Sanzioni amministrative
Con il d.lgs. 5.4.2017, n. 52, l’Italia ha dato attuazione alla Convenzione di Bruxelles del 2000 estendendo anche ai procedimenti sanzionatori amministrativi l’assistenza giudiziaria tra gli Stati membri dell’Unione europea. Per quanto riguarda le novità giurisprudenziali, nell’ultimo anno la Corte costituzionale si è occupata più volte di sanzioni amministrative, continuando però a dimostrare un’estrema prudenza nell’allargare all’illecito amministrativo le garanzie previste dalla CEDU in materia penale. Sul versante della C. eur. dir. uomo, un’importante novità è rappresentata da un innovativo indirizzo giurisprudenziale teso a restringere l’ambito di applicazione del principio del ne bis in idem.
Con il d.lgs. 5.4.2017, n. 52, l’Italia ha dato attuazione, con ben diciassette anni di ritardo, alla Convenzione relativa all’assistenza giudiziaria in materia penale tra gli Stati membri dell’U.E., firmata a Bruxelles il 29.5.2000 (sui rapporti con la dir. 2014/41/UE, v. infra § 3).
Si tratta di una disposizione che mira ad una omogeneizzazione dei sistemi penali nazionali in tema di acquisizione della prova, ma che riguarda anche le sanzioni amministrative.
L’art. 3 del la Convenzione, infatti, ponendosi in linea con l’evoluzione giurisprudenziale della C. eur. dir. uomo, estende il suo ambito applicativo ai procedimenti per l’accertamento di illeciti amministrati vi, recependo una nozione ampia di procedimento in materia penale che include anche gli illeciti che abbiano una natura amministrativa.
Di conseguenza, il legislatore, con l’art. 3, co. 1, lett. c), l. 21.7.2016, n. 149, ha delegato il Governo a prevedere i necessari adeguamenti normativi al fine di garantire, conformemente a quanto stabilito dalla Convenzione, l’assistenza giudiziaria nei procedimenti per l’applicazione di sanzioni amministrative.
Per quanto riguarda le novità giurisprudenziali, nell’anno 2017 la Corte costituzionale è tornata più volte ad occuparsi di sanzioni amministrative. Le questioni sottoposte alla sua attenzione hanno riguardato, in particolare, il tema dell’estensione delle garanzie previste per le sanzioni penali anche agli illeciti amministrativi configurabili come “penali” secondo i criteri individuati dalla giurisprudenza della C. eur. dir. uomo. La Consulta ha poi dichiarato l’incostituzionalità delle misure interdittive decennali previste dal d.lgs. 3.3.2011, n. 28.
I giudici europei hanno invece di recente mutato il loro orientamento nei confronti del principio del ne bis in idem, restringendo il suo ambito di applicazione.
Prima di soffermarsi sulle novità giurisprudenziali, conviene esaminare il d.lgs. n. 52/2017 che, come già anticipato, prende in considerazione anche gli illeciti amministrativi distinguendo tra una procedura (rogatoria) attiva e una procedura (rogatoria) passiva.
La procedura attiva è regolamentata dall’art. 3 del d.lgs. n. 52/2017, ove si dispone che gli organi addetti al controllo sull’osservanza delle disposizioni per la cui violazione è prevista una sanzione amministrativa possono richiedere all’autorità competente estera (nei cui confronti sia in vigore la Convenzione), il compimento degli atti di accertamento di cui all’art. 13 della l. 24.11.1981, n. 689. Tale richiesta deve essere effettuata per il tramite del Ministro della Giustizia, il quale darà corso alla stessa se ritiene che essa non comprometta la sovranità, la sicurezza o altri interessi essenziali dello Stato. L’art. 3 cit. precisa altresì che con «la richiesta sono trasmessi gli atti del procedimento a tal fine necessari», senza specificare però a quali atti si riferisca. Dalla lettera del citato art. 3 si ricava che la cooperazione è circoscritta alla fase dell’accertamento, che dovrà essere svolta dall’autorità competente dello Stato estero. L’individuazione di tale Autorità non sembra però (almeno in alcuni casi) di facile soluzione. Si pensi alle ipotesi nelle quali un determinato illecito amministrativo non sia considerato tale nello Stato estero. Sarebbe stato meglio indicare un soggetto istituzionale dello Stato straniero, ad esempio il Ministro della Giustizia, al quale affidare il compito di individuare l’autorità competente (così come avviene nel caso della procedura passiva disciplinata dall’art. 4 del d.lgs. n. 52/2017). Va evidenziato che l’art. 3 del d.lgs. n. 52/2017, nel delimitare