TOMMASO d'Aquino, Santo
Filosofo e teologo, nato a Roccasecca (prov. Frosinone) intorno al 1224-1225 dalla famiglia dei conti di Aquino e morto nel 1274.
T. entrò come oblato nel monastero benedettino di Montecassino, dove ricevette la sua prima formazione. Dal 1239 al 1243 frequentò la facoltà delle arti dello studium generale di Napoli, fondato nel 1224 da Federico II, dove egli ebbe come maestro in naturalibus Pietro di Irlanda (m. post 1260), da cui fu avviato alla filosofia aristotelica e averroista.Entrato nei Predicatori nel 1244, malgrado l'opposizione dei familiari, nel 1245 T. fu inviato a Parigi per proseguire i suoi studi. All'Università di Parigi frequentò i corsi di teologia, sotto la guida di Alberto Magno, legandosi poi al maestro in modo duraturo. Quando nel 1248 questi lasciò Parigi alla volta di Colonia, dove era stato incaricato di costituire uno studium generale dell'Ordine, portò con sé T., al fine di permettergli di completare gli studi di teologia e di coadiuvarlo nell'insegnamento.Il periodo coloniense (1248-1252) ebbe importanza decisiva nella formazione di T.: egli poté penetrare a fondo il pensiero filosofico e teologico del maestro - del quale è certo abbia seguito le lezioni sul De divinis nominibus dello pseudoDionigi e sull'Etica a Nicomaco di Aristotele, perché se ne sono conservati gli appunti - e, in qualità di baccelliere biblico di Alberto, dare inizio al suo insegnamento, di cui è frutto il Super Isaiam, composto nell'ultimo periodo di soggiorno a Colonia.Nel corso del 1252 T. ricevette l'ordine di tornare a Parigi per coprire l'incarico di baccelliere sentenziario, la seconda di una serie di tappe obbligate in vista del titolo di maestro in teologia: è legato a questo momento lo Scriptum super Sententiis, il primo lavoro teologico importante, che data al 1252-1254.Assolti gli obblighi di baccelliere formato (1254-1256), che imponevano di assistere il maestro nelle dispute accademiche e nella formazione degli studenti, T. ottenne la licentia docendi nel febbraio del 1256 e nella primavera dello stesso anno conseguì il titolo di maestro in teologia, dando inizio alla sua attività magistrale, anche se solo nell'autunno del 1257 fu accolto insieme al francescano Bonaventura da Bagnoregio (m. nel 1274) nel consortium magistrorum. Non è dato conoscere quali furono i testi biblici commentati da T., ma sappiamo con certezza che le ventinove Quaestiones disputatae de veritate coprono per intero il periodo della sua prima reggenza (1256-1259), entro il quale trovano posto anche le Quaestiones de quodlibet VII-XI. Tra gli scritti di questo periodo sono da segnalare il De ente et essentia (ante 1256) e i commenti al De Trinitate e al De hebdomadibus di Boezio (1257-1258), ma soprattutto l'avvio (1258-1259) della sua prima opera di sintesi teologica, la Summa contra Gentiles.La rotazione nell'insegnamento dei maestri reggenti era una prassi consolidata nella politica dell'Ordine; così T. verso la fine del 1259 lasciò Parigi per fare ritorno in Italia. Questo soggiorno italiano vide T. impegnato nell'insegnamento - che svolse dapprima nel convento domenicano di Orvieto (1261-1265) e poi in quello di S. Sabina a Roma (1265-1268) -, ma anche specialmente in un'intensa attività letteraria: la Summa contra Gentiles venne conclusa entro gli anni 1264-1265 e sempre a Orvieto vennero redatti l'Expositio in Iob, da assegnare al suo insegnamento, il commento al De divinis nominibus dello pseudo-Dionigi e gran parte della Catena aurea, terminata poi a Roma, dove si collocano le Quaestiones disputate de potentia e De anima, che testimoniano del metodo di insegnamento già condotto a Parigi, e l'avvio della Summa theologiae, di cui portò a termine la prima parte. Quest'opera, a differenza della Summa contra Gentiles, pensata quale esposizione scientifica della verità teologica da opporre agli errori degli infedeli, doveva nelle intenzioni dell'autore costituire una sintesi della sacra doctrina per la formazione dei novizi: nella sua struttura è delineata la dinamica dell'intera impresa teologica, dalla cognizione di Dio in sé e quale principio e fine delle creature (prima parte), al ritorno razionale dell'uomo al suo creatore e fine ultimo (seconda parte), che si compie attraverso l'umanità di Cristo (terza parte).Verso la fine del suo soggiorno a Roma T. iniziò la redazione dei commenti aristotelici portando a termine quello al De anima. È accertato che per questo commento egli utilizzò la versione latina del testo aristotelico eseguita intorno al 1267 dal confratello Guglielmo di Moerbeke (m. 1286), uno dei più importanti traduttori di Aristotele del 13° secolo.Verso il settembre del 1268 T. fu nuovamente inviato a Parigi a reggere la cattedra già occupata quasi dieci anni prima. Non sono del tutto chiari i motivi che portarono a tale decisione, ma quasi certamente dipesero dalle turbolenze che in quel momento si erano manifestate in seno all'Università. Si