COPIO (Coppio, Copia, Coppia), Sara (Sarra)
Nacque a Venezia tra il 1588 e il 1590 (veramente l'atto di morte sposterebbe la data, di nascita all'anno 1600 circa: ma la frettolosa annotazione del funzionario dei provveditori alla Sanità non sembra meritevole di credito) da Simone e Rebecca (o Ricca).
La famiglia, ricordata come una delle più ricche e ragguardevolì della comunità israelitica di Venezia, dedita al commercio, proveniva forse da Mantova; certo con gli ebrei di quella città mantenne relazioni. Il celebre letterato e rabbino Leone Modena, che fu protetto, amico e fiduciario dei Copio, e che già aveva dedicato un suo volume di preffiche, Midbar Yehūdāh (Deserto di Giuda), stampato a Venezia nel 1602, a Mosè Copio, ricordandone in quella circostanza anche il fratello Simone, racconta nell'autobiografia di aver accompagnato a Mantova nel maggio del 1623 Stella (o Diana), unica sorella della C., che ivi sposò un Masserano; anche la famiglia dei marito della C., Giacobbe Sullam, che sposò forse intorno al 1613. pare si fosse trasferita a Venezia da Mantova nel secolo XVI.
Il Modena, che le dedicò la tragedia Ester (Venezia 1619), dovette avere parte non piccola nell'istruzione della bionda e bellissima C., rammentata come une delle donne più colte del suo tempo, capace di comporre musica e versi, profonda conoscitrice dell'Antico Testamento, di storia, tradizioni e religione ebraiche, insieme con le quali studiò filosofia, teologia, astrologia e letterature classiche, mentre appare aver conosciuto in lingua originale almeno testi latini, ebraici e spagnoli.
Quasi nulla ci rimane dei suoi scritti, benché essa abbia esplicitamente manifestato ambizioni letterarie, sostenendo di aver atteso a lavori tali da poter dar lustro al suo nome, reso invece famoso da alcune polemiche: sicché il merito maggiore che le si può riconoscere è quello di aver saputo raccogliere intorno a sé un interessantissimo salotto, aprendo in casa, con la protezione del padre prima e del maritopoi, un'accademia accessibile non solo agli ebrei, ma anche ai gentili; si ricordano i nomi del Modena, di Giovanni Basadonna. Baldassarre Bonifacio, Numidio Paluzzi, Alessandro Berardelli, Gianfrancesco Corniani.
In questo clima di dotte conversazioni ebbe a leggere il poema eroico di Ansaldo Cebà La Reina Ester (Genova 1615, poi Milano 1616), destinato a divenire il suo livre de chevet. Ne fu tanto presa da indursi a scrivere all'autore, onde nacque un carteggio durato quattro anni e incentrato dal Cebà in un tentativo di conversione della C. al cristianesimo, cui fa riscontro un fermo, cosciente, convinto diniego dell'ebrea: si tratta di un vero e proprio dibattito sulle due religioni, del quale purtroppo manca tutta la parte delle lettere della C., che il genovese non ritenne di stampare, probabilmente per prudenza, specialmente dopo le accuse di ateismo mosse alla C. in Venezia (ma alle quali il Cebà mostra di non dar peso).
Arduo ricostruire la personalità della C. attraverso le lettere indirizzate dal Cebà: un dato immediatamente emergente è la cagionevolezza di salute, mentre l'effetto d'insieme è quello della femme savante, capace di poetare, cantare, suonare, ma pure di ricamare e di avere per l'ammalatissimo corrispondente gentili sollecitudini; e si indovina anche una vivida intelligenza, incline alla speculazione filosofica e teologica, fiera della propria appartenenza alla religione e alla comunità ebraica, di cui sottolinea la situazione di ingiusta discriminazione. Altrove è possibile intuire una certa civetteria, il compiacimento per l'amicizia importante, il desiderio di divenire la donna cantata dal Poeta non sprovvisti di vigile e sorvegliata arguzia. Così quando la C. ricevette il tanto richiesto ritratto del Cebà e volle inviargli il proprio (che fece eseguire dal Berardelli e che il Cebà fece copiare da Bernardo Castello), poiché il genovese le aveva ingiunto di rinunziare a tale progetto, si fece raffigurare in catene e inviò il dipinto con un sonetto dove dichiarava dì presentarsi in tal foggia perché rea di aver trasgredito al volere dei suo corrispondente.
