SAPRI (A. T., 27-28-29)
Paese della provincia di Salerno, da cui dista 164 km., situato nel Golfo di Policastro. Ha case di bell'aspetto e vie dritte, ma strette; il territorio, in parte di alluvioni recenti ma in gran parte di scisti argillosi eocenici e calcari del Cretacico, si stende per 13,99 kmq. in amene colline coltivate a viti, olivi, agrumi, alberi da frutta, ortaggi. La popolazione, dedita all'agricoltura e alla pesca, conta 4469 ab. (1931; 2920 nel 1881, 3490 nel 1911, 3950 nel 1921), il 3% dei quali vive in case sparse e il resto nel centro capoluogo (3928 ab.) e nella piccola frazione dí Timpone (410 ab.). Sapri ha la stazione ferroviaria sulla linea Reggio di Calabria-Napoli.
La spedizione di sapri. - Uno degli episodî più fulgidi del Risorgimento italiano, fu insieme l'ultimo dei grandi tentativi mazziniani per risolvere la questione dell'unità italiana indipendentemente dalla politica monarchica del Cavour, ed il primo movimento collettivo che additò concretamente a Garibaldi la maniera di operare nell'Italia meridionale per farvi scoppiare la rivoluzione. Coloro che la vollero e prepararono furono relativamente pochi, il Mazzini, Nicola Fabrizi, Giuseppe Fanelli, Carlo Pisacane, Giovanni Nicotera; quelli che vi morirono qualche decina: eppure, malgrado la scarsità numerica degli aderenti e dei partecipanti, il fallito tentativo di Sapri ebbe notevoli effetti sullo svolgersi dei posteriori avvenimenti politici italiani, giacché esso allontanò per sempre il pericolo dell'instaurazione di un regno murattiano nell'Italia meridionale e aprì la strada alla più fortunata spedizione dei Mille.
Verso la metà di aprile del 1855 fu arrestato a Napoli il patriota Nicola Mignogna, capo di un comitato rivoluzionario delle Due Sicilie, e già in relazione con N. Fabrizi esule a Malta e col Mazzini a Londra. Espulso più tardi dal regno dopo lungo processo, il Mignogna si rifugiò a Genova, ove già viveva da qualche anno Carlo Pisacane, ex-capo di Stato maggiore della Repubblica romana del 1849, che era stato già aspramente dissenziente dal Mazzini, ma allora era piuttosto incline alla nuova politica di lui, che in quel tempo fomentava l'opposizione alla politica d'intesa franco-piemontese, e già nettamente si manifestava contrario sia al programma del cosiddetto "partito d'azione", sia alle mene murattiane di molti esuli siciliani e napoletani. Il Mignogna, scampato al pericolo, mise il Pisacane in relazione con un giovane pugliese, anch'egli ex-combattente della Repubblica romana, Giuseppe Fanelli, che intanto aveva preso il posto del Mignogna nella direzione del comitato rivoluzionario di Napoli. Si formarono così degli stretti rapporti, mediante segretissima corrispondenza epistolare, tra i centri di Napoli, di Malta e di Genova: gli esponenti maggiori erano appunto rispettivamente il Fanelli, il Fabrizi e il Pisacane. Questi, che già qualche tempo prima avrebbe dovuto partecipare ad una spedizione per liberare L. Settembrini, S. Spaventa e altri detenuti politici dall'ergastolo di S. Stefano, si convinse sempre più che il regno di Napoli, per il lungo malgoverno borbonico al quale era soggetto, era il paese più adatto allo scoppio di un tentativo insurrezionale che dovesse poi dilagare per tutta Italia: dal Fanelli ebbe le più larghe assicurazioni in tal senso. Dopo lunghe discussioni, che durarono, attraverso una corrispondenza difficilissima, quasi tutto l'anno 1856, si giunse a decidere prima, a ottenere poi, l'intervento e l'appoggio del Mazzini. Questi, benché dapprima riluttante, si fece convincere dagli avvenimenti più che dalle parole. Infatti lo scoppio della polveriera del Molo a Napoli, l'affondamento della fregata Carlo III, che si disse doloso, avvenuto pure nel golfo partenopeo, poi l'insurrezione siciliana di F. Bentivegna e di S. Spinuzza, infine l'attentato al re, l'8 dicembre 1856, da parte del soldato calabrese Agesilao Milano erano tutti - o almeno furono interpretati come tali - segni inequivocabili della maturità rivoluzionaria del popolo delle Due Sicilie. E l'insurrezione fu decisa.
