SARCOFAGO (σορός, σαρκοϕαγός, sarcophăgus)
Custodia fabbricata in materia qualsiasi (legno, terracotta, pietra, marmo, piombo o altro metallo), per contenere un cadavere. Riguardo all'etimo della parola, Plinio (Nat. Hist., XXXVI, 131) si fa eco di una leggenda per la quale ad Asso, nella Troade, i sarcofagi ricavati da una certa pietra locale avevano la virtù di consumare in breve, quasi di divorare il cadavere (σάρξ "carne" e radice ϕαγ "mangiare"). L'uso del sarcofago, in intimo rapporto col culto dei morti e col rito dell'inumazione, ha inizio in età preistorica.
Oriente e Grecia. - I più antichi sarcofagi, di pietra, provenienti dall'Egitto, appartengono alle prime dinastie. Le due parti onde consta il sarcofago - cassone e coperchio - compongono insieme un prisma rettangolare regolare. Il coperchio s'inserisce sugli orli del cassone in apposito incastro, rinforzato con cemento. Le facce del cassone sono lisce o intagliate a motivi architettonici geometrici, riproducenti la fronte della casa egiziana. Il sarcofago è quindi chiaramente concepito come la "casa" del morto. Successivamente i sarcofagi egiziani si adornano anche all'interno di geroglifici e scene figurate relative alle credenze dell'oltretomba e prendono poi spesso la forma antropoide (v. oltre).
A Creta, in età minoica tarda, si trovano in uso sarcofagi di pietra e di terracotta. Le dimensioni piuttosto piccole di codesti sarcofagi (λάρνακες) non si giustificano che con la posizione rannicchiata data ai cadaveri. I cassoni cretesi di terracotta, dipinti all'esterno a motivi naturalistici, sono di forma prismatica semplice. Dovevano però essere comuni anche i sarcofagi di legno. La struttura di un cassone ligneo, a forma di arca, eretta su piedi angolari, è accusata dal celebre sarcofago di pietra, riccamente dipinto sulle quattro facce, proveniente dagli scavi italiani di Hágia Triáda.
Già nel mondo minoico-miceneo (specialmente nelle isole egee) è frequente il caso di deposizioni funebri in pithoi (giare), grossi recipienti di terracotta, destinati in origine a tutt'altro uso. Il pithos, fittile, di forma ovale, sembra costituire un ripiego di circostanza, per ovviare alla difficoltà di procurarsi un vero e proprio sarcofago. È frequente nello stesso mondo cretese, e quindi nel mondo greco in generale, l'uso di vasche fittili da bagno per salme di fanciulli.
Sarcofagi di legno risultano essere stati in uso anche su suolo attico, secondo si ricava da monumenti figurati arcaici. Una categoria a parte formano per l'età arcaica (sec. VI) i sarcofagi fittili provenienti da Clazomene sul golfo di Smirne. Questi sarcofagi hanno il cassone di forma trapezoidale, con orlo piuttosto ampio, rilevato da una decorazione pittorica assai ricca, a motivi figurati e geometrici. La tecnica pittorica, come il repertorio figurativo, è assai affine a quella dei vasi dipinti. Di età alquanto più avanzata (sec. V) sono i due sarcofagi scolpiti, provenienti da Cipro (da Amatunte, e da Golgoi), conservati nel Metropolitan Museum di New York: entrambi riccamente istoriati all'intorno, con processioni sacre e figure di divinità, scene di caccia e di banchetto; entrambi concepiti sul modello delle arche di legno, con pilastri angolari prolungati in basso a formare i piedi del cassone, e coperchio a doppio piovente, decorato da sfingi e leoni in altorilievo.
