SANTUARIO
Sono chiamati santuarî alcuni luoghi considerati sacri perché vi si è rivelata e vi è riconosciuta presente una potenza superiore, alla quale viene ivi poi tributato il culto. Questa presenza della divinità può riconnettersi a particolari e sorprendenti fenomeni naturali (meteore, forme singolari assunte da pietre e da alberi, sorgenti scaturite nel deserto) o a impressionanti esperienze personali (audizioni, visioni, sogni). Il credente si trattiene volentieri in simili luoghi per conciliarsi la potenza o la benedizione della divinità.
Il santuario si distingue per il suo carattere numinoso dall'ambiente profano circostante; questi luoghi sacri sono in rapporto più o meno stretto con la natura e con la civiltà secondo il livello culturale del popolo a cui ciascuno appartiene. Il più antico di tutti i santuarî è naturalmente quello naturale: viene primo il bosco sacro così ben descritto da Seneca (Epist., IV, 12) e che anche Tacito ricorda come santuario degli dei presso i Germani, ai quali sembrava poco confacente alla grandezza degli dei il chiuderli fra quattro mura (Germ., 9). Anche le tribù nomadi degli antichi Israeliti onoravano Jahvè nei santuarî dell'originaria religione dei padri, cioè su alture e su colline (Bethel, Beerseba: I Re [Samuele], IX, 12 segg.; Osea, IX,1; II Re [Sam.], XXIV, 18 segg.) e vennero onorati anche i verdi alberi e i sacri boschi sotto i quali i Cananei avevano innalzati i loro altari: il Horeb e il Sinai sono detti "montagne di Dio". Vengono spesso citati due santuarî mobili, l'arca e il tabernacolo, entrambi ritenuti numinosa dimora della divinità.
Divenuti sedentarî, i popoli considerarono sacri la casa, il focolare, la soglia, il campo arato, che non dovevano essere calpestati da piede profano, e che divennero spesso luoghi di asilo. Per l'uomo antico la casa è un'unità organica - abitata da una determinata potenza - che deve avere il proprio fuoco acceso sul focolare, il proprio nutrimento, la propria sorgente; essa costituisce quindi un mondo a sé.
La casa diventa la sede del culto degli antenati (Cina) ed è sacra specialmente in virtù del fuoco sul focolare. Nei paesi indoeuropei il focolare è una specie di centro irradiatore di forze; il suo calore è una forza che garantisce tutte le cose buone: Agni è infatti per gl'Indiani il grande padrone di casa che non si allontana mai. Il culto del focolare fu vivo particolarmente in Roma antica; questa venerazione sorse dall'antichissimo culto domestico che affidava la cura di vigilare sul fuoco alle donne di casa (onde poi le Vestali), mentre il padre di famiglia fungeva da sacerdote del fuoco e i suoi figli (i flamines) lo attizzavano. Il fuoco del focolare fu l'oggetto del più antico culto familiare: il 1° marzo, inizio dell'antico anno romano, era spento e immediatamente riacceso. Veniva in questo modo assicurata anche la prosperità dello stato. Ancor oggi in Calabria in caso di morte si lascia spegnere il fuoco. Anche il vate indiano al suo ritorno comunica i proprî successi anzitutto alla fiamma del focolare; e Alcesti, nella tragedia di Euripide, prende solenne congedo dal focolare pregandolo di proteggere i suoi figli (cfr. Virg., Aen., II, 523). Inoltre il focolare serve da asilo. Il sacro recinto del focolare domestico è segregato dal mondo esterno dalla soglia, quasi sacro confine stabilito contro le influenze nocive. Antichissima è l'idea che demoni spiino dagli stipiti e dalla soglia; in Indonesia il pilastro principale della casa è sacro, e quando è eretto si celebrano sacrifizî e cerimonie, come pure si celebra in vario modo il sacrifizio di costruzione sotto la soglia. L'uso dei primitivi di seppellire i morti vicino all'abitazione e nella casa stessa si riconnette al culto degli antenati e dei demonî: anche la tomba divenne così un santuario e la tomba di un eroe si trasformò in una fonte di potenza per la comunità. Parteciparono di questo carattere sacrale ("manaismo") dei santuarî anche le strade e i quadrivî, i mucchi di pietre che li segnalavano e che ogni viandante era tenuto ad accrescere aggiungendovi nuove pietre, i cancelli e i confini dei campi che delimitavano terre sacre o circondavano luoghi sacri. Secondo il diffuso principio della reciprocità tra la disposizione celeste e terrestre di determinati luoghi sacri, tali siti venivano delimitati con caratteristici metodi geomantici (agrimensura romana, dottrina del Féng-shui in Cina); ma, anche, da una città terrena si trasse la raffigurazione di una città celeste (Gerusalemme).