L'iniziativa del Cebà dovè ottenere una certa eco, specie nell'ambiente veneziano, e furono evidentemente diversi a tentare di indurla alla conversione; tra questi il Bonifacio (poi vescovo di Capodistria), il quale pubblicò un volumetto Dell'immortalità dell'anima (Venezia 1621) indirizzato alla C., della cui accademia egli era uno dei più illustri frequentatori, accusandola di negare l'immortalità dell'anima e confutandone tale preteso errore. Ella rispose immediatamente con il Manifesto di Sarra Copia Silam Hebrea. Nel quale è da lei riprovata, e detestata l'opinione negante l'immortalità dell'Anima, falsamente attribuitale dal Sig. Baldassare Bonifaccio (Venezia 1621), dedicato al padre da poco morto, respingendo l'accusa, particolarmente pericolosa per le possibili conseguenze: non a caso sin dall'inizio il libello sottolinea essere impensabile, "massime in Vinegia" (c. 3r), la professione di tali blasfeme idee.
Il Bonifació stampò allora una Risposta al Manifesto (Venezia 1621) in appendice alla quale è pubblicata una lettera della C. del 10 genn. 1619, spiegando che a quella egli intendeva rispondere con il suo trattato, e sostenendo essere di Leone Modena (e non del Paluzzi, come è spesso erroneamente detto sulla fede di un'informazione di terza mano del Mandosio) sia la lettera sia il Manifesto:cosa non difficile a credersi, specie per la lettera, dove con efficace argomentazione è proposta una serie di osservazioni teologiche e filosofiche, dietro le quali non sta la credenza o meno nell'immortalità dell'anima, bensì la polemica sulla religione: lo stesso argomento dunque dell'epistolario con il Cebà, come appunto è detto nel Manifesto.
La C. fu successivamente protagonista e vittima di un singolare raggiro, vivacemente descritto in un Avviso di Parnaso che giace inedito nel codice Cicogna 206 (= 270) della Biblioteca del Civico Museo Correr di Venezia.
La giovane donna aveva assunto quale precettore un letterato romano, il Paluzzi, amico dei Berardelli; secondo alcune testimonianze anzi il Paluzzi avrebbe fornito non piccolo aiuto alla C. nello stendere le sue lettere al Cebà e i suoi sonetti. Benché generosamente ricompensato, il Paluzzi non esitò a raggirare e derubare la C. con la complicità del Berardelli e di altri, facendole credere alla presenza in casa sua di spiriti, ai quali vennero attribuiti tutti i furti della combriccola. Inoltre il Paluzzi le fece pervenire una falsa lettera galante di un francese che era stato a Venezia e del quale ella sarebbe stata innamorata, e, facendole credere che uno spirito stabiliva rapidissimi collegamenti con Parigi, riuscì a truffarla sistematicamente. La macchinazione fu presto sulla bocca di tutti, così che la C. stessa ne fu informata e provvide a denunciare i fatti ai signori di notte al Criminale, che pare imprigionassero il Berardelli, mentre ella licenziava il Paluzzi il 9 luglio 1624. I due misero allora in giro una satira, la Sarreide, oggi irreperibile. Morto poi il Paluzzi (29 luglio 1625), il Berardelli stampò sei fogli di Rime del Signor Numidio Paluzzi all'illustrissimo et eccellentissimo Signor Giovanni Soranzo (Venezia 1626) dove incluse i sonetti della C. al Cebà, sostenendo nella dedica che il Paluzzi era l'autore degli scritti della C. e che ella, dopo averlo avvicinato fingendosi impietosita per il suo stato miserando, gli aveva sottratto sul letto di morte tutti i lavori letterari per pubblicarli col proprio nome.
Dopo questa squallida vicenda quasi più nulla è noto della C., morta a Venezia il 15 febbr. 1641, come documenta il Necrologio Ebrei dei provveditori alla Sanità dove è registrato: "adì 15 febbraio 1640 [la data è espressa more veneto]è morta Sara moglie di Giacob Sulam d'anni 40 in circa da febre continua mesi 3. G. V. [Ghetto Vecchio]".
L'epigrafe, dettata da Leone Modena, è stata pubblicata dal Berliner insieme con altre, pure del rabbino, relative alla famiglia Copio: una tra esse ci informa che la C. aveva perduto nel 1615 una figlia, Rebecca, di soli 10 mesi; nel 1618 ebbe invece un parto abortivo, come si legge nella prima lettera del Cebà; non risulta abbia avuto altri figli.