Intorno al medesimo tempo si diffonde in paese fenicio, sulle coste della Siria, dall'Egitto saitico, il tipo del sarcofago antropoide: una custodia di forma trapezoidale, sommariamente imitante nella struttura del coperchio la forma di un corpo umano disteso, di cui l'artista rifinisce soltanto la maschera. Nel celebre sepolcreto di Sidone, scoperto nel 1887, si trovarono quattro di codesti sarcofagi. Dalla Siria l'uso del sarcofago antropoide si diffonde in paesi di colonizzazione fenicia, come a Cartagine, dove si sono rinvenuti alcuni sarcofagi del genere, di finissima esecuzione, scolpiti e dipinti, che servirono per deposizione di sacerdoti e sacerdotesse.
Spetta alla Grecia il merito di avere creato quel tipo di sarcofago di marmo scolpito, il quale terrà poi il campo per tutta l'età classica, assurgendo fin dalle origini a vero e proprio genere d'arte. La struttura del sarcofago greco, e quindi romano è quella prismatica regolare. Approfittando della qualità della materia, il marmo, lo scultore greco occupa le varie facce del cassone con scene figurate della medesima altezza delle facce. Uno dei primi esempî del genere è il sarcofago detto "delle Amazzoni", a Vienna (Kunsthistorisches Museum), di sicura arte attica (da Cipro?), databile intorno alla metà del sec. IV.
Precedono di qualche decennio, o seguono, in ordine di tempo e d'importanza, i sarcofagi istoriati del citato sepolcreto di Sidone: quello detto "del Satrapo", quello "licio", dall'altissimo coperchio testudinato, il sarcofago "delle Lamentatrici", il sarcofago impropriamente detto "di Alessandro": tutti, ad eccezione di quello "delle Lamentatrici", illustrati con scene di caccia al leone e ad altre fiere. Specialmente famoso il sarcofago "di Alessandro", con magnifici altorilievi conservanti tuttora l'antica policromia (v. cavalleria e cavalieri, IX, tav. a colori a p. 528 e coperchio testudinato, ricco di sculture ornamentali, che è uno dei più fastosi e perfetti del genere. Per il medesimo secolo è degna di nota la necropoli greca di Panticapeo (Kerč) in Crimea, dove si rinvennero avanzi di sarcofagi lignei scolpiti. Il sarcofago greco ha generalmente coperchio a doppio piovente: esso intende pertanto riprodurre la casa.
Italia. - Per il territorio italico conviene anzitutto ricordare il costume invalso presso popolazioni preistoriche dell'Italia centrale (Lazio, Agro Falisco). di utilizzare, come custodie di inumati, dei semplici tronchi d'albero opportunamente scavati (esempî nel museo di Villa Giulia a Roma). Presso gli Etruschi il sarcofago ligneo dovette essere abbastanza comune. Ma di oggetti di legno nessuna notevole traccia si è rinvenuta in mezzo alla varia suppellettile delle necropoli etrusche. Anche per l'Etruria, quindi, non si possono ricordare che sarcofagi di pietra e di terracotta. Sarcofagi di pietra lisci si trovano sparsi dovunque. Per i sarcofagi artistici i centrì di provenienza più importanti sono Cere, Tarquinia, Vulci, Orvieto, Chiusi.
I sarcofagi fittili ceretani arcaici (secolo VI a. C.), rappresentati al Museo di Villa Giulia e al Louvre, esibiscono la forma di una κλίνη o letto tricliniare, con una coppia di coniugi recumbenti sul coperchio, come in atto di banchettare (v. etruschi, XIV, tav. LXXXIV). Ma la forma corrente è quella a cassone. Tarquiniese è il magnifico sarcofago a cassone, detto "delle amazzoni" (Museo Archeol. di Firenze) tagliato in alabastro e istoriato tutt'intorno con scene di amazonomachia dipinte a tempera (sec. IV). Di Vulci ricordiamo taluni pregevoli esemplari di sarcofago, passati all'estero (Museo di Boston), con figure d'uomo o di donna scolpite distese sul coperchio, come su di un letto funebre. Esemplari di sarcofagi chiusini, decorati intorno di bassorilievi, si conservano nel Museo Vaticano (Etrusco Gregoriano). Proveniente da Chiusi è inoltre il ben noto sarcofago fittile detto "di Larthia Seianti" (Museo Archeologico, Firenze), con la figura di una dama recumbente sul coperchio, come su di un letto (sec. III a. C.): tipico esempio di scultura policroma.
