Sars
Minacce globali da virus emergenti
L'emergenza dell'infezione da Coronavirus SARS-CoV
di Maria Rapicetta
15 marzo
L'Organizzazione mondiale della sanità lancia l'allarme per il diffondersi di una grave sindrome respiratoria, chiamata SARS (Severe acute respiratory syndrome), di cui in un mese sono stati segnalati 150 casi, otto dei quali mortali. Il virus avrebbe avuto origine in Cina, nella provincia del Guangdong, dove si sarebbe manifestato già nel novembre 2002, e da lì si sarebbe diffuso in altri paesi dell'Asia orientale (Vietnam, Singapore e Thailandia) e poi anche in Canada, trasportato da viaggiatori provenienti da Hong Kong. L'OMS, per la prima volta nella sua storia, diffonde una guida ai viaggiatori, consigliando di non recarsi nelle aree ritenute infette.
Esordio e storia dell'epidemia
La sindrome respiratoria denominata SARS (Severe acute respiratory syndrome), caratterizzata da febbre, dispnea, ipossia, progressivo sviluppo di infiltrati polmonari, e frequentemente di esito letale, è stata identificata per la prima volta da Carlo Urbani, infettivologo italiano operante presso l'ospedale francese di Hanoi, in Vietnam, per conto dell'Organizzazione mondiale della sanità. La prima notifica del ricovero di pazienti affetti da una nuova forma di polmonite atipica presso lo stesso ospedale è stata effettuata da Urbani all'Ufficio regionale dell'OMS (sezione Pacifico occidentale) il 28 febbraio 2003. La sindrome è stata classificata come di nuova entità.
In base ad accertamenti retrospettivi, piccoli focolai epidemici di una forma di polmonite particolarmente severa erano stati già osservati, durante gli ultimi mesi del 2002, nelle zone rurali del Guangdong in Cina, senza però essere considerati di natura eccezionale. Il primo caso chiaramente riconducibile alla SARS, pervenuto all'osservazione in un ospedale della città di Fusham il 19 novembre 2002, aveva coinvolto quattro individui della medesima famiglia. I successivi episodi si erano verificati in varie città della stessa provincia della Cina. La notifica effettuata dalla Sanità cinese l'11 febbraio 2003 si riferiva a 305 casi con 5 decessi. Si metteva in evidenza anche l'elevato coinvolgimento di personale medico e infermieristico operante presso diverse strutture sanitarie nella città di Guangzhou, nella quale si era verificato il più elevato numero di casi.
La diffusione dell'infezione al di fuori del Guangdong è avvenuta in occasione del viaggio a Hong Kong di un medico nefrologo operante presso un ospedale di Guangzhou e della sua permanenza al Metropolitan Hotel di Kowloon (Hong Kong) dal 21 al 25 febbraio 2003. Nel medesimo piano dell'hotel avevano soggiornato, negli stessi giorni, una coppia di Toronto, un medico di Hanoi, e tre turisti di Singapore; a tutti è stata diagnosticata, al ritorno nel paese di origine, la polmonite SARS. Complessivamente, il medico di Guangzhou ha infettato a Hong Kong dodici persone. I successivi principali episodi epidemici si sono verificati a Hong Kong, Singapore, Taiwan, in Canada e nel Vietnam. A Hong Kong l'epidemia ha avuto la massima diffusione nell'ospedale Prince of Wales dove, al 25 marzo 2003, i pazienti affetti da SARS erano 156, prevalentemente operatori sanitari. Il fattore principale di trasmissione è stato identificato nell'uso improprio delle apparecchiature per la ventilazione polmonare, con conseguente formazione di aerosol infettanti in prossimità del paziente. Un altro centro di diffusione è stato riconosciuto in un vasto complesso abitativo, chiamato Amoy Gardens, nel quale si sono verificati 300 casi; nel complesso risiedeva un paziente in emodialisi presso l'ospedale Prince of Wales. In questo caso è stato ipotizzato che il meccanismo di trasmissione sia da attribuire al cattivo funzionamento della struttura fognaria, che ha permesso riflussi e aerosol nei sistemi di scarico delle abitazioni; un'altra ipotesi ha riguardato la possibile presenza di topi o altri piccoli animali che possono aver agito da vettore-serbatoio dell'infezione. A Singapore, Toronto e Hanoi l'estensione dell'epidemia è stata elevata sia tra il personale degli ospedali con maggiore affluenza di casi, sia tra i familiari dei pazienti ospedalizzati. Negli Stati Uniti e in Europa i singoli casi di infezione sono stati invece tutti correlati a viaggi o soggiorni nella aree asiatiche.
Nel mese di marzo 2003 la diffusione della SARS riguardava 1600 casi in 12 paesi (inclusi Stati Uniti e Canada) e mostrava un tasso di mortalità allarmante, tale da indurre la dichiarazione, da parte dell'OMS, dello stato di allerta globale, con l'organizzazione di una task force internazionale cui hanno partecipato undici centri di ricerca in tutto il mondo per le indagini cliniche, epidemiologiche e microbiologiche. Sono stati rapidamente definiti i criteri da utilizzare per l'identificazione dei casi probabili e dei casi sospetti al fine della compilazione delle notifiche, da effettuare in tempo reale con l'ausilio di una rete informatica istituita ad hoc. I dati delle notifiche hanno costituito la base per la definizione delle principali misure sanitarie da adottare, ai fini del contenimento dell'epidemia, in modo coordinato e nei vari paesi coinvolti. I criteri per la definizione di 'caso sospetto' e 'caso probabile' sono stati principalmente riferiti a dati clinici ed epidemiologici. In particolare, è stato definito caso sospetto il soggetto che presentava febbre superiore a 38 °C e uno o più sintomi di compromissione respiratoria e aveva avuto stretto contatto con persone cui fosse già stata diagnosticata la SARS; è stato definito caso probabile il soggetto che presentava inoltre segni radiologici di polmonite e positività virale ai saggi di laboratorio.
Al termine dei picchi epidemici erano stati identificati in totale 8422 casi, con 916 decessi verificatisi in 32 paesi (dati del 7 agosto 2003). Tali dati, seppure allarmanti, indicano il successo delle misure di contenimento dell'epidemia, potenzialmente caratterizzata da un elevatissimo indice di diffusione, sia per l'alta infettività dell'agente virale, sia per la presenza di una possibile duplice via di trasmissione (respiratoria e oro-fecale). Un impatto considerevole nel potenziale di diffusione ha, inoltre, la grande mole di spostamenti rapidi e ad ampio raggio, caratteristica dei nostri tempi. L'eccezionale organizzazione messa in atto dall'OMS, per la prima volta nella storia delle epidemie infettive, ha consentito nel brevissimo tempo di un mese (annuncio dell'OMS del 7 aprile 2003) l'identificazione e la caratterizzazione dell'agente eziologico virale coinvolto nei casi di infezione. Tale agente è stato definito come un nuovo virus classificabile in un gruppo separato del genere Coronavirus, della famiglia Coronaviridae, e denominato SARS-CoV. L'uso di metodiche diagnostiche di biologia molecolare, basate sull'amplificazione e il sequenziamento del genoma virale, associato con l'impiego di metodiche classiche di isolamento virale e di caratterizzazione antigenica e anticorpale, è stato di fondamentale importanza per la definizione dell'eziologia della SARS.
Caratterizzazione eziologica
L'identificazione di SARS-CoV come agente causale delle infezioni correlate alle epidemie verificatesi in Cina, Vietnam e Canada e degli altri episodi provocati da viaggi internazionali, è stata effettuata attraverso le ricerche realizzate in modo coordinato dalle cliniche e dai laboratori partecipanti alla rete dell'OMS. Particolarmente rilevante per gli aspetti virologici è stato l'apporto dei laboratori del CDC (Center for disease control and prevention) di Atlanta, del British Columbia cancer genome center di Vancouver, del Bernard Nocht Institute for tropical medicine di Amburgo, del Government virus unit di Hong Kong e del Department of virology dell'Erasmus University di Rotterdam.
