SISTO II, santo
Vescovo di Roma dall'agosto del 257 al 6 agosto del 258: la cronologia fornita da Eusebio di Cesarea (otto anni nel Chronicon, undici nella Historia ecclesiastica), dal Catalogo Liberiano e dal Liber pontificalis - rispettivamente due anni undici mesi sei giorni, e un anno dieci mesi ventitré o ventiquattro giorni - è del tutto fantasiosa. Il pontificato di S. è contrassegnato dai due editti di Valeriano, il primo dell'agosto del 257, che vietava le riunioni dei cristiani, imponendo ai vescovi e ai presbiteri di apostatare, comminando l'esilio ai refrattari, mentre il secondo ordinava l'immediata esecuzione dei membri del clero che non si fossero sottomessi. Non si hanno tuttavia notizie relativamente all'applicazione del primo editto a S., se non in un'aggiunta alla notizia su Stefano I del Liber pontificalis nel ms. Vat. lat. 3764, del sec. XI, in cui si accenna alla prigionia degli allora diaconi S., Dionigi e Caio insieme a papa Stefano e altri vescovi e presbiteri. Delle attività ecclesiastiche di S. si è informati da Eusebio di Cesarea soltanto in relazione alla corrispondenza che il vescovo Dionigi di Alessandria tenne con lui in merito alla disputa battesimale che sotto Stefano I turbò i rapporti tra varie Chiese, in particolare quella africana e quella romana: Stefano avrebbe voluto imporre la tradizione romana di ammettere alla Chiesa cattolica mediante la sola imposizione delle mani quanti erano stati battezzati da eretici o scismatici, mentre la Chiesa africana, e altre dell'Asia Minore, consideravano invalidi tali battesimi, ritenendo perciò necessario impartire a questi fedeli l'unico battesimo valido, quello cioè della Chiesa cattolica. Eusebio di Cesarea, Historia ecclesiastica VII, 5, 4-5, cita il frammento di una lettera di Dionigi di Alessandria a S., in cui Dionigi ricordava di essere intervenuto presso Stefano per chiedergli le ragioni del suo operato dopo che questi aveva scomunicato le Chiese di Cilicia, Cappadocia e Galazia e altre circonvicine, le quali nella loro prassi battesimale si attenevano alle decisioni di concili locali. In questa lettera il vescovo di Alessandria affermava di avere già scritto più di una volta sullo stesso argomento ai presbiteri romani Dionigi, futuro successore di S., e Filemone, che avevano manifestato il loro accordo con le posizioni di Stefano I (ibid. VII, 5, 6); il vescovo alessandrino al tempo stesso informava S. - inviandogli le copie di una documentazione al riguardo - sulla diffusione a Tolemaide, in Pentapoli, della eresia di Sabellio, da lui ritenuta erronea per la dottrina trinitaria soprattutto in relazione al Figlio e allo Spirito Santo (ibid. VII, 6), considerati solo modi di essere del Padre. In Historia ecclesiastica VII, 9, 2-5 Eusebio cita il frammento di un'altra lettera di Dionigi a S., in cui il vescovo alessandrino racconta di un vecchio entrato a far parte della sua Chiesa dopo essere stato battezzato dagli eretici, e che lui non riteneva opportuno ribattezzare nonostante la richiesta insistente dell'interessato, colto da scrupoli che gli impedivano di accostarsi all'eucaristia. Si ha inoltre notizia di un'altra lettera di Dionigi a S. e alla Chiesa di Roma, in cui si trattava diffusamente della questione battesimale, come di un'altra di S. a proposito di un non meglio precisato Luciano (ibid. VII, 9, 6). Questo personaggio è stato identificato per lo più con l'omonimo confessore cartaginese coinvolto nella questione dei lapsi (letteralmente "caduti"), cioè della riammissione nella Chiesa di chi aveva ceduto durante la persecuzione: a lui si era rivolto da Roma il diacono Celerino, avendone risposta (le due lettere sono in Cipriano, Epistularium 21-22), e su di