Abstract
Si analizza la disciplina della sanzione amministrativa nell’attuale sistema fiscale. La sanzione amministrativa costituisce una delle risposte punitive dell’ordinamento tributario alla realizzazione di un illecito fiscale. È una sanzione di tipo personale afflittivo che fa riferimento ai principi generali del diritto punitivo, pur rilevando dei caratteri autonomi e peculiari. La sanzione amministrativa è infatti attualmente riferita anche alle persone giuridiche.
La sanzione amministrativa tributaria costituisce una delle reazioni dell’ordinamento giuridico alla realizzazione di un illecito fiscale. Si tratta di una sanzione irrogata dall’Amministrazione finanziaria, che consiste sempre nell’obbligo di pagamento di una somma di denaro, alla quale possono essere integrate misure accessorie stabilite dalla legge.
La disciplina attuale della sanzione amministrativa tributaria è l’esito di un’importante evoluzione storica che si è sviluppata nel secolo scorso, nell’ambito della quale si sono cercati di coniugare – secondo diverse prospettive – gli aspetti peculiari della materia tributaria e i principi generali della disciplina sanzionatoria.
Di questa evoluzione e della funzione generale della sanzione amministrativa nel sistema (sanzionatorio) tributario si darà conto nella prima parte del presente studio (v. infra, §§ 2 e 3).
Nella seconda parte del medesimo studio (v. infra, §§ 4 e ss.), si procederà ad analizzare la disciplina attuale della sanzione tributaria amministrativa, mettendo in luce alcuni principi generali ed esaminando i procedimenti di irrogazione delle sanzioni.
Una breve riflessione sui principi che nel tempo hanno regolato le sanzioni amministrative tributarie è fondamentale per comprendere gli assetti attuali della materia.
Nella disciplina delle sanzioni tributarie si riconoscono tre fasi significative: l'esperienza applicativa della l. 7.1.1929, n. 4; una fase intermedia; una terza fase con la quale si è introdotta la disciplina attuale.
Nel 1929 – contestualmente all’entrata in vigore del codice penale attualmente vigente – si è approvata la l. n. 4/1929, contenente «le norme generali per la repressione delle violazioni delle leggi finanziarie», che ha costituito la prima normativa compiuta in materia di violazioni tributarie. In questa sede si è realizzata una scelta importante, dalla quale il sistema tributario non si è più discostato: sono stati previsti differenti modelli sanzionatori per la repressione dell’illecito fiscale.
Questa scelta è stata esplicitata attraverso una summa divisio tra violazioni che davano luogo a reati e violazioni che generavano obbligazioni di carattere civile.
Le obbligazione a carattere civile – che costituiscono l’antecedente storico della sanzione amministrativa – erano la pena pecuniaria e la soprattassa, irrogate dall’Intendente di finanza (la prima) e dall’Amministrazione finanziaria (la seconda) e consistenti entrambe in un’obbligazione di pagamento di una somma di denaro.
Il sistema introdotto con la l. n. 4/1929 ha regolato stabilmente la materia fino alla seconda metà del secolo scorso. La successiva riforma tributaria degli anni ’70 ha introdotto analitiche previsioni sanzionatorie amministrative per le violazioni attinenti ai singoli tributi all’interno delle discipline dei tributi stessi e, contestualmente, ha riconosciuto in via generale agli uffici amministrativi il potere generale di irrogare la sanzione pecuniaria e la soprattassa ad esito della fase di controllo. Si sono, così, generati dei microsistemi sanzionatori, localizzati all’interno delle singole leggi d’imposta e calibrati sulla disciplina sostanziale e procedimentale di ogni tributo (Del Federico, L., Le sanzioni amministrative nel diritto tributario, Milano, 1993, 90).