Fonti e Bibl.: Venezia, Bibl. dei Civico Museo Correr, Cod. Cicogna 206 (= 270): G. Soliga (o Solinga), Avviso di Parnaso... (vedi catal. ms. di E. A. Cicogna, I [1841], ff. 84v-85r), A. Cebà, Lettere scritte a S. C., Genova 1623; L. Modena, L'Ester. Tragedia tratta dalla Sacra Scrittura, Venezia 1619, pp. 3-7 (dedica, conclusa da un sonetto); lettera di A. Aprosio, in P. Mandosio, Bibliotheca Romana seu Roman. Scriptorum Centuriae, II, Romae 1692, pp. 112-115; l'atto di morte (Arch. di Stato di Venezia, Provveditori alla Sanità, Necrologio Ebrei) è riprodotto in fotografia da C. Boccato, Lettere di Ansaldo Cebà, genovese, a S. C. Sullam, Poetessa del Ghetto di, Venezia, in Rass. mensile di Israel, s. 3, XI, (1974), pp. 169-191; le epigrafi relative alla famiglia Copio sono state ed. con breve comm. da A. Berliner, Hebräische Grabschriften inItalien, I, 200Inschriften aus Venedig, M. u. 17. Jahrhundert, Frankfurt am M. 1881, pp. 78-81 (nn. 156-159); scorretta l'edizione di L. Modona, S. C. Sullam, Sonetti editi e ined. raccolti e pubbl. insieme ad alquanti cenni biografici (nozze Tedesco-Treves), Bologna 1887; il Manifesto chiude la raccolta delle Lettere di donne ital. del secolo decimosesto, raccolte e pubblicate da B. Gamba, Venezia 1832, pp. 251-265. Vasta ma deludente la letteratura sulla C., generalmente poco o male informata, tendenziosa o polemicamente apologetica, spesso romanticheggiante; una bibliografia di 19 numeri (cui si aggiunge l'indicazione di p. 20, n. 30) è fornita da E. A. Cicogna, Notizie intorno a S. C. Sulam coltissima ebrea veneziana del sec. XVII, in Memorie dell'I. R. Ist. veneto di scienze, lettere ed arti, XII (1865), pp. 1-20; altri sette elementi indica A. Milano, Bibliotheca Historica Italo-iudaica, Firenze 1957; vanno inoltre ricordati: E. David, S. C. Sullam, Une héroïne juive au XVIIe siècle. Etude historique et biographique, in Les Archives israélites, XXXVII (1876), pp. 377-381, 407-411, 440-443, 471-474, 502-505, 536-540, 567-571, 599-603, 663-666, 694-697, 759-762; XXXVIII (1877), pp. 54-58; M. Soave, S. C. Sullam, in Il Corriere israelitico (Trieste), XV (1876-77), pp. 196-198, 220-223, 245-248, 272-275; XVI (1877-78), pp. 5-7, 28-31; M. Kayserling, Die Jüdischen Frauen in der Geschichte, Literatur und Kunst, Leipzig 1879, pp. 159-170; M. A. Levy, S. C. Sullam, in Jahrbuch für die Gesch. der Juden und des Judenthums, III (1883), pp. 65 ss.; H. Graetz, History of the Jews, V, London 1892, pp. 73-75; N. R. Remy [R. Lazarus], Das Jüdische Weib, Leipzig 1892, pp. 170-184; G. Karpeles, Jewis Literature and other Lssays, Philadelphia 1895, pp. 124-128; A. Z. Idelsolm, Jewihs Music in its historical Developement, New York 1929, pp. 198, 406; B. Croce, Nuovi saggi sulla letter. ital. del Seicento, Bari 1931, p. 165; E. Zanette, Su Ansaldo Cebà, in Convivium, IV (1932), pp. 119-123; C. Roth, Gli Ebrei in Venezia, Roma 1933, pp. 272-275; E. Sarot, Ansaldo Cebà and S. C. Sullam, in Italica, XXXI (1954), pp. 138-150 (ree. di F. Croce, in La Rassegna della lett. ital., s. 7, LIX [1955], pp. 148-149); J. B. Sermoneta, in Encyclopedia Judaica, XV, Jerusalem 1973, p. 506, s. v. Sullam, S. C.; C. Boccato, Un episodio della vita di S. C. Sullam: il "Manifesto sull'immortalità dell'anima", in Rass. mensile di Israel, s. 3, XXXIX (1973), pp. 633-646; Id., Un altro docum. ined. su S. C. Sullam: il "Codice di Giulia Soliga", ibid., XL (1974), pp. 303-316; C. Reale Simioli, Tracce di letteratura ligure (1617-1650) nelle carte napoletane dell'Archivio Doria d'Angri, in Accademie e biblioteche d'Italia, XLIX (1981), pp. 324 ss. e app.