Ma il più importante di tutti i sarcofagi etruschi scolpiti è certamente quello trovato a Torre San Severo ed ora a Orvieto (Museo dell'Opera del Duomo), decorato all'intorno con scene tratte dall'Iliade e dall'Odissea (sacrificio dei prigionieri troiani, sacrificio di Polissena, Ulisse e Circe, Ulisse e Tiresia). Opera superba - notevole anche per la policromia che tuttora conserva - della fine del sec. IV a. C. (v. etruschi, XIV, tav. a colori, pag 535).
Pur rimanendo comune, nell'Etruria meridionale, il costume di decorare i cassoni di composizioni mitologiche scolpite, i sarcofagi etruschi del periodo più avanzato (sec. III-II) pongono più che altro in evidenza la figura recumbente o distesa del defunto, modellato a grandezza naturale sul coperchio.
Dei primi lustri del sec. III a. C. è il sarcofago in pietra di Lucio Cornelio Scipione Barbato, proveniente dal sepolcro degli Scipioni sulla Via Appia (ora nel Museo Vaticano), insigne - oltre che per l'iscrizione metrica arcaica - per la forma architettonica, semplice e nobile, che riproduce quella di un altare. In età repubblicana, e per tutta l'età imperiale migliore (sec. I), i Romani sembrano quasi ignorare i sarcofagi artistici, a causa del rito della cremazione, quasi esclusivamente in vigore. Sottentrato il rito della inumazione, incomincia anche in Roma la produzione dei sarcofagi di marmo scolpiti, nei quali si assommano tutte le esperienze dell'arte greca e dell'arte etrusca. D'ora innanzi domina incontrastato il tipo di sarcofago prismatico a rilievi scolpiti profondamente sulla faccia principale, meno profondamente sulle testate, e la faccia posteriore liscia. Il coperchio, piano, anziché a pioventi come quello del sarcofago greco, ha per lo più scarsa importanza. Non di rado esso presenta in fronte l'orlo rialzato e scolpito, come un fregio sovrastante al cassone. Talora però il sarcofago vuol riprodurre il letto funebre o il letto tricliniare (v. letto), e allora il coperchio simula la forma del materasso, con sopra la figura recumbente del defunto, e talora della coppia funeraria (sec. II-III d. C.). Non mancano sarcofagi con coperchio a tetto a doppio piovente all'uso greco.
Il repertorio di cui fanno uso gli scultori romani di sarcofagi è quanto mai vasto e vario. Esso ha carattere mitologico e biografico. Sotto l'aspetto mitologico esso va dai miti e dalle pompe dionisiache (alludenti alle credenze di una felicità "dionisiaca" ultraterrena) a tutti i miti tragici più popolari del mondo greco e greco-romano, capaci di suscitare idee di pietà, ricordando la caducità inevitabile delle cose umane. Sotto l'aspetto biografico il repertorio s'ispira ad avvenimenti di carattere per lo più militare, attinenti alla carriera mortale del defunto. Alludono indubbiamente al valore militare del personaggio i sarcofagi scolpiti con scene, sia pure generiche, di combattimento tra Romani e barbari. Due magnifici esempî del genere, di proporzioni non comuni, l'uno della seconda metà del sec. II, l'altro del III, si ammirano nel Museo Nazionale Romano.
L'importanza di tutti questi monumenti per la religione, per il costume, per l'arte, è facile immaginare.
La sovrabbondanza di sarcofagi scolpiti, recuperati da tutto il mondo romano, permette di stabilire e distinguere tra essi svariate categorie, nonché di postulare dei centri di produzione, specializzati per singoli generi, senza esclusione del mondo greco-ellenistico. Così i grandi sarcofagi a festoni di frutta e fiori si sogliono riportare a modelli asiatici; mentre i sarcofagi con la fronte architettonicamente divisa in sezioni da colonnine, con nicchie e figure negli intercolunnî (come il bel sarcofago di Melfi) vengono collegati, più o meno a ragione, con una località dell'Oriente asiatico, Sidamara (Cappadocia), dove se ne rinvenne qualche esemplare.