era in primo luogo determinato un conflitto tra la facoltà delle arti e quella di teologia, che riguardava l'atteggiamento radicale tenuto dai maestri in artibus nell'insegnamento dei libri naturales di Aristotele, e che condusse poi alla condanna del dicembre 1270 di alcune tesi aristoteliche e averroiste e alla proibizione di farne oggetto di insegnamento. In secondo luogo era tornata ad acuirsi la polemica dei secolari verso i Mendicanti per escluderli dall'insegnamento. Lo scontro - che aveva vissuto un periodo piuttosto intenso con gli attacchi del maestro secolare Guglielmo di Saint-Amour (m. nel 1272) già all'inizio del primo insegnamento parigino di T., che lo aveva visto ingaggiato nella polemica con il Contra impugnantes del 1256 - fu condotto specialmente a opera di Gerardo d'Abbeville (m. nel 1272), che ripetutamente nelle dispute accademiche investì sul piano dottrinale la concezione teorica dell'ideale e del ruolo dei Mendicanti nella pratica della vita religiosa. Da parte domenicana, in risposta agli attacchi, T. scrisse il De perfectione spiritualis vitae (1269-1270) e il Contra retrahentes (1271), due scritti apologetici incentrati sul concetto della povertà intesa quale strumento della perfezione cristiana, e sostenne varie dispute accademiche (Quodlibet II-V), tenute tra gli anni 1269-1271.
Sull'altro fronte, l'iniziativa di T. mirò a combattere quei maestri in artibus che, ispirati dall'errore di Averroè, commentavano in modo pericoloso i testi aristotelici. La redazione del De unitate intellectus contra Averroistas (1270) intese confutare l'esegesi averroista dell'anima intellettiva (come unica per tutti gli uomini) difesa da questi maestri in artibus, in particolare da Sigieri di Brabante (m. nel 1284 ca.), dichiarandola estranea ad Aristotele e contraria alla fede. Tali conclusioni permettono di comprendere l'importanza attribuita da T. alla difesa di Aristotele da interpretazioni erronee del suo pensiero - tenuto conto che ebbe anche a combattere l'ostilità nutrita in ambienti francescani nei riguardi del filosofo - e lasciano intuire l'interesse assegnato nel quadro dei suoi compiti teologici all'esegesi dei testi aristotelici, valutabile dall'accelerazione che in tal senso ebbe la sua produzione letteraria, dai commenti al Peryermeneias e ai Secondi Analitici a quelli all'Etica, alla Politica, alla Fisica, alla Metafisica.
Questo secondo insegnamento parigino è sorprendente per la mole di scritti che T. riuscì a redigere in quegli anni. Oltre ai commentari biblici, quali il Super Matthaeum e il Super Ioannem e le Quaestiones disputatae (De malo; De virtutibus; De unione verbi incarnati), che rientravano nei compiti dell'insegnamento universitario, T. portò a termine la seconda parte della Summa theologiae (Prima Secundae, 1271; Secunda Secundae, 1271-1272) e l'inizio della terza, nonché vari opuscoli di diverso genere, tra cui il Super de causis, un'opera allora considerata di Aristotele, di cui T. per primo contestò la paternità, riconoscendone la dipendenza dalla filosofia neoplatonica.Intorno alla primavera del 1272 T. intraprese il viaggio di ritorno in Italia e il 12 giugno dello stesso anno ricevette l'incarico di costituire uno studium generale dell'Ordine a Napoli. Probabilmente tra il 1272 e il 1273 fu impegnato a commentare le Epistolae di s. Paolo, in particolare quella ai Romani, continuando al tempo stesso la redazione sia della terza parte della Summa theologiae, interrotta alla quaestio 90 (venne poi completata da un supplementum a opera dei suoi discepoli), sia dei commenti aristotelici: furono completati quelli alla Metafisica e ai Secondi Analitici e iniziati quelli al De caelo et mundo e al De generatione et corruptione, rimasti incompiuti.T. morì nel 1274 nell'abbazia di Fossanova, nel corso del viaggio alla volta di Lione per partecipare al concilio lì convocato dal papa Gregorio X.Il processo di canonizzazione fu avviato da papa Giovanni XXII (1316-1334) e nel settembre del 1317 Guglielmo di Tocco, priore del convento domenicano di Benevento, che aveva conosciuto T. nell'ultimo periodo della sua vita a Napoli, venne incaricato da parte dell'Ordine di raccogliere testimonianze e documenti sulla vita e i miracoli del santo. Nel 1318 era già pronta una prima redazione della Vita s. Thomae, che Guglielmo di Tocco presentò al papa ad Avignone, per poi continuare a lavorarvi almeno fino all'agosto del 1323, presumibile data della sua morte. Due inchieste processuali ebbero luogo prima a Napoli (1319) e poi a Fossanova (1321) e la bolla del 18 luglio 1323 proclamò ufficialmente la canonizzazione. Nel 1369 le reliquie del santo vennero traslate nella chiesa domenicana dei Jacobins di Tolosa.Accanto a Guglielmo di Tocco i biografi più antichi di T. furono Bernardo Gui (m. nel 1331), la cui Vita ebbe una versione definitiva nel 1325-1326, e Pietro Calo (m. nel 1348), la cui opera agiografica è databile a dopo il 1330.
