SATIRI E SILENI (Σάτυροι, Σιληνοί)
La testimonianza più antica sui satiri e sui sileni ci è tramandata da Esiodo (fr. 198 ed. Rzach apud Strab., x, 471): "dicono... che dalla figlia di Foroneo nascessero cinque figlie dalle quali derivarono le dee ninfe montanine e la stirpe dei satiri vili e buoni a nulla: γένος Σατύρων οὐτιδανῶν καὶ ἀμηχανοεργῶν". Alle ninfe si richiama anche l'Inno omerico ad Afrodite nel quale si ricordano (in Aphrod., v, 262) "i sileni ed Argifonte che si uniscono nel recesso di amabili antri con le ninfe montane". Le due testimonianze mettono in relazione questi esseri con le ninfe, ma non dicono nulla sulla loro natura e sui loro rapporti col culto dionisiaco.
Molti studiosi hanno considerato, in base alle rappresentazioni figurate, la differenza fra queste due essenze demoniache primitive; i sileni con zampe e coda equina, ed i satiri con coda e zampe caprine. Si deve invece notare che fra le due essenze ci sono elementi comuni, e che le diversità sono da attribuirsi ai differenti luoghi nei quali la tradizione si è formata. Nel passo esiodeo citato, ad esempio, i satiri sono messi in relazione con le ninfe come figlie dell'argivo Foroneo, cioè con il Peloponneso, e noi sappiamo che a Sparta il loro nome era τίτυροι (Strab., x, 470) che vuol dire τράγοι, capri; ora, vedremo che nel Peloponneso sono rappresentati degli esseri che non hanno aspetto caprino, sicché la tradizione figurativa non corrisponderebbe alle testimonianze letterarie.
Per quanto le rappresentazioni figurate ci mostrino assai presto la connessione con il culto di Dioniso, letterariamente sarà soltanto con Euripide (Cycl., 100; Bacch., i3o) che i satiri (σάτυροι), saranno messi in rapporto con Dioniso e che saranno considerati identici ai sileni (σιληνοί). La conferma letteraria ci viene da Erodoto (vii, 26) che chiama sileno Marsia, mentre Platone lo dice satiro (Symp., 215 b); e così Mida, detto, sempre da Erodoto, sileno (viii, 138), è chiamato da Senofonte (Anab., i, 2, 13) satiro; uno scoliaste affermerà più tardi che "quelli che noi chiamiamo satiri gli antichi chiamavano sileni" (ad Nic., Alex., 27).
Già in Euripide i satiri sono considerati figli del vecchio Sileno e quindi essi stessi sileni (Cycl., 100), mentre più tardi Diodoro li considera di natura caprina (i, 88, v, 28) e simili ai πᾶνες (v. pan). Alla definizione euripidea si collega Pausania (i, 24, 1; ii, 7, 9) che considera sileno tanto Marsia quanto colui che venne incatenato da Mida, mentre i satiri sono sempre giovani ed afferma che "quelli fra i satiri che sono avanti in età chiamano sileni" (i, 20, 2; 23, 5). È stato giustamente rilevato che queste definizioni derivano dal dramma satiresco in cui i satiri sono contrapposti al vecchio e saggio Sileno; è questo genere teatrale che ha particolarmente contribuito a sottolineare l'uso dei due termini. Non è qui tuttavia il caso di entrare nella vasta questione delle origini della tragedia e del dramma satiresco, dato che in questa sede interessa unicamente il problema figurativo.
Le prime rappresentazioni figurate di essenze demoniache che hanno attirato l'attenzione degli studiosi, in relazione ai satiri ed ai sileni, sono quelle su vasi corinzî. Appaiono alla fine del VII sec. a. C. su vasi di ogni tipo, di fabbrica corinzia, figure generalmente barbate con glutei, ventre e fallo sviluppati, che danzano talora intorno ad un grande cratere ovvero accompagnano Efesto o Dioniso allorché ritornano all'Olimpo. A poco a poco nel VI sec. questi danzatori si diffondono in tutte le scene di carattere orgiastico, sia o no presente l'elemento dionisiaco. È assai probabile che questi esseri corrispondano ai σάτυροι di Esiodo; ad ogni modo essi sono completamente diversi dai sileni.