la cooperazione al compimento degli atti di accertamento, richiama soltanto l’art. 13 della l. 24.11.1981, n. 689; non è quindi possibile richiedere l’assistenza dell’autorità estera per l’accertamento dell’illecito mediante analisi di campioni, disciplinato dall’art. 15 della legge n. 689/1981. Non è nemmeno richiamato l’art. 14 della l. n. 689/1981, relativo alla contestazione e alla notificazione, anche perché il d.lgs. n. 52/2017 detta una specifica procedura in tema di notificazioni agli artt. 5 e 6 (v. infra § 2.3). Le autorità competenti estere potranno quindi esercitare soltanto i poteri previsti dall’art. 13 della l. n. 689/1981. Non è da escludere tuttavia l’applicazione di norme diverse, considerato che l’art. 13 cit. si chiude facendo «salvo l’esercizio degli specifici poteri di accertamento previsti dalle leggi vigenti». Giova ricordare che l’art. 13 riconosce agli organi competenti ad effettuare l’attività di accertamento molteplici ed estesi poteri, che vanno dalla possibilità di assumere informazioni, procedere a ispezioni di cose e di luoghi (diversi però dalla privata dimora), far ricorso a rilievi segnaletici, descrittivi, fotografici e ad ogni altra operazione tecnica, fino al sequestro cautelare. La perquisizione in luoghi diversi dalla privata dimora è ammessa, previa autorizzazione motivata del giudice, esclusivamente qualora gli accertatori siano ufficiali o agenti di polizia giudiziaria, e sempre come extrema ratio, allorquando cioè non sia possibile acquisire altrimenti gli elementi di prova (art. 13, co. 4, cit.). Non sono invece consentiti né l’ispezione della privata dimora né tutti quegli atti che incidono su beni quali la libertà personale, la corrispondenza, ecc., che, ai sensi dell’art. 13 Cost., possono essere effettuati solo nei casi previsti dalla legge e in forza di atti dell’Autorità giudiziaria1. Tali limiti si applicano giocoforza anche all’Autorità estera che dovrà effettuare l’accertamento. A detta Autorità si estende anche l’ulteriore limite rappresentato dal fatto che l’art. 13 della l. n. 689/1981 non prevede la partecipazione dell’interessato. L’intervento e il contraddittorio con il trasgressore è consentito soltanto per il caso particolare disciplinato dall’art. 15 della l. n. 689/1981, relativo all’accertamento di violazioni compiute mediante analisi di campioni, che però, come già segnalato, non è richiamato dall’art. 3 del d.lgs. n. 52/2017.
L’art. 4 del d.lgs. n. 52/2017 disciplina la procedura passiva, che si esercita sempre per il tramite del Ministro della Giustizia, il quale, ricevuta la richiesta dell’Autorità competente di uno Stato estero (che ha aderito alla Convenzione) per il compimento di atti di accertamento nell’ambito di un procedimento amministrativo, ne dispone la trasmissione al Prefetto del luogo in cui devono essere compiuti gli atti richiesti, ovvero, quando tale luogo non è individuabile, al Prefetto di Roma. L’art. 4 cit. subordina l’accoglimento di tale richiesta a due condizioni: a) che contro la decisione dell’autorità amministrativa sia ammesso ricorso dinnanzi all’autorità giudiziaria; b) che l’esecuzione degli atti richiesti non comprometta la sovranità, la sicurezza o altri interessi essenziali dello Stato. Per l’esecuzione della richiesta, il Prefetto si avvale degli organi delle singole amministrazioni pubbliche che, secondo l’ordinamento interno, hanno compiti di accertamento delle violazioni per cui è prevista una sanzione amministrativa (art. 4, co. 2, d.lgs. n. 52/2017). Anche in questo caso si pone il problema di capire di chi sia la competenza nell’ipotesi in cui una determinata fattispecie costituisca un illecito per lo Stato estero ma non per il nostro. L’art. 4, co. 2, cit., si chiude statuendo che si applicano le disposizioni di cui alla l. n. 689/1981. Nessun rinvio viene espressamente fatto ad altre leggi. Si deve tuttavia tener conto del fatto che il rinvio ad altre norme è contenuto nella stessa l. n. 689/1981, la quale adotta la tecnica del rinvio in diverse disposizioni: così, ad esempio, come già ricordato, l’art. 13 fa «salvo l’esercizio degli specifici poteri di accertamento previsti dalle leggi vigenti». Il riferimento generico alla l. n. 689/1981 rende possibile, in questa procedura, l’applicazione dell’art. 15 della l. n. 689/1981, che disciplina gli accertamenti mediante analisi di campioni.