Il sistema in esame è entrato in crisi negli anni ‘80 (sempre del secolo scorso) con l’approvazione della legge sulle sanzioni amministrative (l. 24.11.1981, n. 689), che si è posta – quale obiettivo – l’introduzione di una disciplina generale riferibile alle sanzioni irrogate dalla pubblica amministrazione, riconoscendo a queste ultime un quadro di riferimento di tipo penalistico (anche personalistico-afflittivo).
In merito a tale legge sono emersi – sin da subito – dei problemi di raccordo con la disciplina della sanzione (amministrativa) tributaria.
La l. n. 4/1929 contestualmente perdeva centralità per quel che concerne la disciplina dei reati, in merito ai quali a partire dagli anni ’80 erano state approvate alcune leggi specifiche finalizzate a rendere più repressivo il sistema sanzionatorio.
Alla fine del secolo scorso il legislatore operava così una totale riorganizzazione della materia, riformando prima le sanzioni amministrative e poi quelle penali. In questo modo si dava avvio alla terza fase, nella quale il sistema tributario tentava un pieno riallineamento ai principi generali del diritto sanzionatorio.
In attuazione della delega contenuta nell’art. 3, co. 133, l. 26.1.1996, n. 662, si è proceduto alla riforma delle sanzioni amministrative, attraverso l’emanazione dei d.lgs. nn. 471, 472, 473 del 1997. Con il d.lgs. 18.12.1997, n. 472 è stata introdotta una disciplina sui principi generali (delle sanzioni amministrative) tendenzialmente affine a quella contenuta nella l. n. 689/1981 ed ispirata ai principi del diritto punitivo. Successivamente è stato approvato il d.lgs. 10.3.2000, n. 74, con il quale ha avuto luogo la riforma delle sanzioni penali.
In ambito amministrativo generale, la successiva approvazione del d.lgs. 8.6.2001, n. 231 – che ha previsto la responsabilità amministrativa sanzionatoria degli enti per determinate fattispecie criminose – ha dato luogo ad un nuovo dibattito nella materia fiscale in merito al recepimento di tale modifica.
In via autonoma la materia tributaria – traendo spunto da tale ultima modifica – ha proceduto all’introduzione dell’art. 7 del d.l. 30.9.2003, n. 269, con il quale si è stabilito che «le sanzioni relative al rapporto fiscale proprio di società o enti sono esclusivamente a carico delle persone giuridiche». In questo modo è stata riconosciuta una responsabilità diretta alle persone giuridiche per le sanzioni amministrative.
Con la normativa introdotta nel 1997, il legislatore ha adeguato la sanzione (amministrativa) tributaria ai principi generali della sanzione amministrativa, come regolata dalla l. n. 689/1981.
La sanzione amministrativa tributaria risulta, quindi, una tipologia di sanzione amministrativa generale; ne consegue come in caso di lacune normative nella disciplina tributaria si possa fare riferimento anche alla regolamentazione della sanzione amministrativa generale.
La sanzione amministrativa generale e quella tributaria sono di tipo personalistico afflittivo, in quanto mutuano la propria disciplina dal diritto punitivo. Le singole previsioni risultano alcune recepite in toto dal diritto penale, altre riadattate ad esigenze proprie della sanzione amministrativa.
In ogni caso, quello amministrativo sanzionatorio è un settore giuridico autonomo, al quale non si ritiene possano essere applicate direttamente – in caso di lacuna normativa – le disposizioni del codice penale.
Alla sanzione amministrativa (e quindi a quella amministrativa tributaria) oggi si riconosce una identità teleologica e una omogeneità funzionale con la sanzione penale; la suddetta sanzione si sostanzia, infatti, in una difesa di beni pubblici (identità teleologica), attraverso la rieducazione del trasgressore (omogeneità funzionale; Sandulli M.A., Le sanzioni amministrative pecuniarie. Principi sostanziali e procedimentali, Napoli, 1983, 50; Id., Sanzione (sanzione amministrativa), in Enc. giur. Treccani, Roma, 1992, 3; Cordeiro Guerra R., Illecito tributario e sanzioni amministrative, Milano, 1996, 50).
