremila fanciulli raccolti per potersi procurare il sangue necessario al bagno dell'imperatore. La notte seguente a Costantino appaiono in sogno gli apostoli Pietro e Paolo, inviati da Gesù a consigliargli come guarire dalla lebbra, cioè cercando S., che gli avrebbe mostrato una "piscina di devozione" ("piscina pietatis") in cui lo avrebbe immerso tre volte: dopo la guarigione avrebbe però dovuto revocare la persecuzione e adorare l'unico e vero Dio dei cristiani. All'arrivo degli inviati dell'imperatore, S. con trenta presbiteri e cinque diaconi è convinto che sia giunta l'ora del martirio. Costantino gli rivela il sogno avuto, e gli chiede chi siano Pietro e Paolo. S. risponde alla richiesta dell'imperatore, gli mostra i ritratti dei due apostoli, che Costantino subito riconosce, e prima del bagno salutare gli chiede di sottoporsi a un digiuno settimanale pentendosi dei misfatti compiuti, disponendo opere di misericordia, liberando i prigionieri e i debitori in povertà, e proclamando un indulto a quanti sono stati condannati a varie pene. Costantino formula una prima confessione di fede, e S. gli impone le mani, facendone un catecumeno. S. indice quindi un digiuno di due giorni per tutta la Chiesa, per ottenere da Dio la fine dell'idolatria e la pace. La sera del sabato, al termine del digiuno dei cristiani e della settimana penitenziale di Costantino, S. procede al battesimo dell'imperatore nel Palazzo Lateranense, invocando per lui la remissione dei peccati e la guarigione dalla lebbra. La cerimonia battesimale si svolge tra insoliti prodigi, e Costantino ne esce mondo dalla malattia. A partire da quel momento, e per tutta la settimana successiva, Costantino, rivestito di abiti candidi, emana giorno per giorno una serie di leggi intese a prescrivere l'adorazione di Cristo in tutto l'Impero, a punire i blasfemi, a confiscare i beni di chi avesse leso i cristiani, a conferire al pontefice romano il privilegio che tutti i vescovi lo ritenessero il loro capo, come il re è capo di tutti i giudici ("ut in toto orbe romano sacerdotes ita hunc caput habeant, sicut omnes iudices regem", B. Mombritius, Sanctuarium, p. 513), a dare diritto di asilo nelle chiese, a vietare la costruzione di chiese in città senza l'approvazione del vescovo, a destinare alla costruzione delle chiese la metà dei possedimenti imperiali. L'ottavo giorno, deposte le vesti candide, Costantino si reca all'altare di s. Pietro confessando i suoi peccati, quindi, toltesi le vesti imperiali, traccia le fondamenta di una basilica e trasporta sulle spalle dodici cesti di terra, in onore degli apostoli, e quindi torna al palazzo sul carro, insieme al papa. Il giorno seguente Costantino fa iniziare la costruzione di una basilica nel Palazzo Lateranense, e stabilisce elargizioni per i poveri che intendano passare al cristianesimo: così in un anno si convertono oltre dodicimila uomini, senza contare donne e bambini. Sebbene non si abbiano conversioni tra i senatori, S. non permette che l'imperatore si adiri contro di loro. Allora Costantino pronuncia in una basilica un discorso in cui cita la sua guarigione come prova del fatto che l'unico vero Dio è quello dei cristiani, e proclama la sua fede in Cristo. La folla dei presenti lo acclama lungamente. L'imperatore conclude tuttavia il suo discorso con un appello alla libertà di coscienza, necessaria per accedere alla fede nel vero Dio, il quale ha proclamato la sua misericordia perdonando i peccati e procurando la salvezza dell'anima e del corpo. Cristiani e pagani lodano la liberalità dell'imperatore, che torna al palazzo in una città in festa. Grande è l'esultanza nelle chiese: si onorano le tombe dei santi, e tornano in patria quanti erano stati imprigionati o esiliati, gratificati ora dall'amicizia dell'imperatore. La terza sezione narrativa ha per oggetto la disputa di S. con i giudei. Dalla Bitinia scrive a Costantino la madre Elena, passata al giudaismo, felicitandosi che il figlio abbia abbandonato l'idolatria, ma esortandolo a riconoscere il vero dio, quello dei giudei, per ottenere un impero degno di Davide e Salomone. In risposta a questo invito, Costantino propone una disputa fra