lui Cipriano stesso espresse un giudizio severo (ibid. 27). Ma si è anche pensato al presbitero Luciano di Cartagine, futuro successore di Cipriano, o allo stesso Lucio I, predecessore di S., mentre per motivi di cronologia si esclude che possa trattarsi di Luciano di Antiochia, martire nel 312, come pure si era supposto. La mediazione di Dionigi riuscì ad ottenere una pacificazione dei rapporti tra la Chiesa di Roma e quella d'Africa, come si può cogliere già nelle parole di Ponzio in Vita Cypriani 14, 1, dove S. è definito "buono e pacifico vescovo e beatissimo martire". Sulla morte di S. abbiamo la testimonianza di Cipriano di Cartagine a pochi giorni dall'evento, sulla base di quello che gli avevano appena riferito quanti aveva inviato a Roma per conoscere le ultime decisioni di Valeriano sui cristiani. Dopo aver ricordato il tenore del secondo editto imperiale, con il quale si ordinava l'esecuzione immediata di vescovi, presbiteri e diaconi, prescrivendo altri gravi provvedimenti per senatori, alti funzionari, cavalieri, matrone e ufficiali che si fossero dichiarati cristiani, il vescovo di Cartagine comunica che S. è stato messo a morte il 6 agosto insieme a quattro diaconi (Epistularium 80, 1, 4): "Xistum autem in cimiterio animaduersum sciatis octauo iduum augustarum die et cum eo diacones quattuor". Il cimitero senza altra denominazione è quello per antonomasia, cioè il cimitero di Callisto sulla via Appia, secondo l'affermazione della Depositio martyrum. Il luogo della sepoltura fu la cosiddetta cripta dei papi; lo attestano, con ogni certezza, alcuni graffiti devozionali tracciati presso l'ingresso del cubicolo (cfr. Inscriptiones Christianae urbis Romae. Nova series, nrr. 9521, 9523, 9524), dove furono sepolti altri vescovi romani del sec. III: Ponziano (che abdicò nel 235 in favore di Antero), Antero, Fabiano, Lucio, Stefano, Dionigi, Felice ed Eutichiano. Il suo luogo di sepoltura, per le evidenti tracce di decorazione e monumentalizzazione succedutesi in varie fasi, è tradizionalmente indicato nella isolata tomba "a mensa" posta sulla parete di fondo dell'ambiente: S., pur non essendo né il primo né l'ultimo pontefice ad essere deposto nella cripta papale, fu sepolto nel sepolcro posto immediatamente di fronte all'ingresso, la tomba che, secondo la prassi comune, avrebbe dovuto accogliere la prima deposizione fra tutte quelle del cubicolo. Altri dati sulla morte di S. vengono da alcuni epigrammi di papa Damaso, a cui è attribuibile con certezza l'ultima fase di monumentalizzazione della parete di fondo della cripta, dove dal de Rossi nel 1854 furono rinvenuti ancora sul posto due frammenti pertinenti alla parte finale dell'epigramma damasiano in onore di tutti i martiri deposti nel cimitero di Callisto (nr. 16 dell'edizione Ferrua). In particolare l'epigramma 17, noto da copie medievali (Silloge di Lorsch, secc. IX-X) e da due frammenti ritrovati sempre dal de Rossi nel 1854 contestualmente ai centoventisei dell'epigramma 16 sopra ricordato, si ritiene oggi riferito a S.: esso descrive la scena del vescovo ("rector") occupato sul posto ("hic") a insegnare i precetti divini (v. 2: "caelestia iussa docebat"), quando irrompono i soldati, lo strappano dal seggio (v. 3: "adveniunt subito rapiunt qui forte sedentem"), mentre i fedeli si offrono ai colpi in vece sua (v. 4: "militibus missis populi tunc colla dedere") e il vescovo ("senior", come titolo onorifico) si fa decapitare (v. 6: "suumque caput prior optulit ipse") per evitare una inutile strage. Forse si riferivano a S. altri frammenti di due iscrizioni dello stesso cimitero, di meno facile lettura, pubblicati da A. Ferrua di seguito all'epigramma 17, con i numeri 17¹ e 17². Il nome di