SASANIDI
Dinastia iranica che regnò in Persia tra il 226 d.C. e la conquista araba della regione, completata intorno al 640.
L’arte sasanide è sempre stata considerata, nell’opinione della maggior parte degli studiosi, come una delle espressioni culturali più significative di tutta la produzione figurativa antico-iranica, non solo per l’importanza che alcuni aspetti e valori iconografici e iconologici, propri di quella produzione, hanno rappresentato in sé, ma anche e soprattutto per la capacità che essi hanno avuto di espandersi e proiettarsi nel tempo e nello spazio, fino alla Cina e al Mediterraneo.
Al pari della produzione artistica achemenide e di quella partica, l’arte sasanide manca di una lettura organica: criteri come quello dinastico-familiare o quello cronologico o ancora quello politico-imperiale non sembrano offrire elementi utili per uno studio dello stile artistico sasanide. Inoltre, insufficiente appare l’indagine archeologica dell’Iran e, com’è noto, numerosi oggetti di ‘tradizione sasanide’ provengono dal c.d. Iran esteriore. In questo contesto essi riflettono una moda sasanide esportata in aree e in tempi lontani da quelli nei quali si sarebbe originariamente prodotta, con particolare riferimento a produzioni come quella argentea o vetraria, che di fatto costituiscono i pochi, se non gli unici, punti fermi stilistico-formali sui quali ancorare ipotesi cronologiche coerenti per il resto della produzione figurativa.
Va tuttavia osservato che permangono alcuni punti fissi nella definizione di un’arte ‘sasanide’, se si considerano in tal senso i rilievi rupestri, le iscrizioni che essi recano, la monetazione e la sfragistica, che insieme concorrono a una più puntuale definizione del fenomeno grazie al loro apparato iconografico e simbolico. Alcuni dei valori artistici dell’Iran sasanide si diffusero in seguito oltre i confini politico-territoriali nei quali erano stati prodotti, raggiungendo l’Estremo Oriente, così come l’Atlantico, e contribuendo in maniera determinante alla formazione dell’arte medievale europea e asiatica. L’uso della cupola su trombe angolari, la planimetria basilicale a tre navate coperte da volte a botte, la decorazione delle facciate ad arcate congiunte e la loro moltiplicazione in senso verticale sono alcune delle soluzioni architettoniche tipiche degli architetti sasanidi che invasero il mondo bizantino e quello altomedievale occidentale. Analogamente, numerosi temi iconografici giunti in Occidente si possono far risalire al repertorio figurativo sasanide.
La scultura rupestre, che non si era interrotta nel Fàrs (Persia meridionale) in periodo partico, acquistò una larghissima diffusione durante l’epoca sasanide, attraverso una lunga serie di rilievi, la maggior parte dei quali situata proprio sulle montagne del Fàrs. Il carattere commemorativo che essa aveva sempre avuto in tutta la tradizione dell’altopiano costituisce il tratto principale di questo tipo di scultura. Nonostante le relazioni tra questo tipo di rilievo e quello storico romano di età imperiale siano, in verità, molto superficiali, esse sono state più volte proposte e discusse come oggetto di studio. Nell’Iran sasanide, l’evento storico non viene rappresentato, come nel caso di Roma, nel suo contesto reale, ma diventa un’occasione di esaltazione simbolico-ideologica del sovrano. Diversi sono i piani di lettura possibili di questa particolare forma di espressione figurativa che si connota di significati e valori particolarmente originali, concepiti per rimanere fissi nella memoria di chi li osserva. A partire dal rozzo, ma espressivo, bassorilievo delle figure rappresentate nelle primissime sculture (sec. 3°), il rilievo si evolve, attraverso una fase centrale (sec. 4°-5°) in cui si fa molto alto e consistente, fino ad arrivare a una fase finale (secc. 6°-7°) nella quale si ritrova un bassorilievo con caratteristiche, questa volta, quasi pittoriche.