Su tutte le categorie di sarcofagi accennate le iscrizioni funerarie mancano completamente. Su sarcofagi romani tardi l'iscrizione, quando apparisce, rimane contenuta entro un campo assai stretto, al centro del cassone o del coperchio.
Usati, anche in Occidente, ma soprattutto in alcune necropoli dell'Oriente, sono i sarcofagi di piombo con ornati a rilievo.
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Antichità cristiana. - L'uso dei sarcofagi ornati di sculture derivò ai primi cristiani dall'antichità, in una così diretta continuazione, che non si possono dapprincipio nettamente distinguere i sarcofagi pagani da quelli dei nuovi credenti: con tutta probabilità non solo i tipi più usuali, ornati di strigilature e con i ritratti dei defunti, ma anche i tipi già più elaborati e chiaramente riconoscibili per cristiani, venivano eseguiti nelle stesse botteghe di scalpellini. In questi ultimi il simbolismo funebre, come nelle pitture delle catacombe, è a volte quasi dissimulato in parvenze mitologiche: nelle figure di Orfeo, di Amore e Psiche, del Sole e della Luna, delle stagioni, dei genî alati con ghirlande. Ma ecco che rappresentazioni prettamente cristiane rivelano nuovo senso: come nel sarcofago, dove appare il Buon Pastore fra i tralci, e nel sarcofago degli Arieti, dove il Buon Pastore e l'Orante sono tra i defunti (Museo Lateranense). Forse solo in tempo posteriore si aggiungono le scene del Vecchio e del Nuovo Testamento, in maggior numero, circostanziate e organizzate in più complesse consecuzioni che nelle pitture catacombali. I bassorilievi si dispongono spesso in unica fascia continua sulla fronte e sui due lati, a volte distribuiti in più piani; a volte le fronti sono suddivise architettonicamente da colonnine architravate, fra le quali singole scene o singole figure sono comprese.
Il trovarsi il maggior numero di sarcofagi a Roma (Museo Lateranense) fa pensare che Roma fosse il centro della produzione; benché si abbiano sarcofagi in altri luoghi d'Italia, in Francia, specie in Provenza, e altrove, e benché il loro stile scultoreo sia quello elaborato nell'Oriente ellenistico. Deriva infatti dai sarcofagi pagani di Roma la disposizione continua delle figure, coerente a quell'intento, proprio dell'ellenismo, di raggiungere rapidi contrasti pittorici d'ombra e di luce. Questo intento, che s'accentua col tempo, può servire alla datazione dei sarcofagi, seppure non la determini con certezza per la coesistenza nei secoli IV e V di diverse correnti d'arte.
Medioevo ed età moderna. - Del sec. V e VI sono invece i migliori sarcofagi di Ravenna, sempre, a differenza dei romani, di struttura spiccatamente architettonica. Molto affini ai sarcofagi siriaci, poggiano su base, hanno colonne o pilastri architravati agli angoli o lungo i lati, copertura a tetto o a botte. Sono decorati non più su tre, ma sulle quattro facce, con rappresentazioni da riconnettersi a quelle coeve dei musaici: la Traditio Legis, la Teofania, i pavoni, i cervi alla fontana, gli agnelli, le colombe. Come i romani, possono considerarsi una manifestazione locale dello stile ellenistico; ma il prevalere, più che nei romani, dell'elemento orientale e bizantino, fa sì che le loro figure, non più accostate, s'isolino in vasti spazî vuoti; i quali se prima sono ariosi e ritmici, poi acquistano lo stesso valore astratto degli sfondi aurei, in cui si campiscono sempre più lontane le immagini musive. Finché nei sarcofagi della fine del VI, e nei posteriori, del secolo VII e dell'VIII, i motivi si fanno solo zoomorfi e vegetali.