L'analisi delle ricerche sulla caratterizzazione eziologica ha messo in evidenza la corrispondenza dell'ipotesi di SARS-CoV quale agente causale della SARS ai postulati di Robert Koch, modificati da Thomas M. Rivers per le infezioni di origine virale e universalmente accettati per la definizione della causa delle epidemie. In particolare sono stati soddisfatti i seguenti requisiti essenziali: isolamento del virus da materiale patologico relativo a casi coinvolti nell'epidemia; coltivazione del virus in colture di cellule (cellule di rene di scimmia Frh K4 e Vero E6); prova di filtrabilità dell'agente infettivo; comparsa di analoga sintomatologia e analogo quadro istologico a livello polmonare dopo l'inoculazione sperimentale in una specie animale correlata (la scimmia Macaca mulatta); reisolamento del virus da scimmie Macaca mulatta infette; rilevamento della risposta immunitaria specifica nei pazienti e nell'ospite sperimentale. L'isolamento virale è stato ottenuto dopo coltivazione, nelle cellule Vero E6, al 5°-6° giorno dall'inoculazione e, nelle cellule Frh K4, al 2°-4° giorno dall'inoculazione di campioni di lavaggio e/o aspirato naso-faringeale, campioni oro-faringei, campioni di sputo e campioni di feci. La presenza di un rapido effetto citopatico è stata osservata nella subcoltura a 48 ore dall'inoculazione. Il virus è stato visualizzato morfologicamente mediante immunoelettromicroscopia. Le sequenze genomiche virali, che presentavano livelli di omologia compatibili con la classificazione virale nell'ambito del genere Coronavirus della famiglia Coronaviridae, sono state ottenute dopo amplificazione di RNA estratto da secrezioni respiratorie e da vario materiale autoptico. Sono state applicate metodiche di amplificazione genica dopo retrotrascrizione del genoma virale (RT-PCR). Tali metodiche sono state basate sull'utilizzazione di nested primers, specificatamente sintetizzati e indicati dal CDC e dal Bernard Nocht Institute a tutti i laboratori, per l'amplificazione di frammenti genomici virali relativi alla regione codificante la polimerasi virale 1b. Tali primers sono stati selezionati dopo l'analisi delle prime sequenze genomiche virali, identificate con l'uso di random primers in una metodica di RT- PCR. A seguito dei saggi effettuati sui campioni patologici ottenuti da diversi pazienti, è stata osservata una concentrazione virale considerevolmente più elevata su campioni di sputo rispetto a campioni di liquidi di lavaggio oro-faringeo (100 milioni di copie/ml). Questo dato indica la possibilità di elevata contagiosità nella trasmissione attraverso aerosol contenenti goccioline di saliva oltre che attraverso il contatto con le secrezioni dell'apparato respiratorio. In generale, la via principale di trasmissione è comunque risultata legata a stretti contatti interumani. La presenza di sequenze virali è stata anche evidenziata in campioni di siero dopo concentrazione attraverso ultracentrifugazione. Ciò indica la possibilità della presenza di una diffusione sistemica dell'infezione e di una localizzazione virale in vari tessuti, oltre al livello respiratorio. La presenza virale è stata inoltre messa in evidenza su campioni di materiale fecale nella fase di tarda convalescenza della malattia. Pertanto l'eliminazione del virus con le feci può rappresentare un'ulteriore fonte di contagio. La presenza di anticorpi specifici (IgG e IgA) è stata osservata, con l'applicazione di metodi di immunofluorescenza, a partire da 10 giorni dopo la fase acuta.
Questi dati indicano che la diagnosi eziologica di nuovi eventuali casi potrà essere effettuata (applicando metodiche di RT-PCR per il rilevamento virale e di immunofluorescenza per il rilevamento anticorpale) utizzando i campioni solitamente impiegati e seguendo i classici criteri della diagnosi delle infezioni virali respiratorie ed enteriche.
Il completamento della caratterizzazione eziologica secondo i postulati di Koch è stato effettuato, come già accennato, attraverso la valutazione delle infezioni sperimentali di due scimmie della specie Macaca mulatta, inoculate con liquido di coltura di cellule Vero E6 infettate con SARS-CoV. Gli animali hanno sviluppato dopo tre giorni esantema cutaneo transiente e dopo quattro giorni sintomatologia e alterazioni a carico dell'apparato respiratorio. L'escrezione del virus è stata rilevata dopo 2-6 giorni su liquido nasale e faringeo. Il virus è stato anche isolato dalle feci. L'esame microscopico tissutale ha messo in evidenza alterazioni polmonari multifocali e il virus è stato rilevato nel tessuto polmonare. L'esame istologico ha rilevato diffuso danno alveolare, necrosi dell'epitelio bronchiale e alveolare, liquido proteinaceo con misto di fibrina, eritrociti, macrofagi e neutrofili negli alveoli, poche cellule giganti (sincizi) nel lume dei bronchioli. Queste lesioni sono corrispondenti a quelle osservate nel tessuto autoptico di pazienti deceduti a causa della SARS. Il confronto delle sequenze nucleotidiche del genoma virale, effettuato per i primi SARS-CoV isolati, con le sequenze dei ceppi prototipo di Coronavirus umano, bovino, felino, canino e suino (gruppo I e gruppo II di Coronavirus) e di Coronavirus aviari (gruppo III) ha mostrato valori di identità compresi tra il 40% e il 70%. Si tratta di valori simili a quelli che sono usualmente osservati tra differenti gruppi di Coronavirus. L'analisi filogenetica ha messo in evidenza che SARS-CoV si colloca tra i gruppi II e III (fig. 3); ne viene pertanto proposta la classificazione nell'ambito di un nuovo gruppo (gruppo IV). Non è stata riscontrata evidenza di riassortimento genico tra Coronavirus noti o manipolazioni genetiche di laboratorio.
Origine del virus
La problematica dell'origine del virus ha richiesto e richiede tuttora, per la definizione delle ricerche, l'applicazione di un approccio multidisciplinare, basato sulla partecipazione di vari centri clinici e di laboratori virologici, e la programmazione di piani di studio formulati ad hoc.
La problematica si colloca nell'ambito di un settore disciplinare molto attuale e pressante: la ricerca sulle nuove malattie infettive emergenti. Il particolare impatto è dato dalla considerazione della sempre maggiore possibilità di spostamenti a livello globale degli individui e delle popolazioni, e della frequenza dell'adozione di nuovi costumi e abitudini di vita, soprattutto in relazione ai rapidi sviluppi delle varie tecnologie e agli interscambi culturali.
Un'infezione viene classificata come 'emergente' se compare per la prima volta in una popolazione, o se è preesistente ma è caratterizzata da un improvviso e rapido incremento dell'incidenza e/o dell'ampiezza dell'area geografica interessata. Nell'emergenza di nuove infezioni vengono usualmente descritte due fasi: la prima di introduzione e la seconda di stabilizzazione e diffusione. Nella fase di introduzione possono essere cruciali i fattori legati ai cambiamenti dell'ambiente. Inoltre, i numerosi esempi riportati di infezioni originatesi come zoonosi (trasmissione da vertebrati a uomo) suggeriscono che il pool zoonotico costituisce, attraverso l'introduzione di infezioni da parte di varie specie animali domestiche o selvatiche, un'importante sorgente di epidemie e di emergenza di nuove malattie infettive. I recenti esempi di infezioni virali emergenti sono stati spesso associati a cambiamenti ecologici, particolarmente nel settore dell'agricoltura e dell'uso del territorio. Le cause scatenanti sono state frequentemente associate a fattori legati allo sviluppo tecnologico ed economico. Ne sono un esempio, in agricoltura, i cambiamenti nell'ecosistema idrico, la deforestazione/riforestazione, i mutamenti del clima, l'incremento di specie animali che possano fungere da serbatoio o da vettori per i virus (topi o altri piccoli roditori, artropodi e insetti). Tali mutamenti ecologici possono essere legati sia ai cambiamenti delle tecnologie agricole, sia ai fenomeni di urbanizzazione delle popolazioni rurali. A questi fattori sono state associate le infezioni emergenti di febbri emorragiche in Argentina e Bolivia, la febbre della Rift Valley, le febbri emorragiche e le sindromi polmonari da Hantavirus in Corea e negli Stati Uniti sudorientali, le ricorrenze di febbre di Lassa e di febbre gialla.
Altri fattori sono rappresentati dalle migrazioni delle popolazioni e dai cambiamenti demografici e di abitudini sociali, che possono verificarsi anche in occasione di guerre, dai mutamenti nelle abitudini sessuali, dall'incremento dell'uso di droghe iniettive, dagli usi abitativi in strutture con elevata densità di individui. Alcuni di questi fattori sono stati cruciali per l'emergenza di infezioni che hanno avuto diffusione globale, come l'infezione da HIV, e per l'emergenza di dengue e altre infezioni trasmesse per via sessuale. Inoltre, i cambiamenti nelle tecnologie alimentari e la loro globalizzazione, la sempre maggiore diffusione dei farmaci biologici e dei trapianti di organi e tessuti hanno favorito l'emergenza di sindromi quali l'encefalite spongiforme bovina (BSE) e la variante della malattia di Creutzfeldt-Jakob (MCJ), oltre che dell'AIDS e di vari tipi di epatiti virali. Fattori legati all'adattamento e all'evoluzione microbiologica (drift antigenico) danno origine alla circolazione di ceppi di virus influenzale diversi, mentre l'insorgenza di pandemie influenzali può essere legata allo sviluppo di allevamenti misti e a elevata densità di maiali e anatre, molto frequenti in alcune regioni della Cina, inclusa la provincia del Guangdong. L'emergenza di ceppi influenzali riassortiti (ceppo aviario-suino H5N1) si è verificata nel 1997 con l'evenienza di infezioni influenzali caratterizzate da elevata patogenicità nell'uomo. Non noti sono i fattori legati all'emergenza delle malattie di Ebola e di Marburg, forse correlate all'importazione in Europa e negli Stati Uniti di scimmie da paesi orientali.