sacerdoti ebrei e vescovi cristiani, perché in base alle Scritture possano argomentare quale sia la verità. La disputa si svolge a Roma il 15 marzo 315. Giudici della disputa sono nominati i pagani Cratone, filosofo, e Zenofilo, praefectorius vir, entrambi uomini di specchiata virtù. Con il racconto di questi antefatti termina il primo libro della Vita, mentre il resoconto della disputa occupa nella edizione di Mombrizio quasi tutto il secondo libro. Dopo una breve introduzione di Costantino, prendono la parola Cratone e Zenofilo. I giudei nominano come loro rappresentanti dodici tra rabbini, scribi, maestri della sinagoga, interpreti ed esperti della legge, sacerdoti. Da parte cristiana subito S. si offre come l'unico interlocutore, fiducioso nella sola potenza divina, e alle prime battute propone che ognuno dei contendenti cerchi di argomentare le proprie posizioni solo sull'autorità dei libri riconosciuti dalla parte avversa. Il dibattito procede assai prolissamente, con articolate argomentazioni tra S. e ognuno dei rappresentanti del giudaismo, trattando di vari punti controversi tra le due religioni, e che implicitamente toccano vari problemi della teologia cristiana. S. riesce sempre a prevalere sui suoi interlocutori, ma l'ultimo di questi, Zambri, vuole dimostrare la potenza del suo dio pronunciando il suo nome segreto nell'orecchio di un ferocissimo toro, che muore all'istante: S. però gli restituisce la vita pronunciando il nome di Gesù Cristo crocifisso. Questo definitivo prodigio provoca la conversione di Elena, Cratone, Zenofilo e di tremila giudei. Nella successiva sezione si narra come i sacerdoti pagani segnalino all'imperatore il pericolo di un drago che, nutrito periodicamente dalle vestali, dopo la conversione di Costantino non riceveva più il cibo, e per questo ogni giorno uccideva più di seimila persone. S. si offre di dimostrare la potenza di Cristo e il prefetto Calpurnio dichiara che se per un anno il drago smetterà di uccidere, egli crederà in Cristo. Su richiesta di S., anche i pontefici si associano alla promessa di Calpurnio. Seguendo i dettami di una apparizione di Pietro e Paolo, S. si reca con due presbiteri e due diaconi presso il drago, gli sigilla la bocca fino al giorno del giudizio e incatena le porte che lo custodivano. Dopo che, passato un anno, il drago non costituisce più un pericolo per il popolo romano, si convertono al cristianesimo più di trentamila uomini, con le donne e i bambini. Costantino trae occasione da questo episodio per confermare la sua professione di fede nel vero Dio, fiducioso nella sua protezione e nelle sue promesse di vita eterna e di pace con l'intercessione di Silvestro. La Vita si conclude con il racconto della morte di S., che prima di rendere l'anima a Dio pronuncia un discorso di commiato da quanti si sono riuniti presso di lui. Il papa è sepolto sulla via Salaria, nel cimitero di Priscilla, dove presso la sua tomba avvengono miracoli. In una preghiera finale si chiede a S. di farsi intercessore della divina misericordia. Il valore degli Actus Silvestri è altamente emblematico. Il loro autore, rielaborando diverse tradizioni su S. e Costantino, fa del pontefice un confessor (probabilmente per combattere le accuse che gli erano state mosse da parte donatista), un rappresentante della tradizione apostolica, un campione della fede cristiana nei confronti dei giudei per la vittoria nella disputa che sostiene da solo con loro, e dei pagani per la sconfitta del drago, e in cui sempre associato a Costantino si presenta come il fondatore della nuova Roma cristiana. Costantino è il simbolo dell'Impero che si converte al cristianesimo, privilegiando la Chiesa e procedendo di comune accordo con il vescovo di Roma. Come leggenda agiografica, gli Actus Silvestri mantengono ben poco della realtà storica dei fatti, soprattutto, ma non unicamente, per quanto riguarda la figura di S., se non altro per la mancanza di riscontri storici di cui si parlava all'inizio. La falsificazione più evidente è quella del battesimo dell'imperatore, che fu battezzato in punto di morte (così gli antichi storici ecclesiastici a partire da Eusebio di Cesarea, Vita