Il d.lgs. n. 52/2017 detta una specifica procedura in tema di notificazioni. Segnatamente, per quanto riguarda la rogatoria attiva, all’art. 5 il decreto prevede una procedura semplificata fondata sul ricorso al servizio postale e alla posta elettronica certificata. Soltanto quando ciò non risulta possibile – perché l’indirizzo postale non è conosciuto o è incerto ovvero la spedizione postale è inidonea ad assicurare la prova della conoscenza dell’atto – l’Autorità nazionale che procede fa richiesta di assistenza a quella estera per rintracciare il destinatario o per provvedere alla notificazione dell’atto con modalità diverse. L’art. 5 cit. dispone altresì che qualora l’Autorità che procede abbia motivo di ritenere che il destinatario non conosca la lingua italiana, l’atto da notificare va tradotto nella lingua o in una delle lingue dello Stato straniero. Se ritiene che il destinatario non conosca nemmeno la lingua dello Stato parte, l’autorità procedente deve provvedere alla traduzione nella lingua che risulti dallo stesso conosciuta. Si dà così piena attuazione ad un principio di diritto sancito, tra l’altro, dall’art. 6 CEDU, secondo cui ogni accusato ha diritto ad essere informato delle contestazioni a suo carico in una lingua a lui comprensibile. Quanto alla rogatoria passiva, l’art. 6 del d.lgs. n. 52/2017 dispone che sulla richiesta di assistenza proveniente da un’Autorità estera relativa alla notificazione degli atti di un procedimento penale o amministrativo, provvede il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale del capoluogo nel cui distretto la notificazione deve essere effettuata, il quale dovrà, se necessario (ex art. 143 c.p.p. o su richiesta dell’autorità richiedente estera) curare la traduzione dell’atto. Dovrà altresì provvedere ad avvisare il destinatario che ha facoltà di richiedere all’Autorità estera informazioni in merito al procedimento. Altro aspetto di carattere generale, che riguarda anche i procedimenti amministrativi, è la possibilità, sancita dall’art. 9 del d.lgs. n. 52/2017, di scambio diretto e spontaneo di informazioni utili e di atti con l’Autorità estera, utilizzabili però nel rispetto dei limiti indicati da quest’ultima Autorità e di quanto previsto dall’art. 78 disp. att. c.p.p.
Nell’anno 2017 la Corte costituzionale è tornata più volte ad occuparsi delle sanzioni amministrative. Le decisioni muovono tutte dall’idea, già radicata in pronunce precedenti2, secondo cui l’illecito amministrativo è autonomo dal diritto penale.
Così, con la sentenza C. cost. 24.2.2017, n. 43, è stato ribadito che l’attrazione di una sanzione amministrativa nell’ambito della materia penale, in virtù dei criteri elaborati dalla giurisprudenza della C. eur. dir. uomo, non trascina con sé tutte le garanzie previste dal diritto nazionale per le sanzioni penali, ma soltanto quelle previste dalle pertinenti disposizioni della Convenzione, come elaborate dalla Corte di Strasburgo. Le ulteriori tutele predisposte dal diritto nazionale per le sanzioni penali rimangono nel margine di apprezzamento di cui gode ciascuno Stato, e non si estendono automaticamente alle sanzioni amministrative. È un’affermazione che viene ripresa in modo perspicuo in sentenze successive, ove si ribadisce che la riconducibilità di una certa misura sanzionatoria alla materia penale, ai sensi dell’art. 7 CEDU, non implica l’assegnazione di quella sanzione al campo del diritto penale (da reputarsi contraria ai principi di legalità dei reati e di sussidiarietà), ma soltanto l’obbligo di estendere ad essa tutte le tutele previste dalla Convenzione, e quelle soltanto, rivestendo l’illecito, per ogni altro aspetto, carattere amministrativo3. Su questa scia, una ancora più recente sentenza della Corte costituzionale dichiara inammissibile la questione sollevata dal giudice a quo, in quanto la riconducibilità alla materia penale della sanzione non era tesa ad estendere l’applicazione ad essa delle sole garanzie convenzionali, ma anche quelle sancite dall’art. 25, co. 2 (nel suo significato complessivo) e 27 Cost.4. Anche nella citata sentenza C. cost. n. 43/2017, il Giudice delle leggi, facendo sempre leva sulla distinzione tra sanzioni amministrative e penali, non ritiene violato l’art. 25 Cost., osservando che se pure nella sua recente giurisprudenza è stato (si badi) «occasionalmente» riferito il parametro di cui all’art. 25, co. 2, Cost. anche alle sanzioni amministrative5, ciò è stato fatto limitatamente al contenuto essenziale del richiamato precetto costituzionale, secondo cui una misura sanzionatoria è applicabile soltanto se la legge che la prevede risulti già vigente al momento della commissione del fatto sanzionato, e in riferimento a misure amministrative incidenti su libertà fondamentali che coinvolgono anche i diritti politici del cittadino, ma non certo con l’intenzione di estendere alle sanzioni amministrative tutti i principi e le garanzie previste dalla legge per le sanzioni penali. Si tratta di affermazioni già presenti nella sentenza della Consulta del 16.12.2016, n. 276, la quale si segnala perché ha ritenuto che il principio di irretroattività (e quindi l’art. 25, co. 2, Cost.) non è predicabile per le misure della incandidabilità, decadenza e sospensione previste dal d.lgs. 31.12.2012, n. 235, in quanto tali misure non hanno carattere sanzionatorio, ma rappresentano soltanto le conseguenze del venir meno di un requisito soggettivo per l’accesso alle cariche considerate6. Valorizzando la distinzione ontologica tra sanzioni amministrative e penali – che rispondono a logiche, principi e procedure del tutto differenti – i Giudici delle leggi non ritengono nemmeno fondata la censura dell’art. 3 Cost., in quanto, precisano, non può esservi disparità di trattamento tra misure afflittive che sono così diverse7.