S. compare in altri due epigrammi damasiani. L'epigramma 16, elencando in modo sommario i defunti sepolti in un cubicolo, parla dei "compagni di Sisto" che conseguono il trionfo sul nemico (v. 4: "hic comites Xysti portant qui ex hoste trophaea"): si è pensato che possa trattarsi dei diaconi menzionati da Cipriano come quelli uccisi insieme a S., e quindi sepolti come lui nel luogo del martirio. Ma l'epigramma 25, dedicato ai martiri Felicissimo e Agapito sepolti nel cimitero di Pretestato, come attesta anche la Depositio martyrum alla data del 6 agosto (Codice topografico, p. 22), la stessa della commemorazione di S., ne parla come di coloro che meritarono il trionfo di Cristo sotto S. (v. 7: "quod duce tunc Xysto Christi meruere triumphos"), compagni della passione (così sembra da intendersi "crux invicta") di S. e suoi diaconi, suoi seguaci nel merito della fede (vv. 3-4: "hi crucis invictae comites pariterque ministri / rectoris sancti meritumque fidemque secuti"). Se si accetta la testimonianza di Cipriano sul numero dei diaconi uccisi insieme a S., unitamente a quella degli epigrammi 16 e 25 di Damaso, si dovrebbe concludere che dei quattro diaconi uccisi insieme a S. due fossero Felicissimo e Agapito, mentre gli altri due sarebbero stati sepolti nel cimitero di Callisto. Di fatto non si sa quanti fossero i "comites Xysti" celebrati nell'epigramma 16, e non sembra stringente l'argomentazione di A. Ferrua che, nella sua ricostruzione dei frammenti provenienti dall'area esterna del cimitero di Callisto, al nr. 17¹ della sua edizione, riferisce l'espressione "altaria quinque" a cinque altari dedicati nel cimitero di Callisto a S. e ai quattro diaconi uccisi insieme a lui. Se così fosse, i diaconi associati dalla tradizione romana nel sec. IV a S. non sarebbero più quattro, come affermato da Cipriano, ma sei: e di fatto il Liber pontificalis nella notizia su S. fa il nome di sei diaconi uccisi insieme a lui, Felicissimo e Agapito, Gennaro, Magno, Vincenzo e Stefano, ai quali aggiunge, ma ucciso il 10 agosto, il più famoso Lorenzo. Nel valutare la questione, senza dubbio complessa e di non facile soluzione, è opportuno basarsi sulle fonti più antiche e considerare con cautela il più tardivo Liber pontificalis, espressione di una tendenza a recuperare acriticamente tutti i dati della tradizione. Studiosi come L. Duchesne, P. Franchi de' Cavalieri e A. Ferrua accolgono i dati del Liber pontificalis considerando quattro i diaconi uccisi e sepolti insieme a S. ma aggiungendo ad essi anche Felicissimo e Agapito, sepolti nel cimitero di Pretestato. In particolare L. Duchesne trovava conferma di questa ricostruzione di tutta la vicenda nel fatto che il Liber pontificalis registra come dopo la morte di S. fu a capo della Chiesa di Roma il collegio presbiterale, e che contro l'antica usanza di scegliere il vescovo di Roma prevalentemente tra i diaconi, il successore di S. fu il presbitero Dionigi, dal momento che i diaconi della Chiesa di Roma erano sette, e che quelli di S. erano stati tutti uccisi insieme a lui. Si vedano in proposito le caute ma ragionevoli obiezioni di H. Delehaye nella sua recensione al saggio di P. Franchi de' Cavalieri, insospettito dal fatto che il nome dei due ultimi diaconi dei sei citati nel Liber pontificalis corrisponda a quello dei più famosi diaconi dell'antichità cristiana, il protomartire Stefano e Vincenzo di Saragozza. Pertanto H. Delehaye avanzava l'ipotesi che originariamente il Liber pontificalis riportasse lo stesso numero di diaconi attestati da Cipriano, e che l'espressione "IV diaconi" si fosse trasformata per un errore di copiatura in "VI diaconi": i nomi dei due ulteriori diaconi, desunti da quelli di due celebri diaconi