Alcune specie animali, sia selvatiche sia domestiche, sono pertanto legate ai cicli e alla storia naturale di parecchie malattie virali nell'uomo. La natura zoonotica e la possibilità del passaggio all'uomo da una specie animale (salto di specie) sono state dimostrate per il virus dell'influenza di tipo A aviaria (H5N1) e per l'HIV (dalle scimmie), mentre sono attualmente solo ipotizzate per il virus Ebola dalle scimmie e per la variante della MCJ dai bovini. Molto interessante è l'ipotesi, formulata recentemente, che anche alcune specie di pesci possano essere coinvolte nella trasmissione di virus, per es. alcuni Calicivirus, ad altre specie animali. Per l'infezione da SARS-CoV la possibilità dell'origine attraverso ricombinazione genica di Coronavirus umani e/o animali noti è stata esclusa. L'elevata diffusione di Coronavirus nell'ambito di numerose specie animali ha fatto tuttavia sviluppare l'ipotesi, anche in considerazione che l'area geografica di origine dell'infezione (Guangdong) presenta un elevato livello di densità di allevamenti misti e un'elevata presenza di animali selvatici, che possa esistere un serbatoio animale da cui il virus sia stato trasmesso all'uomo. Gli studi preliminari effettuati su polli e suini farebbero allo stato attuale escludere una trasmissione da parte di questi animali da allevamento. Le ricerche su 25 diverse specie di animali selvatici, frequentemente venduti nei mercati di Hong Kong e provenienti dalla provincia del Guangdong, hanno invece portato all'isolamento di un Coronavirus con struttura genetica simile al virus SARS-CoV in tre specie animali (Paguma larvata, Nyctereutes procyonoides, Melogale moschata). Inoltre il livello di prevalenza di anticorpi anti-SARS-CoV negli operatori di un grosso mercato di animali selvatici di Hong Kong è risultato significativamente più elevato rispetto alla popolazione generale. Questi dati sono tuttavia preliminari e necessitano, per una eventuale conferma, di ulteriori ricerche.
Struttura e biologia del virus
Il virus SARS-CoV è stato classificato, sulla base dell'analisi morfologica al microscopio elettronico e dell'analisi della sequenza genomica, nella famiglia Coronaviridae (ordine Nidovirales) e in particolare nel genere Coronavirus che include attualmente tre diversi gruppi sierologici. Il I e il II gruppo includono virus dei mammiferi, il III gruppo include virus aviari. Nell'ambito di ciascun gruppo i virus sono distinti per il tipo di ospite, per le caratteristiche antigeniche e per l'organizzazione del genoma.
Tutti i Coronavirus presentano stretta specificità di ospite e sono in grado di replicarsi in colture cellulari in vitro, inducendo diversi livelli e tipi di effetto citopatico. Sono causa di malattia respiratoria ed enterica e, in alcuni casi, di malattia sistemica caratterizzata da particolare gravità. Alcune infezioni da Coronavirus sono rilevanti dal punto di vista veterinario; tra queste, le infezioni da virus emoagglutinante dell'encefalomielite (HEV) e da virus della diarrea epidemica (PEDV) nei suini e le infezioni da virus della bronchite infettiva (IBV) nei polli. Inoltre, un mutante virulento di un ceppo di Coronavirus felino (FPIV) può causare peritonite fatale nel gatto. I Coronavirus noti come causa d'infezione nell'uomo sono classificati nell'ambito del I e del II gruppo e sono associati a lieve malattia respiratoria con esclusiva affezione a livello delle alte vie. I ceppi prototipo sono: HCoV-299E ed HCoV-OC43.
I Coronavirus sono virus con genoma a RNA di polarità positiva e sono provvisti di un involucro esterno (envelope) che contiene delle proiezioni (spikes) che conferiscono al virione, nelle immagini al microscopio elettronico, il caratteristico aspetto 'con corona'. Si replicano nel citoplasma della cellula ospite e possono rimanere associati alle membrane cellulari. Il genoma, di 27-32 chilobasi, è il più grande nell'ambito dei virus a RNA ed è in grado di codificare 23 diverse proteine, strutturali e non strutturali, la cui funzione è attualmente nota solo in alcuni casi.
Il genoma di SARS-CoV è di 29,7 chilobasi e possiede, in analogia con gli altri Coronavirus, una struttura poli-A all'estremità 3' e una struttura cap all'estremità 5'. È in grado di iniziare la traduzione di una poliproteina corrispondente al principale frammento codificante (gene 1) di 20 chilobasi, che viene successivamente clivata, principalmente a opera della proteasi virale 3CLpro, per la produzione dell'enzima RNA-polimerasi RNA-dipendente (pol). L'attività di questo enzima è cruciale sia per la sintesi dell'RNA a polarità negativa, che costituisce l'intermedio di replicazione che dà origine al nuovo RNA genomico a polarità positiva, sia per la sintesi di una serie di RNA subgenomici di dimensione decrescente che costituiscono un set nested (a nido) con in comune l'estremità 3' e il frammento poli-A. La presenza di questi RNA subgenomici nella replicazione è caratteristica dell'intero ordine Nidovirales, al quale danno il nome.
Gli RNA subgenomici sono funzionalmente monocistronici e producono tutte le proteine strutturali: la proteina del nucleocapside (N), la glicoproteina di membrana (M), la glicoproteina dell'envelope (E) e delle spikes (S) e inoltre, per i Coronavirus del gruppo II, una emoagglutinina-esterasi (HE).
Nel genoma di SARS-CoV le proteine strutturali sono codificate nello stesso ordine rispetto agli altri Coronavirus e sono analogamente assemblate per la formazione della particella virale, o virione. Il virione è costituito da un core, formato dal nucleocapside (con associato l'RNA) e dalla proteina M, e da un'envelope, formata dalle proteine E e S (fig. 3), mentre manca la proteina emoagglutinina-esterasi; inoltre la caratterizzazione spettrofotometrica delle proteine N e S ha messo in evidenza alcune differenze rispetto ai Coronavirus prototipo. Tali differenze, tuttavia, non sono tali da poter spiegare il grado di patogenicità considerevolmente più elevato. Le variazioni presenti nella sequenza della proteina S potrebbero avere un certo impatto, in considerazione sia della sua importante funzione nell'attacco del virione alla membrana della cellula ospite (binding) e nella penetrazione intracellulare, sia del suo coinvolgimento nei fenomeni di emoassorbimento e di fusione cellulare associati alla replicazione virale. La proteina S è inoltre rilevante nell'ambito della risposta immunitaria specifica dell'ospite (insieme alle proteine M e N). Non è chiaro però se le mutazioni riscontrate possano dar luogo a variazioni di range di ospite o di tropismo cellulare e virulenza.
Le ricerche effettuate su SARS-CoV hanno portato all'identificazione del sito cellulare di binding virale sulla membrana cellulare, riconosciuto nel recettore CD13. Per quanto concerne la possibilità di applicazione di antivirali specifici nell'inibizione del ciclo replicativo virale, le ricerche finora effettuate hanno permesso la caratterizzazione della proteasi 3CLpro e della molecola coinvolta nell'iniziazione dell'assemblaggio virale (signal packaging), risultata omologa a quella di Coronavirus murini e bovini.
Un aspetto importante della genetica dei Coronavirus è, oltre alla presenza di un elevato numero di prodotti genici che rende estremamente complesso lo studio dettagliato del loro ciclo replicativo, l'elevata frequenza di formazione di mutanti virali caratterizzati da delezioni di porzioni genomiche o originati da ricombinazione genica. La conseguente insorgenza di nuovi ceppi virali può portare alla circolazione di virus con aumentato livello di patogenicità. Un esempio è rappresentato dall'emergenza, negli anni Ottanta, di un ceppo di Coronavirus suino (PR6V), che costituiva un mutante di delezione della porzione di genoma relativa alla proteina S ed era originato da un altro ceppo suino (TGEV). Questo nuovo virus ha prodotto gravi epidemie di infezioni respiratorie negli allevamenti di suini in Europa e negli Stati Uniti.