Il Pisacane avrebbe preferito che la rivolta fosse iniziata nella capitale. Per converso il Fanelli, che assicurava di aver rapporti segreti con i liberali delle provincie, numerosissimi, preferì un altro progetto, pure ideato dal Pisacane, ma posposto al primo: quello di sbarcare a Ponza, liberare i reclusi che si trovavano colà e poi condurre tutti costoro su un punto convenuto del litorale salernitano, dove il Fanelli avrebbe fatto convenire altri patrioti disposti all'insurrezione; operato il primo congiungimento, avrebbero marciato per le campagne del Cilento verso la Basilicata, ove gl'insorti si sarebbero riuniti con altre masse di quei comuni già preparati alla rivoluzione. Questa imponente schiera di ribelli, ingrossata man mano lungo il percorso, avrebbe dovuto puntare su Napoli dove il Fanelli stesso e altri suoi amici s'impegnavano di far scoppiare contemporaneamente la rivolta. L'idea era dunque quella di rinnovellare, ma questa volta ai fini della causa antiborbonica, il metodo del tentativo sanfedista compiuto con tanto successo dal Ruffo nel 1799: ma fu una grande e generosa illusione. Il Pisacane, benché incerto del risultato, si accinse all'opera con il suo consueto fervore, il Mazzini venne da Londra a Genova segretamente, e ordì le fila di un'altra rivolta che, coordinata a quella di Napoli, avrebbe dovuto scoppiare a Genova e a Livorno.
In poche settimane tutto fu pronto. Dopo un incidente che costrinse a differire la partenza per qualche settimana, e dopo un viaggio clandestino del Pisacane a Napoli, nel quale egli si assicurò che tutto era pronto laggiù, il 25 giugno 1857 Carlo Pisacane e un gruppo di suoi compagni s'imbarcarono come passeggeri sul piroscafo postale della compagnia Rubattino, il Cagliari, e in alto mare indussero il capitano a non fare rotta per la Sardegna, come avrebbe dovuto, ma a lasciare la nave nelle loro mani. Erano con il Pisacane Giovanni Nicotera e G. B. Falcone, che furono con lui i protagonisti della spedizione: Rosolino Pilo, che era tra i congiurati, e avrebbe dovuto imbarcarsi in alto mare, attese invano su una barca i suoi compagni. La mancanza del Pilo privò i congiurati anche di parecchie casse di armi che egli avrebbe dovuto caricare in alto mare sul piroscafo. Quantunque male armati, quando il Cagliari la sera del 27 giugno giunse nelle acque di Ponza, l'impresa fu tentata dai rivoluzionarî e riuscì felicemente. Il gruppo discese a terra, aggredì il corpo di guardia, mise in fuga i pochi difensori (un tenente borbonico, Giuseppe Balsamo, perì in quel primo scontro), occupò i punti strategici dell'isola, unì a sé la maggior parte dei relegati, cui non pareva vera una così immediata e inopinata liberazione. Dopo manifestazioni di gioia e insieme di rivolta, i 323 reclusi furono ordinati in tre compagnie, ognuna della quali era suddivisa in dieci squadre: il Pisacane fu generale del minuscolo esercito. La massa tumultuante fu imbarcata sul Cagliari, che, messo nuovamente in moto, giunse la sera del giorno seguente in vista della spiaggia di Sapri e sbarcò nottetempo il suo carico umano.
