CUCINOTTA, Saro
Nacque a Messina il 18 sett. 1830. Sulla data di nascita, come del resto su tutta la biografia del C., esistono lezioni controverse: accettiamo quella, di solito più attendibile, del Ceci (1937), Poi seguita dalla Lorenzetti (1952), ecc. Prese parte ai moti risorgimentali del 1848 e negli stessi anni nutrì un amore non corrisposto per la messinese Concetta Aspa, sentimento che diede luogo a versi romantici più tardi pubblicati (M. Fugazzotto, Rime di S. C. ..., Messina 1908).
Mancano notizie sulla sua prima formazione, ma è da ritenersi che già sulla fine del quinto decennio seguisse i corsi di incisione di Tommaso Aloisio Juvara poiché nel 1850, con Gaetano Micale, segui a Napoli il maestro che andava a dirigere la scuola d'incisione in rame, in acciaio e "co' nuovi metodi" presso il locale istituto di belle arti. Non è noto l'anno di iscrizione presso l'istituto, avvenuta comunque prima del 1857, quando firmò la sua prima opera nota: si tratta di un pastello nero (Napoli, Accademia di belle arti, inv. 406), preparatorio per un'incisione a bulino (Roma, Calcografia nazionale, inv. n. 526).
In calce al pastello, desunto da S. Carlo Borromeo che soccorregliappestati, dipinto da G. Mancinelli per la chiesa di S. Carlo all'Arena in Napoli, si legge l'iscrizione a matita: "Gius. Mancinelli dip. Saro Cucinotta dis., diretto, con attiva partecipazione al lavoro, dal prof. Aloysio Juvara". L'incisione relativa fu firmata da Juvara con l'altro suo allievo, F. Di Bartolo.
Nel 1859 il C. espose all'ultima mostra borbonica un disegno desunto dallo Sposaliziomistico di s. Caterina del Correggio, poi tradotto da lui stesso in incisione (Roma, Calcografia nazionale, inv. n. 9). In entrambe le opere egli si dimostra seguace del cosiddetto "gran genere", del "bel taglio", che distingueva le incisioni di traduzione da esemplari antichi (Petrucci, 1958). Sulla fine del sesto decennio si avvicinò all'incisore F. Pisante e ai pittori che trovavano vasta fortuna presso i più giovani artisti per la loro ricerca sul "naturale", come F. Palizzi, ma anche per un più serrato rapporto tra opera d'arte ed impegno sociale, come G. Toma ed il calabrese A. Cefaly, con cui il C. ebbe rapporti strettissimi. I primi segni di questa mutata ricerca di esempi artistici si avvertono immediatamente dopo l'annessione del Meridione al Regno d'Italia: nel 1860 esegui una incisione di traduzione da esemplare fotografico molto diffuso: è il più noto ritratto di Giuseppe Garibaldi (Napoli, Museo di Capodimonte, Gabinetto delle stampe e dei disegni). Nel 1861 il C. era tra i consiglieri dell'appena costituita Società promotrice di belle arti di Napoli (della commissione fondatrice era presidente F. Palizzi), associazione che si contraddistingueva per la ricerca di un rapporto direno con il collezionismo d'arte contemporanea, fuori dalla soffocante mediazione dell'istituto di belle arti.
Nello stesso anno il C. vinse un premio all'Esposizione nazionale di Firenze (Servolini). In questo periodo cambiò radicalmente il genere di dipinti dai quali continuò a trarre le proprie opere (sono infatti rarissime sue composizioni originali): accanto al condiscepolo F. Di Bartolo ed al più giovane A. Piccinni, il C., pur conservando con la tecnica dell'acquaforte una qualità pittorica e chiaroscurale che la distingueva dall'ormai diffusissima litografia, si dedicò alla ripresa ed alla traduzione delle opere più fortunate dei pittori meridionali contemporanei, di incipiente fortuna.
