ZEFIRINO, santo
In base alle date consolari indicate nella cronologia del Catalogo Liberiano l'episcopato di Z., che secondo il Liber pontificalis era romano di nascita, successore di Vittore, durò circa venti anni, dal 198 al 217. Eusebio di Cesarea (Historia ecclesiastica V, 28) fornisce dati sostanzialmente concordanti fissandone in diciotto anni la durata e facendolo finire nel primo anno di Elagabalo, il che riporterebbe al 218. C'è quindi incertezza sull'effettiva data di morte di Z., anche se la preferenza dovrebbe accordarsi al Catalogo. Qualche disordine o qualche momento di incertezza e inquietudine potrebbe essersi verificato in occasione dell'elezione di Callisto, per il contrasto con il partito cui apparteneva l'autore dell'Èlenchos (noto anche come Refutatio omnium haeresium o Philosophoumena) (cfr. Ippolito, antipapa, santo), e questo potrebbe spiegare il lieve scarto fra i dati del Catalogo e quelli di Eusebio: è facile infatti pensare che sia intercorso un certo lasso di tempo fra la morte di Z. e l'effettiva consacrazione del successore. L'episcopato di Z. fu comunque il più lungo di quelli che si succedettero nel III secolo. Si è informati di alcune vicende di questo periodo dall'autore dell'Èlenchos, un'opera importantissima di ambiente romano, e di tendenza ostile, come si è appena detto, al vescovo Callisto, e da Eusebio. Ai fini dell'assestamento della Chiesa romana l'episcopato di Z. fu, in ragione della sua stessa durata, un periodo di grande rilievo. Un importantissimo documento citato da Eusebio di Cesarea ne fornisce chiari indizi: si tratta di un'opera rimasta anonima e diretta contro l'eresia dell'adozionista Artemone (per cui l'autore viene denominato Anonimo Antiartemonita). L'adozionismo, per risolvere il problema che scaturiva dalla necessità di mantenere il dogma dell'unicità di Dio, considerava Cristo un puro uomo, eletto da Dio, negando la presenza in lui di una componente divina. La testimonianza dell'Anonimo, riportata qui da Eusebio in modo letterale, protesta contro la novità della dottrina degli artemoniti e rileva che essi invece ne rivendicavano l'antichità e il carattere tradizionale e dicevano che la "verità del kerygma" si era conservata a Roma fino a Vittore ma poi era stata alterata da Zefirino. Al che l'Anonimo protesta che proprio Vittore aveva espulso dalla comunità il fondatore dell'eresia, Teodoto il Cuoiaio, e che quindi l'affermazione degli artemoniti era una menzogna (Historia ecclesiastica V, 28, 3). Un altro brano dell'Anonimo Antiartemonita, riportato da Eusebio subito dopo (ibid. V, 28, 8-13), attira l'attenzione su un fatto avvenuto sotto Zefirino. Un confessore della fede, Natalio, era stato convinto da due discepoli di Teodoto il Cuoiaio, Asclepiade e Teodoto detto il Banchiere, ad assumere il titolo di vescovo in cambio di un salario mensile di 150 denari, una cifra pari a sei volte la paga semplice di un legionario (S. Mazzarino, L'impero romano, II, Roma-Bari 1973, p. 465); nell'intimo Natalio era combattuto, tanto è vero che sognava di essere rimproverato da Gesù, tuttavia permaneva nell'azione scismatica per venalità, secondo l'interpretazione malevola dell'Anonimo. Fino a che fu flagellato dagli angeli per una notte intera. Allora si presentò in lacrime e suppliche davanti a Z. e alla comunità riunita e solo a fatica venne riammesso. L'episodio, che è impossibile collocare cronologicamente con precisione ma che deve essere avvenuto nei primi anni dell'episcopato di Z., quando l'adozionismo era ancora difficile da contrastare, è importante per molti motivi. Innanzitutto dimostra il potere di interferenza che nella comunità romana