La lunga tradizione sasanide trova continuità ancora all’epoca di Khusraw II (590-628), quando vennero probabilmente eseguiti i rilievi della grande grotta di Öàq-i Bùstàn. La facciata, simile a un arco trionfale romano, è ornata da rilievi che rappresentano, in modo stilizzato, un albero della vita con grandi foglie d’acanto; sull’arco, ai lati di una mezzaluna, sono presenti due figure femminili alate, poste l’una di fronte all’altra, che sostengono una coppa piena di bacche o di pietre preziose. Si tratta probabilmente di due divinità locali del culto zoroastriano, Amortat e Havartat, qui rappresentate in una forma che imita quella con cui si celebravano le vittorie romano-ellenistiche. La zona più interna è divisa in due parti: in quella superiore vi è un rilievo con una scena di investitura del re Khusraw mentre riceve due ghirlande, simbolo del potere, da Ahura Mazda e Anahita; in quella inferiore, invece, è rappresentato in altorilievo un cavaliere con nimbo - un simbolo regale - ed elmo, mentre tiene nella sinistra uno scudo e nella destra una lancia; la parte anteriore del cavallo è protetta da una panciera a dischi. In questo cavaliere è stato individuato lo stesso Khusraw, ritratto in abbigliamento militare, con la cotta di maglia tipica del guerriero iranico dell’epoca. Sulle pareti laterali della grotta sono scolpite a bassorilievo alcune scene della caccia reale: a sinistra il re e alcuni componenti del suo seguito cacciano in barca i cinghiali al suono della musica; a destra il re, in una riserva, colpisce i cervi, mentre la selvaggina uccisa viene portata via su elefanti e cammelli. Interessante è la figura del re sulla parete di destra, dove è raffigurato a cavallo mentre entra nel parco sotto un parasole: la sua immagine sovrasta in altezza tutte le altre ed è riprodotta più volte nelle diverse fasi della caccia a cui partecipa. Le figure degli animali, disposte su piani diversi, sono trattate con vivacità narrativa, secondo la tradizione animalistica mesopotamica. Il rilievo, in origine colorato, imitava forse delle pitture o addirittura un tappeto, secondo una decorazione convenzionalmente considerata come ‘orientale’, che consiste nel collocare le singole figure in una successione di piani in cui scompare completamente la prospettiva reale.
La tipologia urbanistica delle città sasanidi è poco nota: si sa che il primo sovrano, Ardashêr I (226-241), fece costruire diverse città, fra cui Veh-Ardashêr (‘Bene di Ardashêr’), la nuova Seleucia in luogo di quella distrutta dai Romani nel 165, Nev-Ardashêr e Ram-Ardashêr. L’unica di cui siano rimasti dei resti è, tuttavia, Ardashêr-Khvarreh (‘Gloria di Ardashêr’; od. Fêrùzàbàd), costruita dal sovrano ancora prima della vittoria su Artabano I (224), le cui rovine testimoniano una diretta, e probabilmente intenzionale, continuità costruttiva con la tradizione locale: così, per es., nella pianta circolare che imitava l’uso partico di derivazione assira. Continuando la tradizione edilizia del padre, Shàpùr I (241-272) fece costruire altre città, le più importanti delle quali furono Jund-i Shàpùr (‘Campo di Shàpùr’) e Bêshàpùr (‘La bella città di Shàpùr’). Quest’ultima, probabilmente la vera capitale del regno, presentava una pianta ippodamea ed era delimitata da un muro di cinta e da un fossato, da un lato, e da una montagna e da un fiume, dall’altro. Nell’ambito delle attività edilizie a scala territoriale non bisogna dimenticare le opere di canalizzazione, che da poco si cominciano a studiare, e numerosi ponti.
Meglio conosciuta è senz’altro la tipologia monumentale, rappresentata da una serie di palazzi, databili tra i secc. 3° e 5°, la maggior parte dei quali si trova nel Fàrs.