Anche sui vasi calcidesi e su quelli attici più arcaici appaiono degli esseri umani, con alcune caratteristiche che sono però sileniche. Su di un frammento di Naukratis è, ad esempio, conservata la parte superiore di una figura barbata che suona il doppio flauto, dalla folta chioma e dalle orecchie equine, accanto alla quale è il resto di un braccio, forse di una ninfa. Si tratta assai probabilmente della più antica rappresentazione di sileno che ci sia pervenuta. Il tipo si ripete su di un vaso calcidese di Leida dove sono raffigurati tre chiomati e barbati sileni, dalle lunghe code e dalle orecchie e zampe equine, che danzano insieme con tre ninfe. Lo stesso tipo di sileni appare, con volto buffonesco assai accentuato, su di un sarcofago di Clazomene e così sul vaso François, dove son rappresentati tre sileni dal corpo equino nella parte inferiore, il primo dei quali porta sulla schiena un grosso otre. Sulle kölikes dei piccoli maestri, databili intorno al 575-50 a. C. i sileni assumono nella parte inferiore del corpo aspetto umano (tranne la coda che generalmente conservano) come nelle scene dipinte più tardi dal Pittore di Andokides. La stessa trasformazione dei primitivi sileni in esseri quasi umani si nota nei vasi calcidesi, dove essi vengono talora raffigurati con piedi umani, pur mantenendo lunghe chiome e code equine, ed accentuando il carattere itifallico. Quel carattere animalesco che li faceva, insomma, assomigliare ad altri esseri equini, quali ad esempio i centauri, va sempre più perdendosi.
La stessa evoluzione si rivela nella plastica più arcaica, nelle statuette fittili arcaiche, nei rilievi; danzatori panciuti si ritrovano nel Peloponneso, a Sparta, in statuette plumbee provenienti dal santuario di Artemide Orthìa, che si richiamano alle prime figurazioni corinzie, pure peloponnesiache, sopra citate; intorno alla fine del VI sec. a. C., in rilievi provenienti dall'acropoli di Xanthos nella Licia, sono rappresentati dei satiri barbati, che hanno la coda e le orecchie equine ed il volto tipicamente camuso, che ritroveremo in forma stereotipata ancora per alcuni secoli nella ceramica.
Già però verso la fine del VI sec. a. C. troviamo una serie di rappresentazioni di sileni senza coda; si è pensato a trascuratezza dei ceramisti, ma si può anche credere che la causa sia da ricercare nell'incertezza generale dell'iconografia tradizionale, che ora ce li presenta forniti di attributi animaleschi ed ora invece accentua gli elementi umani. La partecipazione di questi esseri al corteo di Dioniso non è affatto costante nel VI sec. ancora; su qualche vaso a figure nere dell'Acropoli, Dioniso appare senza accompagnamento di sileni, mentre in altri vasi egli è in mezzo a danzatori panciuti (vasi di Amasis) barbati e senza coda, che possiamo chiamare satiri e che discendono da quei danzatori peloponnesiaci già considerati.
Tuttavia, questi ad un certo punto scompaiono per essere sostituiti dai sileni, specialmente verso la fine del VI sec. a. C. ed il culto dionisiaco, con la sua vitalità, li accoglie sia quando riaccompagnano Efesto all'Olimpo, sià nella danza con Dioniso e le menadi, che si sostituiscono alle ninfe, loro compagne dell'età arcaica. Anche nella gigantomachia essi hanno una parte importante come difensori ed aiuti di Dioniso nella lotta contro i figli della terra; pare che questa partecipazione non si abbia prima del 475 a. C. come ha voluto dimostrare il Vian, mentre il Buschor ha attribuito già alla fine dello stile a figure nere l'influenza del dramma satiresco che avrebbe determinato la presenza dei sileni nelle scene di gigantomachia di Dioniso. Certamente colpisce il fatto che non soltanto questi esseri partecipano attivamente alle lotte del loro dio contro i Giganti, ma anche appaiono in scene accessorie (nelle quali gli forniscono armi) che sembrano potersi mettere in relazione con qualche testo comico.