avevano persone dotate di mezzi finanziari o comunque della possibilità di far circolare denaro, come questo Teodoto. La sua attività di banchiere lo rendeva ben noto alla comunità cristiana, esattamente come era successo allo schiavo Callisto sotto Vittore. Ciò spiega anche perché Z. chiamò a sé un ex banchiere come Callisto, facendolo tornare da Anzio, come informa l'autore dell'Èlenchos: i talenti economici di Callisto e la sua fedeltà alla linea ufficiale della Chiesa romana ne facevano un punto di riferimento da opporre ad eventuali spinte centrifughe. Quello di Teodoto poi non era l'unico precedente che dimostrava la funzione essenziale delle risorse economiche nell'orientare a livello dottrinale la comunità. Marcione, quando era arrivato a Roma, aveva per prima cosa messo a disposizione della Chiesa romana una grossa somma per le necessità dei poveri (Tertulliano, Adversus Marcionem IV, 4, 3). L'influenza crescente di Callisto, abile amministratore, e nello stesso tempo uomo fedele e duttile, si giustifica perfettamente in quest'ottica, senza ricorrere alla spiegazione tendenziosa dell'autore dell'Èlenchos, e cioè che Z. fosse un uomo avido e facilmente corruttibile. Lo scisma di Natalio dovette essere un episodio pericoloso per la Chiesa romana: l'Anonimo Antiartemonita ne attribuisce la conclusione a un intervento provvidenziale, indirettamente indicando la difficoltà delle gerarchie a farvi fronte. L'episodio dimostra altresì che nella Chiesa di Roma era subentrata, a differenza dei tempi di Erma, la possibilità di una remissione anche dei peccati più gravi, se Natalio poté essere riaccolto, sia pure a prezzo di una dura penitenza. Ma soprattutto l'episodio doveva aver chiarito alle gerarchie ecclesiastiche la pericolosità degli artemoniti, che l'Anonimo descrive come particolarmente dotti e versati nelle discipline profane, nonché quasi spregiatori delle Scritture (Eusebio, Historia ecclesiastica V, 28, 13). Ciò può spiegare l'attenzione o la tolleranza maggiore concessa dalla gerarchia alla dottrina patripassiana o modalista che, sempre tenendo quale obiettivo primario la salvaguardia dell'unità di Dio, si presentava forse meno tributaria della cultura pagana e più attenta a recepire solo dati scritturistici. Nella prima formulazione tale dottrina predicava che l'unico Dio aveva patito in croce per cui poteva arrivare a dire, forse spinta dal contraddittorio, che in Cristo aveva patito il Padre. L'Anonimo Antiartemonita attesta come gli artemoniti avessero percepito che l'azione di Z. era diretta in modo particolare contro di loro e ciò converge con il dettaglio, sempre espresso in maniera tendenziosa, fornito dall'autore dell'Èlenchos, che Z. permetteva ai fedeli, se corrotto da donativi, di frequentare la scuola di Cleomene, capo dei monarchiani dopo Noeto ed Epigono (IX, 7, 2). Dal fatto che gli artemoniti pensavano che l'opera di Z. costituisse un cambio di rotta rispetto alla tendenza precedente della Chiesa romana, si potrebbe addirittura dedurre che proprio all'inizio dell'episcopato di Z. risalga l'introduzione a Roma della dottrina monarchiana già professata da Noeto e condannata a Smirne, introduzione avvenuta a opera di Epigono, secondo l'autore dell'Èlenchos, o di Prassea, secondo Tertulliano: resta oltremodo incerta l'identificazione dei due personaggi in uno, come alcuni studiosi vorrebbero (cfr. Callisto I, santo). È meglio pensare a due predicatori diversi, l'importanza del secondo dei quali può forse essere stata esagerata da Tertulliano. Infatti la condanna comminata da Vittore nei confronti degli artemoniti doveva essere stata priva di ogni elemento di novità