La fissità delle dimore e un grado superiore di civiltà indussero i popoli a sentirsi legati, oltre che a un determinato luogo, anche a un determinato edificio sacro, che si distingue per pianta, struttura e grandezza: il tempio. Il temenos dell'antichissima Grecia, il quale prelude al tempio, era un terreno delimitato con misurazioni sacrali e sul quale si trovavano alberi, sorgenti, pietre o caverne sacre (grotta di Zeus a Creta, grotta della Magna Mater sul Sipilo in Asia Minore).
La casa profana può essere considerata come il modello architettonico del tempio, giacché molti templi hanno conservato assai bene il tipo primitivo dell'abitazione (Cina e Giappone). Tutti i popoli a sedi fisse dell'antico Oriente, Babilonesi e Assiri, Israeliti, Egizî e Fenici avevano magnifici templi, rimessi ora in luce dai recenti scavi. La legge che sta alla base della concezione del mondo nell'antico Oriente, cioè che il mondo terrestre e il mondo celeste si corrispondono, indusse le popolazioni orientali a stabilire una corrispondenza anche fra il santuario e il cosmo; la costruzione di un tempio diventa quindi un'azione sacra e ogni tempio una riproduzione del santuario celeste, l'arredamento e la suppellettile sacra sono figurazioni cosmiche.
Accanto al tempio sorgeva la torre a varî piani (zikkurat) anch'essa orientata cosmicamente; sulla sua cima si trovava un altro santuario, forse la tomba del dio solare.
Gli Israeliti immigrati in Palestina ereditarono dalla popolazione cananea, oltre che una serie di suppellettili sacre, quali i vasi per le libazioni e i catini per lavacri di precetto, anche la tavola di pietra (maṣṣebāh), che risale verisimilmente al santuario di pietre, come pure il palo di legno (asherāh) che era in qualche modo in relazione con l'originario culto di Jahvè. Fu pure adottato il culto dei luoghi elevati (bāmoth) e nei più importanti (p. es. Bethel Sichem, Dan) sorsero dei templi; parte furono santuarî tribali, in cui trovarono posto antichissimi santuarî mobili: Silo col santuario dell'arca, poi distrutto durante la guerra con i Filistei, Mizpah Gibeon, santuario della tribù di Beniamino col suo celebre altare, anche oggi molto frequentato. Ma tutti i luoghi sacri di Israele furono superati dal tempio costruito da Salomone in Gerusalemme, che palesa nella sua struttura influenze fenicie ed egizie. Il tempio, come santuario principale, e unico dopo la riforma religiosa del re Giosia, oscurò tutti gli altri luoghi di culto. Anche in Egitto, i Giudei della colonia militare di Elefantina, possedettero un loro santuario; e più tardi sorse il tempio di Leontopoli.
Già in età remotissima in Egitto santuario principale fu il tempio; il dio locale, signore e protettore della città o del villaggio, dimorava tra i suoi fedeli, sicché il culto della divinità costituiva un compito della comunità locale. Tutta la vita religiosa si concentrava intorno al tempio, a cui appartenevano anche gli animali sacri, considerati come l'incarnazione dell'essere divino. Sacre e perciò immutevoli erano considerate le immagini nelle cappelle del tempio, e venivano perciò ripetute senza variazioni le iscrizioni tipiche e le figurazioni simboliche delle pareti. Poiché, secondo la credenza popolare egizia, ogni oggetto poteva venire divinizzato e i demoni potevano esercitare ovunque la loro azione benefica o nefasta, potevano sorgere santuarî nei luoghi più varî, persino nel mondo dei defunti (Piramidi).
