SARCOFAGO
SARCOFAGO L’uso di arche sepolcrali in pietra o marmo, di varia tipologia, per lo più a carattere monumentale e variamente decorate, che trova origine nell’Antichità classica, si protrasse per tutto il Medioevo tanto in Occidente quanto nell’area bizantina, con una particolare diffusione, in epoca altomedievale, soprattutto in Italia e in Gallia.
Secoli 6°-10°. - Ravenna emerge per la continuità e la ricca documentazione di s. cristiani in marmo dal sec. 5° all’Alto Medioevo, in gran parte di lavorazione locale. Essi sono del tutto estranei ai precedenti che facevano capo alle botteghe di Roma sia per la decorazione che interessa tutti e quattro i lati sia per essere dotati di un coperchio emergente configurato o a baule o a tetto liscio con piccoli acroteri: peculiarità che per contro li mettono in relazione con l’area orientale. Il modo di concepire la composizione prevalentemente ‘a campo unico’ esclude inoltre l’ipotesi di prosecuzione tipologica delle botteghe dei s. dell’Italia settentrionale (Gabelmann, 1970), che per di più cessano la loro attività, in riferimento alla scuola di Ravenna, al massimo in epoca tetrarchica (Rebecchi, 1978). Del resto, anche quando, come nel caso del s. di Onorio, del 520-530 (Ravenna, mausoleo di Galla Placidia; Kollwitz, Herdejuergen, 1979, B/28), l’articolazione della fronte sembra suggerita dai s. pagani a tabernacolo, i confronti tematici con rilievi dell’Asia Minore e la funzione anarchitettonica dei pilastri angolari (Deichmann, 1969) escludono questa possibilità. La tradizione di tale specifica ripartizione architettonica risale a precedenti microasiatici e impronta del resto anche i s. pagani importati dall’Italia settentrionale dalle cave proconnesie a uno stadio generale di semilavorazione. Lo stesso s. di Onorio può essere un documento di questi semilavorati, poiché nel tergo reca, abbozzata, la configurazione compositiva che solo sulla fronte è stata portata a termine.
In altri casi - che sono stati fraintesi (de Francovich, 1958-1959; Gabelmann, 1970) a favore dell’ipotesi di dipendenza dei s. cristiani da quelli pagani norditalici - si tratta invece di vere e proprie arche pagane rilavorate e ‘cristianizzate’ al momento del loro riutilizzo. Un chiaro esempio di questi reimpieghi (v.), forse di epoca teodericiana (Kollwitz, Herdejuergen, 1979, A/39, B/20), è il s. a tre e quattro nicchie in S. Apollinare in Classe, completato con rilievi a tema cristiano sui fianchi e sulla fronte e lavorato ex novo nel tergo, secondo un modo che informa anche un s. di Costantinopoli (Istanbul, Arkeoloji Müz., inv. nr. 2731; Firatli, 1990, nr. 87). Nell’occasione del riutilizzo il coperchio pertinente, originariamente a tetto con acroteri, venne ristrutturato così da assumere la forma prediletta a semibotte (Farioli Campanati, 1980, p. 191ss., fig. 25), e decorazione sulle lunette e sul bordo.
La pratica del reimpiego di s. pagani, cristianizzati, che si attuò già in epoca teodericiana, probabilmente da ascriversi a restrizioni economiche e alle conseguenti disposizioni del re, contrarie alle spese per sepolcri costosi (Cassiodoro, Variae, III, 19) - sì che lo stesso Seda, eunuco alla corte di Teodorico, venne sepolto in un s. riutilizzato, del 541 (Ravenna, Mus. Arcivescovile; Kollwitz, Herdejuergen, 1979, A/49) -, divenne più frequente nell’Alto Medioevo, con rilavorazioni piuttosto mediocri che coinvolgevano anche la ristrutturazione dei coperchi (Russo, 1974; Farioli Campanati, 1977; 1980; v. Esarcato).
La collocazione cronologica dei s. di Ravenna è problematica per la mancanza di iscrizioni datanti; o se queste, in rari casi, pur vi sono, costituiscono un elemento secondario che riguarda l’epoca del riutilizzo della cassa oppure del coperchio, non sempre pertinente. Per questa ragione, e anche per la difficoltà di poter stabilire, a eccezione di alcuni casi (Deichmann, 1969; 1989), affinità stilistiche e strutturali in relazione a un loro raggruppamento in ateliers e quindi alle rispettive proposte di cronologia, il problema dei s. di Ravenna, nei molteplici suoi aspetti, si presenta di difficile soluzione; i diversi orientamenti degli studiosi nella vasta letteratura riguardante questa classe di scultura ne sono la prova.
Per limitarsi al sec. 6°, i temi svolti, a carattere essenzialmente simbolico, trovano riscontri sicuri in area orientale, tanto da sfatare la supposta originalità della scuola di Ravenna (Kollwitz, 1965) nella creazione del s. ‘simbolico’, già conosciuto a Costantinopoli (Deichmann, 1969; Firatli, 1990, nr. 91). Quanto allo stile, la resa degli elementi compositivi si conforma a quella generale tendenza che emerge nell’area egeo-costantinopolitana, di graduale appiattimento formale, che poi nelle realizzazioni altomedievali rigorosamente bidimensionali - come nel s. della chiesa arcipretale di Voghenza (prov. Ferrara) - si adegua a quella concezione postantica del rilievo che nella resa delle figure e nei loro proporzionamenti esprime più che altro connotazioni disegnative, avulse dall’originaria impostazione e ambientazione naturalistica (Farioli Campanati, 1974-1975; 1983).
Le composizioni speculari con coppie di animali contrapposti (agnelli, pavoni, colombe) ai lati di un elemento simbolico (kántharos con l’acqua salvifica o con racemi di vite, palma da datteri) o simbolico-cristologico (croce, clipeo o corona includenti il monogramma), già note nei precedenti rilievi dei s. ravennati, si dispongono a decorare i lati delle casse, le lunette o i timpani dei coperchi e spesso anche la superficie dei coperchi stessi: talvolta, specie sui fianchi delle casse e dei coperchi, gli elementi simbolici fanno parte di un contesto vegetale più elaborato, con racemi disposti comunque in modo speculare. La presenza di animali araldici ha i suoi precedenti nel sec. 5°, nel tergo dei s. a figure: si tratta di animali di grande formato che trovano raffronti in rilievi microasiatici (Ulbert, 1969; Farioli Campanati, 1983). È in epoca teodericiana che si sviluppò in prevalenza questa tematica con animali, monogrammi e croci; successivamente, a partire dalla prima età giustinianea, si riscontra anche la sola decorazione simbolico-cristologica, sempre che il s. di Bonifacio Spreti (Ravenna, prato di S. Vitale) sia assegnabile a quest’epoca (Kollwitz, Herdejuergen, 1979, B/27). L’arca del vescovo Vittore (m. nel 544), che nel suo stato originario è nota da un disegno di Pier Paolo Ginanni (Mazzotti, 1953, p. 42, fig. 6; Farioli Campanati, 1983, p. 251), era ornata, sulla fronte, dal clipeo con monogramma I X su lunga asta tra due croci e, sui fianchi, da una croce.