dottrinale, mentre un cambiamento di atmosfera, che pure non si concretizzò mai in un'assunzione deliberata della dottrina monarchiana da parte di Z., dovette verificarsi sotto di lui. Personalmente Z. doveva rifuggire dalle eccessive sottigliezze teologiche: l'autore dell'Èlenchos lo chiama infatti senza mezzi termini "ignorante", precisando che era sia "illetterato" sia "inesperto dei provvedimenti ecclesiastici" (IX, 11, 1) e per questo Callisto lo manovrava a suo piacimento, aiutandosi con ricchi donativi, visto che Z. era pure avido. Circa l'inesperienza ecclesiastica di Z., almeno, è lecito dubitare, perché sembra poco credibile che un vescovo in carica da così lungo tempo non avesse neppure sentore di ciò che si muoveva intorno a lui. Probabilmente l'autore dell'Èlenchos allude, alla sua maniera, all'ultima fase dell'episcopato, quando effettivamente molto del potere doveva essere stato delegato a Callisto, forse anche per sopraggiunte indisposizioni fisiche di Zefirino. Comunque l'azione di Callisto non doveva essere così incontrastata, se l'autore dell'Èlenchos dice che nei suoi colloqui con Z., quest'ultimo non gli si opponeva, per poi tornare, una volta che fosse a tu per tu con Callisto, a concordare con lui. Si trattava in realtà per Z. di prendere una difficile posizione ufficiale a proposito delle due linee dottrinali che dalla lotta di quegli anni erano emerse con evidenza: la linea della teologia del Logos, tesa a rilevare la sussistenza del Logos nell'ambito della vita intradivina, di cui l'autore dell'Èlenchos era portatore, e quella, di direzione opposta, di Cleomene e Sabellio, nel frattempo entrato in scena. Probabilmente Z. non se la sentì, e questo spiega perché certi nodi vennero subito al pettine all'inizio dell'episcopato del successore Callisto che non poté procrastinare un pronunciamento. La mancanza di una presa di posizione ufficiale si evince dal complesso del racconto dell'autore dell'Èlenchos, che presenta due brevi formulazioni di fede di Z., entrambe pubbliche, considerate come in contrasto l'una con l'altra. Nella prima si afferma: "conosco un solo Dio Cristo Gesù, e tranne lui nessun altro che è nato e ha patito", e nella seconda: "non è morto il Padre, ma il Figlio" (IX, 11, 3). La prima delle due è intesa dall'autore dell'Èlenchos come monarchiana per l'identificazione posta fra "un solo Dio" e Gesù Cristo, mentre la seconda è interpretata evidentemente come un correttivo. Un margine di incertezza circa l'effettivo uso di queste formule da parte di Z. resta. La prima coincide quasi letteralmente, tranne l'aggiunta del nome "Cristo Gesù", con la professione di fede di Noeto davanti ai presbiteri, secondo il racconto di Ippolito (Contra Noetum 1) e di Epifanio (Panarion 57, 8, a cura di K. Holl-J. Dummer, Berlin 1980², p. 344): anzi la formulazione di Noeto, mancando dell'esplicita identificazione dell'unico Dio con Cristo, è più generica in quanto difensiva. Un malizioso adattamento in senso noetiano delle parole di Z. da parte dell'autore dell'Èlenchos, stante la virulenza del suo atteggiamento, non si può escludere. Le due formule paiono comunque dimostrare, nella voluta brevità, il desiderio di Z. di non staccarsi da un'espressione essenziale, "di base", della fede, evitando di introdurre precisazioni che appaiano frutto di una riflessione individuale. L'inconcludenza della posizione di Z. sarebbe provata dal permanere delle dispute, nelle quali l'autore dell'Èlenchos rivendica a sé un ruolo da protagonista, sia pure contrastato da Callisto. Se si deve riportare all'inizio dell'episcopato di Z. la predicazione monarchiana di Epigono e di Prassea, resta da