dell'antichità, sarebbero poi stati integrati nell'elenco degli altri quattro. A partire dall'ultimo quindicennio del sec. IV si delinea, nelle allusioni di vari autori, una leggenda in cui S. è associato al suo diacono o arcidiacono Lorenzo, quindi indipendentemente dalle testimonianze di Damaso, di cui almeno negli unici epigrammi dedicati a Lorenzo che sono pervenuti (Epigrammata Damasiana, nrr. 33, 58) non si dice che facesse parte del clero, o che avesse avuto a che fare con Sisto II. Ambrogio di Milano, verso il 389-390, in De officiis I, 205-207, descrive un dialogo tra S. condotto al supplizio e Lorenzo, il quale si lamenta di dovergli sopravvivere senza condividere con lui la gloria del martirio, al che S. preannuncia che proprio a lui sono riservate prove più difficili delle sue, e che lo avrebbe seguito dopo tre giorni. Attorno al 400 il poeta Prudenzio, nel suo inno su s. Lorenzo (Peristefanon II, 21-28), presenta S. inchiodato alla croce che consola Lorenzo, preannunciandogli il martirio dopo tre giorni. Il particolare della crocifissione di S. è stato spiegato come un fraintendimento dell'espressione "crucis invictae comites pariterque ministri / rectoris sancti" di Damaso (Epigrammata Damasiana, nr. 25, 3-4), ma è probabile che l'inno su Lorenzo sia anteriore al viaggio a Roma di Prudenzio, quando il poeta avrebbe potuto più facilmente conoscere l'epigramma su Felicissimo e Agapito. Si discute se questa tradizione che collega S. a Lorenzo e già rappresentata da Ambrogio e da Prudenzio, che inoltre concordano per alcuni particolari della vicenda di Lorenzo - la sua condizione di diacono, l'esibizione dei poveri come le ricchezze della Chiesa, il supplizio della graticola (il solo Ambrogio), la morte a fuoco lento, l'invito schernevole di Lorenzo a essere mangiato crudo o cotto che fosse (Prudenzio) e ad essere rivoltato per completare la cottura (Ambrogio) -, non dipenda da una Passio antica, ora perduta. Di fatto si conosce una Passio sanctorum Xysti Laurentii et Yppoliti, che il più recente editore, G.N. Verrando, ritiene composta tra la prima metà del sec. V, epoca entro la quale è documentato lo sviluppo del culto congiunto dei tre martiri, e i primi decenni del sec. VI, in quanto questo testo sembra utilizzato dal redattore del Liber pontificalis. In questa Passio la vicenda è ambientata all'epoca di Decio (249-251), e Ippolito vi figura come il dux cui Lorenzo è affidato in custodia e che si lascia convertire, per essere martirizzato tre giorni dopo Lorenzo, il 13 agosto. S. vi è detto nativo di Atene, educato in quella città, filosofo prima di diventare discepolo di Cristo. Venuto a sapere che Decio sta per rientrare a Roma, S. affida a Lorenzo i beni della Chiesa perché possano essere messi al riparo dall'avidità dell'imperatore. Decio arriva, condanna a morte i cristiani Abdon e Sennes (Sennen), persiani che aveva portato con sé dall'Oriente. I loro corpi saranno poi deposti il 30 luglio nel cimitero di Ponziano. Segue a pochi giorni un breve processo a S., che si rifiuta di sacrificare agli dei ed è decapitato il 6 maggio sulla via Appia, per poi essere deposto nel cimitero di Callisto. Il racconto prosegue con il martirio di Lorenzo il 10 agosto e con quello di Ippolito il 13 agosto, quindi con la morte violenta di Decio e del prefetto Valeriano. Questa narrazione, detta Passio vetus, sarà utilizzata nella letteratura successiva intesa a celebrare i tre martiri: in particolare, per quanto riguarda S., anche negli inni pseudoambrosiani De sancto Sixto e De sancto Laurentio. Un rifacimento della Passio vetus è la Passio Polychronii, o Passio recentior, in cui le vicende dei martiri ricordati nella precedente sono inserite in un