La distinzione tra sanzioni amministrative e sanzioni penali è un’affermazione senz’altro da condividere. Tuttavia, la Corte costituzionale ha applicato tale principio con risultati non sempre soddisfacenti. Così è a dire della già più volte citata sentenza C. cost. n. 43/2017, chiamata a vagliare la legittimità costituzionale dell’art. 30, co. 4, l. 11.3.1953, n. 87, nella parte in cui non estende anche alle sanzioni amministrative, qualificabili come penali ai sensi della CEDU, la regola secondo cui «[q]uando in applicazione della norma dichiarata incostituzionale è stata pronunciata sentenza irrevocabile di condanna, ne cessano la esecuzione a tutti gli effetti penali». La Consulta, nella citata sentenza, muovendo dall’assunto che alle sanzioni amministrative qualificabili come penali si debbano applicare soltanto le garanzie previste dalla CEDU, come elaborate dalla Corte di Strasburgo, è passata a verificare se nella giurisprudenza della C. eur dir. uomo sia rinvenibile un principio analogo a quello previsto dall’art. 30, co. 4, l. n. 87/1953. La conclusione a cui è giunta la Corte costituzionale è che nella giurisprudenza europea convenzionale non si rinviene, allo stato, alcuna affermazione che esplicitamente o implicitamente abbia fatto riferimento al principio volto a precludere l’esecuzione di una sanzione sostanzialmente penale, anche se inflitta con sentenza irrevocabile, qualora la norma che la prevedeva sia stata dichiarata costituzionalmente illegittima o altrimenti invalida ex tunc.
La Corte costituzionale rileva, infatti, che, quanto alla dimensione temporale del principio di legalità di cui all’art. 7 CEDU, la giurisprudenza europea è intervenuta solo sotto il profilo della successione delle leggi nel tempo, ritenendo che tale garanzia riguardasse esclusivamente il divieto di retroattività delle norme incriminatrici e della sanzione più sfavorevole, nonché il principio della retroattività della legge penale meno severa, senza però mai intaccare il valore del giudicato. Sempre secondo la Consulta, anche nei casi, più recenti8, in cui alla Corte di Strasburgo si è posto il problema dell’applicabilità retroattiva di una norma penale più favorevole quando la condanna era già divenuta definitiva, essa ha affermato che l’eventuale cedevolezza del giudicato rispetto alla lex mitior è consentita in quanto prevista dall’ordinamento interno e non in quanto imposta dall’art. 7 CEDU. Si tratta tuttavia di richiami, questi ultimi, non pertinenti, considerato che tali decisioni – riferendosi alla cedevolezza del giudicato rispetto ad una norma più favorevole e non rispetto ad una norma dichiarata incostituzionale – riguardano fattispecie diverse da quella qui presa in esame. Ad ogni modo, per i suddetti motivi, la Consulta ha ritenuto non violato l’art. 7 CEDU, e quindi il parametro di cui all’art. 117, co. 1, Cost. La conclusione a cui giunge la Corte costituzionale non sembra però persuasiva. Stupisce anzitutto che la Corte fondi la sua pronuncia sull’assenza di precedenti vincolanti della CEDU, considerato che la stessa Consulta, in decisioni precedenti9 e successive10, ha rigettato l’idea secondo cui l’interprete può applicare la CEDU soltanto in relazione a casi che siano già stati oggetto di puntuali pronunce da parte della Corte di Strasburgo, osservando che, al contrario, l’applicazione e l’interpretazione del sistema di norme convenzionali è attribuito in prima battuta ai giudici degli Stati membri, che hanno il dovere di evitare violazioni della CEDU11. La Corte fa riferimento principalmente ai giudici comuni, ma è evidente che tale obbligo riguarda anche i giudici costituzionali, i quali devono anch’essi risolvere il conflitto tra norme interne e norme convenzionali senza attendere una pronuncia espressa della C. eur dir. uomo. Del resto spesso, e anche nella stessa sentenza n. 43/2017, la Corte costituzionale, svolgendo una corretta funzione interpretativa della Convenzione, qualifica le sanzioni amministrative oggetto della controversia come sanzioni penali ai fini convenzionali, anche se manca una espressa pronuncia dei giudici europei sul caso specifico. Non si condivide, poi, l’affermazione da cui muove il ragionamento della Corte, secondo cui il principio previsto dall’art. 30, co. 4, l. n. 87/1953 sia da ritenersi un principio aggiuntivo rispetto al principio di legalità presidiato dall’art. 25, co. 2, Cost. e dell’art. 7 CEDU. A ben vedere, si tratta invece di un principio che fa parte integrante del principio di legalità e non può essere dallo stesso scorporato, a prescindere dal fatto che esso sia espressamente sancito o meno in una norma di legge ed a prescindere dal fatto che ci sia un’espressa pronuncia della C. eur. dir. uomo sul punto. Come sostenuto nei primi commenti alla sentenza in esame dalla dottrina penalistica, la necessità di una base giuridica, legittima e formalmente vigente al momento dell’esecuzione della sanzione che su di essa si fonda, si configura come una delle basilari estrinsecazioni e garanzie del principio nullum crimen sine lege, comune a tutte le sanzioni giuridiche connotate da conseguenze afflittive12. Va evidenziato infine un ulteriore profilo: le sanzioni amministrative sono dei provvedimenti amministrativi e non delle sentenze. Tra le importanti differenze che corrono tra i due atti, vi è anche quella – fondamentale – che per i provvedimenti amministrativi, diversamente da ciò che accade per le sentenze, non si forma il giudicato. Si può parlare di giudicato soltanto nelle ipotesi in cui vi sia una sentenza che respinge il ricorso presentato dall’interessato dinanzi al giudice per l’annullamento del provvedimento sanzionatorio. Quando ciò non accade, siamo di fronte ad un normale provvedimento amministrativo. Ne deriva che l’amministrazione sanzionatrice ben può intervenire in via di autotutela, nei limiti indicati dal legislatore, per annullare d’ufficio un provvedimento sanzionatorio, ancora in corso di esecuzione, che si fonda su di una norma in seguito dichiarata incostituzionale13. Tra l’altro, trattandosi di un provvedimento favorevole per il destinatario, non dovrebbe nemmeno trovare applicazione il limite di diciotto mesi introdotto dall’art. 6, co. 1, della l. 7.8.2015, n. 124. Pertanto, a ben vedere, la problematica in esame, con riguardo alle sanzioni amministrative, non si verifica sempre, così come avviene per le sanzioni penali. Si verifica soltanto nelle ipotesi in cui vi sia stato un ricorso al giudice. È palese la disparità di trattamento che si viene a creare tra chi ha fatto ricorso e chi no; disparità che, non fondandosi su di una effettiva e ragionevole giustificazione, sembrerebbe contrastare con il principio di ragionevolezza presidiato dall’art. 3 Cost.