Alla I Esposizione della stessa Società promotrice napoletana (si veda il catal., 1862, pp. 21, 187, 189, 191 s.) presentò, infatti, accanto ad un Cristo, tradotto da Carlo Dolci, soltanto incisioni tratte da dipinti contemporanei: un Ritratto di Giuseppe Verdi, da D. Morelli (ripr. in Natura ed arte, I [1900-1901], p. 464), un RitrattodiFulvio Atenolfi, da F. Palizzi, ed infine La tradita, dal dipinto di Cefaly. Ancora due acqueforti furono presentate nel 1864, alla III Esposizione della Promotrice napoletana: unRitrato recensito favorevolmente da F. Netti (1865) e L'infanzia del Petrarca, da G. Boschetto, incisione commissionata dalla Promotrice stessa per il dono annuale ai soci. In quegli anni, il C. tradusse in incisione anche il quadretto di G. Toma, I figli del popolo, che era stato presentato dal pittore alla Promotrice del 1862, e La morte di Bernardo Celentano, dal dipinto di G. Del Re.
Nel 1867 il C. eseguì l'incisione che gli valse la maggior fortuna critica: Il diluvio universale, tratta dal dipinto L'uscita degli animali dall'arca di F. Palizzi (1864; Napoli, Museo naz. di Capodimonte).
Di quest'opera la Lorenzetti 0953) notava che la composizione originale "appare come rinvigorita nella bella atmosferica interpretazione". Lo stesso C., agli esordi nel 1863 come critico d'arte, aveva testimoniato la suggestione del dipinto palizziano con queste parole: "Quel quadro, non ancora terminato, pochi lo hanno visto, e molti ne parlano; ma tra i pochi e i molti si può argomentare che è roba destinata a fare un gran rumore nel mondo artistico, e semiartistico; e puossi affermare, senza timore d'ingannarsi, che esso farà vedere il suo autore sotto un nuovo aspetto, perché proverà a que' San Tommasi che non ci vogliono credere ancora che il pittore dei ciuchi e delle mucche è pure un forte e profondo pensatore" (in Riv. napol. ..., 20 nov. 1863, pp. 35 s.).
Il C. aveva infatti intrapreso l'attività di critico d'arte, tenendo la rubrica "Passeggiate artistiche" nella Rivista napoletana di politica, letteratura, scienze, arti e commercio, diretta e pubblicata da A. Ciccone, G. Del Re e S. Gatti. Egli si firmava con lo pseudonimo di Ciarusarvangadàrsana, in sanscrito: come più tardi spiegò con tono scherzoso V. Imbriani (Arte moderna, 1865, n. 2), il nome significava "pulchram omnium membrorum speciem habens".
Il metodo critico del C. è chiaro fin dalle prime recensioni, appunto all'Uscita degli animali dall'arca, di Palizzi (20 nov. 1863), a Stanislao Lista (ibid.), a Tito Angelini, a Federico Maldarelli (10 dic. 1863): dapprima un'analisi del "fare critica d'arte" nell'Italia unita, poi la ricerca dei "concetto" che l'artista intende esprimere nell'opera singolarmente presa in esame, infine la "riuscita" espressiva dell'idea originaria: è quasi una risposta alla critica desanctisiana, con la sua lettura unitaria di "contenuto" e "forma".
L'anno successivo il C. passò, con l'appoggio di Imbriani, a tenere la "Rivista artistica" nelle "appendici" al giornale L'Italia, diretto da L. Settembrini (1864: nn. 19, 32, 42, 51) 76).
Dopo una prima recensione al pittore purista G. Mancinelli, che appare come contraddittoria all'esaltazione che nella stessa sede ne aveva tenuto un accademico, F. F., il C. passa ad una serie di articoli "militanti": l'occasione fu offerta dal concorso indetto dall'istituto di belle arti per gli allievi da mandare al pensionato fiorentino. Il C. criticò tutti i lavori esposti, sottolineando il limite di fondo dei concorsi "a tema fisso", giustificando i pur validi artisti presenti per la scarsa riuscita del loro lavoro: "Si direbbe che lo spirito accademico, il quale s'aggira invisibile nelle sale dell'Istituto, abbia soffiato su di essi l'alito suo narcotico, abbia più o meno tarpate le ali ai loro liberi ingegni colle cento e cento fila dei suoi precetti." (n. 32, 2 febbr. 1864). Nei numeri successivi approfondì l'attacco, criticando il Consiglio riunito dell'istituto di belle arti che "rappresenta, nel suo complesso, il passato, il vecchio elemento accademico" (n. 42, 13 febbr. 1864).