Constantini IV, 61-64) dal vescovo ariano Eusebio di Nicomedia (cfr. Girolamo nella sua continuazione di Eusebio di Cesarea, Chronicon, ad a. 337). Sotto questo aspetto il racconto degli Actus Silvestri rappresenta il tentativo di recuperare alla fede cattolica la figura dell'imperatore, facendolo battezzare a Roma e da Silvestro. L'episodio di Costantino colpito dalla lebbra e guarito con il battesimo è stato messo in relazione con l'analoga guarigione da una grave malattia di Abgar re di Edessa ad opera di Addai, secondo una antica leggenda siriaca ripresa da Eusebio di Cesarea (Historia ecclesiastica I, 13), che attribuisce il battesimo e la guarigione del re all'opera dell'apostolo Taddeo, e confluita anche nella siriaca Doctrina Addaei verso il 400. Neanche la conversione di Elena al giudaismo è altrimenti documentata, e la disputa con i giudei sembra ricalcata sul genere delle altercationes proprio della controversistica cristiana nei confronti del giudaismo, anche se di fatto presenta talora molte argomentazioni proprie delle controversie cristologiche dei secc. IV-V. La storia del drago, localizzata nella redazione più antica presso il tempio di Vesta, fu posta già da L. Duchesne in relazione con il racconto di un drago meccanico che nei pressi di Roma uccideva chi gli si avvicinasse, come si legge in Liber de promissionibus et praedictionibus Dei III, 38, 43, un'opera che oggi si tende ad attribuire a Quodvultdeus di Cartagine (metà del V secolo). Tuttavia il problema delle possibili fonti degli Actus Silvestri non può prescindere preliminarmente da quello della datazione del testo, che a partire dalla metà del sec. XIX è stato attribuito ad un periodo che va dalla fine del sec. IV agli inizi del VI. Oggi prevale l'opinione, peraltro già a suo tempo formulata, che gli Actus siano una composizione originariamente latina, da cui dipendono le versioni greche e, attraverso queste, quelle siriache e armene. Ma come Duchesne vedeva in questo scritto latino l'opera di monaci greci operanti a Roma, per spiegare vari punti di contatto con tradizioni leggendarie orientali e una certa disinformazione sulle tradizioni romane legate all'imperatore Costantino, così anche successivamente F. Parente ha avanzato con cautela l'ipotesi che alla base di alcune sezioni degli Actus si possano postulare fonti orientali. A lungo si era sostenuta, anche se non in modo unanime, l'opinione che gli Actus Silvestri nella loro forma più antica si ponessero nella seconda metà del sec. V, prima degli apocrifi simmachiani degli inizi del sec. VI, che vi fanno riferimento. In questi termini si esprimeva anche Duchesne nell'introduzione alla sua edizione del Liber pontificalis, e allo stesso modo W. Levison, nel suo studio del 1924, fondamentale per la storia del testo degli Actus. Quest'autore individuava tre diverse tradizioni testuali, da lui indicate con le sigle A, B, C: A e B rappresenterebbero rispettivamente le tradizioni di due differenti "versioni originali" degli Actus, A1 e B1, tradizioni comprendenti oltre alla rispettiva "versione originale" anche forme contaminate con un testo dell'altra tradizione, indicate come A2 e B2. Ampi frammenti di A1 sarebbero quelli pubblicati da C. Narbey in base a un manoscritto del sec. XI proveniente dal monastero di Silos (ora Paris, Bibliothèque Nationale, Nouvelles Acquisitions 2178). C indicherebbe invece una nuova forma del testo risultante dalla combinazione di specifici testimoni delle due precedenti tradizioni. Caratteristica di A sarebbe la divisione in due libri, che si conserva nel testo edito da B. Mombrizio cui si è fatto riferimento, rappresentante della redazione C. La divisione in due libri non sarebbe più presente in B, più breve, in cui l'episodio del drago precede quello della conversione dell'imperatore, e in cui forse compare il prologo degli Actus. Quanto alla datazione di queste diverse forme testuali, Levison riteneva nel suo studio del 1924 che A1 e A2 fossero opera di un unico autore del tardo V secolo, e che C fosse databile al più tardi nel sec. IX. Lo sviluppo degli studi sugli Actus nel sec. XX ha portato alla retrodatazione della forma più