La croce libera o inclusa entro una liscia cornice circolare caratterizza in epoca esarcale, quale unico elemento decorativo centrato, la fronte di un gruppo di s. meno costosi, in pietra (Farioli Campanati, 1977), esportati dalle cave dalmate di Brazza (Fiskoviâ, 1981; Salona, 1994) anche in altre località costiere del territorio esarcale, come a Grado e in Puglia (D’Angela, 1984), cave che cessarono la loro attività con l’invasione degli Slavi (Farioli Campanati, 1977).
Se il tema con animali in composizione araldica, o tra racemi vegetali, richiama il modo di decorare s. e lastre delle regioni microasiatiche, il solo simbolo cristologico risulta prevalentemente documentato a Costantinopoli. Con la capitale bizantina sono stati rilevati (Deichmann, 1969; Kollwitz, Herdejuergen, 1979; Farioli Campanati, 1983) altri fondamentali riferimenti di carattere strutturale che fanno luce sulla derivazione tipologica e decorativa dei s. ravennati, realizzati - sembra - in marmo proconnesio o comunque certamente importato. La configurazione stessa dei coperchi, strutturata in cava, è, al pari dell’impostazione generale della cassa, come un marchio di fabbrica degli ateliers esportatori (Farioli Campanati, 1980). Del prediletto coperchio a semibotte, oltre a esempi orientali (de Francovich, 1958-1959), si hanno raffronti, pur nella scarsa documentazione superstite di Costantinopoli, anche in riferimento alla decorazione della lunetta e della superficie del coperchio stesso (Farioli Campanati, 1983).
Per limitarsi alla tipologia strutturale, nel sec. 6° il tipo ad arcate e quello con colonnine o pilastri angolari sono documentati da pochi esempi, mentre appare diffuso il s. a cassapanca (Truhensarkophag), notissimo a Costantinopoli a partire dal s. del Principe (Istanbul, Arkeoloji Müz.), presente a Ravenna con s. di lavorazione locale che giungono fino all’Alto Medioevo - il s. di S. Apollinare in Classe (Kollwitz, Herdejuergen, 1979, tav. 88, 1), il s. di S. Agata Maggiore (ivi, tav. 88, 2), quello del palazzo vescovile di Imola (ivi, B/31), quello con agnelli cruciferi sempre in S. Apollinare in Classe (ivi, tav. 85, 4) - dai quali si distingue per la pregevole lavorazione il precedente costituito dal bel s., detto di Costanzo (Ravenna, mausoleo c.d. di Galla Placidia), assegnato agli inizi dell’epoca giustinianea (Kollwitz, Herdejuergen, 1979, B/29), profilato sui fianchi e sulla fronte da un’elegante cornice modanata. La stessa tipologia a cassapanca, pur nella resa semplificata della cornice, si riscontra in un altro esemplare nella cripta dedicata a s. Gervasio, a Mondolfo (prov. Pesaro; ivi, B/30), decorato su tutti i lati e con coperchio liscio con piccoli acroteri. Mentre sui lati lunghi si svolge la composizione araldica della coppia dei pavoni affrontati al clipeo cristologico, i fianchi sono decorati da una sottile croce latina dalle belle proporzioni, analoga a quella del tergo del s. del municipio di Ostiglia (prov. Mantova; Farioli Campanati, 1983), che sulla fronte reca una composizione con candelieri e monogramma clipeato, la stessa - di epoca mediobizantina secondo Grabar (1976) - che decora due plutei della basilica veneziana di S. Marco (Zuliani, 1969), importati da Costantinopoli.
Altri esempi ravennati a cassapanca si apparentano, per la loro decorazione con monogramma e croci (Russo, 1968), alla tipologia consueta ai plutei proconnesi (Farioli, 1963; 1969) che a Costantinopoli connota la decorazione dei s. (Farioli Campanati, 1983). In epoca giustinianea il s. smembrato del vescovo Ecclesio (Ravenna, S. Vitale; Kollwitz, Herdejuergen, 1979, B/33; per la datazione v. Farioli Campanati, 1983) è decorato sulla fronte da una complessa composizione simbolica - con quadrupedi e volatili antitetici alla croce gemmata, resi a rilievo piatto - che è inquadrata, anziché dalla cornice, consueta ai s. a cassapanca, da un rifascio decorato che per ora non ha raffronti in area orientale, mentre prelude ai rifasci viminei dei rilievi altomedievali, come per es. un s. di fanciullo (Ravenna, Mus. Naz., inv. nr. 774) o un esemplare proveniente da Venezia (Berlino, Staatl. Mus., Pr. Kulturbesitz, inv. nr. 1714).
In epoca postantica si riscontra soprattutto il fenomeno della rilavorazione di s., che si estende alla ristrutturazione, pur rozza, dei coperchi (Farioli Campanati, 1980), che assumono una vaga e irregolare forma a semibotte depressa. Così l’arca dell’arcivescovo Felice (m. nel 725; Ravenna, S. Apollinare in Classe), la cui fronte con agnelli, croci e candelabri riprende l’articolazione architettonica tripartita, che si propone, più serrata, nell’aniconica composizione del s. a cassa, rilavorato, del battistero di S. Giovanni a Castrocaro Terme (prov. Forlì; Kollwitz, Herdejuergen, 1979, p. 173, n. 800). Nicchie ai lati della tabula connotano invece il problematico s. di Faustiniana, nel complesso episcopale di Concordia Sagittaria (prov. Venezia), ascritto al sec. 6°-7° (ivi, p. 172, n. 793). Un altro problematico s. con agnelli antitetici e coperchio a semibotte, decorato da racemi di vite, che si rifà a esempi orientali, è l’arca di S. Decenzio a Pesaro (v. Marche; Farioli Campanati, 1980, p. 169, n. 56).
Nell’Alto Medioevo, oltre ai tipi di s. occidentali già segnalati, nell’opposta costa adriatica si osservano esemplari poco noti e di grande interesse per uno studio specifico (Petricioli, 1960-1961; 1995; Beloèeviâ, 1968; Èonje, 1978). Quanto all’Italia, la presenza culturale dell’area greco-costantinopolitana si evince in modo particolare nelle regioni bizantine o comunque in contatto con l’impero di Costantinopoli: in questo caso a Genova - in un s. a motivi annodati, nella chiesa di S. Marta, del sec. 10°-11°, che trova riscontri in esemplari conservati a Salonicco, Serres (Grecia), Adana e Bilecik (TurChia) e a Kiev (Feld, 1970; Farioli Campanati, 1982a) - e in Puglia, nei tre s. a pannelli indipendenti di Troia (Mus. Diocesano e Tesoro della Cattedrale), Siponto (S. Maria) e Bari (S. Nicola; Farioli Campanati, 1982b, nn. 105, 107-108). Alla lastra di Bari, una fronte di s. in muratura datata al 1075 dall’iscrizione del defunto, il topotereta e protospatario Basilio di Mersin (Farioli Campanati, 1982b), si collegano anche altre lastre mutile in S. Nicola a Bari, con la stessa configurazione a pannelli, che, se integrate, potrebbero costituire il lato frontale di chiusura di pseudo-s., al pari dei precedenti costantinopolitani di Taókasap (Firatli, 1990, nrr. 96-97) e di molti esempi mediobizantini (Farioli Campanati, 1982b).