interpretare l'ulteriore particolare segnalato da Tertulliano, cioè che sarebbe stato per l'azione di Prassea che il vescovo di Roma si sarebbe indotto a non accogliere il montanismo, per cui, commenta Tertulliano, aperto montanista, Prassea avrebbe reso due servizi al diavolo: "prophetiam expulit et haeresin intulit" (Adversus Praxean 1, 5). Al di là del racconto tertullianeo, che forse esagera il ruolo dell'altrimenti ignoto Prassea, si hanno indizi che collocano a Roma sotto Z. il dibattito sul montanismo e quello sulle Scritture, in parte connesso al primo in quanto i montanisti sostenevano il permanere dell'ispirazione e quindi la possibilità di ampliare indefinitamente il numero degli scritti cristiani considerati autorevoli e ispirati: in altri termini il montanismo considerava la Sacra Scrittura un sistema sostanzialmente aperto, in forza dell'azione costantemente ispiratrice dello Spirito Santo. A questo riguardo Eusebio riporta all'episcopato di Z. l'acme del presbitero Gaio, di cui sottolinea l'ortodossia e la cultura. Questi si dimostra un tipico uomo di Chiesa nell'esaltare le tradizioni della locale Chiesa romana (i trofei degli apostoli Pietro e Paolo: cfr. Historia ecclesiastica II, 25, 7) contro quelle asiatiche del montanista Proclo e nel contrapporsi, sempre a detta di Eusebio (ibid. VI, 20, 3), alla tendenza degli avversari a comporre "nuove Scritture", scrivendo a sua volta un'opera per smascherarli. La recente scoperta di frammenti siriaci di un'opera a struttura dialogica fra Gaio e Ippolito fornisce dati convergenti con quello che si ricava dalla presenza fra le opere ippolitee di uno scritto "in difesa del vangelo e dell'Apocalissi di Giovanni" (Apologia pro Apocalypsi et Evangelio Iohannis), cioè sui due scritti giovannei sui quali Gaio aveva espresso perplessità a causa della mancata congruenza con i dati degli altri tre vangeli canonici e di Paolo. La situazione della Chiesa di Roma, dunque, anche a livello di gerarchia ecclesiale, risulta variegata e le personalità notevoli che agirono all'epoca di Z. furono più d'una. Peraltro, si può dire in generale che l'idea di una certa preminenza morale della Chiesa di Roma, nell'ambito della cristianità, si consolida pure attraverso l'azione consapevole della gerarchia, come avviene nel caso dell'orgogliosa rivendicazione da parte del presbitero Gaio della presenza in città dei due apostoli Pietro e Paolo. La permanenza a Roma di personalità di rilievo delle altre Chiese, ivi condotte dalla fama della città, contribuisce a sua volta ad accrescerla: sotto Z. venne a Roma anche Origene. Durante il pontificato di Z., intorno all'anno 200, si formalizza un atto fondamentale per la storia della comunità cristiana di Roma. Il pontefice prepone il suo diacono Callisto all'amministrazione dell'omonimo cimitero sotterraneo sulla via Appia: come informa l'autore dell'Èlenchos (IX, 12, 14), il quale sottolinea la solennità della consegna a Callisto (sulla successiva vicenda del sepolcreto cfr. Callisto I, santo). Le notizie del Liber pontificalis sulla promulgazione di una serie di decreti in materia liturgica sono inattendibili. Circa la sepoltura, viene detto che Z. fu seppellito in "cymiterio suo, iuxta cymiterium Callisti". Si tratta della prima sepoltura papale nell'area; gli itinerari altomedievali forniscono notizie utili per individuarne l'ubicazione: il De locis riferisce che Z. era sepolto in un tumulo con il martire Tarcisio (Codice topografico, p. 110) e la Notitia ecclesiarum permette di collocare la sepoltura nell'area subdiale del cimitero ("sursum quiescit": ibid., p. 88). Che Z. non fosse stato deposto in un cimitero