Bibl.:
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Letteratura critica. - E. Gilson, Le Thomisme. Introduction à la philosophie de saint Thomas d'Aquin, Paris 1919 (1947⁵); M. Grabmann, Die Werke des hl. Thomas von Aquin. Eine literarhistorische Untersuchung und Einführung, Münster 1931 (19493); M.D. Chenu, Introduction à l'étude de saint Thomas d'Aquin, MontréalParis 1950 (1984⁴); J.A. Weisheipl, Friar Thomas d'Aquino. His Life, Thought and Works, Washington 1974 (trad. it. Tommaso d'Aquino. Vita, pensiero, opere, Milano 1988); L.J. Elders, Die Metaphysik des hl. Thomas von Aquin in historischer Perspektive, 2 voll., Salzburg-München 1985-1987 (trad. it. La Metafisica dell'essere di San Tommaso d'Aquino in una prospettiva storica, Roma 1995); id., Autour de saint Thomas d'Aquin, 2 voll., Paris-Bruges 1987; J.P. Torrel, Initiation à Saint Thomas d'Aquin. Sa personne et son oeuvre, Fribourg-Paris 1993 (trad. it. Tommaso d'Aquino. L'uomo e il teologo, Casale Monferrato 1994).L. Rosano
Si è affermato che le idee tomiste sul bello e sull'arte fossero poche, generali e sparse nella vastità dell'opera prodotta dal teologo domenicano (Croce, 1946). Un consolidato indirizzo critico ha inoltre affermato che l'estetica tomista non riguardi il problema dell'arte (De Wulf, 1933; Eco, 19702; Tatarkiewicz, 1970). In realtà l'arte - quale contributo creativo dell'uomo, artifex creatus - si pone al centro delle riflessioni estetiche di Tommaso. Complessa anziché semplice appare perciò la sua visio pulchri, la quale deve questa ricchezza di connotati al fatto che, mentre precorre per molti aspetti il Rinascimento e la modernità, si presenta saldamente ancorata alle certezze della metafisica medievale contemplanti la scienza del bello avvinta alla teologia.Nelle grandi linee tematiche la dottrina tomista intorno al bello può quindi così inquadrarsi. Le idee sul pulchrum, sul verum, sul bonum possiedono valore ontologico, ma nel contempo rinvengono nella creatura che possiede la stazione eretta, la mano abile, il linguaggio articolato, la vista e l'udito sottili atti a percepire la varietà delle forme e delle armonie del sensibile (Summa theol., I, 91, 3), il connaturale destinatario. Ammira perciò il corpo dell'uomo ma in particolare è affascinato dalla sua facoltà intellettiva, dal cervello, l'organo del pensiero umano che descrive come recettivo ed eminentemente plastico (Summa theol., I, 8, 47 e 85). La percezione disinteressata del bello distingue l'uomo dall'animale (Summa theol., I, 91, 3; II-II, 141, 4). Sensibilità e manualità sono ritenute quindi di per sé forme di intelligenza (Summa theol., I, 76, 5) introduttive alla conoscenza e perfettive della stessa (Summa theol., I, 85, 1; In libr. Pol., VIII, I, 1270). L'umano stupore verso il bello suscita poi per T. "desiderio di conoscere" ed è "quasi via alla ricerca della verità" (In libr. Metaph., I, 2, 3). Il bello inoltre è valore educativo e formativo della coscienza etica in quanto l'amore per la delectatio spiritualis del pulchrum rende liberi (In libr. Pol., I, 1279), evitando l'asservimento a gratificazioni più insulse (Summa theol., II-II, 35, 4).In questa cornice antropologica T. configura del pari il bello come ente che traluce l'Essere, ragione per cui i criteri tomisti del bello - l'integritas, la proportio, la claritas, - sono inseriti nel trattato trinitario e assegnati propriamente al Figlio cui pertiene il titolo di imago del Dio invisibile, di summa pulchritudo e fonte di ogni claritas e perfezione mondana (Summa theol., I, 39, 8). Ed è da osservare poi che l'idea del bello tomista, lungi dal levitare nelle metafisiche regioni della teologia, è entrata di peso nella storia dell'immagine. Il volto sublime del Dio Uomo della cappella degli Scrovegni, difatti, costituisce la più alta forma di visualizzazione e di universale comunicazione della cristologia e della visione teoantropocentrica tomista (Summa theol., II, 45, 1; III, 38; Simi Varanelli, 1988). I tre criteri - l'integritas o la bellezza emanante dalla compiutezza, la proportio, il rapporto armonico che collega le parti della composizione e la claritas, la radianza luminosa, bensì anche la virtù della godibilità e intellegibilità