Nel Sud-Ovest della Gallia - probabilmente in collegamento, per il tipo a figure, con i s. del sec. 5° della locale produzione di Marsiglia o comunque con i rilievi gallo-romani (Février, 1991) - emerge, sia dal lato decorativo sia da quello strutturale, un consistente gruppo di s. in marmo dei Pirenei, oltre duecentocinquanta, detti ‘d’Aquitania’, ma diffusi nel bacino della Garonna (Briesenick, 1962; ChristernBriesenick, 1993), di controversa collocazione cronologica. Alla datazione tradizionale ai secc. 6° e 7° dei primi esemplari, accolta da Briesenick, si oppone la proposta di Ward-Perkins (1938) - che l’attuale orientamento degli studi tende a rivalutare (James, 1993) - che circoscrive la produzione di questi s. all’epoca dell’occupazione visigota della regione (420-507), cui seguono gli epigoni della Septimania (James, 1977), che però non dovrebbero oltrepassare il 7° secolo. Si tratta di s. del tutto nuovi, sia come configurazione morfologica sia come concezione ornamentale, che interessa il coperchio e tre lati della cassa; solo l’esemplare conservato a Parigi (Louvre) e proveniente dall’abbazia di Nôtre-Dame de Soissons è decorato anche sul tergo (Metzger, 1985). Le casse si configurano in genere con una forma svasata e sono provviste di coperchio prismatico a quattro falde. Un gruppo di s. è caratterizzato da un ornato esclusivamente vegetale (girali di vite, alberelli di acanto, rosoni), disposto con simmetria entro pannelli accostati o ritmati da pilastrini e colonnine, talvolta articolato in registri sovrapposti. Compaiono anche temi geometrici, strigilature ed embrici, e un esemplare della chiesa di Saint-Vidian a Martres Tolosane, presso Saint-Martory, è come rivestito da un reticolato di quadrati campiti da fiori quadripetali e delimitato da colonnine angolari. È presente il chrismon nella corona, al centro del lato frontale o sulla testata della cassa e sul coperchio. Il rilievo è piatto e arioso.
In epoca merovingia si individua tra i secc. 6° e 7° e poi fino a tutto l’8° un altro gruppo di s., ma in pietra, proveniente da diverse cave, caratterizzati da casse a pianta trapezoidale e da coperchi in genere emergenti, ma diversificati formalmente a seconda dei siti di produzione. Anche questo gruppo di monumenti ha polarizzato di recente l’attenzione degli studiosi francesi (Delehaye, Perin, 1991), sia in riferimento alla loro provenienza dalle cave e alla loro diffusione in Francia, attraverso le vie fluviali, sia nei riguardi della diversificata morfologia strutturale dei coperchi nelle varianti regionali (a sezione semicircolare depressa o a falde appena pronunciate o addirittura piatti). L’elementare decorazione geometrica che riveste casse e coperchi si configura a linee incise a serie parallele, collocate su registri diversi, incluse in serie di triangoli, o a delineare forme di croci, disposte a spina di pesce, oppure determina scomparti con decori geometrici indipendenti e spaziati (Vienne); la testata di un gruppo di casse (dip. Nièvre) è interessata da una sommaria composizione trina di croci, con al centro, talvolta, l’albero della vita crucifero, resa, al pari degli altri temi segnalati, mediante l’abbassamento del piano di fondo. Quasi un campionario di queste tipologie di marchio postantico coesiste a Parigi e a Saint-Denis.
In epoca merovingia, con limitazione alla regione di Parigi e particolare densità nell’area della Senna, si individua la presenza di un tipo di s. in materiale povero, il gesso, ma di grande interesse tecnologico (Delehaye, Perin, 1991), ottenuto a stampo e fabbricato in prossimità dei vari cimiteri, solitamente in collegamento, come negli altri casi, con abbazie o santuari. Il repertorio simbolico-cristologico e geometrico (clipei con croce, monogrammi, rosoni) conta ca. duecento temi e interessa in prevalenza i lati brevi delle casse e raramente quelli lunghi e i coperchi.
Si distacca dai s. finora considerati, per il carattere monumentale e l’accuratissima decorazione a due registri di conchiglie accostate, intercalati da una bella iscrizione, l’arca di Teodechilde, sorella di Agilberto, vescovo di Parigi nel 665, nella cripta dedicata a s. Paolo nell’abbazia di Jouarre. Il pregevolissimo s., superiore ai pur raffinati rilievi coevi di Pavia (v.), pone problemi di stile difficilmente spiegabili se non in un clima di rinascenza e di rapporti internazionali di alto livello culturale, instaurati dall’abbazia (Hubert, Porcher, Volbach 1967).
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Secoli 11°-14°. - Nell’Occidente medievale il s. assunse nelle diverse epoche e aree geografiche forme differenti: può essere isolato o addossato alla parete, appoggiato sul pavimento o sopraelevato su colonne o su mensole, singolo o integrato all’interno di una composizione costituita da colonne, baldacchino, sculture ed eventualmente anche da una cancellata di metallo (l’esempio più antico conservato è rappresentato da quello del monumento funebre della regina Eleonora, del 1294; Londra, abbazia di Westminster). A seconda del contesto, ossia dell’aspetto assunto dall’intero monumento, il s. può essere definito anche tomba, cenotafio, enfeu o in altri modi.
I s. medievali erano per lo più in pietra (marmo, porfido, ardesia, arenaria); dal sec. 14° è attestato l’uso dell’alabastro, anche se prevalentemente per le figure dei giacenti e più raramente per i s., per es. nella tomba di Giovanni di Eltham (m. nel 1334; Londra, abbazia di Westminster), secondo figlio di Edoardo II. Un’eccezione è costituita dai s. di legno, per lo più inglesi e raramente italiani, del sec. 13°, come il s. di Robert Courthouse, duca di Normandia, del 1290 ca. (Gloucester, cattedrale), e il s. di John Pitchford, del 1285 ca. (chiesa di Pitchford, presso Shrewsbury, nell’Inghilterra occidentale) - entrambi con una decorazione di stemmi -, nonché il s. del beato Agostino Novello (m. nel 1309; Siena, già in S. Agostino, temporaneamente al Mus. dell’Opera della Metropolitana). Le applicazioni in metallo erano particolarmente consuete nei s. dei santi, come nel sepolcro di s. Ilario nella chiesa di Saint-Hilaire-le-Grand a Poitiers, ma si trovano anche altrove: così avviene per es. nel caso del s. di legno di Guillaume de Valence, del 1296 (Londra, abbazia di Westminster), nel quale sono presenti smalti e placchette di metallo importati da Limoges. L’uso dello smalto appare tuttavia in seguito limitato alle lastre e alle figure dei giacenti. Delle originarie pitture di molti s., in particolare del sec. 14°, si sono per lo più conservati soltanto resti. In occasione di solennità particolari i s. potevano essere inoltre rivestiti di stoffe preziose e illuminati da candele.