La civiltà egeo-micenea, prima fase della greca, ebbe come santuarî numerose caverne e recinti sacri all'aperto; generalmente erano siti sulle cime dei monti e circondati da un basso muro di cinta, che separava il sacro dal profano. Piccole cappelle erano anche sistemate nelle case d'abitazione e nei palazzi: per la loro esiguità più che a grandi funzioni servivano alla conservazione di arredi sacri e di idoli, mentre le funzioni vere e proprie, specie danze e processioni, si svolgevano all'aperto in luoghi sacri. La santità di un luogo o di un altare veniva spesso indicata dalle "corna di consacrazione". Pur mancando ancora i grandi templi con statue di divinità, si può tuttavia vederne una prima manifestazione in alcune cappelle isolate e indipendenti, del genere di quella ritrovata in Gourniá. Nell'epoca protogreca furono sedi di culto certi luoghi e certe singolarità naturali, considerati come sacri, cioè cime di monti, rocce, pietre, boschi, sorgenti e fiumi: veniva loro tributata una particolare venerazione, pensando che in loro agisse una particolare potenza. Spesso venivano messi in rapporto con divinità ed eroi e s'inventarono leggende per spiegare questo o quel culto notevole per la sua antichità. Come la civiltà egea si può ritenere una preparazione della civiltà greca storica, così anche la religione greca rivela numerosi contatti con il passato. Anche in essa furono considerati sacri le alture, i boschi e i recinti, alcuni dotati di magnifici altari per sacrifici, presso i quali si svolgevano tra canti e musiche le cerimonie in onore della divinità locale (altare di Pergamo). In questi luoghi furono venerati anche in età storica idoli di ogni genere, pietre e alberi sacri. I pilastri di Apollo protettore delle strade sorgevano nelle vie della città e una pittura parietale pompeiana ci mostra ancora un albero sacro in un recinto templiforme (W. Nestle).
Anche in grotte, come quella famosissima di Zeus sul monte Ida in Creta, e presso sorgenti erano venerate le divinità e in Asia Minore troviamo troni rupestri scavati nella montagna, p. es., il doppio trono per Zeus ed Ecate nell'isola di Khalke. A poco a poco sorsero i simulacri artistici posti dentro o presso i meravigliosi templi. Un'evoluzione affine, in varia dipendenza da altre religioni (etrusca, greco-ellenistica), osserviamo nella religione romana, caratterizzata da una decisa impronta sincretistica; molto per tempo sorse un santuario nazionale sul Campidoglio.
In conformità con il suo carattere primitivo la religione germanica non conobbe altri santuarî all'infuori degli antichissimi boschi, dove officiavano sacerdoti in vesti muliebri e nei quali si poteva penetrare solo legati (Tacito, Germania, cc. 43 e 39). Nei paesi nordici si celebravano feste religiose anche in sale dedicate al culto, cui era annesso un edificio per i sacrifici (blot-hus) dimora del dio; pare che nel centro di queste sale si trovasse la pietra per il sacrificio. L'aula dei sacrifici è come un duplicato del santuario, la pietra indica la presenza della divinità sul colle; a ogni modo il cumulo di pietre (hörg) all'aperto rimase come la forma più comune di santuario, sebbene non mancassero qua e là grandi templi (Upsala).
Le regioni più ricche di santuarî sono quelle dell'India e dell'Estremo Oriente, specialmente nel campo delle religioni popolari, poiché le classi colte professano piuttosto delle teorie filosofico-religiose. Presso gl'Indiani i santuarî sono innumerevoli. Non solo numerose case hanno il loro piccolo santuario per l'uso privato della famiglia, ma quasi in ogni villaggio sorge una piccola cappella (nam-ghar) e nelle città s'incontra a ogni piè sospinto una chiesa o una piccola nicchia con dentro un idolo, davanti al quale si spargono offerte di riso e di fiori. I santuarî più grandi e spesso magnifici sono circondati da numerosi edifici dalle meravigliose porte (Gopura) e contano, oltre al sacrario con l'immagine divina, numerose cappelle e ambienti adibiti a ricovero. Di effetto imponente sono i templi rupestri, spesso a numerosi piani sovrastanti scavati nella roccia.
