UBALDO, santo
UBALDO, santo. – Nacque in luogo ignoto (ma probabilmente a Gubbio o nei pressi) intorno al 1085.
La tradizione vuole che appartenesse a una stirpe aristocratica del contado di Gubbio, i Baldassini, ma la notizia è il frutto di una ricostruzione a posteriori databile al XVII secolo a opera dell’omonima famiglia (Biscarini, 2013, e 2014), peraltro non riscontrata come esistente tra XI e XII secolo (Tiberini, 1999). Ciò che sappiamo della vita di Ubaldo è il frutto dell’incontro fra una tradizione agiografica strettamente contemporanea alla sua morte – comprendente la Vita prima scritta da Giordano da Città di Castello e la Vita secunda, composta dal vescovo successore Tebaldo – e da una discreta quantità di documentazione notarile e cancelleresca (Brufani, in Nel segno del santo protettore, 1992).
Le notizie sulla sua giovinezza ci provengono esclusivamente dalle fonti agiografiche: di famiglia aristocratica, rimase presto orfano e crebbe con uno zio, anch’egli di nome Ubaldo, il quale lo mandò a studiare presso la chiesa dei Ss. Secondino e Agapito, che lo stesso Ubaldo, da vescovo, avrebbe poi elevato a canonica (S. Secondo). Il giovane Ubaldo, dopo un periodo passato a Fano, tornò a Gubbio a completare la sua formazione presso la canonica del capitolo cattedrale di S. Mariano (in realtà Ss. Mariano e Giacomo) e poi nuovamente a S. Secondo, sviluppando nel frattempo una decisa attrazione verso gli ideali riformatori damianiti diffusi dal monastero di Fonte Avellana. Provò a entrarvi, senza successo; fu comunque determinante per lui l’influenza di Giovanni da Lodi, già abate di Fonte Avellana e vescovo di Gubbio tra il 1104 e il 1105, che lo prese sotto la sua protezione, destinandolo nuovamente a S. Mariano per promuovervi gli ideali riformatori. Ivi Ubaldo rimase, diventando priore almeno dal 1118, e rinunciando alla propria eredità familiare in favore dell’ente.
Fedele ai suoi ideali, Ubaldo si adoperò per fornire alla canonica – che allora seguiva ancora i dettami del Concilio di Aquisgrana – una nuova regola più conforme allo spirito riformatore, rintracciata, dopo un soggiorno a Ravenna, nella regola di Pietro degli Onesti, seguita nella locale canonica di S. Maria in Porto. La documentazione mostra chiaramente, poi, come il priorato di Ubaldo si contraddistinse per una politica di incremento dei beni della canonica, attirando donazioni, e di maggior controllo sui beni concessi in enfiteusi. In una data imprecisata tra il 1125 e il 1127 la canonica fu colpita da un grave incendio che costrinse a una ricostruzione degli edifici nel periodo immediatamente successivo; alcuni atti degli anni 1127-30 testimoniano, infatti, di cospicue donazioni all’ente da parte della locale aristocrazia.
La data del novembre 1129, quando priore di S. Mariano risulta Barunzio, prevosto durante il priorato di Ubaldo, è comunemente indicata come il termine post quem del mandato vescovile di quest’ultimo, e in effetti ambedue gli agiografi (Giordano e Tebaldo) attribuiscono a papa Onorio II, morto nel febbraio del 1130, l’elezione e la consacrazione di Ubaldo. Il ruolo del pontefice, che aveva già avallato il rifiuto da parte di Ubaldo della cattedra perugina (forse nel 1126: Pesci, 1919, p. 52), fu decisivo nell’accogliere le richieste della delegazione eugubina favorevole a Ubaldo e nel far accettare l’elezione del nuovo presule a una comunità non unanimemente concorde, probabilmente per questioni legate «alla amministrazione dei domini episcopali ed al problema della loro rifondazione» (Benvenuti Papi, in Nel segno del santo protettore, 1992, p. 314).
Il mandato vescovile di Ubaldo si caratterizzò in effetti per la prosecuzione di una politica di riorganizzazione economica e religiosa della diocesi: ne sono un esempio in particolare le generose donazioni di terreni con le quali continuò a dotare il capitolo della cattedrale, almeno fino al 1144, accompagnate negli anni successivi a una particolare attenzione al recupero di giurisdizioni usurpate, come quella del castello di Sioli e della corte di Valio (1147). Prima del 1137, inoltre, Ubaldo confermò a S. Mariano il possesso di otto pievi, e ulteriori possedimenti risultano confermati da papa Celestino II nell’ottobre del 1143. Il vescovo partecipò anche, insieme all’abate Bonatto di S. Donato di Pulpiano, alla ridefinizione dei confini della pieve di S. Vittore (1153), e perdonò pubblicamente una donna defunta di nome Fresia e i suoi figli, rei di aver usurpato terre del capitolo (1154).
L’operato pastorale di Ubaldo è inscindibile dalle istanze di riforma, simboleggiate dall’istituzione della canonica di S. Secondo e dalla relativa adozione della regola di s. Agostino, confermata nel 1141 da papa Innocenzo II, il quale prese la canonica sotto la sua diretta protezione. Poco prima di morire, inoltre, nel 1160 Ubaldo concesse l’esenzione dalla giurisdizione vescovile alla chiesa di S. Felicissimo, ponendola alle dipendenze del monastero cittadino di S. Pietro.