antica del testo agli inizi del sec. V se non alla fine del sec. IV, come successivamente sostenuto dallo stesso Levison (cfr. W. Pohlkamp, Textfassungen, p. 150 n. 160). Più di recente Pohlkamp, cui si deve una serie di studi della massima importanza per il testo degli Actus e la loro interpretazione, in vista di una edizione di A1 e di B1, o, come egli stesso preferisce, A(1) e B(1), considera A, B e C tre diverse tradizioni degli Actus, di cui A presenta ulteriori articolazioni al suo interno: A(1) risalirebbe alla fine del IV secolo, mentre B(1) sarebbe databile tra la fine del V e gli inizi del VI. S'accenna qui solo per dovere di completezza al fatto che non si sa se la sezione relativa alla morte di S., insieme a un racconto di traslazione di sue reliquie a Nonantola alla metà del sec. VIII (Bibliotheca Hagiographica Latina [...], nrr. 7736-37), si possano caratterizzare come forme proprie di C: lo stesso può dirsi di due appendici che hanno per oggetto rispettivamente la fondazione di Costantinopoli da parte di Costantino (ibid., nrr. 7733-34), e l'invenzione della croce da parte di Elena (ibid., nr. 7735), che non si sa a quale redazione appartengano, e che costituiscono una sorta di continuazione degli Actus. L'eventualità di una datazione della forma più antica degli Actus alla fine del IV secolo pone ulteriormente il problema di individuare l'ambito culturale in cui si sarebbe prodotto il testo, anche tenendo conto delle osservazioni di Duchesne non tanto forse sui caratteri orientali di certi motivi della leggenda (la cui consistenza si è oggi molto ridotta col progresso degli studi), ma sullo scarso radicamento del racconto nei luoghi di Roma che erano tradizionalmente legati alla figura di Costantino. Tra la fine del V e gli inizi del VI secolo la testimonianza del Decretum Gelasianum IV, 4, 3 conferma la diffusione degli Actus Silvestri, e li considera positivamente tra i "libri da accogliere" ("libri recipiendi"), nonostante il suo autore resti anonimo. Nella stessa epoca si assiste ad una ripresa di interesse per S., alla quale va collegata anche la redazione B1 degli Actus, che come si è detto risalirebbe a questo periodo. In particolare il pontificato di Simmaco è coinvolto in due iniziative che hanno direttamente o indirettamente rapporto con la memoria di Silvestro. La più evidente, nella riconosciuta attribuzione a Simmaco, è la fondazione della chiesa di S. Martino (l'attuale S. Martino ai Monti) "iuxta sanctum Silvestrum", come si esprime il Fragmentum Laurentianum, resto di una lista di vescovi di Roma posteriore di pochi anni alla morte di Simmaco, e opera di un seguace dell'antipapa Lorenzo che gli si era contrapposto. Questa fondazione risale verosimilmente al periodo successivo alla morte di Lorenzo avvenuta nel 507, quando finalmente Simmaco poté esercitare la sua giurisdizione su tutta la città. "Sanctus Silvester" è la denominazione alternativa del "titulus Equitii" sull'Esquilino, le cui origini restano tuttora problematiche, e che in qualche modo era connesso al culto di S., come attesta il ritrovamento nel giardino dell'attuale chiesa di S. Martino ai Monti di una lampada, forse della seconda metà del sec. V, recante una iscrizione votiva a "Sancto Silvestrio". Il titolo è citato come "titulus Equitii" negli atti del sinodo romano del 499, come "sanctus Silvester" in quelli del sinodo romano del 595. La chiesa fondata da Simmaco è detta basilica "sanctorum Silvestri et Martini" nella notizia su Simmaco nella seconda redazione del Liber pontificalis (nr. 53, p. 262). L'altra iniziativa consiste nella compilazione di alcuni documenti in cui S. è protagonista, nell'ambito di un dossier di falsi - i cosiddetti "apocrifi simmachiani" - che intendevano fondare in un periodo precedente della storia della Chiesa di Roma le posizioni assunte da Simmaco e contestate dalla sua controparte laurenziana, in riferimento alla crisi dell'anno 501, causata principalmente a motivo della celebrazione della Pasqua, che Simmaco aveva fissato per quell'anno alla data del 25 marzo, a differenza del computo alessandrino, che la stabiliva il 22 aprile (per tutta la questione cfr. Simmaco, santo). Tra