saponi e detersivi
Sostanze schiumose per togliere il grasso
La presenza di saponi e detersivi nella vita quotidiana è oggi talmente scontata da ritenere che sia sempre stato così. Nel passato si usavano cenere, sali ed estratti di piante, mentre è solo a partire dall’Ottocento che si scoprono metodi industriali per produrre i detergenti, cosicché il lavare e il lavarsi diventano pratiche diffuse per un’igiene miglioreDalla cenere al detersivo
Fare il bucato ha significato per molti secoli aggiungere la cenere (che contiene carbonato di potassio) o il natron (cioè il carbonato di sodio estratto dai laghi vicini al Nilo) all’acqua: queste sostanze sono alcaline (acidi e basi) e hanno la capacità di sciogliere i grassi che formano lo sporco. In aggiunta poteva essere usata la saponaria – pianta molto comune i cui rizomi contengono la saponina, una sostanza tensioattiva e detergente. Tutti questi coadiuvanti dell’azione detergente dell’acqua, però, corrodevano i tessuti.
Fin dall’antichità il sapone è stato preparato mescolando cenere e calce con grassi animali o vegetali, e veniva usato principalmente come cosmetico. Nel Medioevo Marsiglia ne divenne un centro di produzione, da cui il nome del famoso sapone di Marsiglia.
Ma l’innovazione arrivò nella prima metà dell’Ottocento, quando il chimico francese Michel-Eugène Chevreul capì che il sapone è un sale risultante dall’azione di un alcali (cioè di una base) su un acido grasso naturale. Iniziò quindi la produzione industriale e fino alla Prima guerra mondiale il sapone continuò a essere prodotto per saponificazione del sego o degli oli vegetali con un alcali (di solito con la soda).
In quel periodo vennero realizzati anche i primi detergenti sintetici, la cui necessità era dettata da motivi puramente economici: i chimici tedeschi, spinti dal timore di una carenza di sostanze grasse, fino allora importate dall’Oriente, furono indotti a rivolgersi verso i derivati del petrolio e nel 1917 venne depositato il brevetto riguardante il primo tensioattivo interamente di sintesi. I detersivi, nati come supporto dell’industria tessile, erano pertanto inizialmente surrogati del sapone, ma dopo la Seconda guerra mondiale – sia per l’abbattimento dei costi delle materie prime di origine petrolchimica sia per la diffusione delle lavatrici – si sostituirono rapidamente ai saponi tradizionali, che vennero relegati solo all’igiene personale.
Immaginiamo che l’unto, sporco insolubile in acqua, aderisca ai tessuti in modo tale da impedire che la sola acqua lo trascini via. È necessario allora intervenire con un’altra sostanza, il sapone, che tende a far abbassare le forze di attrazione tra le fibre e lo sporco (sostanze che hanno questa proprietà sono chiamate tensioattivi), che più facilmente viene disperso nell’acqua.
Il sapone – soprattutto se alcalino – con il tempo altera i tessuti. Inoltre, se viene a contatto con sali di calcio o magnesio, ioni comunemente presenti in discreta concentrazione nelle acque, li fa depositare sulle fibre dei tessuti ‘indurendoli’. Per questo motivo i detergenti sintetici sono più soddisfacenti. Un detersivo commerciale è una miscela che comprende varie sostanze tra cui i tensioattivi – i soli che hanno la proprietà detergente –, sostanze ossidanti come il perborato di sodio – con azione sbiancante – e altre che danno l’effetto ottico del bianco. Gli zeoliti, additivi che ‘sequestrano’ il calcio presente nell’acqua, hanno sostituito i polifosfati, ritenuti tra i responsabili dell’eutrofizzazione delle acque, quella che provoca un’abnorme proliferazione di certi tipi di alghe rompendo gli equilibri di un ecosistema. L’uso dei detergenti è disciplinato da apposite disposizioni europee al fine di proteggere l’ambiente e l’uomo poiché l’uso eccessivo di detersivo può scatenare anche allergie o malattie da contatto.
Il grande statista indiano Mohandas Gandhi ha ha affermato che «la vita sulla Terra è solo una bolla di sapone». Tuttavia le bolle di sapone, simbolo dell’effimero o della fragilità, rappresentano, insieme alla lamine di sapone, modelli studiati in matematica, fisica, biologia. Si tratta di ‘superfici minime’, cioè che hanno la minore estensione racchiudendo il maggior volume possibile. Modelli di superfici minime si trovano in architettura, nelle coperture a tenda, nelle tensostrutture (la prima delle quali è stata lo stadio olimpico di Monaco, del 1972) e nei programmi di grafica per i computer, che stanno diventando un’originale forma d’arte.