Se gli aspetti ecclesiastici dell’esperienza episcopale di Ubaldo trovano una sicura corrispondenza tra la documentazione pervenutaci e le fonti agiografiche, queste ultime risultano sostanzialmente le uniche in merito al ruolo politico del vescovo all’interno della vita civica eugubina. Sia la Vita prima sia la Vita secunda concordano nel riportare i medesimi eventi – è da credere familiari ai lettori e quindi sostanzialmente autentici – pur con obiettivi assai diversi, più legato Giordano agli aspetti morali e all’esempio virtuoso di Ubaldo, più attento a esaltarne la funzione vescovile Tebaldo.
Stando ai suoi biografi Ubaldo venne ripetutamente offeso e umiliato da concittadini, parenti o sottoposti senza reagire o ricorrere a vendetta. Durante un tumulto scoppiato tra le fazioni cittadine si gettò nella mischia rimanendo svenuto a terra e riuscendo così a placare il conflitto suscitando compassione; riuscì a propiziare la resistenza di Gubbio a un assedio da parte di una coalizione di città nemiche tramite la preghiera; seppe trattare efficacemente con Federico Barbarossa, evitando alla propria città il saccheggio e la distruzione da parte delle truppe imperiali.
Al di là del dato agiografico, Ubaldo fu molto probabilmente la figura di riferimento di almeno una parte delle nascenti istituzioni comunali eugubine, attestate per la prima volta durante il suo episcopato. Un certo Bambo, citato da Giordano come amico di Ubaldo, risulta effettivamente al suo fianco a partire dal 1154 come testimone in alcuni importanti atti che riguardano la canonica di S. Mariano, per poi diventare console e rettore di Gubbio nel 1160 e comparire come giudice in un atto del 1167. La natura filoimperiale della politica eugubina di quegli anni è fuori discussione e, considerato che il peso della figura vescovile risulta chiaramente superiore a quello delle istituzioni comunali in un privilegio concesso da Federico Barbarossa tre anni dopo la morte di Ubaldo (1163), è probabile che, come altrove, anche a Gubbio il vescovo abbia giocato un ruolo politico determinante nel processo di formazione e mantenimento del Comune.
Ubaldo morì a Gubbio il 16 maggio 1160, probabilmente a causa di una patologia autoimmune della cute chiamata pemigfloide bolloso (Cianchini et al., 2017).
La sua figura divenne subito oggetto di culto nella sua città, come suggerisce l’immediata redazione delle Vite di Giordano e Tebaldo, opere in cui vennero a convergere modelli monastici e vescovili di santità mediati dalla riforma gregoriana. La canonizzazione avvenne per opera di papa Celestino III nel marzo del 1192, su proposta del vescovo di Gubbio Bentivoglio, il quale fece presente come già da tempo – e i documenti lo confermano (Biscarini, 2012, p. 15) – Ubaldo fosse venerato come santo, fornendo al pontefice le relative testimonianze.
Nella visione papale, con riferimento alle trattative del vescovo con il Barbarossa, il santo rappresentava il «difensore del gregge affidatogli contro un potere arbitrario» tramite l’arma del dialogo (Barone, 1992, p. 266), mentre a Gubbio si trattava di un momento in cui le istituzioni comunali iniziavano a emarginare il vescovo, il quale necessitava di strumenti per riaffermare la propria posizione (Casagrande, 1992, pp. 44-46; Luongo, 2016, pp. 4-6). Per questo la figura di Ubaldo assunse sempre di più i caratteri civici del santo patrono, sepolto in un apposito santuario in cima al monte Ingino retrostante la città – detto comunemente monte Sant’Ubaldo, anche nel Paradiso dantesco (XI, 44) – e venerato ogni anno in occasione della ricorrenza della sua morte; l’odierna festa vigiliare dei Ceri, in suo onore, si riallaccia direttamente alle celebrazioni esistenti almeno dal XIV secolo, periodo in cui fu anche costruita, per contenerne le spoglie, un’arca lignea dipinta di notevole valore artistico. Fra XVI e XVII secolo la figura di Ubaldo fu ripresa da religiosi ed eruditi e adeguata ai correnti modelli controriformistici, ma ancora nel XVIII secolo il Comune di Gubbio era solito donare ai propri ospiti più illustri frammenti del corpo del santo.
Il culto di Ubaldo non si limitò alla città umbra, ma si diffuse in tutta Italia e in Europa, soprattutto in Alsazia, Baviera e Svizzera: nella cittadina alsaziana di Thann la devozione, frutto di una certa sovrapposizione della figura di Ubaldo con quella di s. Teobaldo di Provins, è testimoniata con certezza a partire dal 1287; un fenomeno di simile sincretismo sembra essere attestato a Elsenfeld, in Baviera, all’inizio del XVII secolo. La città di Basilea tentò invece di procurarsi un frammento originale del corpo del santo nel 1369 per attirare i fedeli.
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