che scaturisce dall'opera perfetta - possono apparire propri della forma classica, ma sono atti a recepire le forme d'arte più diverse. T. ricorda in proposito l'opinione espressa da Aristotele nella Poetica: la rappresentazione del bello quando attinge alla perfezione - per quanto il soggetto possa essere angosciante o sgradevole - ingenera nell'anima dell'uomo sentimenti di consolazione e di catarsi (Simi Varanelli, 1983). Ragione per cui T. giudica che ogni stile artistico sia potenzialmente espressivo del bello (Summa theol., I, 78, 4; Maritain, 19652).Nella complessa personalità di T. si deve tuttavia distinguere il teorico dell'estetica dal critico e conoscitore degli stili e delle problematiche artistiche del suo tempo. Da Plotino in poi l'arte del Medioevo aveva atteso a eliminare le connotazioni corporee dell'immagine, mentre l'arte del maturo Duecento persegue l'illusione del rilievo, la composizione sintattica, l'inserimento degli oggetti nello spazio, agibile e commensurabile, attraverso la prospettiva, ossia ricerca ciò che conferisce all'immagine la funzione di un efficace strumento conoscitivo (Romanini, 1987). Orbene, T. deve riconoscersi tra i più autorevoli teorici della nuova visione.
Formatosi nella temperie raffinata della civiltà artistica e scientifica cassinese e federiciana - sebbene anche attento conoscitore del fenomeno artistico gotico oltralpino - T. ama la purità formale e la vibrazione di vita che spira dagli artificiata classici. Si pone quindi tra i promotori della tardoduecentesca riscoperta del naturalismo (Assunto, 1961), vale a dire di un tipo di arte colta capace di esprimere nella ritrovata corporeità le pulsioni, le profondità psicologiche, nonché le connotazioni ritrattistiche della persona. Come teorico della scienza ottica T. si palesa poi sostenitore del recupero della tridimensionalità corporea e della illusionistica visione in profondità attraverso le leggi della prospettiva (Simi Varanelli, 1989) anche in quell'arte della pittura, che - un tempo giudicata umile e destinata agli indotti - si poneva ormai al centro dell'interesse delle scuole e dottrine più avanzate (Federici Vescovini, 1955). E tutto ciò faceva mentre consapevolmente prendeva le distanze dalla visione del bello che si fonda sui fragiles ornatus dell'opus francigenum, o del Gotico da cattedrale oltralpino (In libr. Eth., VI, 5, 1180).
Se non ama il virtuosismo gotico, T. apprezza l'immagine la cui subtilitas deve essere percepita dall'intelletto piuttosto che dagli occhi. Ed è da osservare che i capolavori dei sommi artisti della generazione a lui successiva, quali Giotto, Arnolfo, Giovanni Pisano e altri ancora, si muovono nello stesso orizzonte di ricerca e di gusto (Hausenstein, 1923) e che, non a caso, anche i teorici perspectivi quali Witelo (sec. 13°) fanno proprie le direttive tomiste.Anche intorno alle artes figurandi o arti belle e alla personalità e dignità dell'artifex il doctor communis ha espresso dottrine e regole radicalmente innovatrici. Nel Medioevo le arti belle - pur restando inquadrate nelle meccaniche - sono apprezzate e distinte dall'ambito indeterminato dell'ars intesa come mera produzione artigianale e tecnologica. Questa distinzione emerge con la massima coerenza nel pensiero dell'Aquinate, che giudica le arti belle date alla luce non per necessità, ma per volontà d'amore e con lo scopo di arrecare diletto (Valensise, 1923). È da segnalare poi come T. sia uno dei più energici sostenitori della deontologia, della dignità professionale e sociale dell'artista o del diritto di venire in fama posseduto dall'artefice capace. Il consiglio che egli dà ai committenti è quindi quello di lasciare la libertà di espressione all'operatore sapiente concedendo fiducia alla bravura dell'artefice e alla prudenza dell'uomo (Summa theol., I-II, 21, 2; 57, 5). È ciò perché l'artifex, che concepisce l'opera nello stato di ispirazione (In III Sent., 29, 2, 7), è l'unica persona che conosce l'opera ed è pronta a dedicarsi con sacrificio alla sua perfezione, poiché l'ama come padre il figlio, tanto che se potesse le comunicherebbe la vita (In libr. Eth., IX, 7).L'opera d'arte, spiega T., prende forma nella mente e nel cuore