Una caratteristica biologica peculiare è inoltre quella, rilevata sperimentalmente, della formazione di particelle virali interferenti con genoma difettivo (particelle DI); tali particelle sono in grado di replicarsi solo in presenza di un altro virus che funge da helper e possono interferire con la propagazione di quest'ultimo. Esse sono state descritte per Coronavirus umani, bovini e suini.
L'analisi filogenetica delle sequenze dei ceppi di SARS-CoV finora caratterizzati (genoma completo di nove isolati virali; porzioni di sequenze genomiche di cinque isolati virali) ha messo in evidenza l'associazione in un unico raggruppamento degli isolati virali originati dai pazienti che avevano contratto l'infezione al Metropolitan Hotel di Hong Kong e del relativo caso-indice. Dal confronto con le sequenze degli altri Coronavirus umani e animali noti, effettuato anche in questi studi, SARS-CoV risulta essere un ceppo patogeno completamente nuovo e non derivante da ricombinazione.
Storia naturale e quadro clinico
L'infezione da SARS-CoV è caratterizzata da un periodo di incubazione di 2-7 giorni. Nella fase prodromica della malattia sono presenti sintomi di tipo simil-influenzale. Durante la prima settimana della fase acuta la sintomatologia è costituita da febbre, malessere, mialgia, mal di testa, irrigidimento. Durante la seconda settimana sono presenti inoltre tosse secca, dispnea, diarrea. Nei casi più gravi si sviluppano rapidamente segni di stress respiratorio e di desaturazione di ossigeno. Nel 20% dei casi è necessaria terapia intensiva, nel 70% dei casi è presente diarrea, caratterizzata dall'eliminazione di ampi volumi di liquidi e assenza di sangue e muco. Il massimo livello di infettività è probabilmente presente nella seconda settimana. Il tasso di mortalità, in base a quanto riportato negli studi clinici effettuati durante i principali episodi epidemici, è variabile. Sono stati osservati valori dallo 0% a più del 50%, con tasso medio dell'11%. Il principale fattore associato a valori di elevata mortalità è quello dell'età, superiore ai 65 anni, seguito dal sesso maschile e dalla presenza di co-morbilità. Nei casi di SARS in gravidanza sono state osservate elevate percentuali di aborto per i primi mesi e mortalità materna in gravidanza avanzata. Per quanto concerne il quadro patologico, le modificazioni a livello polmonare, evidenziabili radiologicamente e indicative di danno alveolare diffuso, possono essere presenti già nei primi 3-4 giorni della fase acuta e anche in assenza di segni clinici di grave compromissione a livello respiratorio. Tali modificazioni radiologiche sono tipicamente evolutive, iniziando con segni di lesioni periferiche unilaterali che successivamente progrediscono in aspetto di lesioni multiple. Gli stadi successivi possono includere la presenza di pneumotorace spontaneo, pneumomediastino, fibrosi subpleurale e/o cistica. All'esame istopatologico sono presenti: denudazione dell'epitelio bronchiale con perdita di ciglia e metaplasia squamosa, presenza di infiltrato di cellule giganti e segni di possibile alterazione dello spettro di citochine, come indicato dall'aumento dei macrofagi alveolari e dalla presenza di emofagocitosi. Le particelle virali sono state visualizzate al microscopio elettronico nel citoplasma di cellule epiteliali.
I principali reperti, per quanto riguarda le alterazioni dei parametri ematologici e biochimici, sono stati: linfopenia, leucopenia e trombocitopenia. L'elevazione dei valori di lattatodeidrogenasi (LDH) e la presenza di diabete sono stati associati a una prognosi di malattia più severa. A livello sierico possono essere presenti ipocalcemia e alterazione dei valori di transaminasi, particolarmente nei casi di coinvolgimento enterico; inoltre sono stati osservati segni di deplezione linfocitaria.
I segni clinici che permettono di differenziare la SARS dagli altri casi di polmonite community acquired sono essenzialmente i reperti radiografici, la presenza di linfopenia, l'assenza di risposta alle usuali terapie antimicrobiche e in generale l'esito più grave della malattia. Come possibili trattamenti vengono attualmente indicati quelli a base di corticosteroidi e di antivirali, in aggiunta all'applicazione di mezzi meccanici di ausilio respiratorio.
L'identificazione di sostanze antivirali per terapie specifiche è uno dei principali obiettivi delle ricerche attualmente in corso. La precisa caratterizzazione del ciclo replicativo virale e l'identificazione di target molecolari precisi costituiscono lo strumento indispensabile per la formulazione di molecole antivirali efficaci. Alcuni studi sono focalizzati sulla possibilità di formulazione di molecole specifiche per l'interazione con alcuni enzimi chiave nell'ambito del ciclo replicativo virale, quali l'elicasi, la proteinasi SARS-CoV-PL2 e soprattutto l'enzima più importante coinvolto nel clivaggio della poliproteina codificata dall'RNA genomico per la produzione della RNA-polimerasi RNA-dipendente, cioè l'enzima SARS-CoV-3CLpro, di cui è stata identificata la struttura cristallografica e per cui è stato effettuato lo screening virtuale dei farmaci a base di inibitori delle proteasi attualmente noti.
Epidemiologia, controllo e prospettive
La scoperta che un nuovo Coronavirus è la causa di una nuova sindrome respiratoria di considerevole gravità è un esempio dell'attualità della tematica riguardante l'emergenza delle malattie virali. Le infezioni da Coronavirus rappresentano circa il 30% di tutte le infezioni delle alte vie respiratorie nell'uomo e generalmente causano malattie di lieve entità. In contrasto, i Coronavirus possono essere agenti di epidemie di infezioni respiratorie, enteriche e sistemiche, anche economicamente rilevanti, negli allevamenti di polli, di suini e di animali da laboratorio.
Gli studi effettuati hanno dimostrato che nel periodo antecedente all'epidemia non erano presenti anticorpi contro questo nuovo virus nelle popolazioni umane e animali residenti nelle aree geografiche interessate. Da marzo a luglio 2003, importanti episodi epidemici si sono verificati a Hanoi, Hong Kong, Toronto e Singapore (fig. 1). La risposta dell'OMS, attraverso le organizzazioni locali e una dozzina di laboratori in tutto il mondo, è stata molto rapida e per la prima volta è stato dichiarato lo stato di allerta globale. Prontamente è stata elaborata la definizione di caso clinico ai fini della notifica dei casi di malattia e per la valutazione dell'entità dell'epidemia e della sua distribuzione geografica. Sono state approntate le necessarie ricerche per l'identificazione dell'agente causale e sono state fornite linee guida sulle misure da adottare negli spostamenti delle persone e nella definizione dei casi nei quali applicare le misure di quarantena. All'inizio di luglio 2003 l'OMS ha reso noti dati che indicavano che il numero dei casi era in declino e che l'epidemia era sotto controllo. Gli sforzi attuali mirano sia all'interruzione del ciclo di trasmissione, sia a evitare che l'infezione divenga endemica particolarmente nelle regioni della Cina dove si è verificato il maggior numero di eventi e dove è possibile che un serbatoio animale del virus sia tuttora presente.
Una particolare attenzione viene posta agli aspetti della sorveglianza post-epidemica. Sono state allertate le strutture e approntati i sistemi per una rapida identificazione dei casi che potrebbero verificarsi a partire dalla stagione autunnale 2003 nell'ipotesi che la SARS, come altre infezioni respiratorie, possa presentarsi con un andamento stagionale. Le possibilità di errata classificazione con casi di polmonite atipica e di sindromi da stress respiratorio esistono tuttora, in conseguenza della scarsa specificità dei criteri clinici identificati. Le ricerche dovranno pertanto essere focalizzate a standardizzare l'associazione con i criteri epidemiologici che possono incrementare la specificità e standardizzare soprattutto gli strumenti affidabili per la diagnosi di laboratorio. Viene fatto particolare riferimento agli strumenti per la diagnosi rapida basati sul rilevamento dell'acido nucleico virale. L'OMS ha definito criteri e obiettivi del piano SARS alert in uno specifico documento del 14 agosto 2003.