Alla identità teleologica ed omogeneità funzionale tra la sanzione amministrativa e quella penale consegue la non cumulatività delle due sanzioni in capo ai trasgressori, al fine di non determinare una duplicazione della risposta punitiva. La suddetta non cumulatività è attuata – nel diritto sanzionatorio generale – attraverso il principio di specialità che regola l’applicazione della sola disposizione speciale, in caso di riferibilità alla medesima fattispecie (di illecito) della norma sanzionatoria penale e di quella amministrativa.
Questi principi di diritto sanzionatorio generale hanno assunto una particolare connotazione all’interno della materia tributaria, nella quale – come è emerso dalla evoluzione storica – convivono da sempre diverse tipologie sanzionatorie.
L’illecito tributario è attualmente punito con sanzioni di tipo amministrativo e di tipo penale, allo stesso, inoltre, sono riferibili altre reazioni dell’ordinamento diverse dalle sanzioni, quali obbligazioni risarcitorie o interessi moratori.
In coerenza con il diritto sanzionatorio generale, le sanzioni amministrative e penali sono cumulabili con le misure risarcitorie (interessi moratori), ma non possono invece essere applicate congiuntamente.
Anche nel diritto tributario, il criterio formalmente prescelto per definire la risposta punitiva applicabile al caso concreto è quello relativo al principio di specialità, ai sensi dell’art. 20 del d.lgs. n. 74/2000.
Tale criterio però si traduce – secondo la disciplina specifica predisposta – in una preferenza sostanziale della sanzione penale rispetto a quella amministrativa, in quanto quest’ultima può essere applicata solo nel caso in cui il processo o il procedimento penale non si concludano con una condanna del contribuente. In tal senso, nel sistema tributario, la specialità assume un significato peculiare e diverso da quello del diritto punitivo generale.
Il principio di specialità, così inteso, viene giustificato nella materia tributaria dalla unicità dell’illecito fiscale.
Si ritiene che l’illecito fiscale si caratterizzi per la presenza di un unico oggetto di protezione – o anche bene giuridico protetto – e, conseguentemente, la sanzione tributaria si definisca come reazione alla lesione di quest'unico bene giuridico. Il ricorso a differenti tipi di sanzioni è così giustificato non per la diversità di beni di tutela, ma in ragione della maggiore o minore pericolosità delle modalità delle condotte poste in essere dal contribuente (Dus, A., Teoria generale dell’illecito fiscale, Milano, 1957; Del Federico, L., Le sanzioni amministrative nel diritto tributario, Milano, 1993, 129; Cordeiro Guerra, R., Illecito tributario e sanzioni amministrative, Milano, 1996, 110; Puri, P., Illecito fiscale, in Dig. comm., vol. VI, Milano, 1990, 477). In questo senso le sanzioni sono graduate progressivamente a seconda della rimproverabilità della condotta e quelle amministrative sono meno gravi delle sanzioni penali.
Per completezza si evidenzia che il bene giuridico protetto con le sanzioni tributarie è l'interesse ad una tempestiva contribuzione, in ragione della capacità contributiva, attraverso un efficiente funzionamento del sistema fiscale. Il bene giuridico protetto dovrebbe – quindi – coincidere con il contenuto dell’art. 53 Cost., nei termini in cui a tale ultimo articolo si ascrivono: il dovere al concorso alle spese pubbliche in ragione della capacità contributiva, l'interesse fiscale ad una pronta acquisizione delle entrate, il corretto funzionamento del sistema procedimentale (Boria, P., L’interesse fiscale, Torino, 2002, 332 e 368).
Attualmente la sanzione amministrativa tributaria è disciplinata: dal d.lgs. n. 472/1997 che regola i principi generali della materia, dai d.lgs. nn. 471 e 473 del 1997 che prevedono le singole fattispecie sanzionatorie, dall’art. 7 del d.l. n. 269/2003, con il quale si è ammessa la riferibilità diretta alle persone giuridiche delle sanzioni relative al rapporto fiscale proprio di società o enti.