ciclo narrativo più ampio che coinvolge vari martiri orientali, tra cui Policronio vescovo di Babilonia, e altri martiri romani: questa ulteriore Passio risalirebbe, sempre secondo G.N. Verrando, a circa la metà del sec. VI. L'ipotesi, già formulata da E. Follieri e ripresa da G.N. Verrando, è che circolasse già alla fine del sec. IV una Passio Sixti et Laurentii, anteriore alla Passio vetus. Queste due ultime sarebbero all'origine di varie redazioni di una Passio greca dei ss. Sisto, Lorenzo e Ippolito. Già nella sua prima redazione il Liber pontificalis riprende la Passio vetus, quando fa di S. un greco, precedentemente filosofo, ambientando il suo pontificato ai tempi di Valeriano e Decio, e ancor più nella seconda redazione, quando aggiunge che il martirio fu conseguenza del suo rifiuto di sacrificare agli idoli. Il Liber pontificalis (nr. 25) menziona le sue ordinazioni di quattro presbiteri, sette diaconi e due vescovi, riferisce della sepoltura di S. nel cimitero di Callisto e di un periodo di sede vacante fino al 21 luglio del 259 (notizia desunta probabilmente dal Catalogo Liberiano, che presenta in proposito un testo lacunoso), durante il quale la Chiesa romana fu governata dai presbiteri: un periodo sicuramente più lungo dei trentacinque giorni conteggiati alla fine della notizia. Questa si diffonde in particolare sui martiri romani uccisi insieme a S., facendo i nomi, come si è detto sopra, dei sei diaconi uccisi con lui, e che sarebbero stati tutti sepolti nel cimitero di Pretestato. Dopo tre giorni, il 10 agosto, l'arcidiacono Lorenzo sarebbe stato ucciso con il suddiacono Claudio, il presbitero Severo, il lettore Crescenzio e l'ostiario Romano. Lorenzo sarebbe stato sepolto nel cimitero di Ciriaca nel campo Verano. Si è già detto sopra di Felicissimo e Agapito e degli altri diaconi uccisi con Sisto II. Evidentemente il Liber pontificalis fonde la notizia di Cipriano con quella della Depositio martyrum su Felicissimo e Agapito. In Passio Polychronii 11-12 e 17-18 i due diaconi sono presentati al seguito di S., suoi compagni di prigionia, della condanna e del martirio, senza che vi sia fatta menzione degli altri quattro. Quanto a Lorenzo si è detto dei caratteri che assume nella leggenda il martire, citato da Damaso senza alcun titolo ecclesiastico e senza un preciso riferimento al suo estremo supplizio, se non un generico accenno alle fiamme cui Lorenzo avrebbe potuto resistere con la sua fede (Epigrammata Damasiana, nr. 33, 1-2: "Verbera carnifices flammas tormenta catenas / vincere Laurenti sola fides potuit"): d'altra parte, il secondo editto di Valeriano, di cui furono vittime S. con i suoi compagni e Lorenzo, prevedeva l'esecuzione immediata del clero, verosimilmente per spada (cfr. Cipriano, Epistularium 80, 1, 2: "ut episcopi et presbyteri et diacones in continenti animaduertantur"). Relativamente ai compagni di martirio di Lorenzo elencati dal Liber pontificalis, non si sa nulla di Claudio e Severo. In Passio Polychronii 15 si incontra un Crescenzione, cieco, guarito miracolosamente da Lorenzo, ma che non figura come martire: forse questo stesso personaggio è stato identificato con l'omonimo commemorato nel cimitero della via Tiburtina secondo il Martyrologium Hieronymianum alle date del 4 e del 10 agosto. In Passio Poly-chronii 26 si parla di un Romano, soldato e non ostiario, che si fa battezzare da Lorenzo e muore martire il 9 agosto. La qualifica di filosofo attribuita a S. già nella Passio vetus è da porsi in relazione con l'identificazione di S. con il presunto autore delle Sententiae Sexti, fatta da Rufino di Aquileia nel prologo della sua traduzione latina dell'opera. Si tratta in realtà del rifacimento, con ampie interpolazioni