Bisogna tuttavia tenere presente che, sebbene siano stati compiuti importantissimi progressi grazie agli studi di biologia molecolare che hanno portato alla definizione e alla caratterizzazione molecolare dell'agente virale SARS-CoV, persistono numerosi quesiti sull'epidemiologia dell'infezione. Infatti non sono ben noti alcuni punti cruciali della malattia, quali l'esatto tasso e il periodo di infettività. Tali dati sono indispensabili sia per la valutazione dell'impatto numerico, prevedibile in una determinata popolazione in situazione di insorgenza di epidemia, sia per la pianificazione di interventi mirati di sanità pubblica. La variabilità delle risposte individuali e delle singole istituzioni rendono difficile il compito dell'epidemiologo, tuttavia gli studi effettuati sui principali episodi epidemici della primavera del 2003, e in modo particolare sulle epidemie di Hong Kong, Toronto, Singapore e Hanoi, hanno consentito la focalizzazione di un quadro epidemiologico generale attraverso l'utilizzazione dei dati preliminari sulle singole epidemie allora in corso e dei dati globali derivati dalle notifiche di infezione. Sono stati pertanto effettuati studi per la definizione quantitativa del potenziale epidemico dell'infezione, anche ai fini delle misure di controllo da applicare. Il messaggio principale che è emerso da tali studi è che il virus SARS-CoV è sufficientemente trasmissibile e tale da causare vaste epidemie se non tempestivamente identificato; esso non è tuttavia contagioso al punto da non essere controllabile con buone misure generali di sanità pubblica.
Alcune ricerche sono state compiute applicando modelli matematici dinamici nei quali gli individui sono stati posti nelle classi, mutualmente esclusive, di: individui suscettibili, individui esposti (con infezione latente), individui infettivi e individui guariti (immuni). Sono stati utilizzati i dati disponibili dalle ricerche diagnostiche, effettuate sui primi casi di infezione identificati, al fine della definizione dei periodi di latenza, di incubazione e di infettività e sono stati confrontati i modelli matematici ottenuti con i dati reali del numero dei casi osservati. Il dato ottenuto sulla numerosità epidemiologica che determina il potenziale di diffusione dell'infezione è stato calcolato dell'ordine di 2-4 nelle epidemie di Hong Kong e di Singapore. Questo dato indica che, in assenza di rilevamento dei casi clinici e di applicazione di speciali misure di controllo, l'infezione è in grado di colpire la maggior parte della popolazione. Si deve inoltre considerare che questo dato è stato computato non tenendo in considerazione l'esistenza di individui superspreading. Nell'epidemia di Singapore è stato appurato che tra i primi 201 casi probabili riportati, 103 individui erano stati infettati da 5 sole sorgenti di infezione. Altri punti rilevanti da tenere in considerazione sono la possibilità di esistenza di portatori asintomatici e la possibilità di esistenza di periodi di accresciuta infettività nella storia naturale dell'infezione. Nell'epidemia di Hong Kong è stato osservato che nell'8,6% dei casi non era possibile identificare la fonte di infezione e che un accresciuto potenziale di infettività era presente per alcuni pazienti durante i primi 10 giorni dall'inizio dei sintomi. Queste caratteristiche biologiche e patogenetiche potrebbero, se confermate, avere un impatto sulle valutazioni del potenziale di diffusione finora effettuate e conseguentemente sulla pianificazione delle misure di controllo. Durante il periodo epidemico le misure di controllo adottate, dopo l'identificazione delle aree geografiche interessate, sono state l'isolamento dei casi sintomatici e l'applicazione di misure di quarantena per i casi di contatto. Tali misure sono state efficaci per l'interruzione dell'epidemia in queste aree, così come sono risultati validi i provvedimenti relativi agli spostamenti degli individui e delle merci dai luoghi delle epidemie alle aree non ancora interessate, ai fini di circoscrivere l'epidemia stessa. Le ricerche, ancora in corso, sono focalizzate in particolare sulla definizione di alcuni aspetti patogenetici ed epidemiologici importanti, come quello della durata dell'immunità acquisita, della presenza o meno di stagionalità dell'infezione e dell'esistenza e del possibile ruolo di serbatoi animali. La disponibilità di questi dati costituisce un importante elemento per esatte valutazioni modellistiche che diano la possibilità di influire sull'elevato potenziale di diffusibilità ed è comunque di fondamentale importanza per affrontare piani di eradicazione dell'infezione su larga scala.
Malattie infettive emergenti e riemergenti
Nonostante i grandi progressi conseguiti nel corso del 20° secolo in campo medico, farmacologico e dell'igiene, le malattie infettive costituiscono ancora oggi la principale causa di morte nel mondo. Secondo l'Organizzazione mondiale della sanità, infatti, di circa 52 milioni di decessi che si registrano ogni anno nel mondo, circa 17 milioni sono causati da malattie infettive.
Nell'ambito delle malattie infettive si definiscono emergenti quelle dovute a infezioni precedentemente sconosciute e tali da ingenerare problemi di sanità pubblica a livello tanto locale quanto internazionale, riemergenti quelle dovute al riapparire di infezioni note, ma che per il diminuito tasso di morbosità non erano più considerate un problema di sanità pubblica. Sono causa di malattie emergenti virus (per es. virus di Ebola, HIV, virus dell'epatite C, virus 'sin nombre', virus dell'influenza A H5NI) e batteri (per es. Legionella pneumophila, Borrelia burgdorferi, Vibrio cholerae O139, Escherichia coli O157:H7). Fra le malattie riemergenti le più diffuse sono le infezioni respiratorie acute (polmonite), le infezioni diarroiche (dissenteria e colera), la malaria e la tubercolosi. Ogni anno più di un milione di bambini muore di malaria solo nell'Africa sub-sahariana. Circa 200 milioni di persone in tutto il mondo sono parassitate da Schistosoma, responsabile delle elmintiasi, e ogni anno da 35 a 60 milioni di persone contraggono la dengue, malattia virale sostenuta da un Flavivirus. Le malattie infettive non sono peraltro confinate nelle sole regioni a clima tropicale. Si valuta che ogni anno negli Stati Uniti si verifichino circa 600.000 casi di polmonite, che causano fra 25.000 e 50.000 morti. Più di 10.000 casi di difterite sono stati diagnosticati in Russia dal 1993 al 1997, a causa di un deterioramento del sistema di vaccinazione. Nei primi anni Novanta un'epidemia di colera è riapparsa in America Meridionale dopo un'assenza di circa un secolo, e dal 1991 al 1994 sono stati registrati più di un milione di malati e circa 10.000 morti. Durante gli anni Ottanta, dopo decenni di declino, è riemersa un po' dovunque la tubercolosi con ceppi resistenti a vari antibiotici, che ne hanno reso più difficile il controllo. Differenti fattori possono contribuire all'insorgere o al riemergere di una malattia infettiva. Quelli più frequentemente indicati sono i viaggi e gli spostamenti (per turismo, migrazioni ecc.), che permettono a un microrganismo patogeno di muoversi all'interno di una popolazione previamente non esposta e/o non vaccinata, cioè non immune; la produzione, la manipolazione e la distribuzione su vasta scala degli alimenti; le variazioni ambientali (deforestazione, inquinamento delle acque sotterranee); la maggiore suscettibilità della popolazione, dovuta a vari fattori (sovraffollamento, invecchiamento, malnutrizione, stress ecc.) che possono agire sinergicamente diminuendo la capacità degli individui di difendersi dalle infezioni; la variabilità genetica dei microrganismi, che permette a un patogeno di sviluppare in tempi brevi nuovi geni coinvolti nei meccanismi di virulenza e/o nella resistenza ai metodi terapeutici standard.