dell'artifex prima che egli abbia posto mano alla materia da modellare e presenta perciò la necessità di una progettazione (excogitatio, deliberatio) accurata (In III Sent., 38, 1, 1). Ma pervenuto l'artista nello stato della plasmazione effettiva (executio), questo è il suo consiglio: l'artifex dismetta le norme e regole in uso e segua la propria ispirazione, il motus cordis, la sua potentia motiva (Simi Varanelli, 1996).Benché generalmente si sostenga che l'estetica scolastica apprezzi nell'arte soprattutto la funzione didascalica (Antal, 1947), per T. l'arte vale in primo luogo per la bellezza. E, in quanto ricca di valore artistico, deve essere apprezzata anche quando è veicolo di favole menzognere. Nel giustificare l'arte pagana e profana T., però, non perde di vista il problema dell'arte sacra. Si potrebbe pensare che, partendo dalle premesse suddette, egli sia portato a esprimere una drastica condanna dell'arte liturgica imperfetta artisticamente; la soluzione da lui prescelta ricalca invece le orme dei padri iconofili del sec. 7°: all'opera che raffigura Dio si deve il culto come se fosse Dio stesso. La devozione può esprimersi anche verso immagini povere di pregi artistici e non apprezzabili perciò dal punto di vista estetico (Wirth, 1996). Si conferma perciò come nell'Aquinate giudizio estetico ed etico rimangano naturalmente distinti.Non rimane che da segnalare come le dottrine sull'arte del dottore domenicano abbiano rinvenuto consensi all'interno e fuori dell'Ordine e come i Domenicani del Duecento e del primo Trecento si siano attenuti rigorosamente - sia nell'architettura sia nelle artes figurandi - all'intellettualismo della visione tomista dell'arte e come anche nelle scelte tematiche abbiano tenuto presenti i capisaldi delle sue dottrine estetiche e teologiche. È eclatante il caso del crocifisso dipinto dalla mano di Giotto nella domenicana S. Maria Novella a Firenze, fortunato indiscusso archetipo di un nuovo tipo di crocifisso, la cui umiliata e offesa umanità appare, tuttavia, misteriosamente sottesa dallo splendore inalienabile della beatitudine divina (Summa theol., III, 46, 7): un'immagine inequivocabilmente collegata alla sottile dottrina del gaudio della croce enunziata dal princeps theologorum e suggerita dai Domenicani stessi a Giotto (Simi Varanelli, 1992; Flores d'Arcais, 1994). L'intellettualismo della visione del bello e dell'arte tomista aleggia nel capolavoro dell'arca sepolcrale del fondatore in S. Domenico di Bologna (1264-1268), che narra le storie del santo in una successione di riquadri in cui i limpidi valori stereometrici e formali sono al servizio del vero quotidiano più commosso. L'arca, commissionata a Nicola Pisano e alla sua taglia, segna, come è noto, la fine del periodo delle direttive rigoristiche pronunziate dall'Ordine in merito all'arte suntuosa ("non habemus imagines sculptas"; Cannon, 1980). È perciò da supporre che un teorico quale T., che amava l'arte e la considerava, ai più alti livelli, espressione perfetta e imperfettibile della sapienza dello spirito umano (In libr. Ethic., VI, 5 1180), abbia contribuito con la sua autorevole sentenza a rafforzare il partito sostenitore della introduzione delle arti nel seno dell'Ordine. Tanto più che il partito novatore aveva alla testa Giovanni da Vercelli, generale dell'Ordine dal 1263 e amico di T. (Simi Varanelli, 1988). L'intellettualismo tomista è certo alla radice di uno stile gotico essenziale come quello delle domenicane fabbriche di S. Maria Novella di Firenze (Argan, 1968), prototipo di S. Maria sopra Minerva in Roma e di altre chiese. È stato osservato infatti come le fabbriche domenicane italiane, rifiutino, in genere, tanto l'eccesso di ornato e di colore delle fabbriche rappresentative francescane quanto l'aspra povertà ostentata dalla più parte degli impianti minoritici, in favore di una più lucida ratio architettonica o anche di una decorosa povertà (Romanini, 1978) e come le artes figurandi da loro patrocinate - dal tardo Duecento fino addentro al Trecento - diffondano un colto realismo formale e una pregnanza concettuale ben difforme dalla temperie variamente incline all'ornatismo e al patetismo di casa francescana (Assunto, 1961).