gli apocrifi simmachiani, quelli relativi a S. sono il cosiddetto Constitutum Silvestri, nella forma di atti di un concilio romano tenuto sotto S., di cui sono pervenute due redazioni (SK1 e SK2 nella recente edizione di E. Wirbelauer del 1993), una lettera indirizzata a S. dai vescovi riuniti a Nicea (SB) e la risposta di S. (SA): le due lettere accompagnano soltanto la seconda redazione del Constitutum Silvestri. A questi documenti si deve aggiungere il loro rifacimento di parte laurenziana, rispettivamente LK, LB, LA nell'edizione indicata: l'indole laurenziana di LK era sfuggita ai precedenti studiosi, che si riferivano a questo testo come al "concilio dei duecentosettantacinque vescovi", dal numero degli effettivi partecipanti, diversamente valutandolo, talvolta come anteriore al Constitutum Silvestri. Il più significativo di questo gruppo di apocrifi che hanno per protagonista S. è il Constitutum Silvestri, che nella sua prima redazione SK1 si presenta come il resoconto degli atti di un concilio tenutosi in Roma dopo il battesimo e la guarigione di Costantino dalla lebbra il 29 e 30 maggio del 315, "in termas Domitianas, quae nunc cognominantur Traianas" (E. Wirbelauer, p. 228). Al concilio partecipano duecentottantaquattro vescovi, e altri cinquantasette provenienti dall'Egitto, insieme ad altri membri del clero, e vi presenziano Costantino, sua madre Elena e Calpurnio, il prefetto urbano che compare nell'episodio del drago negli Actus Silvestri. Il primo provvedimento che vi si prende è la condanna di Callisto, del diacono Ippolito e del vescovo Vittorino, i primi due per eresie di tipo gnostico e trinitario, il terzo per errori riguardanti il computo pasquale, in quanto aveva fissato la data della festa al 22 aprile (prima dell'introduzione degli imputati si parla però di Callisto, Vittorino e Gioviano, i primi due accusati di eresia trinitaria, Callisto in particolare di sabellianesimo, mentre gli errori sul computo pasquale sono attribuiti a Gioviano, che non compare nella condanna). Nel personaggio di Vittorino è facile riconoscere Vittorio di Aquitania, autore del computo pasquale che per il 502 fissava la data della Pasqua il 22 aprile, mentre secondo il computo romano, sostenuto da Simmaco, essa doveva cadere il 25 marzo. Gli altri provvedimenti di questo sinodo hanno per oggetto i rapporti giuridici in seno alla gerarchia ecclesiastica, per cui chi è di grado inferiore non può chiamare in giudizio il suo superiore in grado, la suddivisione delle entrate della Chiesa, singole prescrizioni per i diversi gradi della gerarchia ecclesiastica, l'articolazione della Chiesa di Roma in sette regioni sottoposte ai diaconi, le modalità e le condizioni di accesso ai vari gradi della gerarchia, il divieto di sottoporre un membro del clero ad un processo civile e di condannarlo a morte. Questa tendenza culmina nell'ultimo canone del Constitutum: "Nemo enim iudicabit primam sedem, quoniam omnes sedes a prima sede iustitia desiderant temperari, neque ab augusto, neque ab omni clero, neque a regibus, neque a populo iudex iudicabitur" (ibid., p. 246). Il documento, sottoscritto come già nel primo giorno da tutti i presenti, da Costantino e da Elena, porta la data del 30 maggio 315. Il Constitutum Silvestri si intende pienamente solo in relazione ai problemi agitati nel 501 nell'ambito della controversia tra Simmaco e Lorenzo, non solo per la questione del computo pasquale, ma anche per le varie tensioni sorte all'interno della Chiesa di Roma, per le quali Simmaco fu convocato a Ravenna da Teodorico. Ma, indipendentemente dal valore storico del documento, esso segna una tappa successiva della fortuna storica di S., in linea con la leggenda iniziatasi negli Actus Silvestri, noti all'autore del Constitutum, che cita la guarigione di Costantino dalla lebbra e fa intervenire al sinodo il personaggio di Calpurnio, già presente negli Actus Silvestri. La formulazione dell'ultimo canone, che sottrae la "prima sedes" a ogni altro giudizio, è solo uno sviluppo delle concessioni emanate negli Actus Silvestri da Costantino dopo il suo battesimo, in particolare di quella che poneva il vescovo di Roma