Le fonti scritte che si riferiscono in modo specifico ai s. sono rare: per lo più viene citato il materiale di cui essi sono costituiti e solo in qualche caso si fa riferimento anche alla struttura. Le guide per pellegrini del Medioevo descrivono le tombe almeno dei santi più importanti, anche se con un’accuratezza che varia da caso a caso. I testamenti sono poco utili alla determinazione dell’aspetto preciso dei s. o dell’idea che ne avevano i committenti, poiché in essi vengono utilizzati soltanto termini generici. Una raccolta di contratti medievali per monumenti funebri è stata pubblicata da Crossley (1921): veri e propri conti - per es. quelli relativi all’ordinazione del marmo necessario alla realizzazione dell’opera - si ritrovano solo a partire dal sec. 13° e permettono di trarre poche conclusioni riguardo alla forma e alla decorazione del sarcofago. Espressioni esplicite, quali le decisioni del Capitolo milanese circa il monumento funebre di s. Pietro Martire (Milano, S. Eustorgio), testimoniano l’istituzione di un consapevole rapporto formale tra i monumenti funebri e un altrettanto cosciente atteggiamento di emulazione tra i committenti.
La funzione del s. è in primo luogo quella di accogliere il defunto, ma per quanto riguarda quelli dei santi, si tratta per lo più di una seconda sepoltura, in occasione della quale nel s. venivano deposte soltanto le ossa che prima si trovavano in un reliquiario o in una cassettina di legno, spesso avvolte in preziosi tessuti antichi: per es. nella tomba di s. Giuniano, della seconda metà del sec. 12°, nella chiesa dedicata a questo santo, a Saint-Junien, nel Limosino; nella tomba di s. Guglielmo, nella chiesa a lui intitolata, a Saint-Guilhem-le-Désert, presso Aniane, in Linguadoca; nella tomba di s. Frontone, nella chiesa a lui dedicata, a Périgueux, nel Périgord. Da questo punto di vista quindi le dimensioni del s. non permettono alcuna conclusione riguardo alle sue funzioni, ma hanno un carattere meramente indicativo. La funzione del s. si avvicina in questo caso a quella di un monumento e, nel caso dei santi, a quella di un reliquiario. Tale analogia si conferma anche nella ripresa di repertori formali che derivano dai reliquiari in legno e in metallo.
La discussione circa lo sviluppo del s. medievale viene caratterizzata in misura determinante dal problema della continuità rispetto alla tradizione antica e tardoantica. Murcier (1855), Franzius (1955) e Hamann-McLean (1957) hanno sostenuto la tesi di un nuovo inizio dopo il Mille; dagli anni quaranta del sec. 12° vi sarebbe stato inoltre un allontanamento dagli antichi modelli, fino a giungere ad autonome elaborazioni formali, in particolare nell’ambito dell’iconografia. Komm (1990) sostiene invece una tesi contrapposta, secondo cui - nonostante la netta cesura rappresentata dalle scorrerie degli Ungari e dei Normanni, in particolare in Francia e in Germania - si deve accettare l’idea di una continuità tra Alto Medioevo e Medioevo maturo, anche se tale continuità risulta difficile da seguire, stante il carattere frammentario delle testimonianze.
Nel costituirsi del repertorio formale del s. libero ebbero un ruolo determinante le tombe dei santi. In Francia - dove dal sec. 11°, a causa delle traslazioni delle reliquie dalle cripte in s. e reliquiari non interrati, molti impianti tombali vennero ristrutturati - ca. dieci s. ancora conservati testimoniano questa possibilità. Dal sec. 12° avanzato le forme che si svilupparono in quest’ambito furono quindi riprese per le sepolture non interrate, modello che si stava diffondendo ovunque anche per le sepolture dei laici - soprattutto per i sovrani e per i loro congiunti -, ma la cui adozione si andò inoltre incrementando, a partire dal sec. 14°, per gli esponenti della nobiltà e della borghesia.
In Francia il luogo preferito per l’installazione dei s. dei santi si trovava dietro l’altare, leggermente sopraelevato rispetto al pavimento, per es. nella citata tomba di s. Giuniano, oppure innalzato su colonne, come in quella di s. Savino, della fine del sec. 11°, nella chiesa sita a Saint-Savin, nel Poitou. Il s. poteva essere direttamente collegato all’altare (monumento funebre di s. Giuniano) oppure posto a breve distanza da esso (monumento funebre di s. Savino).
La forma del s. romanico fa generalmente riferimento a quella dei s. antichi, assumendo una struttura soprattutto rettangolare con pareti verticali o, in qualche caso, una forma quasi trapezoidale. Esso poteva avere l’aspetto sia di cassa con coperchio piatto, come nella menzionata tomba di s. Giuniano e nel sepolcro di s. Savino a Saint-Savin-de-Lavedan, nei Pirenei, sia di edificio, come nella citata tomba di s. Savino a Saint-Savin e in quella del vescovo Adeloco nella chiesa di Saint-Thomas a Strasburgo, della metà del 12° secolo. I lati e il coperchio potevano essere, come nel caso di Saint-Savin, privi di decorazione, oppure essere ornati da un rilievo e da un’iscrizione, spesso in riferimento ai modelli antichi.
Esiste poi una serie di sepolture di santi del Medioevo maturo, caratterizzata da una decorazione che segue modelli antichi anche dal punto di vista formale. Così i rilievi continui della tomba di s. Saturnino nell’abbaziale di Saint-Hilaire, presso Carcassonne, presentano i modi degli antichi s. ornati da rilievi, mentre la citata tomba di s. Giuniano riprende l’articolazione in arcate e ordini degli antichi s. a struttura architettonica.
Il riutilizzo dei s. antichi come sepolture per i santi sembra avere un significato generale: ciò vale sia per i primi esempi - tomba di s. Vittore, nella chiesa dedicata a questo santo, a Marsiglia - sia per i complessi tombali romanici, nei quali gli antichi rilievi dei s. venivano integrati dall’opera di scultori coevi, come nel monumento funebre di s. Andeolo, nella chiesa a lui intitolata, a Bourg-Saint-Andéol, nell’Ardèche, e nella citata tomba a Saint-Guilhem-le-Désert.
Appare inserita nel contesto della stessa evoluzione l’esposizione dei s. di papi e re - fino ad allora situati all’interno di cripte, come per es. nel duomo di Spira - in ambienti non sotterranei, il che implicò anche il riutilizzo di s. antichi. I rari precedenti, quali la tomba di papa Leone IX (m. nel 1054), non si sono conservati e sono stati tramandati soltanto dalle fonti. L’avvio a questa nuova concezione venne dato dal pontefice Innocenzo II (1130-1143), il quale, certamente anche in diretta competizione con il mondo bizantino, fece trasferire il s. di porfido dell’imperatore Adriano - andato in seguito distrutto - nel Laterano e lo destinò a luogo della sua sepoltura. Anastasio IV (1153-1154) scelse per sé il s. detto di s. Elena (Roma, Mus. Vaticani, Mus. Pio Clementino); il suo successore Adriano IV (1154-1159) utilizzò un esemplare antico in granito rosso, poiché non erano forse più disponibili s. in porfido. Questo genere di s. pubblici testimonia l’alta ambizione politica dei pontefici e li paragona sia agli imperatori d’Oriente sia ai santi.
Nello stesso clima si colloca la scelta del re di Sicilia Ruggero II, che nel 1145 fece portare due s. in porfido nel duomo di Cefalù, l’uno antico perché gli servisse da sepoltura, l’altro, una copia medievale del primo, concepito come monumento per tramandare la fama dello stesso re, come attesta un’iscrizione: «tam ad insignem memoriam mei nominis, quam ad ipsius ecclesiae gloriam». Nel 1251 Federico II di Svevia fece trasferire i due s. nella cattedrale di Palermo.