Erede di una lunga tradizione costruttiva che trova le sue principali realizzazioni nei palazzi di Fêrùzàbàd e di Qal^a-yi Dukhtar (risalenti all’epoca di Ardashêr I), di Bêshàpùr (fatto costruire da Shàpùr I), di Êvàn-i Kharkhà (sec. 4°) e di Sarvistàn (opera di Bahràm V, 420-438), è il Öàq-i Kisrà, il grandioso palazzo di Ctesifonte che la tradizione fa risalire a Khusraw I (531-579). Esso consiste di una sala del trono di dimensioni colossali e di un êwàn in facciata, che, con una larghezza di m 25 e un’altezza di m 30, è il più grande tra quelli noti. La volta di copertura a profilo parabolico sbalordisce per la grandiosità e l’alto livello tecnico raggiunto nella sua costruzione, ma la sua forma a parabola, più che frutto di considerazioni estetiche o di stabilità, è da ricondurre al procedimento costruttivo, tipico dei S., utilizzato. Esso prevedeva, senza l’uso di centine, la sistemazione su piano inclinato di corsi di mattoni appoggiati uno sull’altro a partire dal muro di fondo e progressivamente sporgenti verso l’interno. Questo espediente, riducendo lo spazio da coprire, rendeva parabolico, e non semicircolare, il profilo dell’arco. La facciata, con la sua scansione di arcate cieche su piani sovrapposti orizzontalmente, è un chiaro richiamo alle frontes scenarum dell’architettura romana, sebbene il rapporto classico che ne costituiva la base venga qui alterato nella mancata coincidenza degli assi verticali, nell’accostamento tra il grande e il minuto e nel rapporto tra diametro e altezza delle colonne.
All’epoca di Khusraw II si fa risalire il complesso architettonico denominato Qaõr-i Shêrên, nel Khuzistan. Fra i vari resti di edifici, i più importanti sono quelli relativi a un palazzo, l’^Imàrat-i Khusraw, posto, a somiglianza delle costruzioni achemenidi, su un’enorme terrazza cui si accedeva mediante rampe di scale. La pianta, nel complesso ancora incerta, presenta un êwàn - che fungeva da vestibolo a una sala quadrata coperta da una cupola - fiancheggiato da altri due êwàn molto più piccoli e diviso in tre navate da una doppia fila di enormi pilastri. Al di là, una corte quadrata è circondata da un porticato con pilastri d’angolo cruciformi, mentre dietro a essa si trovano altre corti con altri êwàn. La disposizione del palazzo, con qualche differenza, coincide con quella dei palazzi più antichi di Fêrùzàbàd e di Sarvistàn, rispettandone la simmetria e la differenziazione gerarchica dei volumi nell’elevato. Un secondo edificio, molto simile, si trova a Éawsh Kùrê, a km 5 di distanza, mentre un terzo, chiamato Chahàr Qàpù, la cui funzione, per quanto ancora incerta, fu probabilmente religiosa, è costituito da un ambiente quadrato con una porta su ciascun lato, è coperto da una cupola ed era forse circondato da un corridoio coperto a volta.
Altri due palazzi, quello di Dàmghàn, nella Persia settentrionale, e quello di Kish, completano il panorama dell’architettura civile. Il primo presenta una corte su cui si affaccia un êwàn a tre navate, divise da due file di tre colonne o pilastri circolari, da cui si accedeva a una sala quadrata, probabilmente cupolata. Il secondo ha un êwàn, sempre a tre navate, sul fondo del quale è una sala cupolata che si apre su un ambiente absidato di derivazione romana.