come giudice di tutti i vescovi. La seconda redazione del Constitutum Silvestri, SK2, è accompagnata da due lettere il cui scopo è evidentemente quello di collegare il falso concilio romano a quello di Nicea, avvalorandone maggiormente l'autorità. La falsa sinodale indirizzata a S. da Osio di Cordova, da Attico di Costantinopoli (vescovo nella prima metà del sec. V: la sede di Costantinopoli non esisteva nel 325), da Vittore e Vincenzo e dai trecentodiciotto padri conciliari è una lettera di accompagnamento della traduzione degli atti del concilio niceno, con un invito a riunire un sinodo a Roma per confermare le decisioni prese a Nicea. Nella sua risposta (SA) S. si congratula per le delibere del concilio di Nicea e annuncia il concilio richiesto, in cui si propone di affrontare alcune questioni di disciplina ecclesiastica e la condanna di Victur(in)us, che ha espresso computi pasquali errati. Questa seconda redazione presenta poche varianti rispetto alla prima, di cui la più significativa (oltre alla datazione posteriore al concilio di Nicea, e all'accusa di pelagianesimo rivolta a Callisto, nonostante che l'eresia per cui è condannato sia piuttosto trinitaria) è l'eliminazione del riferimento all'autorità civile ("neque ab augusto […] neque a regibus") nell'ultimo canone che esclude la legittimità di sottoporre a giudizio la "prima sedes" (canone 26, ibid., p. 315). Secondo Wirbelauer questa redazione sarebbe opera di un autore che, come quello della prima, proverrebbe dall'ambiente della Cancelleria romana, e si caratterizzerebbe per una forma più consona a quella della letteratura canonistica, come appare anche dalla suddivisione in paragrafi che vi è introdotta. Il rifacimento laurenziano dei tre predetti documenti della seconda edizione degli apocrifi consiste in una riscrittura delle due lettere, nella seconda delle quali S. comunica la condanna, promulgata in un concilio romano, del vescovo Vittorino e del diacono Ippolito, accusati questa volta di manicheismo, di Gioviano e di Callisto, che sostenevano la ricorrenza della Pasqua il 22 aprile. Più importante è la riscrittura degli atti del concilio, convocato da S. e da Costantino (che però non vi presenzia), a cui partecipano duecentosettantacinque vescovi e altri membri del clero. In questa circostanza si convalidano gli atti del concilio niceno, si conferma la celebrazione della Pasqua "a luna XIII usque ad XXI, ita ut dies dominicus coruscet" (canone 2, ibid., p. 324) - secondo i termini del computo che Dionigi il Piccolo pubblicherà nel 525, senza più fare riferimento alla condanna dei quattro personaggi citati nella lettera di S. - e si stabiliscono varie norme relative alla carriera ecclesiastica, al comportamento dei membri del clero, a particolari usi liturgici. L'orientamento laurenziano di questo documento, sostanzialmente diverso dal Constitutum Silvestri, anche se in taluni punti lo riecheggia, si coglie nella scelta della data della Pasqua secondo il computo alessandrino, sia pure in una formulazione generica che esclude, a differenza di LA, la condanna del computo di Vittorio di Aquitania, nella severità delle norme contro vescovi e presbiteri macchiatisi di peccati carnali (forse in relazione ad analoghe accuse lanciate contro Simmaco), contro il trasferimento di vescovi e presbiteri in altre sedi (Simmaco aveva trasferito Lorenzo alla sede di Nocera in Campania), contro la formazione di conventicole da parte del vescovo, il cui compito è di provvedere alla cura pastorale della sua Chiesa, nel divieto di frequentare gli eretici (forse in relazione a sospetti di connivenza tra Simmaco e Teodorico). Wirbelauer ritiene che gli atti del concilio dei venticinque vescovi siano opera di un esperto canonista, forse dello stesso Dionigi il Piccolo, attivo a Roma già all'inizio del sec. VI, o di altra persona legata al suo ambiente. La biografia di S. nel Liber pontificalis, nr. 34, si presenta assai lunga, ma ciò dipende dall'esteso elenco delle fondazioni costantiniane inseritovi molto probabilmente quando essa era già stata completata, e con tutta evidenza già nella prima redazione. Per la parte che riguarda più propriamente