Altra decisione importante della Corte costituzionale è rappresentata dalla sentenza n. 51 del 10.3.2017, con la quale la Corte ha dichiarato l’illegittimità costituzionale degli artt. 43, co. 1, e 23, co. 3, del d.lgs. n. 28/2011, per violazione dell’art. 76 Cost. In particolare l’art. 43 cit., sin da subito aveva sollevato dubbi di costituzionalità da parte della dottrina14 e aveva portato il Consiglio di Stato ad emanare ben sei ordinanze di remissione alla Corte per sollevare una questione di legittimità costituzionale. La Consulta, con la predetta sentenza, ha dichiarato incostituzionali le norme citate per violazione dell’art. 76 Cost., perché il legislatore non si è attenuto alle puntuali indicazioni fornite dalla legge di delega (art. 2, l. 4.6.2010, n. 96). Ha precisato, in particolare, che le misure interdittive decennali introdotte dal d.lgs. n. 28/2011, oltre a non conformarsi al perimetro delineato dalla legge delega che prevedeva solo sanzioni di tipo pecuniario, risultavano in manifesta contraddizione con i principi di proporzionalità ed adeguatezza richiamati dal legislatore delegante, perché incidenti sull’esercizio della libertà di iniziativa economica privata imprenditoriale per un periodo di tempo particolarmente rilevante, in termini di rigido automatismo e di non graduabilità.
La Corte costituzionale è stata anche chiamata a verificare la correttezza di una norma transitoria relativa ad un caso di depenalizzazione.
Nel caso specifico, con sei ordinanze di analogo tenore, la Cassazione ha sollevato questioni di legittimità costituzionale degli artt. 187 sexies, d.lgs. 24.2.1998, n. 58, e 9, co. 6, l. 18.4.2005, n. 62, nella parte in cui prevedono che la confisca per equivalente si applica anche alle violazioni commesse anteriormente alla data di entrata in vigore della l. n. 62/2005, che le ha depenalizzate. Come subito notato dalla Consulta, con la sentenza 7.4.2017, n. 68, il problema di legittimità costituzionale si pone non per l’art. 187 sexies, d.lgs. n. 58/1998 (che si limita a prevedere la nuova sanzione amministrativa), quanto piuttosto per l’art. 9, co. 6, l. n. 62/2005, che dispone che il nuovo regime sanzionatorio introdotto dall’art. 187 sexies si applica anche alle violazioni commesse anteriormente all’entrata in vigore della l. n. 62/2005, salvo che il relativo procedimento penale non sia già stato definito. La Corte, nella sentenza in esame, pur muovendo da premesse condivisibili15, dichiara l’inammissibilità delle questioni di legittimità sollevate dal rimettente perché le reputa basate su di un erroneo presupposto interpretativo. Ritiene, infatti, che il giudice a quo abbia omesso una importante valutazione, cioè quella di verificare se il nuovo regime punitivo introdotto dal legislatore sia più favorevole o meno per l’interessato, precisando che soltanto se tale giudice dimostra che in concreto il sopraggiunto trattamento sanzionatorio abbia un carattere maggiormente afflittivo può venire in considerazione un dubbio sulla legittimità costituzionale della norma in questione. La Corte osserva che con l’art. 9, co. 6, l. n. 62/2005, il legislatore, come fa di solito in questi casi di depenalizzazione (v. art. 40, l. n. 689/1981), ha governato il fenomeno con una norma transitoria che estende l’applicabilità del nuovo regime sanzionatorio ai fatti pregressi, salvo che il procedimento penale sia stato già definito, muovendosi nella presunzione che la sanzione amministrativa sia in ogni caso più favorevole di quella penale. La Consulta condivisibilmente chiarisce però «che un giudizio di maggior favore non può certamente basarsi solo sulla qualificazione giuridica della sanzione come amministrativa e sull’astratta preferibilità di una risposta punitiva di tale natura rispetto a quella penale. Esso deve, al contrario, fondarsi sull’individuazione in concreto del regime complessivamente più favorevole per la persona, avuto riguardo a tutte le caratteristiche del caso specifico». Valutazione che, secondo il giudice delle leggi, spetta al rimettente fare. Nel caso di specie si tratta tuttavia di una valutazione alquanto difficoltosa e con profili di soggettività, poiché deve tener conto dell’intero regime sanzionatorio, che è attualmente basato sulla sanzione amministrativa pecuniaria da centomila a quindici milioni di euro e sulla confisca diretta o per equivalente, in luogo della pena della reclusione fino a due anni, della multa da venti a seicento milioni di lire e della sola confisca diretta. In fattispecie come questa, dove tra l’altro vi sono nuove sanzioni accessorie aggiunte, particolarmente gravose, come la confisca per equivalente (che è cosa diversa dalla confisca diretta), si condivide l’opinione di chi ritiene che si dovrebbe in ogni caso escludere l’applicazione retroattiva di sanzioni, a prescindere da ogni valutazione, così come ha fatto il legislatore delegato, con l’art. 8 del d.lgs. 15.1.2016, n. 8, che nega l’applicazione retroattiva di sanzioni