Fama di particolare santità godono dappertutto nell'India alcuni luoghi di pellegrinaggio posti talvolta sulle rive di fiumi sacri cui si accede per lunghe scalee: grandi e piccoli della terra s'immergono nei flutti, per purificarsi dal peccato. Nel tardo buddhismo la pagoda (stûpa) ha acquistato una certa importanza come custodia di reliquie; la sua origine va ricercata nella forma del tumulo sepolcrale elevato sugli avanzi ossei dei cadaveri cremati. Nell'antichissima religione cinese speciali ambienti erano adibiti al culto degli antenati e località all'aperto erano destinate al culto degli spiriti della natura. Con il diffondersi della religione di stato si andò sempre più imponendo come santuario principale l'altare del Cielo in Pechino; su esso l'imperatore compiva il sacrificio celeste al solstizio d'inverno e d'estate. Tra i più venerati santuarî della Cina è la tomba di Confucio, posta in un bosco sacro presso Kü-fu nello Shantung con il suo tempio tipo, cui diede luogo la canonizzazione di Confucio. Di carattere magico-numinoso sono anche i luoghi di culto del taoismo, religione profondamente radicata nel popolo, specialmente poi le località del fêng-shui delimitate geomanticamente. Dei quattro sacri colli, il T'ai-shan nello Shantung è ancor oggi meta di pii pellegrini; già nell'antichità un sacrificio era celebrato con grande solennità sulla sua cima dal fondatore di ogni nuova dinastia.
Il più celebre santuario del Giappone dall'epoca prebuddhista sino all'odierna è il santuario della dea solare Amaterasu presso Ise; altrettanto famoso è il sacro colle Fuji-no-yama, dalla cui cima il pellegrino orante saluta il sorgere del sole. Una caratteristica fusione di elementi profani e sacri rappresenta in Giappone il santuario con il suo bosco sacro, essendo un luogo di giuoco e di diporto per fanciulli e animali. Le sette del buddhismo giapponese usano spesso per il culto e l'istruzione dei fedeli magnifici edifici architettonici forniti di ampie sale e di pagode.
Poiché ai luoghi sacri è quasi sempre associata la credenza in forze attive che ne emanano, e ogni singolo luogo è come circonfuso di un fluido misterioso che ne irraggia e che può essere trasmesso per contatto, tutti i luoghi di culto assumono volontariamente o involontariamente un carattere magico. Lo stesso potere è attribuito anche al luogo di riunione dei fedeli, che propriamente ha una ben scarsa impronta magico-rituale, come la sinagoga degli Ebrei, luogo di riunione della comunità in cui si venerava Iddio. Il desiderio di avere in vicinanza acqua per le prescritte abluzioni determinò probabilmente il sorgere di numerose sinagoghe accanto a corsi d'acqua.
Anche la moschea islamica come la sinagoga è un luogo di riunione destinato alla preghiera in comune dei fedeli. Certo l'islamismo conosce numerosi luoghi già santi per tradizione araba antichissima, particolarmente la Ka‛bah della Mecca e la sacra rupe in Gerusalemme. In origine furono chiamate da Maometto moschee (masgid) delle località particolarmente sacre al culto; indi fu considerata tale anche la casa del profeta in Medina e proprio da essa derivò questo tipo di costruzione tanto importante per l'arte e la religione islamica.
Anche la Chiesa cristiana conobbe sin dai primi secoli numerosi luoghi venerati e santuarî, in parte derivati dai culti precristiani. Già nei primi secoli venivano particolarmente onorate le tombe dei martiri e su esse sorsero chiese e altari dotati di particolari virtù benefiche (tombe dei principi degli apostoli Pietro e Paolo in Roma, sepolcri nelle catacombe, tomba di S. Francesco di Assisi e di S. Elisabetta di Turingia). Località segnalate per avvenimenti e apparizioni miracolose (p. es., Lourdes) possono trasformarsi in luoghi di guarigioni e di grazie, divenendo meta d'innumerevoli pellegrinaggi. Il significato profondo dei molteplici santuarî sorti in cima ai monti o in fondo alle valli, lungo le strade e i sentieri nei paesi cattolici, è senza dubbio la testimonianza di un contatto tra terra e cielo, della presenza di Dio, di una divina esperienza (J. Wittig).