S., le notizie si riducono a ben poco, e hanno per fonti gli Actus Silvestri e gli apocrifi simmachiani e laurenziani che hanno per protagonista S., con poche aggiunte specifiche. Tra queste, il nome del padre di S., Rufino, e la durata del pontificato, ventitré anni, dieci mesi e undici giorni (più correttamente il Catalogo Liberiano, ventuno anni e undici mesi). L'apporto degli Actus Silvestri (forse anche soltanto indiretto, data la genericità del richiamo alla vicenda di S.) è nella breve notizia iniziale sull'esilio di S. sul Soratte, la persecuzione di Costantino, la malattia dell'imperatore e la sua guarigione insieme al battesimo. Altra aggiunta propria del Liber pontificalis è quella relativa alla fondazione da parte di S. di una chiesa nel podere del suo presbitero Equizio "iuxta thermas Domitianas", innalzata a titolo ("titulus Equitii") e da lui stesso dotata di vari doni (Le Liber pontificalis, nr. 34, p. 170) La stessa notizia ritorna più avanti (ibid., p. 177), dove compare una duplice denominazione del titolo ("titulus Silvestri […] titulus Equitii"), "iuxta thermas Domitianas qui cognominantur Traianas", con una lista di doni (questa volta attribuiti a Costantino) in parte simile alla precedente. Questa notizia era probabilmente assente nella prima redazione del Liber pontificalis, e il riferimento alla fondazione del titolo su un podere del presbitero Equizio è probabilmente una spiegazione della doppia denominazione del titolo. Segue (ibid., pp. 171-72) la sezione dedicata alla legislazione ecclesiastica di S. ("Hic fecit constitutum de omni ecclesia"), in cui si riferiscono i provvedimenti stabiliti da un concilio romano di duecentosessantasette vescovi tenutosi dopo quello di Nicea, per confermare la condanna di Ario (questa volta insieme a Fotino e Sabellio, ma anche di Callisto, personaggio preso di mira negli apocrifi simmachiani). Per questa sezione il Liber pontificalis dipende dagli apocrifi simmachiani, in particolare il Constitutum Silvestri nella sua seconda redazione (SK2), ma anche il concilio dei duecentosettantacinque vescovi (LK), dai quali riprende, con poche aggiunte, vari canoni relativi a questioni liturgiche, giuridiche e disciplinari. Per quanto riguarda la funzione di S., nel riferimento al concilio di Nicea la prima redazione del Liber pontificalis afferma che esso fu convocato "cum eius consensu", mentre nella seconda redazione, con una significativa modifica, l'espressione è "cum eius praeceptum" (p. 171). La parte più consistente della notizia su S. è tuttavia quella relativa alle fondazioni costantiniane dell'epoca di S. a Roma, Capua e Napoli, con relativo elenco di donazioni in suppellettili e beni fondiari (ibid., pp. 172-86). Le fondazioni cui si riferisce questa sezione della biografia di S. sono la basilica costantiniana (cioè quella del Laterano), quelle di S. Pietro, S. Paolo, la basilica del Palazzo Sessoriano "quae cognominatur […] Hierusalem" (S. Croce in Gerusalemme), S. Agnese, S. Lorenzo, SS. Marcellino e Pietro sulla via Labicana, la basilica degli Apostoli a Capua, quella di Napoli (S. Restituta): sempre a Napoli, è ricordata la costruzione da parte dell'imperatore di un acquedotto. A S. è attribuita l'ordinazione di quarantadue presbiteri, ventisette diaconi e sessantacinque vescovi (ibid., p. 172: i presbiteri sono quarantadue a p. 187). Il periodo di sede vacante seguito alla morte di S. sarebbe stato di quindici giorni (ibid.). Prima di quest'ultima notizia un breve inciso, insolito nel formulario delle biografie del Liber pontificalis - "Qui vero catholicus et confessor quievit" - esprime la particolare venerazione per papa Silvestro. La vicenda del "titulus Equitii", che progressivamente assume il nome di S., in connessione con l'intitolazione a Silvestro e Martino della chiesa costruita da Simmaco, è un indizio della ripresa del culto di S. a partire dal sec. VI. Altro centro del culto di S. resta la sua sepoltura nel cimitero di Priscilla: in alcuni documenti è chiamata "ecclesia sancti Silvestri" la chiesa costruita sopra il cimitero di Priscilla, e talvolta lo stesso cimitero di Priscilla assume il nome del più famoso papa