amministrative accessorie introdotte per la prima volta in sede di depenalizzazione, e alle quali non corrispondono pene accessorie già previste per la medesima violazione16. Con la predetta norma il legislatore, in modo molto convincente, ha altresì stabilito che le nuove sanzioni amministrative si applicano ai fatti anteriormente commessi non ancora definiti con sentenza passata in giudicato con il limite dell’importo massimo della pena originariamente prevista per il reato, tenuto conto del criterio di ragguaglio di cui all’art. 135 c.p. In tal modo non si corre il rischio che il nuovo regime sanzionatorio possa essere più gravoso del precedente vigente all’epoca della commissione del fatto. Si deve infine osservare come la Corte, sempre nella sentenza n. 68/2017, faccia discendere l’obbligo di valutazione tra i due regimi sanzionatori dalla necessaria applicazione della lex mitior, imposta dall’art. 7 CEDU, come interpretato dalla Corte europea. Su tale questione, com’è noto, c’è un atteggiamento di sostanziale chiusura da parte della Consulta che con la sentenza 20.7.2016, n. 193, pur riconoscendo che la Corte di Strasburgo ha affermato l’estensione della retroattività della legge penale più favorevole anche alle sanzioni amministrative17, ha negato che dall’art. 7 CEDU discenda un obbligo convenzionale a trasporre in via generalizzata tale regola nel sistema delle sanzioni amministrative. È da sperare che il richiamo al principio del favor rei nella sentenza in esame possa essere un primo passo verso una maggiore apertura del nostro giudice costituzionale sul punto.
Va segnalato infine che, di recente, la C. eur. dir. uomo ha ridimensionato le sue prese di posizione precedenti con riferimento al principio del ne bis in idem, consapevole del fatto che l’art. 4 del protocollo n. 7 della CEDU che sancisce tale principio non è ancora stato ratificato da quattro Stati (Germania, Paesi Bassi, Turchia e Regno Unito) e che numerosi ordinamenti europei conoscono un sistema di “doppio binario” di procedimenti penali e amministrativi reputato in linea con le rispettive Costituzioni. Così, nella articolata decisione del 15.11.2016, n. 24130, A e B c. Norvegia, la Grande Camera ha affermato che non viola l’art. 4 del Protocollo n. 7 della CEDU l’applicazione, in relazione al medesimo fatto, di sanzioni amministrative e penali in distinti procedimenti, quando fra gli stessi sia ravvisabile una «connessione sufficientemente stretta sul piano sostanziale e temporale» e purché siano assicurate sanzioni nel loro complesso proporzionate e prevedibili. La C. eur. dir. uomo ha in tal modo valorizzato e applicato un criterio – quello della «sufficiently close connection, in substance and in time» – già presente nella sentenza Nilsson18, che però nella giurisprudenza successiva o non è stato menzionato (perché si è ritenuta sufficiente la sussistenza di due procedimenti aventi ad oggetto i medesimi fatti per ravvisare la violazione dell’art. 4 del Protocollo n. 7 della CEDU)19, o, pur essendo menzionato, non ha trovato positivo riscontro (perché è stata affermata l’autonomia sostanziale dei procedimenti e quindi la violazione del ne bis in idem)20. Nella sentenza A e B c. Norvegia, invece, i giudici europei hanno valorizzato il predetto criterio di connessione, precisando che una sufficiently close connection si configura in presenza dei seguenti elementi: a) i due procedimenti perseguono scopi diversi e complementari e riguardano la medesima condotta; b) vi è un loro svolgimento coordinato, attraverso, in particolare, l’utilizzo dei fatti accertati in un procedimento nell’altro procedimento; c) la duplicità dei procedimenti è una conseguenza prevedibile, in diritto e in fatto, della condotta; d) la sanzione irrogata nel primo procedimento è tenuta in considerazione nel secondo, in modo che venga rispettata la proporzionalità complessiva della pena. In presenza di tali indici sintomatici si ritiene che i due procedimenti siano tra loro connessi e debbano essere ricondotti ad un unico procedimento sostanziale, con la conseguenza che non c’è violazione del principio del ne bis in idem. Si tratta di criteri, però, che, come evidenziato nell’articolata dissenting opinion del Giudice Pinto de Albuquerque, sono vaghi ed arbitrari e lasciano ampia discrezionalità all’interprete; né è chiaro se essi abbiano un carattere disgiuntivo o cumulativo, punto quest’ultimo che dovrà essere chiarito dai giudici europei. La C. eur. dir. uomo ha di recente fatto di nuovo applicazione del criterio della «sufficiently close connection, in substance and in time»21. Non ha però fornito indicazioni utili a chiarire la portata dei sopra richiamati indici sintomatici, perché ha fondato il suo giudizio (in questo caso di violazione del ne bis in idem) esclusivamente sul fatto che i due procedimenti hanno avuto uno svolgimento parallelo molto limitato, con il processo penale che si è protratto per cinque anni dopo il procedimento amministrativo22.