Bibl.:
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Letteratura critica. - W. Hausenstein, Giotto, Berlin 1923; P. Valensise, Dell'estetica secondo i principi dell'angelico dottore, Roma 1923; M. De Wulf, Etudes historiques sur l'esthétique de St. Thomas d'Aquin, Louvain 1933; B. Croce, Estetica, Bari 1946; F. Antal, Florentine Painting and its Social Background, London 1947 (trad. it. La pittura fiorentina e il suo ambiente sociale nel Trecento e nel primo Quattrocento, Torino 1960); E. De Bruyne, Etudes d'esthétique médiévale, 3 voll., Bruges 1948; G. Federici Vescovini, Studi sulla prospettiva medievale, Torino 1955; R. Assunto, La critica d'arte nel pensiero medievale, Milano 1961; J. Maritain, Art et scolastique, Bruges 19652 (Paris 1920); G.C. Argan, Storia dell'arte italiana, I, Firenze 1968; U. Eco, Il problema estetico in san Tommaso, Milano 19702 (Torino 1956); W. Tatarkiewicz, History of Aesthetics, II, Medieval Aesthetics, Warszawa 1970 (trad. it. Storia dell'estetica, II, L'estetica medievale, Torino 1979); A.M. Romanini, L'architettura degli ordini mendicanti: nuove prospettive di interpretazione, Storia della città, 1978, 9, pp. 5-15; J. Cannon, Dominican Patronage of the Arts in Central Italy: the Provincia Romana c.1220-c.1320 (tesi), London 1980; E. Simi Varanelli, La riscoperta medievale della Poetica di Aristotele e la sua suggestione sulle arti figurative tardo duecentesche, in Roma anno 1300, "Atti della IV Settimana di studi di storia dell'arte medievale dell'Università di Roma 'La Sapienza', Roma 1980", a cura di A.M. Romanini, Roma 1983, pp. 833-860; A.M. Romanini, Gli occhi di Isacco. Classicismo e curiosità scientifica tra Arnolfo di Cambio e Giotto, AM, s. II, 1, 1987, 1-2, pp. 1-56; E. Simi Varanelli, Giotto e Tommaso. I fondamenti dell'estetica tomista e la "renovatio" delle arti nel Duecento italiano, 2 voll., Roma 1988; id., Dal Maestro di Isacco a Giotto, AM, s. II, 3, 1989, 2, pp. 115-143; B. Mondin, Dizionario enciclopedico del pensiero di Tommaso d'Aquino, Bologna 1991; E. Simi Varanelli, Cristologia tomista e rinnovo dell'iconografia del ''patiens'' nel tardo Duecento, in Arte e spiritualità negli Ordini Mendicanti, "Atti del Convegno, Tolentino 1991", Roma 1992, pp. 93-104; F. Flores d'Arcais, Giotto, Padova 1994; E. Simi Varanelli, Artisti e dottori nel Medioevo. Il campanile di Firenze e la rivalutazione delle arti belle, Roma 1996; J. Wirth, Structure et fonctions de l'image chez saint Thomas d'Aquin, in Fonctions et usages des images dans l'Occident médiéval, Paris 1996, pp. 39-58; V. Sorge, ''Debita proportio'' e ''claritas'' nell'Umanesimo estetico di Tommaso d'Aquino, in Tempo della creazione e tempo delle arti, "Atti del Convegno, Cassino-Roccasecca-Aquino 1997", a cura di G. Turco, Casamari 1999, pp. 121-126; G. Turco, L'artista nel pensiero di Tommaso d'Aquino, ivi, pp. 127-133; E. Simi Varanelli, ''Ars'' e ''scientia'' nel pensiero dell'Aquinate, ivi, pp. 135-155; A. Lobato, Spirito e creatività. Il pensiero di Tommaso d'Aquino, ivi, pp. 157-167.