Principio fondamentale – per la disciplina sanzionatoria tributaria – espresso nell’art. 3 del d.lgs. n. 472/1997 è quello secondo il quale «nessuno può essere punito se non in forza di una legge entrata in vigore prima del fatto commesso», con il quale si prevede la riserva di legge per le previsioni sanzionatorie amministrative.
Si tratta di una norma di contenuto analogo al precetto costituzionale di cui all'art. 25, co. 2, che sembrerebbe valorizzare le ricostruzioni dottrinali, volte ad ammettere la generale riferibilità di tale ultimo articolo (costituzionale) alla materia sanzionatoria amministrativa.
Strettamente legati alla riserva di legge sono il principio di tassatività e il divieto di analogia, in quanto hanno come funzione quella di evitare l'ampliamento o la creazione di fattispecie punitive in sede attuativa o giurisdizionale. Anche tali principi si intendono riferiti alle disposizioni sanzionatorie tributarie in virtù della suddetta previsione della riserva di legge.
Il medesimo articolo contiene anche il principio di irretroattività. Tale principio fa divieto di applicare la norma sanzionatoria per fatti commessi prima della sua entrata in vigore, a garanzia della autodeterminazione e della libertà dei contribuenti. In nessun caso, quindi, il legislatore può disporre l’applicazione retroattiva di una norma sanzionatoria, né il giudice o l'Amministrazione possono applicare sanzioni per fatti commessi prima dell'entrata in vigore della suddetta norma.
Il divieto di retroattività subisce due importanti deroghe a favore del trasgressore, entrambe espressamente previste nella disciplina sanzionatoria amministrativa (tributaria): l'abolitio criminis e il favor rei.
L'abolitio criminis si realizza in caso di abrogazione della norma che prevede la fattispecie sanzionata, vale a dire nell'ipotesi in cui un comportamento punito cessa di essere tale. In tali casi se la sanzione è stata già irrogata con provvedimento definitivo, si estingue soltanto il debito residuo e non è ammessa la ripetizione di quanto pagato (art. 3, co. 2, d.lgs. n. 472/1997).
L'abolitio criminis opera nei casi in cui la norma sanzionatoria è abrogata senza che a tale abrogazione faccia seguito l’introduzione di una nuova disciplina sanzionante la medesima condotta; nell'ipotesi di successione di norme nel tempo in relazione alla medesima fattispecie ricorre, invece, il principio del favor rei.
In base a quest'ultimo principio, se la legge in vigore al momento in cui è stata commessa la violazione e le leggi posteriori stabiliscono sanzioni di entità diversa, si applica la legge più favorevole. Un limite all’applicazione di tale principio è rappresentato dal consolidamento della condanna del trasgressore, che si realizza con la definitività del provvedimento di irrogazione delle sanzioni.
Il trattamento sanzionatorio più mite, ai fini dell’applicazione di tale principio, va riscontrato in concreto, non raffrontando in astratto le due norme sanzionatorie, ma verificando gli effetti della loro applicazione in rapporto alle caratteristiche della condotta realizzata dal trasgressore.
La sanzione amministrativa tributaria (come quella amministrativa generale) si qualifica come di tipo personalistico afflittivo in quanto – conformemente al modello della sanzione penale – mira a punire la persona che ha commesso il fatto ed a rieducarla. La personalità permea la disciplina delle sanzioni amministrative, anche se risulta più sfumata rispetto alle previsioni della disciplina penale.
La personalità rileva – principalmente – in tre momenti: nella modalità di imputazione dell'illecito, nei criteri di determinazione della sanzione, negli istituti che incidono sulla misura della sanzione. In questi aspetti l'impianto amministrativo ha recepito i principi penalistici, attuando un certo grado di specializzazione e di differenziazione.