Come si è visto, con il d.lgs. n. 52/2017 il nostro ordinamento ha dato attuazione alla Convenzione di Bruxelles del 2000. Si tratta di un’attuazione non solo tardiva, ma anche per certi versi inutile, considerato che la dir. 2014/41/UE sull’ordine europeo di indagine, attuata con il d.lgs. 21.6.2017, n. 108, determinerà l’inefficacia delle disposizioni della Convenzione, almeno per quanto riguarda il profilo penale. La direttiva del 2014 prevede infatti la definizione di un’unica normativa regolante l’acquisizione della prova nel territorio dell’Unione europea e dispone, di conseguenza, il superamento dei previgenti strumenti giuridici, compresa la Convenzione di Bruxelles del 2000. Tale Convenzione rimarrà in vigore per gli Stati membri non vincolati dalla direttiva del 2014 (come l’Irlanda e la Danimarca, che non vi hanno aderito), nonché per i Paesi firmatari della Convenzione di assistenza giudiziaria non appartenenti all’U.E. (come l’Islanda e la Norvegia, che hanno stipulato un accordo sull’applicazione di talune disposizioni della Convenzione del 2000), assumendo così una configurazione a “geografia variabile”23. Va precisato però che la Convenzione del 2000, e il relativo decreto legislativo di attuazione, dovrebbero rimanere in vigore per la parte sugli illeciti amministrativi, che qui interessa. Infatti, l’art. 34 della direttiva del 2014, che in modo inequivoco supera e assorbe le precedenti Convenzioni (tra le quali viene espressamente richiamata anche quella di Bruxelles del 2000), limita il suo ambito di efficacia alle «corrispondenti disposizioni». E poiché l’assistenza giudiziaria nei procedimenti per l’applicazione di sanzioni amministrative non è presa in considerazione dalla direttiva del 2014 (non trova perciò una “corrispondente disposizione”), questa parte non dovrebbe essere superata. Ciò è confermato anche dal fatto che il d.lgs. n. 108/2017, di attuazione della dir. 2014/41/UE, non abroga il d.lgs. n. 52/2017. Quanto alle novità giurisprudenziali, si è detto che la Corte costituzionale ha esaminato casi volti ad estendere alle sanzioni amministrative le garanzie proprie delle sanzioni penali. La Consulta, però, pur muovendo da affermazioni di carattere generale spesso condivisibili (come quella secondo cui le sanzioni amministrative sono autonome dal diritto penale), arriva poi a conclusioni (di infondatezza o di inammissibilità) che di fatto lasciano inalterate (se non peggiorano) le tutele a favore degli illeciti amministrativi. Ciò è dovuto alla discutibile idea di partenza, che si ritrova in numerose sentenze della Corte, secondo cui il principio di legalità penale applicabile alle sanzioni amministrative è limitato sostanzialmente al divieto di irretroattività. Solo entro tali limiti si ritiene infatti estensibile all’illecito amministrativo l’art. 25, co. 2, Cost., e l’art. 7 CEDU. Così, ad esempio, muovendo da questo assunto, la Corte costituzionale, con la sentenza n. 43/2017, ritiene, come visto, che non sia direttamente ricavabile dall’art. 7 CEDU il principio volto a precludere l’esecuzione di una sanzione sostanzialmente penale, inflitta con sentenza irrevocabile, qualora la norma che la prevedeva sia stata dichiarata costituzionalmente illegittima. Tuttavia, dall’art. 7 CEDU (e dall’art. 25, co. 2, Cost.) è possibile ricavare una nozione più ampia del principio di legalità, che ricomprende senz’altro il principio secondo cui qualsiasi provvedimento sanzionatorio, rientrante nella materia penale (e quindi anche le sanzioni amministrative), debba trovare fondamento in una legge, per tale intendendosi una legge costituzionalmente legittima24. Principio che è plausibile ritenere che alla prima occasione utile verrà affermato dai giudici di Strasburgo, anche perché, a differenza della nostra Corte costituzionale, che procede con estrema prudenza nell’allargare le garanzie del diritto penale alle sanzioni amministrative, la C. eur. dir. uomo ha adottato un «approccio dinamico ed evolutivo» nell’interpretazione della Convenzione, per rendere «le garanzie concrete ed effettive, e non teoriche e illusorie» (così, ad esempio, ha esteso il principio della retroattività della legge penale meno severa anche alle sanzioni amministrative)25. Anche la C. eur. dir. uomo, tuttavia, come visto, ha di recente fatto qualche passo indietro con riferimento al principio del ne bis idem, ritenendo non violata tale regola quando fra il procedimento penale e quello amministrativo vi sia una connessione sufficientemente stretta sul piano sostanziale e temporale. Bisognerà ora vedere se l’evoluzione giurisprudenziale della Corte di Strasburgo influenzerà la Corte di giustizia nell’interpretazione dell’art. 50 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea. Sicuramente avrà effetti sulla nostra giurisprudenza nazionale.