Intorno al 1240 le ossa del papa Clemente II (m. nel 1047), venerato a Bamberga come santo, vennero traslate in una tomba isolata, a baldacchino (Bamberga, duomo), nella quale i rilievi del s. mostrano tra l’altro le quattro Virtù cardinali. In Inghilterra, Enrico III (m. nel 1272), inizialmente deposto nella tomba di Edoardo il Confessore, dopo il 1280 venne trasferito in una sepoltura appositamente creata, sempre nell’abbazia di Westminster. Allo stesso modo, in Francia, le ossa di Ludovico il Pio (m. nell’840), inumato nella sala capitolare di Saint-Arnoul a Metz, vennero traslate in un antico s., posto nella stessa chiesa, al quale fu aggiunto un giacente.
La regione in cui tale tradizione si sviluppò in misura maggiore fu l’Italia. S. antichi vennero utilizzati per es. nella tomba di un vescovo di Velletri (m. nel 1239; Velletri, cattedrale) e in quelle di Guglielmo Fieschi (m. nel 1256; Roma, S. Lorenzo f.l.m.) e di Luca Savelli (m. nel 1266; Roma, S. Maria in Aracoeli). Tuttavia, anche gli altri monumenti funebri realizzati in questo periodo presentano un linguaggio formale chiaramente antichizzante, come la tomba del prelato Alfano (Roma, S. Maria in Cosmedin). Va inoltre soprattutto citata la tradizione delle tombe cosmatesche, nelle quali il s. costituisce fin dall’inizio un elemento autonomo, se non addirittura dominante, della tomba: interamente inserito nel sistema architettonico e ornato da incrostazioni, esso assume per così dire il carattere di uno zoccolo decorato per la figura del giacente posta al di sopra, come nel sepolcro di Clemente IV (m. nel 1268; Viterbo, S. Francesco) o nella citata tomba di Enrico III. Nell’elaborazione di queste complesse strutture tombali ebbe un ruolo di primo piano Arnolfo di Cambio (v.), autore del monumento funebre di Guglielmo De Braye (m. nel 1282; Orvieto, S. Domenico), del monumento Annibaldi (Roma, S. Giovanni in Laterano; Romanini, 1983; 1990) e di quello di Bonifacio VIII (m. nel 1303; Roma, S. Pietro in Vaticano, Grotte). In questi s. si ritrova la raffigurazione degli stemmi della famiglia, presente anche nella citata tomba di Luca Savelli e in quelle di Matteo d’Acquasparta (m. nel 1302; Roma, S. Maria in Aracoeli) e di Matteo Orsini (m. nel 1340; Roma, S. Maria sopra Minerva).
Una relazione diretta con l’Antico e un rapporto di competizione con le tombe imperiali a Palermo devono ipotizzarsi anche per le prime tombe dei professori a Bologna: nei cimiteri dei Francescani e dei Domenicani si trovano s. a forma di edificio, dalla scarna decorazione, che presentano spesso soltanto croci inscritte in un medaglione, su un alto zoccolo o su colonne, con coperture di forma piramidale, come nella tomba di Accursio (m. nel 1263), realizzata nel 1290 ca., e in quella di Odofredo (m. nel 1265), ambedue a Bologna (S. Francesco, chiostro dei morti). Dall’inizio del sec. 14° compaiono sui s. scene relative all’attività dell’insegnamento o dello studio: per es. nella tomba di S. Liuzzi, del 1318 (Bologna, Ss. Vitale e Agricola); in quella di Alberto Fisico, del primo quarto del Trecento (Treviso, duomo); nella tomba di Michele da Bertalia, del 1328 (Bologna, Mus. Civ. Medievale), e in quella di Cino dei Sinibaldi (m. nel 1337; Pistoia, duomo).
La crescente tendenza a seppellire dentro le chiese condusse, all’inizio del Trecento, a un veloce sviluppo e a un altrettanto rapido consolidarsi di una ben precisa decorazione-tipo per i sarcofagi. Per programmi particolarmente importanti la fonte di ispirazione è costituita sempre dai s. dei santi. La rappresentazione di scene della loro vita, come già poteva ritrovarsi nei s. romanici - citata tomba di s. Saturnino, a Saint-Hilaire; tomba di s. Magnanzia, a Sainte-Magnance, in Borgogna; citata tomba di s. Guglielmo, a Saint-Guilhem-le-Désert -, ebbe seguito nel sec. 13°, dapprima nell’arca di s. Domenico (Bologna, S. Domenico) e poi in quella già menzionata di s. Pietro Martire a Milano, dando origine a modelli che trovarono un’ampia diffusione nel 14° secolo. In seguito cominciarono a fare la loro comparsa scene della vita anche su s. di personaggi non santi, come nella tomba di Simone Saltarelli (m. nel 1324; Pisa, S. Caterina), in parte persino nel monumento funebre di Cangrande della Scala (m. nel 1329; Verona, presso S. Maria Antica), senza una diretta relazione con le vicine raffigurazioni della storia della salvezza.
Nel corso di questa evoluzione si osservano due tendenze tra loro contrapposte: da un lato si delineano in modo sempre più chiaro particolarità regionali e rigide tipologie, dall’altro si evidenzia la propensione alla variazione, che arricchisce le tradizioni; possono costituire buoni esempi di questa fase evolutiva il Veneto, il Lazio e Napoli.
A Roma e nel Lazio settentrionale la principale decorazione dei s. è costituita dagli stemmi. I s. sono per lo più suddivisi in tre parti, con tre o due stemmi nei campi; dalla fine del sec. 14° compare sempre più frequentemente un’iscrizione nel campo centrale, come nella tomba di Bartolomeo Carafa (m. nel 1405; Roma, S. Maria del Priorato). A causa dell’esilio avignonese non vi fu tuttavia continuità nella produzione di monumenti funebri e solo l’accresciuta domanda alla fine del Trecento determinò la creazione di nuove ambiziose opere, per es. la tomba del cardinale Filippo d’Alençon (m. nel 1397; Roma, S. Maria in Trastevere).