Con la dissociazione dei suo maestro, Juvara, dalle decisioni dell'istituto, con un biasimo della Società promotrice di belle arti, espresso il 26 febbr. del 1864, per cui "gli artisti napolitani dichiarano che l'Istituto di Belle Arti non rappresenta più l'Arte", fu aperta la strada alla relaZione al ministro della Pubblica Istruzione fatta dalla commissione nominata dalla Società promotrice (Dello stato presente dell'Istituto di belle arti in Napoli..., Napoli 1864), formata da F. Palizzi, D. Morelli, il C., S. Lista e F. Netti. La collaborazione a L'Italia cessò con un suo articolo (n. 76, 18 marzo 1864) dedicato all'opera di A. Vertunni, A. Carrillo e F. Rossano. mentre con Imbriani probabilmente già concepiva il progetto di un giornale indipendente, esclusivamente dedicato ai fatti dell'arte ed ai rapporti che si venivano configurando in quei giorni tra arte e istituzioni. Nacque così, nel 1865, L'Arte moderna: foglio settimanale da pubblicarsi finché non venga sciolto l'Istituto di Belle Arti in Napoli., che visse per soli due numeri.
Qui, proprio al C., che continuava a firmarsi con lo pseudonimo in sanscrito, vennero affidati gli articoli polemici contro le istituzioni artistiche, in cui egli prese nettamente posizione a favore degli artisti cosiddetti "innovatori" e della Società promotrice. Il C. mediava alcune posizioni estremiste: "Le Accademie e gli Istituti hanno avuto il loro tempo... Abolirli del tutto sarebbe il miglior partito; ma i nostri non sono tempi di riforme radicali" (n. 2, p. 28). Ad esemplificare la sua idea di innovazione in pittura, presentò due dipinti orientalisti di Marinelli, analizzandone gli elementi strutturali: "egli non ha certamente badato, né alle linee piramidali, né al dignitoso atteggiamento, né alla piega classica; qualche incipriato accademico alzerebbe gli omeri sprezzante, se pure non chiudesse gli occhi scandalizzato. Ma a noi teste riscaldate, avidi di novità, piace semplicemente perché risponde in tutto alla natura" (ibid., pp. 28 ss.).
Nello stesso 1865 (11 febbraio) e nell'anno successivo, il C. passò a scrivere su La Patria, sempre accanto ad Imbriani, e vi recensì la III e la IV Esposizione della Società promotrice (G. Doria, 1937, introd. a Imbriani, 1868, p. 5).
Allo stesso anno, probabilmente, risale l'ultima opera napoletana dei C.: le acqueforti per il secondo volume di Usi e costumi di Napoli, di F. De Bourcard, pubblicato a Napoli nel 1868 (il primo volume era uscito nel 1857).
A confronto con le incisioni del primo volume, tutte eseguite da F. Pisante, si nota nelle opere del C. un taglio maggiormente contrastato ed attento ai chiaroscuri, con evidente formazione realistica e maggior aderenza agli originali di Palizzi e degli altri disegnatori. In questo modo, il C. si inserì pienamente tra gli artisti meridionali del rinnovamento, nel passaggio dal linguaggio roman tico a quello realistico. Le opere sono, in particolare: Il venditore di fichi d'India, I camorristi, La questuante della Madonna del Carmine, I poveri dell'ospizio di S. Gennaro, tratti da disegni di P. Mattej; La friggitrice di zeppole, Il mellortaro, La tarantella da Teodoro Duclère; ed infine La Messa votiva, I mangia-maccheroni, Il caffettiere ambulante, Gli zingari, Le zingare, Il portatore d'acqua, Il carrettiere da Filippo Palizzi.