che vi era sepolto. Non si sa se fosse dedicato a S. il monastero sul monte Soratte di cui parla Gregorio Magno, Dialogi I, 7, 1-2, posto sulla stessa montagna in cui, secondo il racconto degli Actus Silvestri, il papa si era rifugiato durante la persecuzione. Sotto Sergio I (Le Liber pontificalis, nr. 86, p. 371) è attestata l'esistenza di un oratorio dedicato in Laterano a s. Silvestro, di cui non si conosce l'anno di fondazione. Nel 747 papa Zaccaria dona a Carlomanno, fratello di Pipino, il monastero di S. Silvestro sul Soratte. Una diaconia di s. Silvestro è citata nella biografia di Stefano II (ibid., nr. 94, pp. 440-41), e suo fratello Paolo I nel 761 fonda nella propria casa un monastero dedicato ai santi pontefici Stefano e S., in una cappella del quale si conservavano le loro reliquie, affidandolo a monaci greci e affiancandovi una chiesa, l'attuale S. Silvestro in Capite (ibid., nr. 95, pp. 464-65): qualche anno dopo gli sottoporrà il monastero di S. Silvestro sul Soratte. Allo stesso periodo, e in connessione con il trasferimento delle reliquie di S. entro il monastero romano, avviene la traslazione delle reliquie di S. a Nonantola documentata dal racconto che talvolta compare come parte degli Actus Silvestri, e di cui si è detto sopra. Alla "Silvesterrenaissance" (l'espressione è di E. Ewig) di questo periodo si ricollegano tanto la redazione C degli Actus Silvestri, quanto, con molta probabilità, la composizione del Constitutum (o Donatio) Constantini (v. Paolo I, santo). Questo documento, che avrebbe fondato le pretese papali al dominio temporale, si pone sulla stessa linea degli Actus Silvestri, richiamandoli esplicitamente nel dettagliato racconto che l'imperatore vi fa della propria guarigione grazie al battesimo impartitogli da S., e sostanzialmente ne costituisce un ampliamento, soprattutto nella seconda parte, che ha per oggetto la celebre e controversa Donatio. Per quanto riguarda la figura di S. nel Constitutum Constantini, egli vi è celebrato come colui che ha trasmesso la fede e ha guarito l'imperatore ("Et quae salvator et redemptor noster dominus deus Iesus Christus, altissimi patris filius, per suos sanctos apostolos Petrum et Paulum, interveniente patre nostro Silvestrio summo pontifice et universali papa, mirabiliter operari dignatus est […]": Das Constitutum Constantini, pp. 57-8). Al di là di questa funzione che gli è riconosciuta nella vicenda dell'imperatore, S. assurge nella seconda parte del Constitutum Constantini a simbolo del papato, in quanto vicario del principe degli apostoli, beneficiando così insieme ai suoi successori di tutti i privilegi che l'imperatore gli concede, dal primato sulle sedi patriarcali, all'amministrazione di tutte le elargizioni concesse, all'uso del Palazzo Lateranense, alle insegne imperiali (S. rinuncia però alla corona, e Costantino gli impone allora la mitra e gli fa da scudiero, tenendogli le redini del cavallo). Questa attenzione più alla figura simbolica che al personaggio storico o leggendario era già presente negli Actus Silvestri e nel Constitutum Silvestri, in cui le concessioni e i privilegi imperiali non riguardano S. in sé, ma nei primi la Ecclesia romana e il suo pontifex, nel secondo la prima sedes. Sotto questo aspetto, dagli Actus Silvestri al Constitutum Silvestri al Constitutum Constantini non sono tanto il personaggio storico di S. o la sua leggenda che si modificano, ma piuttosto le pretese del papato, che nella persona di S. intendeva attribuirsi nuovi privilegi e nuove funzioni. Fonti e Bibl.: Concilium Arelatense a. 314, Epistula ad Silvestrum, a cura di C. Munier, Turnholti 1963 (Corpus Christianorum, Series Latina, 148), pp. 4-6; Synodus Antiochena (ca. a. 324), Epistula Synodica, a cura di E. Schwartz, in Gesammelte Schriften, III, Berlin 1959, pp. 136-43 (testo siriaco e retroversione greca); Littérature canonique syriaque inédite, a cura di F. Nau, "Revue de l'Orient Chrétien", 14, 1909, pp. 13-6 (traduzione francese), 16-24 (testo siriaco); Patrum Nicaenorum nomina latine graece coptice syriace arabice armeniace, a cura di H. Gelzer-H. Hilgenfeld-O. 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