A Napoli l’influenza romana si coglie soltanto nei primi s. cosmateschi, quali la tomba di Innocenzo IV (m. nel 1254), eretta nel 1315 ca., e quella dell’arcivescovo Filippo Minutolo (m. nel 1301), entrambe nel duomo, nonché il sepolcro di Caterina d’Austria (m. nel 1323), in S. Lorenzo Maggiore. I luoghi preferiti per le sepolture erano le chiese degli Ordini mendicanti o il duomo, ma alcuni esponenti della nobiltà feudale si fecero seppellire nel loro luogo d’origine. La tipologia decorativa più diffusa consiste in tre medaglioni o quadrilobi sulla fronte del sarcofago. I temi figurativi principali sono costituiti in primo luogo dall’Imago pietatis, con Maria e s. Giovanni Evangelista, come nel citato sepolcro di Caterina d’Austria, nella tomba di Raimondo de Cabani (m. nel 1334; Napoli, S. Chiara), in quella di Pietro Brancaccio (m. nel 1338; Napoli, S. Domenico Maggiore), nonché nella tomba di Francesco della Ratta (m. nel 1359; Caserta-vecchia, cattedrale). Si ritrova inoltre la rappresentazione della Vergine con il Bambino nel medaglione centrale, con figure di santi ai lati - per es. nel s. di Ludovico de Tocco (m. nel 1360; Napoli, duomo), nel s. di Letizia Caracciolo (m. nel 1340; Napoli, S. Domenico Maggiore), con l’Imago pietatis sul coperchio - e infine scudi con gli stemmi. Negli spazi tra i medaglioni compaiono sia motivi floreali sia angeli o stemmi. I s. che presentano un’articolazione architettonica sono nel complesso più rari, ma non insoliti. I temi sono qui, certamente sull’esempio del monumento di Arrigo VII nel duomo di Pisa, serie di santi o di apostoli, con l’aggiunta, a partire dal monumento funebre di Maria di Durazzo (m. nel 1366; Napoli, S. Chiara), della Vergine in trono nella nicchia centrale.
Nonostante gli stretti rapporti con la corte francese, mancano qui del tutto le schiere di pleurants, comuni invece in Francia - per es. la tomba di Luigi IX (m. nel 1270; Parigi, Saint-Denis), il s. di Filippo l’Ardito (m. nel 1404; Digione, Mus. des Beaux-Arts) - e in Inghilterra, come nel s. di Edmund Chrouchback (m. nel 1296; Londra, abbazia di Westminster). Un mezzo importante nella rappresentazione della successione divenne, per i monumenti funebri angioini, la raffigurazione, all’interno di arcate, dei membri della famiglia in trono, come nel s. di Maria di Ungheria (m. nel 1323; Napoli, S. Maria Donnaregina) e nella tomba di Roberto I d’Angiò il Saggio (m. nel 1343; Napoli, S. Chiara). L’uso dell’intera fronte del s. per una sola scena appare in una prima fase ancora raro; è riscontrabile nel s. di Carlo di Calabria (m. nel 1328; Napoli, S. Chiara), nonché nelle tombe di Filippo di Taranto (m. nel 1331) e di Giovanni di Durazzo (m. nel 1335), entrambe in S. Domenico Maggiore a Napoli. Tale soluzione venne ripresa nella seconda metà del secolo, in particolare per ambiziosi temi iconografici della nobiltà, con il defunto rappresentato in trono o in mezzo ai suoi seguaci - come nelle tombe di Raimondo del Balzo (m. nel 1376) e di Isabella d’Apia (m. nel 1375), entrambe in S. Chiara a Napoli - oppure in veste di giudice, come per es. nel s. di Roberto Orsini (m. nel 1399; Nola, chiesa di Maria SS. della Misericordia) e nella tomba di Francesco Carbone (m. nel 1405; Napoli, duomo).
Il reimpiego di s. antichi e la loro rielaborazione furono straordinariamente frequenti in area napoletana, ma non condussero quasi mai a una ripresa formale. Invece nel Veneto i modelli antichi, provenienti da Ravenna e da Aquileia, ebbero un’influenza ancora chiara e costante, come testimonia la predilezione per le lastre marmoree policrome. La maggior parte dei s. presenta al centro un rilievo rettangolare allungato in verticale, incorniciato da due lastre marmoree pressoché quadrate. Le terminazioni laterali sono quindi costituite da due stretti rilievi oppure da nicchie contenenti figure. I temi preferiti sono la Vergine in trono, spesso con santi o con angeli ai lati e con il defunto inginocchiato e, alle estremità, l’Annunciazione a Maria. In alto la fronte del s. è per lo più conclusa da una pesante cornice, ai cui angoli sono spesso presenti degli acroteri. La preferenza accordata ai temi mariani porta alla rappresentazione, sulla fronte del s., della Vita della Vergine oppure della Kóimesis, come nella tomba di Francesco Dandolo (m. nel 1339; Venezia, S. Maria dei Frari) e in quella di ignoto, della metà del sec. 14°, a Monselice (Coll. Cini). In Veneto, più che a Roma e nell’Italia meridionale, le tombe dei santi assumono un ruolo particolare, giacché la loro diffusione nella terraferma costituisce una testimonianza del significato dei culti locali.
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Area bizantina. - Pur in un contesto documentario assai lacunoso, i pochi esemplari di s. conservatisi nel mondo bizantino consentono tuttavia di osservare tipologie strutturali e peculiarità iconografiche persistenti nell’arco di tempo che va dalla Tarda Antichità (Farioli Campanati, 1983) all’epoca mediobizantina, specie in esemplari delle province. In particolare, per quanto concerne i secc. 5° e 6°, sono stati individuati a Costantinopoli fondamentali rapporti con i s. di Ravenna dal lato sia della configurazione strutturale sia di quella decorativa, il che sfata altresì la pretesa originalità ravennate nella creazione del s. simbolico (Deichmann, 1969).
Il tipo ad arcate con figure - già presente a Costantinopoli a partire dal sec. 5°, con notevoli varianti (Firatli, 1990, nrr. 84-86, 96-98) anche funzionali (lastre frontali di casse in muratura) - è documentato nel sec. 6° da un s. privo di coperchio (Istanbul, Arkeoloji Müz., inv. nr. 2731; Firatli, 1990, nr. 87), la cui fronte è scandita da tre arcate poggianti su pilastri scanalati, ornate da conchiglie e includenti una decorazione a carattere simbolico, resa a rilievo piatto: nell’arcata centrale, il kántharos con racemi di vite sormontato dalla croce (abrasa), nelle laterali un albero tra due colombe. Altri casi tipologicamente analoghi, scanditi da arcate, sono costituiti dalla fronte frammentaria ritrovata e conservata nel S. Salvatore di Chora (Kariye Cami) di Costantinopoli (Hjort, 1979, fig. 96), dal s. frammentario di Rodi (Orlandos, 1948, figg. 44, 46) e, con arcate mistilinee (da porre in confronto con esemplari microasiatici: Cox, Cameron, 1937, nr. 59; Calder, Cormak, 1962, nr. 118), da un s. (Istanbul, Arkeoloji Müz., inv. nr. 5842; Firatli, 1990, nr. 85a) che riprende l’articolazione dei noti precedenti (fine sec. 4°-inizio 5°) rinvenuti nel quartiere costantinopolitano di Taókasap (Istanbul, Arkeoloji Müz., inv. nrr. 5422-5423).
Al tipo con pilastri angolari scanalati e rudentati, privi di capitello e con decorazione cristologica abrasa sulla fronte e su di un fianco, appartiene la cassa proveniente dalla zona costantinopolitana dell’ippodromo (Istanbul, Arkeoloji Müz., inv. nr. 5844; Deichmann, 1969; Eyice, 1976; Farioli Campanati, 1983), mentre la tipologia scompartita a pannelli indipendenti è documentata dal s. proconnesio (Istanbul, Arkeoloji Müz., inv. nr. 7431; Firatli, 1990, nr. 92; il coperchio non è pertinente). I due pannelli, che ripetono la decorazione consueta ai plutei (Ulbert, 1969, p. 20), sono campiti dal noto motivo a rombo modanato, diffuso anche nei rilievi di elementi architettonici.