L'illecito è imputato verificando: la realizzazione del fatto tipico, l’elemento soggettivo, l'assenza di cause di esclusione della punibilità.
L’elemento soggettivo si costruisce su due livelli: verifica dell'imputabilità (primo livello) e colpevolezza (secondo livello). La colpevolezza presuppone l'imputabilità (che si qualifica come capacità di intendere e di volere) e si articola nel dolo o nella colpa.
Il riscontro della condotta e dell'elemento soggettivo non sono sufficienti per l'irrogazione della sanzione amministrativa; è necessario, infatti, che in ogni caso specifico non si verifichino cause di non punibilità. Tali cause sono espressamente previste dall'art. 6 del d.lgs. n. 472/1997. Si tratta di fatti in presenza dei quali viene meno, per diverse ragioni, la rimproverabilità del comportamento del trasgressore e, di conseguenza, la necessità di punirlo.
Tra le cause di non punibilità emergono, in primo luogo, quelle previste dal codice penale e recepite dalla materia sanzionatoria amministrativa, quali: la forza maggiore, l'errore sul fatto non determinato da colpa, l'ignorantia legis scusabile.
Tipicamente tributaria è la causa di esclusione della colpevolezza della obiettiva incertezza sulla portata e sull'ambito di applicazione delle disposizioni.
L'obiettiva incertezza determina il venir meno della punibilità del trasgressore in presenza di una previsione normativa oggettivamente oscura, in quanto si riscontra una carenza strutturale dell'ordinamento giuridico valutabile obiettivamente. Nel corso del tempo sono stati individuati alcuni indici sintomatici dell'obiettiva incertezza della norma violata (quali: la formulazione normativa non chiara nei contenuti, la presenza di modifiche legislative ravvicinate nel tempo, l'intervento di norme interpretative o di pronunce della Corte Costituzionale, l'esistenza di posizioni ministeriali contrastanti o di oscillazioni della giurisprudenza, il sopravvenire di interpretazioni rese in via pregiudiziale della Corte di Giustizia, l'emersione di una incompatibilità tra la norma nazionale e quella comunitaria); tali indici sono soltanto esemplificativi e non esauriscono le possibili ipotesi di obiettiva incertezza.
Tra le altre cause di esclusione della punibilità tipicamente tributarie vi è anche l'espressa previsione della non sanzionabilità delle violazioni, realizzate attraverso le rilevazioni eseguite nel rispetto della continuità dei valori di bilancio e secondo corretti criteri contabili o attraverso valutazioni eseguite secondo corretti criteri di stima. Si afferma, inoltre, che non si ritengono colpose le violazioni conseguenti a valutazioni estimative, se differiscono da quelle accertate in misura non eccedente il 5%, introducendo, in tal modo, una zona di tolleranza in caso di scostamenti tra le valutazioni effettuate e i valori accertati.
Infine, non sono punibili le violazioni formali, definite come quelle che non arrecano pregiudizio all'esercizio delle azioni di controllo e che non incidono sulla determinazione della base imponibile o dell'imposta.
Se l’illecito è commesso da più soggetti valgono gli stessi principi. A norma dell’art. 9 del d.lgs. n. 472/1997, infatti, se più persone concorrono in una violazione, ciascuna di esse soggiace alla sanzione per essa disposta.
Si è recepita, in questo modo, la disciplina penalistica del concorso di persone, in base alla quale, secondo il principio di personalità, se più soggetti commettono un illecito rispondono personalmente dell’intera sanzione. La disciplina del concorso subisce un’attenuazione, che si esprime in specifiche limitazioni di responsabilità: nei casi di illeciti commessi nell’esercizio dell'attività di consulenza e di assistenza fiscale che comportano la soluzione di questioni di speciale difficoltà, nei casi di illeciti che rientrano nell’attuale ambito di applicazione dell’art. 11 del d.lgs. n. 472/97, nel caso in cui la violazione consiste nell’omissione di un comportamento cui sono obbligati in solido più soggetti (in tale ipotesi è irrogata un’unica sanzione e il pagamento eseguito da uno solo dei responsabili libera tutti gli altri, salvo il diritto di regresso).