cristiane, di una collezione di sentenze, forse di origine pitagorica, attribuite al filosofo Sesto Empirico. Tale identificazione del filosofo con S. fu ripetutamente rinfacciata da Girolamo a Rufino, ma anche Agostino l'accolse in un primo tempo, per poi ritrattarla: in Decretum Gelasianum 5, 4 le Sententiae Sexti sono condannate come opera di eretici intestata a Sisto II. A papa S. sono stati attribuiti, ma con scarso seguito, i trattati pseudociprianei Adversus Novatianum e Adversus Iudaeos. Nella collezione delle decretali pseudoisidoriane, due sono sotto il suo nome. La commemorazione di S. alla data del 10 agosto compare anche nel Martyrologium Hieronymianum, dal quale è passata ai martirologi medievali e al Martyrologium Romanum, e si trova anche nel Kalendarium Carthaginiense e nel Synaxarium Ecclesiae Constantinopolitanae. Nel Martyrologium Syriacum ricorre alla data del 1° agosto. È probabilmente S., e non Sisto I, il santo martire ricordato nel Communicantes del canone romano della messa: il suo nome è anteposto a quello di Cornelio per associare più strettamente il nome di quest'ultimo a quello di Cipriano, che lo segue nella serie dei martiri ivi ricordati. La chiesa dedicata in Roma a S. in quello che si riteneva il luogo del suo martirio, attualmente S. Sisto Vecchio, all'angolo tra le attuali via delle Terme di Caracalla e via Druso, è menzionata a partire dalla fine del sec. VI, con la firma del presbitero Felice al concilio romano del 595: indagini archeologiche condotte nella chiesa durante gli anni Trenta del Novecento hanno messo in luce elementi di un edificio di culto attribuibile al V secolo, il che ha fatto ipotizzare, anche se in assenza di prove certe, l'identificazione della chiesa di S. Sisto Vecchio con il "titulus Crescentianae", menzionato nel concilio romano del 499. Fonti e Bibl.: Cipriano, Epistularium 80, 1, 2.4, a cura di G.F. Diercks, Turnholti 1994-96 (Corpus Christianorum, Series Latina, 3 B-C), pp. 626, 627; Pseudo Cipriano, Adversus Iudaeos, a cura di W. Hartel, Vindobonae 1871 (Corpus Scriptorum Ecclesiasticorum Latinorum, 3, 3), pp. 52-69; Id., Adversus Novatianum, a cura di W. Hartel, ivi 1871 (Corpus Scriptorum Ecclesiasticorum Latinorum, 3, 3), pp. 133-44; Ponzio, Vita Cypriani 14, 1, a cura di M. Pellegrino, Alba 1955, p. 160; Eusebio di Cesarea, Historia ecclesiastica VII, 5, 4-6; 6; 9, 2-5; 9, 6; 27, 1, a cura di E. Schwartz, Leipzig 1908 (Die Griechischen Christlichen Schriftsteller. Eusebius Werke, II, 2), pp. 640, 642, 646-48, 702; Id., Chronicon, ad a. 256, a cura di R. Helm, Berlin 1956 (Die Griechischen Christlichen Schriftsteller. Eusebius Werke, VII), p. 220; Epigrammata Damasiana, nrr. 16, 17, 17¹, 17², 25, 33, 58, a cura di A. Ferrua, Città del Vaticano 1942, pp. 120, 124, 126, 127, 154, 167, 212 (per i frammenti del nr. 17¹ cfr. anche Inscriptiones Christianae urbis Romae. Nova series, IV, a cura di G.B. de Rossi-A. Ferrua, ivi 1964, nrr. 11079, 11082, pp. 256-57); Ambrogio, De officiis I, 205-207, a cura di M. Testard, Paris 1984, pp. 196-97; Pseudo Ambrogio, De sancto Laurentio, a cura di J. De Mongolfier-G. Nauroy, in Ambroise de Milan, Hymnes, a cura di J. Fontaine, ivi 1992, pp. 545-81; Id., De sancto Sixto, a cura di G.M. Dreves, Leipzig 1891 (Analecta hymnica Medii Aevi, 11), nr. 496, p. 267; Regesta Pontificum Romanorum, a cura di Ph. Jaffé-G. Wattenbach-S. Loewenfeld-F. Kaltenbrunner-P. Ewald, I, ivi 1885, pp. 21-2; Le Liber pontificalis, a cura di L. Duchesne, I, Paris 1886, pp. LXX, XCVI-XCVIII, CCXI-CCXVII, 68-9 (prima redazione), 154, 155, 155-56; Catalogo Liberiano, ibid., pp. 6-7; Depositio martyrum, ibid., p. 11; Prudenzio, Peristefanon II, 21-28, a cura di M.P. Cunningham, Turnholti 