Nel vario, e per certi aspetti ancora problematico, panorama degli edifici religiosi, due sono i tipi fondamentali riconoscibili: l’àtesh gàh, dove veniva custodito il fuoco sacro, e il chahàr öàq, dove il fuoco era esposto durante le cerimonie pubbliche. L’organizzazione funzionale del culto, attraverso queste due costruzioni tipologicamente distinte, si fa risalire, in genere, a Shàpùr I, prima del quale gli edifici religiosi erano probabilmente diversi. La più antica di queste costruzioni, risalente ad Ardashêr I, si trova nel centro della città di Fêrùzàbàd e consiste in una piattaforma artificiale su cui si trovava una torre, probabilmente di forma tronco-piramidale, costruita in pietra e gesso. Essa, ora molto rovinata, era provvista di una scala elicoidale esterna e costituiva il luogo di esposizione pubblica del fuoco, mentre il santuario del fuoco vero e proprio, costruito poco lontano su una terrazza, era conosciuto con il nome di Takht-i Nishên.
Un altro tempio del fuoco è stato trovato a Bêshàpùr, a S-O della sala di udienza: esso consiste in un edificio quadrato in pietra posto a m 7 di profondità e a cui si accedeva tramite una lunga scala; sui quattro lati presenta delle porte ed è, secondo lo schema usuale del tempio iranico, circondato da un corridoio. Il tempio, probabilmente dedicato ad Anàhità, dea della fecondità e delle acque, presenta anche tracce di un intenzionale richiamo arcaizzante in alcuni capitelli simili a quelli di Persepoli; tali tracce sono state trovate su una delle pareti dell’edificio, a m 4 di altezza.
Fra i chahàr öàq vanno ricordati: quello di Kurma Yak, con un corridoio che lo unisce a una costruzione oblunga divisa in tre ambienti; quello di Tall-i Gangê, con una piccola cupola in corrispondenza di ciascun angolo; quello di Bàz-i Éùr, con una stanza coperta a cupola con grandi aperture voltate; quello di Takht-i Sulaymàn (Persia nordoccidentale), di pianta molto complicata e con una serie di edifici a esso connessi; quello di Àtash Kùh, con cupola su pilastri cuoriformi; infine, quello di Kunàr Siyàh, l’unico completo anche di àtesh gàh, recentemente scoperto insieme a quello di Tang-i Chàk Chàk.
Per quel che riguarda l’artigianato, è necessario almeno accennare a produzioni di indubbio valore artistico anche se prive di qualsiasi riferimento cronologico. Si tratta per la maggior parte di oggetti o di frammenti di oggetti non rinvenuti in contesti archeologici precisi e per i quali è molto difficile seguire uno sviluppo iconografico e stilistico. Caratteristica è la produzione costituita dai piatti d’argento decorati con scene di caccia, di investitura o di banchetto. Il loro diffuso rinvenimento, principalmente fuori del suolo iranico, fa ritenere che tali oggetti costituissero, probabilmente, doni inviati dalla dinastia all’estero o portati in altri paesi da missioni diplomatico-amministrative. In ogni caso, essi diffusero in Occidente e in Oriente temi e iconografie del repertorio tipico sasanide e ispirarono una serie di produzioni locali, come quelle della Sogdiana, della Corasmia e del regno greco-battriano.
Nella loro realizzazione furono usate varie tecniche: colatura in forme, fusione, conio, cesellatura, incisione, doratura, intarsio e niello. Le parti alte, generalmente laminate, cesellate o fuse separatamente, erano poi inserite in appositi fori praticati sul fondo. Fra le produzioni in metallo prezioso sono da ricordare alcune sculture in argento, rappresentanti animali o parti di animali, e il vasellame in oro, costituito soprattutto da coppe, in genere oblunghe e polilobate.
Altra espressione di finissimo artigianato furono i tessuti (v.), per i quali risulta di nuovo quasi impossibile impostare un qualsiasi discorso sullo sviluppo cronologico. Essi furono fabbricati principalmente nei centri di Susa, Shùshtar e Jund-i Shàpùr, ma ne sono stati recuperati frammenti sparsi per l’Asia e l’Europa. Qui essi sono stati trovati soprattutto nei tesori di abbazie e cattedrali, portati dai pellegrini come custodia delle reliquie raccolte nei luoghi santi dell’Oriente. Le decorazioni sono tipiche del repertorio sasanide: medaglioni con cornici di foglie e perle, entro cui si dispongono figure di animali, spesso affrontati all’albero della vita, scene simboliche di caccia, oppure figure inserite entro un reticolo.