Anche altri temi propri dei plutei, di repertorio cristologico-simbolico (la croce isolata entro il clipeo, il monogramma lemniscato tra croci), costituiscono la decorazione di un gruppo consistente di s. di Costantinopoli: dalle casse più semplici, lisce (Istanbul, Arkeoloji Müz., inv. nrr. 4770, 4475, 2994, 580; Farioli Campanati, 1983, figg. 33, 39, 41, 44), a quelle definite in alto e alla base da una cornice modanata: oltre alle lastre frontali verosimilmente di s. conservate all’esterno dell’Arkeoloji Müz. di Istanbul (inv. nr. 7826), ornate dal tema cristologico entro un riquadro a piano ribassato (Farioli Campanati, 1983, fig. 32), il monumentale s. proconnesio di Doljani nel Montenegro (Nikolajeviâ, 1965, fig. 15), sicuramente di provenienza metropolitana, decorato anche sul coperchio a doppio spiovente dal gruppo trino di monogramma-lemnisci-croci, e la preziosa cassa in verde antico (Istanbul, Arkeoloji Müz., inv. nr. 823), da Piazza Beyazid, che reca sui lati lunghi la decorazione cristologica tripartita e la sola croce sui fianchi (Mendel, 1912-1914, III, nr. 1174; Farioli Campanati, 1983, fig. 35).
Alla tipologia a cassapanca - nota a Costantinopoli fin dal c.d. s. del Principe, della seconda metà del sec. 4° (Istanbul, Arkeoloji Müz.; Firatli, 1990, nr. 81), e diffusa altresì in Grecia (s. di Itaca; Orlandos, 1973, p. 87, fig. 45) - appartengono esemplari in marmo proconnesio con decorazione cristologica anche sui lati: due s. (Istanbul, Arkeoloji Müz., inv. nrr. 2805, 5667; Farioli Campanati, 1983, figg. 29-31), di cui il secondo, provvisto di coperchio a due spioventi con acroteri, ha il chrismon entro una corona tra due rosette, e una cassa all’esterno di Santa Sofia a Costantinopoli, che presenta la cornice arricchita da un kymátion.
Monumenti importanti, in materiale pregiato, sono: il c.d. s. di Eraclio (Istanbul, Arkeoloji Müz., inv. nr. 6227; Farioli Campanati, 1983, fig. 38), in marmo traslucido, che reca sui lati una grande croce ad alto rilievo; la piccola arca in breccia rossa di Hereke (Istanbul, Arkeoloji Müz., inv. nr. 4769: Farioli Campanati, 1983, fig. 40) con fianchi e coperchio a due spioventi decorati da una bella croce; altri due s. in verde antico (o breccia di Tessaglia) ornati dalla croce clipeata, l’uno proveniente da Santa Irene a Costantinopoli (Istanbul, Arkeoloji Müz., inv. nr. 3153; Farioli Campanati, 1983, fig. 37), l’altro proveniente dal monastero del Pantokrator di Costantinopoli e conservato nell’esonartece di Santa Sofia (Istanbul, Ayasofya Müz., inv. nr. 325; Farioli Campanati, 1983, fig. 36). Quest’ultimo, completo di coperchio a doppio spiovente con acroteri, è ornato su ogni faccia e sul coperchio dalla croce entro il clipeo; la sola croce contrassegna anche i timpani del coperchio. L’uso di decorare i coperchi con il simbolo cristologico è dunque una peculiarità di Costantinopoli, che si osserva, oltre che nei casi citati, in altri coperchi a due spioventi, di cui alcuni cristianizzati - come l’esemplare di Istanbul (Arkeoloji Müz., inv. nr. 2365; Farioli Campanati, 1983, fig. 44), arricchito, come spesso si riscontra, con crocette metalliche, e un coperchio di tipo panfilio (Firatli, 1960, figg. 26-27) -, ma anche nel tipo ‘a botte’, come in un esemplare nel giardino dell’Arkeoloji Müz. di Istanbul (Farioli Campanati, 1983, fig. 41), percorso longitudinalmente da una croce che ripropone quella di un coperchio semicilindrico con piccoli acroteri (Afyon, Arkeoloji Müz.) e che ritorna in esempi ravennati. Anche la lunetta ha la croce. È probabile dunque che una lastra semicircolare in calcinite (Istanbul, Arkeoloji Müz., inv. nr. 2699; Mendel, 1912-1914, III, nr. 1319), decorata dal monogramma entro la corona lemniscata tra due croci, sia da considerarsi pertinente a un analogo coperchio. A questo caso potrebbero riferirsi due lastre a forma di lunetta conservate a Samo (Byzantine Mus.) e ad Atene (Byzantine Mus.) con colombe antitetiche alla croce, tema ben noto sui fianchi dei coperchi ravennati sia a semibotte sia a doppio spiovente.
Non è dunque azzardato riferire all’area greco-orientale l’uso di decorare i coperchi con il simbolo cristologico e con animali antitetici, noto in esemplari dell’Asia Minore che recano sugli spioventi animali araldici (Keil, Wilhelm, 1931, nr. 154, tav. 47), anche in piccolo formato, collegati, come sulle fronti di altare ravennati (v. Esarcato), con un’architettura mistilinea (Cox, Cameron, 1937, nr. 59). Così la tipologia del coperchio a semibotte senza acroteri, prediletta a Ravenna e osservata in area egeo-costantinopolitana, ben conosciuta anche in Frigia e Licia, ha un interessante precedente nel s. palestinese del Dominus flevit, che reca sul coperchio la bipartizione longitudinale a specchiature con racemi che ritorna nell’arca di S. Decenzio a Pesaro (Farioli Campanati, 1980, p. 169, n. 56). La decorazione dei timpani di coperchi con il segno cristologico ha precedenti nei monumentali s. di imperatori, in porfido (Bovini, 1962, p. 165ss.), certamente realizzati nelle cave egiziane.
Quanto alla tematica decorativa delle casse, oltre a quella simbolico-cristologica, predominante negli esemplari di Costantinopoli e nota anche altrove, o con il clipeo isolato del mus. di Ma^arrat al-Nu^màn (Siria) o con la croce tra fogliami (s. da Hióarköy-Amorion, datato 591-592; Afyon, Arkeoloji Müz.; Buckler, Calder, 1959, nr. 386, con coperchio frammentario a semibotte), è documentata anche la composizione con animali antitetici a un elemento simbolico, così diffusa sui rilievi delle lastre (Mileto, Mus.; Smirne, Antiquarium; Farioli Campanati, 1983, figg. 13, 17-19), come per es. mostra la fronte di un s. di Keskin (Cox, Cameron, 1937, nr. 105), decorata da due grandi pavoni antitetici, tema che permane nel repertorio dei plutei (Ulbert, 1969, nr. 39, tav. 73; Farioli Campanati, 1983, p. 222, fig. 16, n. 22). Un’altra lastra postantica proveniente da Bolu, in Anatolia (Kollwitz, Herdejuergen, 1979, p. 141), è forse da intendersi come lato frontale di uno pseudo-s., caratterizzato da una coppia di cervidi ai lati della croce tra racemi (Istanbul, Arkeoloji Müz. inv. nr. 2465; Mendel, 1912-1914, III, nr. 1395; Firatli, 1990, nr. 267).