I sileni della fine del VI e del V sec. a. C., pur restando prevalentemente i compagni di Dioniso, sono anche rappresentati in scene mitiche nelle quali il dio non entra; in generale sono nudi, ma qualche volta hanno anche un corto mantello costituito da una pelle ferma o di capro gettata sulle spalle. Il rinnovamento della tradizione iconografica, per cui essi appaiono anche in scene non dionisiache è probabilmente dovuto (com'è opinione corrente) all'influenza del dramma satiresco, che ebbe in Pratina di Fliunte uno dei suoi primi cultori.
Sui vasi della cerchia di Epiktetos i sileni che accompagnano Dioniso e le menadi hanno capelli lunghi ricciuti, lunga barba, naso schiacciato e labbra spesse, oltre alla solita coda; più tardi anche nei vasi di Oltos appariranno le stesse caratteristiche. Sui vasi invece della cerchia di Hieron, Brygos e Douris essi sono generalmente calvi al sommo del capo, mentre i capelli talora ricadono dietro le orecchie. Il volto comincia ad animarsi e si accentua talora, per mezzo della forma degli occhi, l'espressione animalesca che diventa una smorfia.
Gli episodi nei quali il motivo chiaramente dionisiaco non è rappresentato sono frequenti; per esempio, su di una kölix di Hieron, Hera è assalita dai satiri mentre Hermes ed Eracle cercano di difenderla; altrove Sileno viene raffigurato non come un elemento del thìasos dionisiaco ma come personalità centrale di un episodio mitico; Sileno, simbolo di saggezza, è raffigurato incatenato alla presenza del re Mida - al quale, come è noto (Herod., viii, 138; Athen., ii, 45 C), tenne un discorso sulla futilità della natura umana - su di un vaso chiusino di Londra, e talora sulle gemme anche arcaiche è raffigurato davanti alla sfinge. Il sileno Marsia, fuso molto probabilmentte con un dio fluviale frigio, è rappresentato nelle varie fasi della gara musicale con Apollo, non soltanto in veste di flautista nudo, ma anche come corego maestosamente ammantato; soltanto le orecchie equine tradiscono la sua origine. Sempre come figura isolata e caratterizzata in modo particolare, sileno appare nella sua vecchiezza e villosità fisica su di un cratere del Vaticano, nel quale è colto il momento della consegna del piccolo Dioniso da parte di Hermes. La tradizione letteraria accentua il suo carattere di saggio educatore di fanciulli, considerandolo il pedagogo del giovinetto Olimpo (Schol. Aristoph., Nub., 223).
Altre essenze demoniache parallele ai sileni, hanno avuto diffusione nelle rappresentazioni figurate dei vasi; si tratta di quelle umano-caprine, caratterizzate da una corta coda e dai piccoli cornetti ricurvi sul capo (ricordiamo, per tutte, una oinochòe di Napoli ed il famoso cratere di Pandora a Londra); di esse qui non trattiamo perché sono assimilabili a Pan (v.). Ricorderemo soltanto che a queste essenze caprine si è voluta ricollegare l'origine della tragedia da parte di alcuni studiosi, perché si è rilevato che fino dal VI sec. a. C. non mancano alcune prove dell'esistenza di maschere di τράγοι, come dimostrano anche alcune maschere fittili di Samo e di Sparta. La maschera, sia, soprattutto, silenica che dei piccoli πᾶνες, ha poi trovato grande diffusione, con valore apotropaico, sulle antefisse fittili architettoniche, sugli elmi bronzei, sul vasi bronzei (in Etruria specialmente), sulle lucerne fittili ellenistiche e romane.