Nell'iconografia di T. si distinguono una tendenza celebrativa e astrattiva che si concretizza nei trionfi del divus Thomas e una seconda che, attraverso la raffigurazione degli episodi della vita, i casi miracolosi dei suoi frequenti rapimenti estatici, sottolinea piuttosto gli aspetti umani dell'umiltà e della bonarietà delle fattezze e del carattere del dottore.Secondo la tradizione dal prototipo esistente in S. Maria in Gradi di Viterbo nel Duecento furono diffuse numerose copie di veristici ritratti di T. (v. Domenicani) non sopravvissute. Tra le più antiche immagini pervenute si ricorda quella nel polittico opera di Simone Martini (1320) ora nel Mus. Naz. di S. Matteo a Pisa ma proveniente dal convento domenicano di S. Caterina, una raffigurazione del santo presentante i tratti fisionomici trasmessi dalla tradizione: la spaziosità della fronte, l'impianto del volto pingue, l'espressione estatica e il simbolo - determinante nell'iconografia tomista - del libro aperto con scritta celebrante il merito della sua opera (Kaftal, 1952). Il ritratto di T. non ancora canonizzato (1323), situato nelle predella, dimostra che a tale data l'immagine non aveva assunto ancora il rilievo che acquistò poi nell'iconografia dell'Ordine (Cannon, 1982).Il più alto esempio della tipologia del trionfo - e probabilmente l'archetipo - è da riconoscersi nella tavola, elaborata anch'essa nel convento di S. Caterina, lo studium pisano rinomato per la dottrina dei suoi esponenti, e conservata nella chiesa. Nel dipinto, attribuito da Vasari (Le Vite, II, 1967, p. 226) a Francesco Traini e dalla critica moderna generalmente ritenuto di mano della cerchia di Lippo Memmi (v.) e datato intorno al 1340 (Meiss, 1933; Coor Achenbach, 1961; Mallory, 1975) o anche in precedenza (Polzer, 1993; 1995), l'Aquinate giganteggia - il libro emblema del suo sapere aperto sul petto - al centro di una vasta corona di personaggi. La frase del libro inneggia alle verità ispirate uscite dalla sua bocca e significativamente l'immagine di Cristo dall'alto colpisce la fronte del dottore con un raggio di luce. La retorica insita nel tema appare qui purificata dalla tensione dello stile.Ma il nucleo più attivo nell'elaborare immagini illustranti in vario modo il prestigio dottrinale di T. è costituito, dal 1340 in poi, dal convento fiorentino di S. Maria Novella, i cui collegamenti culturali con il convento pisano sono stati più volte rilevati (Gardner, 1979). Nella tavola del Maestro delle Effigi domenicane, conservata nel convento e dipinta intorno al 1342, sono raffigurati gli esponenti dell'Ordine guidati da S. Domenico, il quale appare affiancato dai due santi riconosciuti come i più rappresentativi: T. e Pietro Martire. La tematica celebrativa dell'Ordine e dei suoi tre santi principali, di cui si conoscono varianti e repliche, non è qui risolta con la vivacità tipica del miniatore e pittore vicino al Maestro del Biadaiolo. Sempre in S. Maria Novella, Nardo di Cione (v.) nella cappella Strozzi, oltre a collocare T. tra i beati del Paradiso, lo ritrae replicatamente nei tondi della volta circondato dalle virtù cardinali. E Andrea di Cione (v.) nella medesima cappella lo dipinge nel polittico sull'altare, firmato e datato 1357, in atto di ricevere da Cristo il libro simbolo della sua missione, mentre dall'altro lato Cristo consegna a Pietro le chiavi. Si instaura così il parallelismo tra Pietro che rappresenta il potere della Chiesa e T. che ne rappresenta la dottrina. Nella predella, a significativa conferma della perfetta consapevolezza di T. della sua umiltà creaturale, egli è nuovamente raffigurato mentre dice messa. Frontale e ieratico è il ritratto di T. dipinto in una lunetta del chiostro e attribuito a un seguace di Nardo di Cione. Sul libro aperto sono riportati i versi dell'autografo Uffizio del Corpus Domini. Andrea di Bonaiuto (v.) celebra infine il suo trionfo nel Cappellone degli Spagnoli (1365-1368) ponendolo in alto sul trono al centro della monumentale composizione che lo individua come il dottore che domina per intero lo scibile umano. Sul libro raggiante sul petto del santo si legge la frase "[...] venit / i(n) me sp(iritu)s / sapie(ntiae) et / p(rae)posui / illa(m) re / gnis et / sedibus".Altre opere di ambito domenicano dedicate al santo ne sottolineano piuttosto gli umani vissuti. Nel pregevole pannello di Berlino (Staatl. Mus., Pr. Kulturbesitz, Gemäldegal.) di un seguace di Bernardo Daddi (v.) o di Daddi medesimo, T. è raffigurato mentre prega assistito dagli angeli dopo aver allontanato da sé la cortigiana tentatrice. Il dipinto che appartiene alla superstite predella del polittico smembrato (Parigi, Mus. des Arts Décoratifs, inv. nr. PE77; New Haven, Yale Univ., Art Gall., inv. nr. 1871; Poznań, Wielkopolskie Muz. Wojskowe), raffigurante storie