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São Tomé e Príncipe è costituito da due piccole isole nel Golfo di Guinea, dal 15° secolo popolate da etnie africane deportate dai portoghesi per lavorare nei campi di zucchero, caffè e cacao – di cui il paese è stato, nel secolo scorso, il più grande esportatore al mondo.
Nonostante i portoghesi abolirono la schiavitù nel 1876, i proprietari terrieri mantennero la manodopera africana in un regime di lavoro forzato sino al 1975, anno in cui São Tomé e Príncipe divenne uno stato autonomo. La lotta per l’indipendenza ebbe inizio negli anni Cinquanta con l’esplosione delle tensioni sociali e delle proteste di massa contro i colonizzatori, spesso represse nel sangue dagli occupanti. In quegli anni si costituì il Movimento de Libertação de São Tomé e Príncipe (Mlstp), con base operativa nel Gabon, paese dell’Africa occidentale più prossimo alle due isole. Il Mlstp portò a compimento la sua lotta nel 1974, quando l’Accordo di Algeri, siglato dal Movimento e dalle autorità portoghesi, sancì la sovranità di São Tomé e Príncipe.
Con la metà degli anni Settanta il paese avviò un percorso di riforme, la prima delle quali attenne alla nazionalizzazione dei campi agricoli. La situazione politica stentò invece a normalizzarsi e i contrasti tra Manuel Pinto da Costa e Miguel Trovoada, eletti rispettivamente presidente e primo ministro dopo il conseguimento dell’indipendenza, sfociarono nel 1978 in un tentato colpo di stato, sventato grazie all’appoggio delle truppe angolane. Trovoada, accusato di aver preso parte alla preparazione del colpo di stato, fu costretto all’esilio in Francia, dalla quale sarebbe rientrato solo nel 1991 per candidarsi e vincere le elezioni presidenziali (l’attuale premier è Patrice Trovoada, figlio di Miguel). Queste furono indette dopo la promulgazione, nel 1990, di una nuova Costituzione, che sanciva la nascita di un sistema multipartitico. La riforma stabiliva, inoltre, che il presidente della repubblica venisse eletto a suffragio universale, con mandato quinquennale.
Nel corso dell’ultimo ventennio il paese ha assistito ad altri tentati colpi di stato (l’ultimo del 2009), alcuni dei quali portati a termine, ma ribaltati in poco tempo, anche grazie alle pressioni politiche dei paesi donatori.
La mancanza di una solida struttura economica e la conseguente dipendenza dalle donazioni della comunità internazionale risultano essere tratti peculiari di São Tomé e Príncipe. L’apice della crisi economica del paese si è registrata alla fine degli anni Novanta, quando il bilancio economico statale era sostenuto per il 60% dagli aiuti internazionali, il debito estero si attestava a 270 milioni di dollari, pari a cinque volte il pil, e nuove tensioni sociali, misero in ginocchio il paese.
Nuovi scenari, però, fanno ben sperare per il futuro di São Tomé e Príncipe. Nel 2000 il paese è infatti entrato a far parte dell’Unione Africana (Au), nel 2007 si è visto cancellare dalla Banca mondiale (Wb) e dal Fondo monetario internazionale (Imf) il 90% del proprio debito estero e dai primi anni 2000 ha scoperto l’esistenza di significative riserve off-shore di idrocarburi, con le quali potrebbe risollevare l’economia nazionale, attualmente trainata principalmente dal turismo. Nel 2004, infatti, São Tomé e Príncipe e la Nigeria hanno avviato una collaborazione finalizzata alla costruzione di piattaforme petrolifere e l’anno successivo hanno siglato accordi con compagnie internazionali per l’esplorazione dei fondali. Nel 2009, inoltre, i due paesi hanno creato una comune forza militare marittima per pattugliare le operazioni petrolifere off-shore.