Gli sbarcati, cui era stato descritto tutto il paese in rivoluzione (il Pisacane s'aspettava di trovare colà gli emissarî del Fanelli), trovarono invece la calma più perfetta. Tuttavia il gruppo marciò a tappe forzate verso l'ipotetico congiungimento degl'insorti. Il 29 giunsero a Torraca, dove il Pisacane lanciò un proclama a quelle popolazioni indifferenti. Poi passarono alla contrada Fortino, indi a Casalnuovo. Il gruppo, dapprima compatto, incominciò a disperdersi; l'indifferenza dei campagnoli si mutò ben presto in ostilità. Verso la mezzanotte del 30 i ribelli giunsero a Padula: anche qui le speranze di trovare aiuti rimasero deluse. La mattina dopo avvenne il primo scontro con le truppe borboniche messe alla caccia dei rivoltosi: sulla collina detta Morge del Piesco, all'intimazione di resa, gli insorti risposero col grido di "viva l'Italia". sopraffatti, dispersi, ridotti a un gruppo di poche decine, il Pisacane ed i suoi eroici compagni cercarono di scampare verso Buonabitacolo e Sanza. Ma qui, la mattina del 2 luglio, in un nuovo scontro con la soverchiante forza borbonica e con masse di contadini sobillati dai preti, avvenne la strage. ventisette ribelli furono uccisi nel vallo di Diano: tra essi il Pisacane e il Falcone. I superstiti, sfiniti, spossati dalla marcia e dalle ferite, furono incatenati e condotti prigioni a Salerno.
Il Fanelli, che si dimostrò senza dubbio leggiero e incapace al compito che si era volontariamente assunto (anche se molte attenuanti ha il suo operato), si diede alla latitanza, poi poté fuggire dal regno e non fu coinvolto nel grave processo che seguì questi fatti. Il Nicotera, invece, arrestato nel vallo di Diano, fu condannato a morte, poi graziato e condannato all'ergastolo, donde fu liberato da Garibaldi vittorioso in Sicilia. La sua condotta, durante il processo, fu assai discussa in seguito, ed ha ancora oggi dei punti oscuri. Gli altri furono condannati a pene minori e si comportarono con dignità.
La morte sul campo di alcuni, le condanne gravose di altri di quei giovani avventurosi spezzarono per sempre ogni vincolo di simpatia tra l'Europa civile e la dinastia dei Borboni di Napoli: questo fu forse il maggiore apporto morale che la spedizione di Sapri fornì alla causa del Risorgimento italiano. Lo stesso Pisacane era convinto di questa indistruttibile verità e, nel suo Testamento politico, che commosse i liberali di ogni terra e fu il credo delle posteriori generazioni socialiste, profeticamente l'aveva enunciata: ".... e se mai nessun bene frutterà all'Italia il nostro sacrificio, sarà sempre una gloria trovar gente che volenterosa s'immola al suo avvenire".
Bibl.: Fondamentale, per la ricostruzione degli avvenimenti, è l'Atto di accusa proposta dal procuratore generale del re presso la Gran corte criminale di Principato Citeriore, ecc., Salerno 1858. Una buona storia della spedizione, e, quantunque invecchiata, la migliore, è quella di P. E. Bilotti, Carlo Pisacane e la spedizione di Sapri, Salerno 1907. Utilissimo: N. Rosselli, Carlo Pisacane nel Risorgimento italiano, Torino 1932. Cfr. anche G. Falco, Note e ricerche su Carlo Pisacane, in Rivista storica italiana, Torino, luglio 1927; G. Daneri, La spedizione di Sapri, a cura di D. Róndini, Torino 1911. Molto utile, per la storia della preparazione del tentativo, il libro di L. De Monte, Cronaca del Comitato segreto di Napoli, ecc., Napoli 1877.