dei principali santi domenicani, è stato riconosciuto da Offner (1947) come quello, descritto da Stefano Rosselli nel suo Sepultuario fiorentino (Firenze, 1657), che fu commissionato nel 1338 dal convento di S. Maria Novella. La tavola a cinque scomparti, attribuita al Maestro del Biadaiolo (notizie fino al 1350 ca.) e conservata a New York (Metropolitan Mus. of Art, Robert Lehman Coll.), presenta un pannello dedicato alla rappresentazione di T. in cattedra, intento ad ammaestrare un uditorio di frati e laici, di stile sciolto, animato, ben diverso dalle consuete glorie, anche se il sole raggia sul petto del dottore e pur se ai suoi piedi giace riverso Averroè (Pope Hennessy, 1987). I santi domenicani maggiori, Domenico con alla destra T. e alla sinistra Pietro Martire, sono il soggetto di un minuscolo trittico conservato a Roma (Mus. Vaticani, Pinacoteca, inv. nr. 75), attribuito a Lippo Vanni (v.) e considerato opera tarda nell'iter del pittore e prossima al trittico domenicano di S. Aurea (Roma, Angelicum), nella predella del quale compare del pari un ritratto di T. a mezza figura con il consueto libro sul petto (Chelazzi Dini, 1982).Fuori della Toscana, nel duomo di Orvieto Ugolino di Vieri (v.) ritrae T. negli smalti del reliquiario del Corporale (1338), intento a consegnare al papa Urbano IV l'Uffizio del Corpus Domini da lui composto (Carli, 1966). E anche Ugolino di Prete Ilario, attivo a Orvieto nella seconda metà del sec. 14°, rammenta il fatto storico negli affreschi della cappella del Corporale (1357-1364). Tomaso Barisini lo raffigura poi nel 1352 nella sala capitolare del convento di S. Niccolò a Treviso, nella nota galleria dei ritratti dei maestri domenicani, con il volto pingue, mansueto e gli occhi chini sulle sue carte. Il sole, però, gli raggia in petto e il libro che egli mostra e l'iscrizione a latere tessono di lui un alto, particolare elogio (Gibbs, 1989).Quanto alla tematica del trionfo, è da rammentare che Giusto de' Menabuoi (v.) nella cappella Cortellieri della chiesa degli Eremitani a Padova raffigura intorno al 1370 un Trionfo di T. tra le Virtù e le Arti, di cui restano pochi raffinati lacerti di figure femminili, e che nel S. Eustorgio di Milano compare un Trionfo di T. modellato sull'affresco di Andrea di Bonaiuto ma con significative attenuazioni degli aspetti rigoristici e dommatici.Nell'arte della miniatura un notevole esempio di iconografia tomista è rappresentato dal foglio di corale staccato conservato a Venezia (Fond. Cini, 2033), nel quale il miniatore di scuola bolognese del primo Trecento raffigura vivacemente più episodi della vita del santo (Toesca, 1968).
Bibl.: M. Meiss, The Problem of Francesco Traini, ArtB 15, 1933, pp. 97-173; F. Antal, Florentine Painting and its Social Background, London 1947 (trad. it. La pittura fiorentina e il suo ambiente sociale nel Trecento e nel primo Quattrocento, Torino 1960); R. Offner, A Critical and Historical Corpus of Florentine Painting, III, 5, New York 1947, pp. 67-70; G. Kaftal, Saints in Italian Art, I, Iconography of the Saints in Tuscan Painting, Firenze 1952; E. Carli, Pittura pisana del Trecento, 2 voll., Milano 1958-1961; G. Coor Achenbach, Two Unknown Paintings by the Master of the Glorification of St. Thomas and Some Closely Related Works, Pantheon, n.s., 19, 1961, pp. 126-135; E. Carli, Il reliquiario del corporale di Orvieto, Milano 1966; P. Toesca, Miniature italiane della fondazione Giorgio Cini dal Medioevo al Rinascimento, cat., Venezia 1968, pp. 17-18; M. Boskovits, La pittura fiorentina alla vigilia del Rinascimento, 1370-1400, Firenze 1975; M. Mallory, Thoughts Concerning the Master of the Glorification of St. Thomas, ArtB 57, 1975, pp. 9-20; S. Romano, Due affreschi del Cappellone degli Spagnoli. Problemi iconologici, StArte, 1976, 28, pp. 181-213; J. Gardner, Andrea di Bonaiuto and the Chapter House Frescoes in Santa Maria Novella, AHist 2, 1979, pp. 107-138; J. Cannon, Simone Martini, the Domenicans and the Early Sienese Polyptych, JWCI 45, 1982, pp. 69-93; G. Chelazzi Dini, La crisi di metà secolo, in Il Gotico a Siena: miniature, pitture, oreficerie, oggetti d'arte, cat. (Siena 1982), Firenze 1982, pp. 219-289: 246, 248, 255-275; J. Pope Hennessy, The Robert Lehmann Collection, I, Italian Paintings, New York 1987, pp. 55-56; R. Gibbs, Tomaso da Modena. Painting in Emilia and in the March of Treviso 1340-1380, Cambridge 1989, p. 82; R. Offner, K. Steinveg, A Critical and Historical Corpus of Florentine Painting, III, 3, a cura di M. Boskovits, E. Neri Lusanna, Firenze 1989; J. Polzer, The ''Triumph of Thomas'' Panel in Santa Caterina, Pisa. Meaning and Date, MKIF 37, 1993, pp. 29-70; id., Andrea di Bonaiuto's ''Via Veritatis'' and Dominican Thought in Late Medieval Italy, ArtB 77, 1995, pp. 263-289.E. Simi Varanelli