1966 (Corpus Christianorum, Series Latina, 126), pp. 257-58; Sententiae Sexti, praefatio, in The Sentences of Sext, a cura di H. Chadwick, Cambridge 1959, p. 9; Passio sanctorum Xysti Laurentii et Yppoliti, a cura di G.N. Verrando, "Recherches Augustiniennes", 25, 1991, pp. 181-221; Passio Polychronii 11-12, 17-18, 26, a cura di H. Delehaye, "Analecta Bollandiana", 51, 1932, pp. 80-1, 84-5, 90-1; Decretum Gelasianum 5, 4, a cura di E. von Dobschütz, Leipzig 1912 (Texte und Untersuchungen, 28, 4), p. 53; Martyrologium Hieronymianum, in H. Delehaye, Commentarius perpetuus in Martyrologium Hieronymianum [...], in Acta Sanctorum Novembris [...], II, pars posterior, Bruxellis 1931, pp. 419-21 (6 agosto), 427-28 (9 agosto), 431-33 (10 agosto); Synaxarium Ecclesiae Constantinopolitanae (10 agosto), a cura di H. Delehaye, in Propylaeum ad Acta Sanctorum Novembris, ivi 1902, coll. 881-82; Martyrologium Syriacum, in Acta Sanctorum Novembris [...], II, pars prior, ivi 1885, pp. LII-LXV; Kalendarium Carthaginiense, ibid., pp. LXX-LXXI; Martyrologium Romanum [...] scholiis historicis instructum, in Propylaeum ad Acta Sanctorum Decembris, ivi 1940, pp. 327-28 (6 agosto). Decretali attribuite a S.: cfr. P. Hinschius, Decretales pseudo-Isidorianae et Capitula Angilramni [...], Lipsiae 1863, pp. 189-94. Fonti agiografiche: Bibliotheca Hagiographica Graeca, a cura di F. Halkin, II, Bruxellis 1957, nrr. 976-78b; ibid., Novum Auctarium, a cura di F. Halkin, ivi 1984, nrr. 976-77e; Bibliotheca Hagiographica Latina [...], II, ivi 1900-01, nrr. 7801-12; ibid., Novum Supplementum, a cura di H. Fros, ivi 1986, nrr. 7801-12e. Studi: Ecclesiastica Historia [...] per aliquot studiosos et pios viros in urbe Magdeburgica, Centuria II, Caput X, Basileae 1562, coll. 211-12; C. Baronio, Annales ecclesiastici, II, Romae 1590, pp. 515, 529, 531-33; [L.-S.] Lenain de Tillemont, Mémoires pour servir à l'histoire ecclésiastique des six premiers siècles, t. IV, Venise 1732, pp. 35-8, 596; Acta Sanctorum [...], Augusti, II, Antverpiae 1735, pp. 124-42; A. von Harnack, Über eine bisher nicht erkannte Schrift des Papstes Sixtus II., vom Jahre 257-258, Leipzig 1895 (Texte und Untersuchungen, 13, 1); Id., Zur Schrift Pseudocyprians (Sixtus II.) Ad Novatianum, in Id., Patristische Miscellen, ivi 1900 (Texte und Untersuchungen, 20, 3), pp. 116-26; P. Franchi de' Cavalieri, S. Lorenzo e il supplizio della graticola, "Römische Quartalschrift", 14, 1900, pp. 159-76 (ristampato in Id., Scritti agiografici, I, Città del Vaticano 1962, pp. 383-99); Ch.L. Feltoe, The Letters and Others Remains of Dionysios of Alexandria, Cambridge 1904, pp. XXIX-XXX; P. 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Stratos, II, Athènes 1986, pp. 399-423; P. Lampe, Die stadtrömischen Christen in den beiden ersten Jahrhunderten, Tübingen 1989², pp. 341-45; G.N. Verrando, Alla base e intorno alla più antica Passio dei santi Abdon e Sennes, Sisto, Lorenzo ed Ippolito, "Augustinianum", 30, 1990, pp. 145-87; Id., "Passio SS. Xysti Laurentii et Yppoliti". La trasmissione manoscritta delle varie recensioni della cosiddetta Passio vetus, "Recherches Augustiniennes", 25, 1991, pp. 181-221; S. Calandra, La tradizione storica sul papa martire, in La chiesa e il monastero di San Sisto sulla via Appia. Raccolta di studi storici, a cura di R. Spiazzi, Bologna 1992, pp. 183-87. Per la documentazione archeologica, oltre a quella già citata v.: Codice topografico della città di Roma, a cura di R. Valentini-G. Zucchetti, II, Roma 1942 (Fonti per la Storia d'Italia, 88); Lexicon Topographicum Urbis Romae, IV, ivi 1999, s.v. Sixtus, Titulus, p. 330, con bibl. precedente. 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