Si tratta di una religiosità vicina alla terra, pervasa di un pio sentimento patrio che spinge gli uomini a inginocchiarsi in questi luoghi protetti dal santo protettore locale. Come nell'antichità, si depongono in questi santi luoghi doni votivi a ringraziare di qualche grazia e si fanno pie erogazioni sovente di grande importanza storico-artistica o sociologica.
La grazia emanante da luoghi consacrati può venire trasmessa per mezzo di oggetti e frammenti venerati, consentendo di creare in un altro luogo qualsiasi un santuario. Ragioni di espansione indussero a elevare chiese o cappelle cristiane sul sito stesso di numerosi santuari pagani.
I santuarî cattolici sono retti dalle comuni norme del culto cattolico, pur godendo talvolta di particolari privilegi liturgici che mirano a soddisfare le esigenze devozionali delle folle accorrenti; alcuni (v. appresso) sono alle dirette dipendenze della Santa Sede. Spesso, attorno al santuario e in relazione con esso, sono sorte istituzioni svariate, sia per l'ospitalità e assistenza dei pellegrini, sia per l'officiatura della chiesa o altri fini di culto, di beneficenza o di pubblica utilità. Questi enti, la cui qualifica come santuarî non è regolata da alcuna norma speciale, ma semplicemente dovuta all'uso comune o all'iniziativa individuale, sono di varia importanza e antichità e di natura giuridica diversissima; così, alcuni di essi rientrano nelle categorie ordinarie degli enti ecclesiastici (parrocchie, coadiutorie, ecc.), altri sono enti laicali di culto autonomi, altri ancora sono proprietà di privati o di enti morali, ecc. Non esiste pertanto nel diritto della Chiesa una particolare categoria di enti "santuarî" avente caratteristiche speciali, o almeno con qualche speciale prerogativa giuridica o liturgica; ma ognuna delle chiese, che di fatto si fregiano con tale nome, secondo il diritto canonico rientra puramente e semplicemente nella disciplina ordinaria delle chiese o oratorî o comunque degli enti di cui possieda i requisiti comuni.
I santuarî furono invece considerati espressamente dalla legislazione preconcordataria dello stato italiano, che sottopose i loro beni a conversione e al pagamento della quota di concorso; era controverso poi se anch'essi (quando non costituissero già alcuno degli enti considerati dalla legislazione in modo espresso: parrocchie, ecc.) fossero stati colpiti dalla soppressione disposta dalla legge 15 agosto 1867, n. 3848. Di fatto, per alleviare le conseguenze delle leggi eversive, molti santuarî vennero trasformati nominalmente in opere pie.
Il concordato del 1929 fra l'Italia e la S. Sede regolò la situazione dei santuarî, disponendo all'art. 27 che venissero ceduti alla S. Sede quelli della S. Casa di Loreto, di S. Francesco in Assisi e di S. Antonio in Padova, con le opere annesse, eccettuate quelle di carattere meramente laico, e che per gli altri, nei quali esistano amministrazioni civili, subentrasse la libera gestione dell'autorità ecclesiastica, salva sempre la ripartizione dei beni pertinenti alle opere di carattere meramente laico.
Il protestantesimo secolarizzato ignora, in conformità al proprio carattere razionale, i santuarî con carattere magico-numinoso, contentandosi di elevare monumenti commemorativi delle figure e dei fatti più salienti della propria storia. Così la chiesa, da luogo di culto e di sacramento qual è nel cattolicismo, si trasformò nel protestantesimo in luogo dedicato alla preghiera e alla predicazione, ciò che in ultima analisi rappresenta un ritorno alle caratteristiche essenziali della sinagoga.
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