La sanzione amministrativa tributaria consiste nell’obbligo di pagamento di una somma di denaro, non produce interessi ed è intrasmissibile agli eredi.
Le singole fattispecie sanzionatorie possono prevedere sia sanzioni già determinate (in misura fissa), sia sanzioni da definirsi di volta in volta sulla base di alcuni parametri.
La maggior parte delle sanzioni è di questo secondo tipo e deve essere stabilita o tra un minimo ed un massimo in misura proporzionale al tributo evaso ovvero soltanto tra un minimo ed un massimo fissato dalla norma.
La definizione della misura della sanzione (tra un minimo ed un massimo) deve essere effettuata sulla base di alcuni criteri di stampo personalistico, contenuti nell’art. 7 del d.lgs. n. 472/1997 (quali: la gravità della violazione desunta anche dalla condotta dell’agente; l’opera da lui svolta per l’eliminazione o l’attenuazione delle conseguenze; la sua personalità e le sue condizioni economiche e sociali; i precedenti fiscali).
La determinazione della misura delle sanzioni è soggetta poi all'applicazione di alcuni istituti di origine penalistica, anch'essi adattati nella disciplina alle caratteristiche ed alle finalità della sanzione amministrativa tributaria. È così prevista una disciplina della recidiva (che si applica nel momento in cui il trasgressore ha commesso «illeciti della stessa indole» nei tre anni precedenti), del ravvedimento operoso (in base al quale si attua una sensibile riduzione della sanzione al contribuente che spontaneamente ripari al suo illecito), del concorso di violazioni (mediante il quale si prevedono numerose ipotesi di applicazione del cumulo giuridico delle sanzioni, in eccezione al principio generale tot crimina, tot poenae).
La disciplina sanzionatoria attuale – nella sua più recente evoluzione – prevede che le sanzioni relative al rapporto fiscale proprio di società od enti con personalità giuridica siano esclusivamente a carico della persona giuridica e che in tali casi si applichino le disposizioni di cui al d.lgs. n. 472/1997 in quanto compatibili (art. 7, d.l. 30.9.2003, n. 269).
In base a questa disciplina tutti i soggetti dotati di personalità giuridica sono oggi direttamente responsabili delle sanzioni amministrative.
Su tale aspetto è stata predisposta la suddetta norma relativa alla riferibilità delle sanzioni, ma nulla è stato regolato sulla modalità di applicazione delle sanzioni medesime alle persone giuridiche, prevedendo esclusivamente un generico rinvio all’impianto del d.lgs. n. 472/1997 nei limiti della compatibilità.
Il rinvio pone molti dubbi e problemi dal momento che tale ultimo decreto contiene un sistema riferito alle persone fisiche, che difficilmente si presta ad una applicazione a quelle giuridiche.
Sulla questione, in merito alla quale sarebbe auspicabile un intervento normativo, sono state elaborate diverse ricostruzioni dottrinali (Gallo, F., L’impresa e la responsabilità per le sanzioni amministrative tributarie, in Rass. trib., 2005, 11; Del Federico, L., Sanzioni amministrative relative a persone giuridiche e favor libertatis, in Giust. tributaria, 2007, 613).
Come anticipato al § 1, la sanzione amministrativa è irrogata ad esito di un procedimento, con un atto amministrativo (di irrogazione delle sanzioni), emesso dall’Amministrazione finanziaria o dall’ente competente all’accertamento del tributo.
Sono previsti tre procedimenti di irrogazione delle sanzioni: due di irrogazione immediata e uno di contestazione-irrogazione.