La morfologia decorativa delle fronti di s. a pannelli distanziati o contigui o tra loro collegati dalla cornice annodata o la più complessa configurazione ad arcate, che caratterizza i s. del sec. 6° e la decorazione dei plutei, permangono in età medio e tardobizantina nell’area egea e costantinopolitana (Feld, 1970) in esemplari differenziati dalle variazioni di stile e iconografia proprie delle varie epoche.
Il tipo a pannelli indipendenti distanziati da un largo listello centrale, come nel citato s. di Istanbul (Arkeoloji Müz., inv. nr. 2731), si ritrova in un esemplare del sec. 11° a Gebze, (giardino della Mustafa Paóa Cami; Feld, 1970, p. 179, tav. 12b), in Bitinia, che ne ripete anche il motivo a due rombi, mentre un s. di Konya (Sahib Ata Cami; Feld, 1970, tav. 11), sempre del sec. 11°, reca entro i due pannelli il diffuso motivo a cerchi intersecantisi. La croce, spesso accostata a motivi geometrico-floreali, caratterizza la maggior parte dei s. a pannelli incassati, come quello del 1050 di Serres (Pazaras, 1988, nr. 1), in Grecia, con specchiature quadrate tra loro distanziate e prive di cornice, connotato nel coperchio e sui fianchi dalla croce clipeata. Numerosi sono gli esemplari con analoga decorazione cristologica che campisce pannelli incorniciati, accostati (s. mediobizantini dell’Italia meridionale; Farioli Campanati, 1982b), specie in lastre di pseudo-s. di Arta, Atene, Andro (Farioli Campanati, 1982a, p. 288, n. 20; Pazaras, 1988, nrr. 48, 59, 70), e altre fronti a pannelli, ma collegati tra loro dalla cornice annodata, molto frequente in area egea dal sec. 10° al 14° (Pazaras, 1988, nrr. 22, 25, 35, 37), tra i quali la lastra frammentaria di pseudo-s. a Patmo (Farioli Campanati, 1984, p. 167, tavv. XLIII-XLVI e disegno ricostruttivo, ripreso da Pazaras, 1988, nr. 74), con specchiature a larghi intrecci annodati, tipici dei plutei coevi, alternate alla croce su gradini. Ben nota è anche la decorazione su campo unitario di una catena di cerchi, anche alternati a quadrati (s. di S. Marta a Genova), campiti da croci ed elementi ornamentali (rosette, girandole, ecc.), in esemplari della Bitinia (Feld, 1970, p. 161s., tav. 6a), dell’area greca (Pazaras, 1988, nrr. 4, 12, 33, 38, 41) e di quella costantinopolitana (coperchio di s. in Santa Sofia a Kiev; Grabar, 1976, tav. LVIIIb), ascrivibili per lo più entro il sec. 11°, mentre a epoca più tarda si datano altri s. che recano al centro l’arcata con la croce che interrompe la serie di cerchi (Pazaras, 1988, nrr. 45a-b, 46ab) o la croce libera tra fogliami (Pazaras, 1988, nr. 60).
Un altro gruppo di s., il più documentato, è quello ad arcate con croci, largamente diffuso in Macedonia e nell’Egeo (Pazaras, 1988, nrr. 5, 7-9, 17, 19-21, 26, 28-30, 32, 34, 37, 39, 40, 42-44, 49, 75-77), in Tracia (Feld, 1970, p. 160, tav. 5b) e in Asia Minore (Feld, 1970, p. 165, fig. 2). Nelle fronti più tarde, la coppia di colonnine che spesso caratterizza la scansione architettonica assume la tipologia annodata, consueta specie in epoca paleologa.
Le croci con terminazione dei bracci ‘a perla’ o arrotondati, poste su elementi vegetali o tra alberi (cipressi), spesso sono arricchite nei quadranti da orbicoli decorati; si ergono su podio e su asta (tipo processionale) o su base a gradini, elemento architettonico che caratterizza le colonnine semplici o doppie, sormontate in prevalenza da capitelli-imposta. Agli esempi citati si aggiunge il s. ad arcate di Santa Sofia di Kiev (Grabar, 1976, p. 86, tav. LVIIIb), di probabile provenienza metropolitana, che sul coperchio reca una decorazione a catena di grandi cerchi a loro volta annodati alla cornice. Sempre nella stessa chiesa è documentato l’altro tipo di s. decorato dal tema cristologico tripartito con chrismon entro clipeo, lemnisci e croci laterali, che riprende l’ornato di s. e plutei del sec. 6° ed è diffusissimo anche sulle lastre mediobizantine (Grabar, 1976, tav. LVIIIa). Il grande s. a cassapanca (Kiev, Santa Sofia; Grabar, 1976, tav. LVI), attribuito al principe Jaroslav (m. nel 1054), reca tra le due croci, inquadrata da cipressi, una grande patera, elemento decorativo-simbolico tipico dell’età comnena, che ricorda la grafica ed elegante decorazione tripartita di un noto esemplare proveniente da S. Giovanni di Efeso (Feld, 1970, p. 181, tav. 10,2).
Accanto ad alcuni esempi mediobizantini con decorazione cristologica su campo libero, costituita da tre croci in Grecia (Pazaras, 1988, nr. 4) e sul mar di Marmara (s. nell’area archeologica di Kuróunlu; Mango, Èevãenko, 1973, p. 258, fig. 107), in altri esemplari campeggia la croce isolata (Pazaras, 1988, nrr. 6, 56-57, 68) oppure inclusa in una nicchia, ma anche, in più tardi esempi, libera su gradini tra due clipei decorati da intrecci geometrici (Pazaras, 1988, nr. 66).
Alla configurazione canonica dei coperchi si aggiunge una singolare forma a sei cupole - che conferisce al monumento un aspetto architettonico - testimoniata solo da un disegno settecentesco (Mango, 1962, p. 397ss.). Con questo s. imperiale, attribuito a Manuele I Comneno (m. nel 1180), si intendeva forse imitare la Gerusalemme Celeste (Grabar, 1976, p. 30).
Quanto allo sviluppo dell’ornato, mentre nel sec. 11° esso si stagliava sul piano ribassato sul fondo liscio, secondo il tipo bidimensionale del sec. 6°, in seguito il fondo venne gradualmente invaso dalla decorazione fino a esserne ricoperto totalmente (metà del sec. 12°). Una novità è costituita dai s. completamente rivestiti da ornato a intarsio con inclusione di mastici colorati, che, specie verso la fine del sec. 13° (Pazaras, 1988, nrr. 45-46, 52), presentano elaborate realizzazioni. Si osservano inoltre, insieme ad arabeschi geometrico-vegetali, figure di animali, spesso araldici, anche inclusi da rotae che ricordano i tessuti orientali, e bordi percorsi da scritte pseudocufiche, già note, specie in area greco-egea, nei rilievi del sec. 11°, riflusso certamente islamico (Miles, 1964; Grabar, 1976, p. 15ss.).
In età paleologa, accanto a questo decoro a intarsio policromo, si affermò anche sui s. la scultura con figure umane in forte aggetto sul fondo, documentata in un esemplare di Beroia e nel s. di S. Teodora, del 1270, nell’omonima chiesa di Arta (Pazaras, 1988, nrr. 11, 50).
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