sotterraneo risulta inoltre dal fatto che il suo nome non compare nell'iscrizione fatta redigere da Sisto III, nella quale erano riportati i nomi dei pontefici deposti nella cripta dei papi (Inscriptiones Christianae urbis Romae. Nova series, IV, a cura di G.B. de Rossi-A. Ferrua, In Civitate Vaticana 1964, nr. 9516). Le indagini archeologiche eseguite da U.M. Fasola nel mausoleo triabsidato in opera laterizia (denominato tricora occidentale), situato nel sopratterra della catacomba di Callisto, hanno riportato in luce una serie di sepolture disposte intorno ad un tumulo centrale. Quest'ultimo era in origine una struttura sepolcrale bisoma (destinata cioè a due deposizioni) poi trasformata, con la realizzazione di una apertura transennata (fenestella confessionis), in un organismo idoneo a soddisfare funzioni cultuali. La struttura si può forse identificare con il sepolcro di papa Z. e di Tarcisio. L'ambiente triabsidato è probabilmente da riferire invece al IV secolo, come risultato della risistemazione di un ambiente preesistente non più visibile. Considerato santo, Z. viene ricordato il 26 agosto nel Martyrologium Romanum, che senza fondamento lo reputa martire. Il Martyrologium Hieronymianum lo colloca al 20 dicembre. Fonti e Bibl.: Acta Sanctorum [...], Augusti, V, Venetiis 1754, pp. 783-89; Regesta Pontificum Romanorum, a cura di Ph. Jaffé-G. Wattenbach-S. Loewenfeld-F. Kaltenbrunner-P. Ewald, I, Lipsiae 1885, p. 12; Le Liber pontificalis, a cura di L. Duchesne, I, Paris 1886, pp. 139-40; Eusebio di Cesarea, Historia ecclesiastica II, 25, 6; V, 28, 3, 7-12, a cura di E. Schwartz, Leipzig 1903 (Die Griechischen Christlichen Schriftsteller. Eusebius Werke, II, 1), pp. 177, 501, 503; VI, 14, 10; 20, 3; 21, 1-2, a cura di E. Schwartz, ivi 1908 (Die Griechischen Christlichen Schriftsteller. Eusebius Werke, II, 2), pp. 553, 567; Ippolito, Refutatio omnium haeresium IX, 1-13, a cura di P. Wendland, ivi 1916 (Die Griechischen Christlichen Schriftsteller. Hippolytus Werke, III), pp. 239-52; H. Delehaye, Commentarius perpetuus in Martyrologium Hieronymianum [...], in Acta Sanctorum Novembris [...], II, pars posterior, Bruxellis 1931, p. 656; Martyrologium Romanum [...] scholiis historicis instructum, in Propylaeum ad Acta Sanctorum Decembris, ivi 1940, p. 360; A. von Harnack, Die älteste uns im Wortlaut bekannte dogmatische Erklärung eines Römischen Bischofs (Zephyrin bei Hippolyt, Ref. IX,11), in Id., Kleine Schriften zur alten Kirche, II, Leipzig 1880, pp. 619-25; B. Capelle, Le cas du pape Zéphyrin, "Revue Bénédictine de Critique, d'Histoire et de Littérature Religieuses", 38, 1926, pp. 321-30; E. Caspar, Geschichte des Papsttums, I, Tübingen 1930, pp. 22 ss., 36 ss.; J.N.D. Kelly, Il pensiero cristiano delle origini, Bologna 1972, pp. 151-54; M. Simonetti, Il problema dell'unità di Dio a Roma da Clemente a Dionigi, "Rivista di Storia e Letteratura Religiosa", 22, 1986, pp. 439-74 (ripubblicato in Id., Studi sulla cristologia del II e III secolo, Roma 1993, pp. 183-215); R.E. Heine, The Christology of Callistus, "The Journal of Theological Studies", n. ser., 49, 1998, pp. 56-91. Codice topografico della città di Roma, a cura di R. Valentini-G. Zucchetti, II, Roma 1942 (Fonti per la Storia d'Italia, 88); U.M. Fasola, Indagini nel sopratterra della catacomba di S. Callisto, "Rivista di Archeologia Cristiana", 56, 1980, pp. 221-78. Dictionnaire de théologie catholique, II, 2, Paris 1910, s.v. Calixte I, coll. 1336-37; XV, 2, ivi 1950, s.v., coll. 3690-91; A. Amore, Zeffirino, in B.S., XII, coll. 1464-65; Il grande libro dei Santi. Dizionario enciclopedico, III, Cinisello Balsamo 1998, s.v., pp. 1979-80.