Continuazione forse di questa tradizione ravennate, ad opera dei barbari, sono le grandi e rudi arche del sec. IX e del X, intorno a Ravenna e nel Veneto, prive di decorazione, che riprendono una forma antica e orientale.
In periodo posteriore i sarcofagi non hanno più tanta diffusione ed importanza quanta ne ebbero i romani e i ravennati, benché il loro uso continui; ma sporadico e solo nelle più lussuose tombe.
D'età romanica sono notevoli soprattutto i porfirei dei principi normanni e svevi nel duomo di Palermo, posti, per ispirazione dall'Oriente, sotto una copertura sorretta da colonne: il sarcofago di Ruggiero II, a capanna, connesso di semplici lastre, i sarcofagi più lavorati (e nei quali sembra voluta risuscitare, in particolari condizioni di cultura, in tutta la sua nobiltà, la forma classica) di Federico II, di Arrigo VI, di Costanza; simili a quello di Guglielmo I a Monreale.
Alla fine del Duecento i sarcofagi sono posti ugualmente sotto un baldacchino, ma elevati da terra, a monumento, nelle tombe dei glossatori a Bologna. Invece a Roma i Cosmati li decorano con cornici classiche e paramenti musivi: ricordiamo quello di Onorio IV nella chiesa dell'Aracoeli, sul quale è disteso il defunto; quello, a letto funebre, del cardinale Anchero a S. Prassede; o quelli addirittura antichi, vivi però in un nuovo organismo architettonico, della tomba Fieschi a S. Lorenzo e Savelli all'Aracoeli.
In periodo gotico, facendosi più complesso lo schema dei sepolcri, il sarcofago non ne è più l'elemento costitutivo, come prima era, ma viene subordinato ad altri: diventa per lo più appoggio architettonico alla figura del defunto, giacente o seduta; fino a perdere la sua forma caratteristica, nella tomba De Braye, di Arnolfo di Cambio, a Orvieto. Invece nelle tombe di Tino da Camaino la tradizione, pure trasfigurata, permane: sono resto della forma scompartita da colonnine il sarcofago della regina Maria a S. Maria Donnaregina a Napoli, e i derivati; è ancora il sarcofago a narrazioni continue quello del cardinal Petroni nel duomo di Siena; sono cornici e riquadrature classiche in quello del vescovo Orso nel duomo di Firenze e di Tedice Aliotti a S. Maria Novella. In moltissimi sepolcri, specie nell'Italia centrale e meridionale, si ripetono gli schemi di Tino, che si possono chiamare paleocristiani: e il sarcofago, riapparendo una tradizione già a lungo interrotta, ritorna a essere scolpito abbondantemente, per lo più, ora, con scene della vita del defunto.
Nell'Italia settentrionale è ripresa invece piuttosto la tradizione locale: rivive la forma bizantina nell'arca di Alberto della Scala a Verona; rivivono forme medievali nell'arca del Petrarca in Arquà; e sorgono altri schemi, tra i quali è quello che attinge l'eleganza massima nel monumento a Martino II a Verona: sarcofago sormontato da quattro angeli e isolato in alto, come quello di Cansignorio.