Viaggi e migrazioni
I viaggi rappresentano una delle più frequenti cause dell'insorgenza e della diffusione delle malattie infettive. I viaggiatori, soprattutto quando sono accompagnati da animali, possono agire da vettori per introdurre un microrganismo potenzialmente patogeno in una nuova regione geografica, dove può sopravvivere, proliferare e trovare un modo per entrare in un ospite suscettibile (pianta, insetto, animale ecc.). Per contro, i viaggiatori possono essere sensibili a infezioni endemiche locali, verso le quali la popolazione autoctona risulta immune. Non necessariamente l'ingresso di un microrganismo in una nuova area geografica porta all'insorgere di una malattia. I microrganismi che hanno limitazioni ambientali oppure artropodi come vettori sono più difficilmente introdotti in una nuova regione geografica; per es., la dengue non può diffondersi in un'area geografica dove la zanzara vettore non è presente. I microrganismi trasmessi per contatto diretto (individuo-individuo) - per es. gli agenti eziologici della tubercolosi, dell'AIDS, del morbillo, della pertosse, della difterite, dell'epatite B e C - possono invece essere portati molto facilmente dai viaggiatori e diffondersi nella nuova regione. In tutti i casi la manifestazione di una malattia infettiva può essere molto grave quando un microrganismo patogeno viene introdotto in una popolazione suscettibile a esso, cioè non previamente esposta a questa infezione né resa immune mediante un adeguato programma di vaccinazione. Si valuta che negli anni Novanta più di 500 milioni di persone all'anno abbiano attraversato confini internazionali con aerei commerciali. Emigranti, missionari, studenti, lavoratori stagionali, pellegrini, forze militari di pace e così via rappresentano le categorie di viaggiatori più numerosi (con spostamenti individuali o di massa). All'inizio degli anni Novanta il numero di emigranti era di circa 20 milioni, mentre dieci anni dopo arrivava a circa 70-90 milioni. La maggior parte di costoro, proveniente da paesi in via di sviluppo, lavora legalmente o illegalmente nei paesi industrializzati. La mobilità delle persone è aumentata anche all'interno delle stesse regioni. Secondo alcune stime, all'inizio del 21° secolo più del 50% della popolazione mondiale abita in zone urbane e vi sono 24 megacittà con più di 10.000.000 di abitanti. Nelle zone urbane periferiche le cattive condizioni sanitarie permettono la crescita di portatori di agenti patogeni, come artropodi, roditori e altri animali. Nei campi profughi, a causa del sovraffollamento e dell'assenza di controlli sanitari, di pulizia, di acqua, di cibi sani e di protezione contro i vettori, si determinano le condizioni ideali per l'insorgere e il diffondersi di malattie infettive.
Ruolo degli alimenti
Uno dei più importanti fattori di rischio per l'insorgere delle malattie infettive è rappresentato dalla cattiva preparazione degli alimenti. Basti considerare che circa l'85% di tutti i nuovi focolai di malattie infettive è dovuto a una errata manipolazione dei cibi. Nel corso del 20° secolo si è passati rapidamente da un tipo di produzione locale, con una preparazione e un consumo familiari, presente ancora in alcune popolazioni rurali, alla produzione industriale, con una manipolazione tecnologica e una distribuzione su vasta scala di alimenti facilmente deteriorabili. Le tecnologie applicate alla preparazione industriale degli alimenti possono ridurre in tre modi differenti l'esposizione dei consumatori ai potenziali patogeni. Il primo gruppo di tecnologie rimuove o distrugge tutti i patogeni mediante sanitazione: trattamento con il calore (pastorizzazione, brevi periodi ad alte temperature), trattamento con radiazioni, separazione fisica (filtrazione, gravità, centrifugazione). Il secondo gruppo di tecnologie mantiene i contaminanti a livelli al di sotto della soglia di pericolo attraverso l'uso di preservanti chimici (batteriostatici), essiccamento o disidratazione e refrigerazione o congelamento. Il terzo gruppo previene la contaminazione degli alimenti attraverso la pulizia degli ambienti e l'utilizzo di sistemi di inscatolamento o imballaggio adeguati. Per evitare pericoli di contaminazione microbiologica, fatta eccezione per gli alimenti freschi e i grani secchi, bisogna adottare almeno una delle tecnologie citate di ogni gruppo. Queste tecnologie devono essere però applicate nella sequenza giusta e la loro efficacia va controllata costantemente. L'infezione alimentare implica generalmente l'ingestione dell'agente patogeno, seguita dalla sua proliferazione con invasione e/o liberazione di tossine nell'intestino dell'ospite. Salmonellosi, listeriosi, shigellosi, yersiniosi, campilobatteriosi (enterite determinata da batteri appartenenti al genere Campylobacter) e gastroenterite da Escherichia coli o da Vibrio parahaemolyticus sono tra le principali malattie infettive trasmesse per via alimentare. Carni, pollame, pesci, latte, prodotti caseari e frutti di mare sono gli alimenti più coinvolti. In generale, le malattie veicolate da alimenti sono sempre associate a un basso livello igienico e a un circuito oro-fecale in cui il cibo rappresenta il collegamento fondamentale tra i vari ospiti. Nella lotta contro questo tipo di malattie la ricerca di biomarcatori (indicatori genetici o biochimici della presenza di un agente patogeno) è diventata estremamente importante. Tali biomarcatori dovrebbero indicare un aumento potenziale della virulenza, un'accresciuta persistenza nell'ambiente, una maggiore resistenza al calore o a valori di pH sfavorevoli, ai conservanti, ai preservanti e agli antibiotici. Vengono sempre più utilizzate tecniche di biologia molecolare, come l'ibridazione in situ e l'amplificazione del DNA mediante PCR. Lo sviluppo e l'impiego di queste metodiche sono assolutamente necessari in quanto garantiscono l'individuazione, in modo rapido e selettivo, di virus, batteri o protozoi a crescita lenta o non coltivabili.
Inquinamento idrico
Alcuni microrganismi patogeni, come batteri e protozoi, possono sopravvivere nell'acqua e infettare l'uomo. Aeromonas hydrophila, Chromobacterium violaceum, Legionella pneumophila, Pseudomonas aeruginosa, Salmonella enteritidis, Vibrio cholerae, Vibrio parahaemolyticus e Yersinia enterocolitica sono i batteri patogeni più comunemente trasmessi per via idrica. Fra i protozoi, invece, sono state identificate differenti specie di Giardia, Cryptosporidium e Acanthamoeba. Sono inoltre trasmessi per via idrica (ciclo oro-fecale) i virus responsabili della gastroenterite virale acuta (per es., Rotavirus, Adenovirus enterici ecc.). Questa malattia diarroica colpisce frequentemente neonati e bambini da 1 a 11 mesi, causando tra 5 e 10 milioni di morti per anno, soprattutto nei paesi dove la malnutrizione è diffusa. Gravi problemi per la salute umana possono insorgere anche per la contaminazione delle acque di falda.
Suscettibilità della popolazione
Un microrganismo può diventare patogeno a causa di cambiamenti che sono avvenuti nella suscettibilità all'infezione da parte dell'organismo ospite. Questo sarà tanto più suscettibile quanto minori saranno le difese che sarà in grado di opporre al microrganismo. Un aumento nella suscettibilità alle infezioni può essere misurato sia in termini di dose infettiva (il numero di microrganismi necessario per causare la malattia) sia in funzione della capacità dell'ospite di limitare la propagazione del microrganismo (per es., dal tratto intestinale al sangue). I fattori che influenzano la suscettibilità degli ospiti all'interno di una popolazione consistono in un incremento del numero di pazienti immunocompromessi, in un aumento dell'uso dei farmaci immunosoppressori, particolarmente nei pazienti sottoposti a chemioterapia o a trapianto di organi, nell'invecchiamento della popolazione e nella malnutrizione. Le malattie ereditarie associate a immunosoppressione sono presenti in una piccola, ma relativamente costante, porzione della popolazione: la più comune di queste malattie è la deficienza di immunoglobulina A. Rispetto ai pazienti affetti da immunodeficienza ereditaria, però, è andata rapidamente aumentando la popolazione con immunodeficienza acquisita. Le persone affette da AIDS mostrano un chiaro incremento della suscettibilità (fra 20 e 100 volte) a infezioni da Salmonella, con un notevole aumento di rischio di setticemia. Questo dipende anche dalla presenza endemica di un agente patogeno (o di una malattia); per es., in Perù il rischio di tifo (Salmonella typhi) è 25 volte più alto in persone affette da AIDS. L'infezione polmonare da Pneumocystis carinii rappresenta una delle più frequenti infezioni opportunistiche della malattia. Alcuni studi condotti nell'area di San Francisco hanno mostrato che i pazienti affetti da AIDS sono colpiti da listeriosi con una frequenza 280 volte maggiore rispetto a quella del resto della popolazione. Altri dati indicano che il 5-10% dei malati di AIDS soffre di toxoplasmosi cerebrale, un'encefalite provocata da Toxoplasma gondii, microrganismo patogeno che può essere trasmesso con gli alimenti. Anche i progressi delle cure mediche hanno causato un aumento del numero di pazienti immunodepressi. Si trovano in questa condizione i pazienti sottoposti a trapianto di organo oppure a chemioterapia o quelli affetti da malattie croniche che presentano un aumentato rischio di infezione da microrganismi non associati a malattie gravi. Ciò ha determinato un incremento nella popolazione del numero di individui cronicamente immunocompromessi. Oltre agli agenti immunosoppressori, molti altri fattori possono contribuire ad aumentare la suscettibilità all'infezione. L'esempio più classico è il trattamento con antibiotici, i quali possono ridurre drasticamente la flora batterica del tratto intestinale. Inoltre, gli agenti terapeutici possono avere effetti diretti sulla mucosa intestinale, provocando infiammazioni e causando una diminuzione delle cellule linfoidi. In questo contesto, qualunque microrganismo presente nel tratto intestinale può entrare nel sangue e causare una malattia fatale. Nei paesi sviluppati, inoltre, va aumentando costantemente il numero, sia assoluto sia relativo, di anziani nella popolazione totale. Si può dire che l'anzianità è correlata con l'incremento del rischio di morte a causa di malattie infettive in quanto la senescenza del tessuto linfoide dell'intestino, o il decremento delle secrezioni gastriche, aumentano la suscettibilità. Considerando che l'acidità nello stomaco è la maggiore barriera verso i microrganismi patogeni (soprattutto quelli enterici), è evidente che la sua riduzione può aumentare la suscettibilità alle infezioni. I fattori incidenti sulla suscettibilità degli individui (ospiti) finora illustrati risultano più rilevanti nei paesi industrializzati, mentre complessivamente la malnutrizione può essere considerata la causa principale dell'incremento della suscettibilità degli ospiti alle infezioni nei paesi in via di sviluppo. La malnutrizione aumenta la suscettibilità attraverso vari meccanismi: alterando l'integrità epiteliale dell'intestino; agendo sull'immunità mediata da cellule; abbassando la produzione di immunoglobuline. Inoltre, negli individui malnutriti si crea una forma di circolo vizioso: una prima infezione, alterando la mucosa intestinale, potenzia gli effetti della malnutrizione; il progressivo indebolimento, a sua volta, aumenta il rischio di future infezioni e così via. Studi realizzati in Bangladesh hanno dimostrato che le infezioni (attraverso gli alimenti o l'acqua) con microrganismi patogeni che provocano diarrea si verificano con la stessa frequenza sia nei bambini ben nutriti sia in quelli malnutriti; la diarrea nei bambini malnutriti ha però un decorso più lungo e conseguenze più gravi.