1 Cerbo, P., Atti di accertamento della violazione, in Cagnazzo, A.Toschei, S., a cura di, La sanzione amministrativa. Principi generali, Torino, 2012, 415; in argomento v. anche D’Orsogna, M., Gli atti di accertamento della violazione, in Cagnazzo, A.Toschei, S.Tuccari, F.F., a cura di, La sanzione amministrativa, Milano, 2016, 561 ss.
2 C. cost., 23.3.2015, n. 49.
3 C. cost., 7.4.2017, n. 68.
4 C. cost., 11.5.2017, n. 109. Sulla pertinenza alle sole sanzioni penali dell’art. 27 Cost., v., ex multis, C. cost., 28.11.2013, n. 281.
5 C. cost., 4.6.2010, n. 196; C. cost., 18.4.2014, n. 104.
6 In tal senso v. anche C. cost., 19.11.2015, n. 236.
7 C. cost., n. 43/2017.
8 C. eur. dir. uomo, 12.1.2016, Gouarré Patte c. Andorra; C. eur. dir. uomo, 12.7.2016, Ruban c. Ucraina.
9 Ad esempio, C. cost., 24.10.2007, n. 349; C. cost., n. 49/2015.
10 C. cost., n. 68/2017; C. cost., n. 109/2017.
11 C. cost., n. 68/2017.
12 Chibelli, A., L’illegittimità sopravvenuta delle sanzioni “sostanzialmente penali” e la rimozione del giudicato di condanna: la decisione della Corte costituzionale, in www.penalecontemporaneo.it, 3.4.2017; in tal senso anche Viganò, F., Un’altra deludente pronuncia della Corte costituzionale in materia di legalità e sanzioni amministrative ‘punitive’, in www.penalecontemporaneo.it, 10.4.2017.
13 Sulla possibilità di esercitare il potere di autotutela nei confronti delle sanzioni amministrative sia consentito rinviare a Cimini, S., Il potere sanzionatorio delle Amministrazioni pubbliche. Uno studio critico, Napoli, 2017, 144 ss.
14 Si veda, ad esempio, Sandulli, M.A., Sanzioni amministrative e principio di specialità: riflessioni sull’unitarietà della funzione afflittiva, in www.giustamm.it, n. 7/2012.
15 Riconosce infatti la natura penale della confisca per equivalente; l’autonomia dell’illecito amministrativo dal diritto penale; la funzione interpretativa della CEDU del giudice nazionale, anche con riferimento ai casi che non siano già stati oggetto di pronunce da parte della Corte di Strasburgo.
16 Aspetto evidenziato da Viganò, F., Un’altra deludente pronuncia della Corte costituzionale in materia di legalità e sanzioni amministrative ‘punitive’, in www.penalecontemporaneo.it, 10.4.2017.
17 C. eur. dir. uomo, 17.9.2009, Scoppola c. Italia.
18 C. eur. dir. uomo, 13.12.2005, Nilsson c. Svezia.
19 Come nella sentenza C. eur. dir. uomo, 4.3.2014, Grande Stevens e altri c. Italia.
20 Cfr., ad esempio, C. eur. dir. uomo, 27.4.2015, Rinas c. Finlandia.
21 C. eur. dir. uomo, 18.5.2017, Jóhannesson e a. c. Islanda.
22 Come evidenziato da Viganò, F., Una nuova sentenza di Strasburgo su ne bis in idem e reati tributari, in www.penalecontemporaneo.it, 22.5.2017.
23 Camaldo, L., L’attuazione della convenzione di Bruxelles del 2000: l’assistenza giudiziaria in materia penale assume una configurazione a «geografia variabile», in www.penalecontemporaneo.it, 19.7.2017.
24 In tal senso Ubiali, M.C., Illegittimità sopravvenuta della sanzione amministrativa “sostanzialmente penale”: per la Corte costituzionale resta fermo il giudicato, in www.dirittopenalecontemporaneo.it, 21.3.2017.
25 C. eur. dir. uomo, 17.9.2009, Scoppola c. Italia.