Il primo procedimento di irrogazione immediata è utilizzabile nei casi di sanzioni collegate al tributo e consente l’emissione di un avviso di irrogazione delle sanzioni contestuale a quello di accertamento. L’atto di irrogazione è distinto nei contenuti e deve recare al suo interno, a pena di nullità, l’indicazione dei fatti attribuiti al trasgressore, degli elementi probatori, delle norme applicate, dei criteri seguiti per la determinazione delle sanzioni, dei minimi edittali previsti dalla legge per ogni singola violazione. In tali ipotesi il procedimento sanzionatorio segue sostanzialmente le fasi di quello di accertamento dei tributi (avvio, esercizio dei poteri istruttori [[[DOL:Poteri istruttori (dir. trib.)|poteri istruttori (dir. trib.)]]] di indagine, emissione del provvedimento). È ammessa la definizione in via breve della pretesa sanzionatoria con il pagamento pari ad un terzo della misura della sanzione irrogata.
Il secondo procedimento di irrogazione immediata prevede la possibilità di iscrivere a ruolo direttamente le sanzioni per ritardato o omesso versamento dei tributi, anche risultanti dai procedimenti di liquidazione delle dichiarazioni, eseguiti ai sensi degli artt. 36 bis e ter, d.P.R. 29.9.1973, n. 600 nonché 54 bis e 50, co. 6, d.P.R. 26.10.1972, n. 633. In tali ipotesi non si può utilizzare la definizione in via breve.
La disciplina del procedimento di contestazione – irrogazione è quella caratterizzata da maggiore garanzia nelle previsioni e che meglio riesce ad attuare i principi generali della funzione amministrativa sanzionatoria. Tale procedimento, infatti, prevede la partecipazione difensiva del contribuente, separa la fase dell’accertamento da quella sanzionatoria, garantisce la trasparenza e l’imparzialità dell’attività amministrativa di irrogazione delle sanzioni (Del Federico, L., Prime note sui procedimenti sanzionatori disciplinati dal D.lgs. del 18.9.1997, n. 472, in Rass. trib., 1999, 1041; Ragucci G., La partecipazione del privato all’irrogazione della sanzione tributaria, in Riv. dir. fin. Sc. Fin., 2001, 271; Bellè, B., Procedimenti di irrogazione delle sanzioni e tutela giurisdizionale, in Dir. prat. trib., 1999, 1216; Miceli, R., Il contraddittorio pre-contenzioso nei procedimenti di irrogazione delle sanzioni, in Riv. dir., trib., 2002, 1095). Il procedimento in esame – che inizialmente aveva una valenza generale – oggi ha assunto un ruolo più residuale in conseguenza di un recente intervento normativo che ha ammesso l’obbligo di utilizzare il procedimento di irrogazione immediata per tutte le ipotesi di sanzioni collegate al tributo (art. 23, co. 29, d.l. 6.7.2011. n. 98).
Per alcuni tipi di sanzioni, i termini per la notifica dell’atto di contestazione irrogazione (che decorrono dalla constatazione della violazione) sono più brevi rispetto alla fattispecie generale ed il termine di decadenza di un anno (per l’emissione dell’atto di irrogazione delle sanzioni a seguito della presentazione delle memorie difensive) è dimezzato a sei mesi (l’art. 5 bis del d.l. 24.12.2002, n. 282 – convertito nella l. 21.2.2003, n. 27 – ha introdotto l’art. 16 bis del d.lgs. n. 472/1997, che reca «disposizioni per l’accelerazione dell’irrogazione delle sanzioni»).
L. 7.1.1929, n. 4; l. 24.11.1981, n. 689; art. 3, co. 133, l. 26.1.1996, n. 662; d.lgs. 18.12.1997, nn. 471, 472, 473; d.lgs. 10.3.2000, n. 74; d.lgs. 8.6.2001, n. 231; art. 7, d.l. 30.9.2003, n. 269; art. 23, co. 29, d.l. 6.7.2011. n. 98.
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