Nel Rinascimento, il sarcofago riprende direttamente e sistematicamente quell'ispirazione classica, che già era più volte affiorata in tempi passati; si configura con nuovo senso di chiarezza e di proporzione e con nuova grazia decorativa. Nei primi anni del Quattrocento abbiamo il sarcofago di Ilaria del Carretto nel duomo di Lucca, isolato, secondo un uso che già nel gotico era stato più frequente oltremonte che non in Italia; in esso Iacopo della Quercia resuscitò il motivo, comune ai sarcofagi classici, dei putti che sorreggono la ghirlanda. Nei sepolcri toscani a muro, il sarcofago si distingue come elemento a sé, distaccandosi nettamente dal letto funebre. Su quello di Leonardo Bruni a S. Croce di Firenze (B. Rossellino) riappaiono i genî classici a-reggere la scritta, come su quello del vescovo Federighi a S. Trinita (L. della Robbia) e su molti altri. I sarcofagi del cardinale di Portogallo a S. Miniato (A. Rossellino), di Pietro da Noceto nel duomo di Lucca (M. Civitali), del Salutati nel duomo di Fiesole (Mino da Fiesole) rammentano quel tipo classico che già ispirò le arche romaniche di Palermo. E lo schema di Desiderio da Settignano, nella tomba Marsuppini in Santa Croce, con la finissima decorazione vegetale, è ripreso dal Verrocchio, nel sepolcro di Giovanni e Piero di Cosimo de' Medici a S. Lorenzo mentre il Pollaiolo adagia sul prototipo di Antonio Rossellino la salma di Innocenzo VIII in S. Pietro in Vaticano; e crea invece di getto, senza alcun esempio, il mausoleo con le Arti e le Virtù, di Sisto IV, ch'è da considerare piuttosto come letto funebre che come sarcofago.
Le forme toscane, diverse dalle forme che nell'Italia settentrionale rimangono più connesse all'antecedente gotico (sarcofagi dell'Amadeo, del Rizzo, del Lombardo, del Leopardi), sono quelle più comunemente elaborate anche durante il Cinquecento, fino a che Michelangelo, nelle tombe medicee della sagrestia di S. Lorenzo, inizia un tipo di sarcofago, nel quale le grandi volute che sopportano le figure simboliche spezzano le linee tradizionali: tipo decisivo per tutto il barocco.
Infatti nel Seicento e Settecento il tipo michelangiolesco si continua, insieme con un altro, a cassa, con bassorilievi narrativi, quasi di riesumazione medievale. La forma vetusta e severa dell'arca è elaborata in questi secoli con piena libertà: essa diventa superba decorazione coloristica, fastosa scenografia; vi si arrampicano i putti piangenti o ridenti, vi si appoggiano, in comunione sempre più profana, le sontuose e floride Virtù seicentesche e quelle leziose e vaporose del Settecento; vi si aggrovigliano gustosamente macabre allegorie. Citiamo tra i moltissimi, nel Seicento, i sarcofagi di Urbano VIII (Bernini) e di Leone X (Algardi) a S. Pietro, in Vaticano; quello di S. Lorenzo Imperiali a S. Agostino in Roma (D. Guidi), scoperchiato, dal quale esce l'anima in forma di colomba; per il Settecento ricordiamo il sarcofago, festosamente coperto di drappi, su cui siede Maria Clementina (P. Bracci) in S. Pietro; il sarcofago Capponi, pianto con tenerezza già così arcadica, in S. Giovanni dei Fiorentini a Roma.
Per reazione a tutta l'intemperanza precedente, è solo una dignitosa malinconia intorno al sarcofago neoclassico del Canova, che diviene compianto o allegorismo più intimo e borghese in quello, eclettico, dell'Ottocento; ed esso attende ancora d'avere dall'arte odierna l'ultima significativa elaborazione.
V. tavv. CLIX e CLX.
Bibl.: L. Augé, Les tombeaux, Parigi 1879; G. Ferrari, La tomba nell'arte italiana, Milano s. a.; K. Goldmann, Die ravennatischen Sarkophage, Strasburgo 1906; R. Grousset, Étude sur l'histoire des sarcophages chrétiens, Parigi 1885; M. E. Le Blant, Les sarcophages chrétiens de la Gaule, Parigi 1886; A. Michel, Histoire de l'art, Parigi 1905 segg.; P. Schubring, Das italienische Grabmal der Frührenaissance, Berlino 1904; P. Toesca, Storia dell'arte italiana, Torino 1927; A. Venturi, Storia dell'arte italiana, Milano 1901; G. Wilpert, I sarcofagi cristiani antichi, Roma 1929.