Variabilità genetica
Se la specie umana fosse sottoposta a una selezione biologica in risposta ai fattori selettivi imposti da una malattia infettiva emergente, il numero di individui dovrebbe ridursi drasticamente in poche settimane o mesi, prima di risalire di nuovo molto lentamente. Al contrario, gli uomini sono in grado di modificare facilmente il proprio comportamento, per es. evitando i contatti con micro- e macroparassiti, e hanno a proprio vantaggio nuove tecnologie, come vaccini, antibiotici e test diagnostici. Ciononostante, la nostra specie è intrinsecamente più vulnerabile oggi rispetto a un recente passato, almeno in termini di suscettibilità alle pandemie e alle malattie infettive. Questa suscettibilità è dovuta soprattutto al sinergismo con il quale intervengono i fattori di rischio finora illustrati, come la mobilità, il sovraffollamento, l'inquinamento, la malnutrizione ecc. Per es., nella produzione di immunoglobuline che segue ogni infezione si ha un processo di selezione naturale. Una produzione apparentemente casuale di immunoglobuline viene generata mediante mutagenesi localizzata (somatica). L'immunità trasmessa dalla madre ai figli riduce la probabilità di infezione di questi ultimi, permettendo un nuovo equilibrio ospite-patogeno dovuto alla preimmunizzazione dell'ospite. Questi fenomeni di adattamento ospite-patogeno, non mediati da variazioni genetiche ereditarie, complicano le conseguenze attese. Nei batteri, la variabilità genetica è la principale causa della loro capacità di adattarsi e di sopravvivere anche in condizioni ambientali molto sfavorevoli. I microrganismi sono estremamente più veloci e flessibili rispetto agli uomini nella risposta a variazioni ambientali. Lo scambio di materiale genetico tra batteri, o tra batteri e virus, che avviene mediante i meccanismi di coniugazione, trasduzione e integrazione lisogenica, è molto efficace. Di conseguenza, materiale genetico trasmissibile (come i plasmidi) è disperso in tutto il mondo dei microrganismi. Il trasferimento di geni (e della loro informazione genetica) è così importante nell'evoluzione dei batteri che la loro patogenicità, o la loro resistenza ad antibiotici, non può essere considerata solo conseguenza dell'evoluzione naturale (cioè di proliferazione clonale) di un ceppo. È stato dimostrato che la capacità di mutare e di scambiare materiale genetico non è costante, ma è certamente sotto controllo genetico e può variare in relazione alle condizioni nelle quali i microrganismi si trovano ad agire. Si può quindi concludere che nella lotta contro la variabilità dei geni microbici l'arma migliore che gli uomini possono usare è la conoscenza e non l'intervento della selezione naturale sui propri geni. I virus sono in grado di abbandonare un genoma, di diventare unità di replicazione autonoma nelle cellule ospiti, di reintegrarsi in un altro genoma e ripetere il ciclo innumerevoli volte. L'epidemia di influenza del 1918 denominata spagnola può essere considerata un prototipo di infezione virale emergente. La malattia, caratterizzata da un attacco fulmineo di polmonite, uccise tra 20 e 25 milioni di persone in tutto il mondo, in particolare giovani. Oggi non possiamo prevedere la conseguenza finale della pandemia di AIDS; potrebbero emergere ceppi virali con un periodo di latenza più lungo, che avrebbero l'effetto di mitigare la malattia, come invece potrebbero emergerne altri più letali, cioè con una maggiore capacità di sorpassare le barriere indotte dal sistema immunitario dell'ospite e di proliferare rapidamente dentro di esso. Le malattie infettive rappresentano infatti un complesso processo coevolutivo che comprende l'unione, la biforcazione, l'emergere e il riemergere di nuove specie.
Terapia e prevenzione
Nel caso delle malattie infettive emergenti risulta particolarmente necessaria la prevenzione, dal momento che, quando un focolaio epidemico inizia a diffondersi, l'uso indiscriminato degli antibiotici e la capacità dei microrganismi di scambiare materiale genetico portano inevitabilmente a un incremento della resistenza dei patogeni. Nei batteri la resistenza agli antibiotici è codificata in gruppi di geni. Negli ultimi anni del 20° secolo si è osservato un notevole aumento della resistenza dei batteri a diverse classi di antibiotici, dovuto a trasferimento laterale (orizzontale) dei geni localizzati su plasmidi o trasposoni. Alcuni microrganismi patogeni, come, per es., gli agenti eziologici della tubercolosi e del colera, possono diventare resistenti fino a dieci differenti antibiotici. Inoltre, l'uso degli antibiotici nella terapia di alcune infezioni intestinali (per es., in quella provocata da Escherichia coli O157:H7) viene sconsigliato, in quanto, provocando la lisi delle cellule batteriche, potrebbe favorire il rilascio di particolari tossine che hanno un ruolo importante nell'insorgenza della sindrome emolitico-uremica. In futuro le biotecnologie potrebbero far diventare gli uomini resistenti a certe malattie infettive mediante terapia genica somatica, superando in questa maniera le variazioni casuali e la selezione naturale. In assenza di alternative questo tipo di terapia potrebbe assumere enorme importanza per la nostra specie.
L'Organizzazione mondiale della sanità
La cooperazione internazionale in ambito sanitario prima della creazione dell'OMS
L'importanza della cooperazione tra i vari Stati per arginare la diffusione delle malattie cominciò a essere avvertita intorno alla metà del 19° secolo. A causa del dilagare di diverse epidemie in Europa tra il 1830 e il 1847, si sentì l'esigenza di redigere delle norme nell'interesse comune: il Regolamento sanitario internazionale del 1853, elaborato dalla Conferenza sanitaria internazionale convocata a Parigi nel 1851, è il primo esempio di regolamentazione sovranazionale della quarantena marittima. Altre conferenze si tennero nella maggiori città europee nel corso della seconda metà dell'Ottocento fino a giungere all'accordo di Roma del 9 dicembre 1907 e alla creazione dell'Ufficio internazionale di igiene pubblica (OIHP, Office international d'hygiène publique) con sede a Parigi. Intanto, la cooperazione sanitaria internazionale in campo regionale registrava successi per certi aspetti ancora più significativi con la costituzione, nel 1902, per iniziativa della seconda Conferenza internazionale degli Stati americani, dell'Ufficio sanitario internazionale, poi PASB (Pan American sanitary bureau), precursore dell'odierna Organizzazione sanitaria panamericana (PAHO, Pan American health organization). La tendenza a creare una struttura più ampia, che riunisse paesi di tutto il mondo, si accentuò dopo la Prima guerra mondiale quando, in seguito alla creazione della Società delle Nazioni, fu fondata l'Organizzazione di igiene della Società delle Nazioni, che aveva accordi di cooperazione sia con l'OIHP sia con il PASB. Nonostante le difficoltà derivanti dalla mancata unificazione sanitaria internazionale, preziosi contributi furono: la Convenzione sanitaria internazionale del 1926, organizzata dall'OIHP, che estese al tifo e al vaiolo il trattamento prima riservato alla peste, al colera e alla febbre gialla; la Convenzione sanitaria internazionale per la navigazione aerea del 1935; la creazione, nel 1938, del Consiglio sanitario, marittimo e di quarantena ad Alessandria d'Egitto. Al termine della Seconda guerra mondiale fu creata, per la prestazione di concrete forme di assistenza diretta nei paesi più colpiti dalla violenza bellica, l'Agenzia per l'assistenza e la responsabilità amministrativa delle Nazioni Unite (UNRRA, United Nations relief and rehabilitation administration), la prima vera agenzia di assistenza internazionale, sciolta nel 1946.