La monetazione, ben documentata, è risultata fonte documentaria della massima importanza, giacché, cambiando l’abbigliamento, la corona e gli emblemi a seconda del sovrano, le raffigurazioni presenti sul conio sono utilissime per le datazioni. La moneta sasanide non è del tipo ellenizzante usato dai Parti; in genere reca sul dritto il busto del sovrano di profilo e sul rovescio un altare del fuoco posto tra due assistenti.
La ceramica, ancora nel complesso mal nota, non è facilmente distinguibile da quella di epoca partica. Fra le forme caratteristiche va comunque ricordata la giara panciuta, mentre fra le tecniche decorative più diffuse si trova il rilievo eseguito a stampo o riportato alla barbotine, l’incisione e le decorazioni impresse. Va notata anche una certa diffusione delle invetriature color turchese o blu.
Per quanto riguarda il vetro, non si conoscono centri di produzione sicuri. Oggetti molto caratteristici e largamente imitati furono alcune coppe, provenienti dalla Persia settentrionale, in vetro fuso, con un tipo di decorazione tagliata a dischi di origine siriana. Un altro tipo particolare di decorazione è quella a sfaccettature concave o circolari, di cui alcuni esempi sono stati trovati fuori dell’Iran.
La pittura e il mosaico sono documentati più dalle fonti che non archeologicamente. Della prima si sa che era diffusa al tempo di Shàpùr II (309-379), mentre Ammiano Marcellino riporta i temi preferiti dai pittori sasanidi: la caccia e la guerra. Pochi sono invece i frammenti conservatisi, fra i quali vanno ricordati quelli provenienti da Êvàn-i Kharkhà e da Ctesifonte. Più consistenti sono i resti musivi, provenienti quasi tutti da Bêshàpùr e, in particolare, da un grande cortile a O della sala cruciforme e da un êwàn a E. I motivi, entro pannelli di ispirazione classica, presentavano cortigiani, musicanti, danzatrici, teste di uomini e donne, adattati tuttavia a un gusto locale ben lontano dalla tradizione musiva ellenistico-romana. Quest’ultima, infatti, era solita mettere al centro della rappresentazione il soggetto principale della decorazione, mentre quella iranica la relega ai bordi, lasciando al centro solo delle lastre di pietra.
Una classe di oggetti particolarmente interessante, e testimone di un’intensa vita giuridico-amministrativa, è quella costituita dai sigilli. Generalmente in pietra dura, essi esprimono la fantasia e l’abilità degli artigiani persiani nel ritrarre in spazi così minuti gli usuali temi del repertorio figurativo sasanide. Nello stesso tempo, tali oggetti portano incisi i nomi e le attività di funzionari, dignitari, ufficiali e religiosi, e rappresentano quindi una fonte preziosa per la ricostruzione dell’articolata burocrazia imperiale.
Le bullae, costituite da tavolette in terra cruda recanti l’impronta di uno o più sigilli, testimoniano invece la vivace attività commerciale e i traffici economici. Tali oggetti, la maggior parte dei quali è stata trovata negli scavi di Qaõr-i Abù Naõr (Persia meridionale), Takht-i Sulaymàn e Ak Tepe (Turkmenia), recano iscrizioni che in genere forniscono l’indicazione dei nomi dei funzionari o dei sacerdoti dei distretti amministrativi e avevano la funzione di marchi delle compagnie commerciali di trasporto, sia come garanzia del contenuto delle merci sia come ricevuta dell’acconto pagato dall’acquirente. È quindi evidente l’enorme valore documentario di questi oggetti, che, insieme ad altri quali i sigilli in terracotta per documenti, arricchiscono la conoscenza di un aspetto particolarmente rilevante della vita culturale dell’epoca.
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