Negli ultimi mesi del 1866 il C. si trasferì a Parigi, probabilmente grazie alla mediazione di G. Palizzi. Scarse le notizie documentate sul soggiorno parigino: dell'epistolario intercorso con l'Imbriani restano solo (1868) le lettere di quest'ultimo, dalle quali apprendiamo che il C. era in contatto, oltre che con G. Palizzi, con numerosi artisti francesi; il C. coabitò con F. Netti fino ai primi mesi del 1871 quando, durante la Comune, Netti ripartì da Parigi.
Il 21 maggio 1871 il C. venne fucilato a Parigi: non sappiamo se avesse partecipato attivamente al movimento comunardo, o fosse solo volontario della Croce rossa, come il Netti. Una lapide, sormontata dal busto marmoreo dell'incisore, opera di S. Lista, lo ricorda nel cortile dell'istituto di belle arti di Napoli (oggi Accademia): "A Saro Cucinotta messinese - che in Napoli - sotto Aloysio juvara divenne acquafortista eccellente - fucilato a Parigi il 21 maggio 1871 - i suoi amici rimpiangendo l'artista e la vittima".
Fonti e Bibl.: Necrol. in Gazz. di Messina. 18 ott. 1871; C. Cantù, Della scuola d'incis. in Napoli, in Riv. ital. di sc., lett. ed arti, V (1864). pp. 25-42; V. Imbriani, La Quinta Promotrice, appendici a "La Patria", Napoli 1868 (poi in Critica d'arte e Prose narrative, a cura di G. Doria, Bari 1937, pp. 5, 168); F. Netti, Aproposito dell'Espos. di belle arti della Società Promotrice di Napoli (1865; erroneamente chiamato Cuccinotta come nel catal. dell'esposiz.), in Scritti vari, Trani 1895, pp. 28, 51. 120; T. A. Juvara. Della storia e dello stato odierno dell'incisione, Napoli 1868; F. Guardione, S. C., Palermo 1899; Prima mostra d'arte calabra, Bergamo 1912, p. 30; A. Maresca di Serracapriola, Pittori da me conosciuti, con prefazione di V. Sala, Napoli 1936, pp. 36, 69, 179; G. Ceci, Bibliografia per la storia d. arti figurat. nell'Italia merid., II, Napoli 1937, nn. 3897, 4209; C. Lorenzetti, L'Accad. di belle arti di Napoli (1752-1952), Firenze 1952, pp. 199, 200, 272; Id., in Mostra di stampe e guazzi napol. dell'Ottocento (catal.), Napoli 1953, pp. non num.; Accad. di belle arti di Napoli. Mostra celebrativa del bicentenarto 1752-1952, Napoli 1954, p. 38, tav. XLII; E. Mauceri, S. C. un dimenticato incisore messinese, in Brutium, XXXV (1956), 3-4, pp. 4 s.; N. Coppola, Un grande acquafortista dimenticato: S. C., in Nuova Antologia, dicembre 1956, pp. 537-48; L'opera del genio ital. all'estero, A. Petrucci, Gli incisori dal sec. XV al sec. XIX, Roma 1958, p. 173; A. Caputi, in La Galleria dell'Accad. di belle arti in Napoli, Napoli 1971, p. 106 n. 157; A. Negro Spina, L'incisione napol. dell'Ottocento, Napoli 1976, pp. 62, 108; M. A. Fusco, La Società Promotrice di belle arti di Napoli 1860-1864, in Atti del XXIV Congresso internaz. di storia dell'arte, Bologna 1981, pp. 157-162; U. Thieme-F. Becker, Künstlerlexikon, VIII, p. 186 (è errata l'indicazione che si riferisce a una incisione in Art Journal del 1874); L. Servolini, Diz. illustr. d. incisori ital. ..., Milano 1955, pp. 229 ss.