La costituzione dell'OMS
Nonostante il primo disegno della Carta delle Nazioni Unite non facesse specifico riferimento alla salute come uno degli interessi dell'ONU, l'Assemblea generale riunita a San Francisco nel 1945 si dimostrò sensibile alla necessità di estendere la cooperazione internazionale al campo sociale e in particolare al campo della sanità. Su proposta delle delegazioni brasiliana e cinese il diritto alla salute fu inserito nella Carta e si decise di convocare una conferenza per la creazione di un organismo mondiale che se ne occupasse. Il 22 luglio 1946, a New York, fu sottoscritto dai rappresentanti di 61 Stati (51 dei quali membri delle Nazioni Unite), il Trattato istitutivo dell'Organizzazione mondiale della sanità (OMS o WHO, World health organization), entrato in vigore il 7 aprile 1948. L'Italia è membro dell'Organizzazione dall'11 aprile 1947 (la ratifica avvenne con d. lgs. cps. 4 marzo 1947, nr. 1068). L'obiettivo centrale dell'Organizzazione, sinteticamente delineato dall'art. 1 del suo Trattato istitutivo, è quello del raggiungimento, da parte di tutti i popoli, del "livello sanitario più elevato possibile". Tra le sue principali funzioni, oggetto di un elenco in 22 punti contenuto nell'art. 2, vi sono: l'assistenza ai governi che ne facciano richiesta per migliorare i servizi sanitari; l'assistenza tecnica e l'aiuto di emergenza su richiesta o accettazione dei governi; l'attività di stimolo alla prevenzione e alla promozione del progresso in tutte le materie connesse con quella sanitaria; la promozione della cooperazione scientifica; la standardizzazione dei procedimenti diagnostici. L'OMS si impegna inoltre a tenere sotto costante sorveglianza le malattie, infettive e non, in modo particolare quelle tropicali, a elevato rischio di contagio; promuove programmi di prevenzione (per es. vaccinazioni su vasta scala), assistenza sanitaria alla maternità e igiene alimentare in collaborazione con la FAO e l'UNICEF, di lotta all'uso di sostanze stupefacenti ecc.; fornisce assistenza in casi di emergenza. Organi dell'OMS sono: l'Assemblea mondiale della sanità, composta di delegati di tutti gli Stati membri; il Consiglio esecutivo, formato da 31 esperti nominati da altrettanti Stati membri scelti per tre anni e rinnovati per un terzo ogni anno dall'Assemblea, tenendo conto di un'equa ripartizione geografica; il Segretariato, organo amministrativo guidato da un direttore generale. In ognuna delle sei regioni geografiche individuate dall'OMS (Africa, Americhe, Mediterraneo orientale, Europa, l'Assemblea mondiale della sanità (World health assembly) è l'organo dominante: determina le scelte operative dell'organizzazione, detiene il potere normativo ed esercita il controllo effettivo sull'operato del Consiglio esecutivo e del Segretariato. Ciascuno Stato membro può essere rappresentato da tre delegati (uno dei quali designato dal capo della delegazione), scelti tra le persone più qualificate per competenza tecnica nel campo sanitario e preferibilmente provenienti dall'amministrazione sanitaria nazionale. A ciascuna delegazione spetta un voto. L'Assemblea si riunisce in sessione ordinaria una volta all'anno e in sessione straordinaria su richiesta del Consiglio esecutivo oppure dalla maggioranza degli Stati. L'OMS, operando come autorità direttrice e coordinatrice delle attività svolte a livello internazionale nel campo della sanità, collabora con le autorità sanitarie nazionali, con le organizzazioni professionali e con le organizzazioni non governative. Attraverso l'emanazione e il periodico aggiornamento dei Regolamenti sanitari internazionali e l'adozione di convenzioni multilaterali, detta una complessa normativa in materia di prevenzione e controllo, scambio e circolazione di informazioni, standard di qualità dei prodotti farmaceutici ecc.
Regolamenti internazionali
L'Assemblea, in ottemperanza all'articolo 21 del Trattato istitutivo dell'Organizzazione mondiale della sanità ha adottato due regolamenti: Regulations nr. 1 e nr. 2. Il primo risale al 1948, ha il nome di Nomenclature regulations e concerne la nomenclatura delle malattie e le cause di morte, con obiettivi di comparazione. Tale regolamento, aggiornato più volte, costituisce una guida per gli Stati membri per la redazione di statistiche sulla mortalità e la morbilità in relazione alla causa, all'età e al sesso nelle diverse aree territoriali e, in secondo luogo, un nuovo orientamento nel diritto internazionale diretto alla formulazione di obblighi tra Stati senza la firma e la ratifica tipica dei trattati formali. Il secondo regolamento, adottato dalla quarta Assemblea nel 1951 con il nome di International sanitary regulations, è divenuto poi International health regulations (IHR), subendo diverse revisioni in modo da essere adeguato alle emergenze sanitarie. È allo studio una nuova edizione che sarà pubblicata nel 2005. Le disposizioni riguardano, oltre alla notifica dei casi di malattie infettive, vari altri campi come le misure che gli Stati devono adottare per proteggere il proprio territorio, le regole per il commercio e i viaggi internazionali, le misure di disinfestazione e derattizzazione dei mezzi di trasporto internazionali, i documenti sanitari richiesti per i viaggi internazionali. La revisione del 2005 introdurrà nuovi concetti operativi tra cui la notifica di "tutte le pubbliche emergenze di interesse internazionale" (quindi non soltanto delle malattie espressamente indicate dal regolamento), la verifica, in risposta a una segnalazione dell'OMS, dell'eventuale diffusione di epidemie sul proprio territorio, la costituzione e il mantenimento di un nucleo nazionale per una risposta rapida alle emergenze e l'assistenza internazionale reciproca.
La risposta alle emergenze
Dopo la creazione dell'OMS, gli allarmi sulle malattie emergenti e/o riemergenti si sono tradotti in iniziative nazionali e internazionali per ricostruire e migliorare la sorveglianza e il controllo delle malattie trasmissibili. Nel 1992 una risoluzione dell'Assemblea mondiale della sanità invitava tutti gli Stati membri a rafforzare la sorveglianza per individuare rapidamente malattie riemergenti e identificare nuove malattie infettive. Questa risoluzione si è tradotta nel 1995 nella costituzione dell'EMC (Division of emerging and other communicable diseases surveillance and control), poi divenuta CSR (Communicable disease surveillance and response), la cui missione consiste nel rafforzare la capacità nazionale e internazionale di sorvegliare e controllare le malattie infettive, comprese quelle che rappresentano problemi sanitari nuovi, emergenti e riemergenti, verso i quali occorre assicurare una risposta tempestiva ed efficace. L'Assemblea mondiale della sanità ha riconosciuto che il successo di questa iniziativa dipende soprattutto dalla capacità di ottenere informazioni sulle malattie infettive e dalla volontà di comunicarle a livello nazionale e internazionale. Ogni fonte di informazione formale (governi, uffici regionali dell'OMS ecc.) e informale (è stato creato un motore di ricerca che esplora la rete per reperire ogni possibile informazione) viene utilizzata al fine di tracciare una mappa dettagliata delle situazioni infettive in evoluzione, di dare un tempestivo allarme nei casi necessari e di scambiare conoscenze tecniche. Oltre a un consuntivo annuale, l'OMS pubblica settimanalmente un documento di informazione rapida e accurata sulle emergenze epidemiologiche (WER, Weekly epidemiological report), disponibile gratuitamente on-line in edizione bilingue (inglese e francese). Un sistema di informazione interattiva sulle malattie infettive è inoltre fornito dal Global atlas of infectious diseases, creato per mettere insieme le informazioni relative a statistiche di malattie infettive nei singoli paesi e all'analisi e all'interpretazione dei dati standard in relazione alle condizioni demografiche ed economiche delle zone interessate.