Nella scultura la rappresentazione isolata del sileno è stata affrontata per la prima volta soltanto da Mirone (v.) poco prima della metà del V sec.; nonostante l'incertezza che qualche studioso mantiene, continuiamo a credere nel carattere mironiano della replica lateranense del Marsia; in esso l'artista, pur indulgendo alla tradizionale raffigurazione del volto dal naso breve e dal ghigno buffonesco, si è posto un problema di movimento, creando un motivo nuovo nella tradizione iconografica, confermato del resto da una oinochòe posteriore ora a Berlino.
Nella scultura classica il motivo dei sileni-satiri assume sempre più carattere personale; mentre sul vasi, nelle terrecotte votive e nei bronzetti decorativi, questi esseri erano soltanto elementi del thìasos dionisiaco, non erano cioè raffigurati nella loro personalità, nel IV sec. Prassitele (v.) ne esalta la grazia e, pur conservando alcuni elementi animaleschi, trasforma in epigramma o idillio la loro figura. Nel Satiro versante c'è infatti soltanto il particolare delle orecchie ferme che ricorda l'antica origine, ma l'espressione sognante del giovane dèmone è lontana dal chiassoso e volgare mondo bacchico; nel Satiro in riposo l'elemento selvatico è un poco più accentuato dalla soffice e pesante chioma che incornicia la fronte e dalla pelle ferma gettata obliquamente attraverso il petto, ma lo sguardo assente è diventato ormai umano.
Nella scultura ellenistica il tema dei satiri e dei sileni è sempre di più pretesto per le creazioni di genere; ormai quasi completamente umanizzati essi appaiono sul monumento di Lisicrate, del 334 a. C., come nel gruppo lisippeo del sileno che tiene il fanciullo Dioniso in braccio. Esso rivela nel volto del sileno lo studio attento della situazione psicologica, caratteristico di Lisippo, e soprattutto una nuova concezione del movimento nel fanciullo portato in braccio e quasi cullato. Né mancano rappresentazioni profondamente realistiche; come quella del Marsia appeso (nella tensione anatomica del supplizio inflittogli da Apollo), nei gruppi barocchi della danza del satiro e della ninfa e nella rappresentazione dei fauni (quello in marmo rosso del Capitolino, quello Barberini ebbro e quello sdraiato che fa schioccare le dita, di Napoli e di Berlino) dove la personalità del buontempone e del beone compagno di Dioniso diventa veramente umana e non ha più nulla delle sue lontane origini. Essi ormai vivono come tutte le altre creature nella realtà.
Nella pittura invece c'è un richiamo vivo alla realtà mitica, per esempio nel noto monocromo ercolanese nel quale è raffigurato il sileno stanco e vecchio rifocillato dalle ninfe.
Nell'arte etrusca la rappresentazione è in fondo aderente al motivo tradizionale greco, sia nelle antefisse rappresentanti assai spesso un sileno ed una menade abbracciati (v. satricum) sia nei vasi bronzei; alla fine del IV sec. a. C. dovrebbe appartenere il satiro in ginocchio di Monaco, se è autentico, proveniente dall'Etruria (forse era un elemento decorativo di un grande vaso) che appare peraltro piuttosto singolare sia per gli attributi, sia per la novità dell'atteggiamento e dell'azione; nella ceramica dell'Italia centrale i satiri compaiono in aspetto giovanile con code brevi ed orecchie caprine (cratere di Sommavilla Sabina con i satiri che danzano all'apparire del sole).
I satiri delle pitture campane e dei sarcofagi romani sono generalmente imberbi, di aspetto giovanile e si collegano direttamente alla tradizione ellenistica. Tipica è la funzione architettonica che ha il vecchio sileno accovacciato sotto il bèma dell'arconte Fedro nel teatro di Dioniso in Atene, che risale ad età neroniana assai probabilmente. Ma ormai è l'ellenismo che domina nella rappresentazione dei tipi silenici, sia nei rilievi marmorei del I sec. d. C. che anche nella tarda antichità.
Monumenti considerati. - Arìballoi, kòthon, anforette, crateri corinzî con danzatori panciuti: H. G. Payne, Necrocorinthia, Oxford 1931, p. 119 ss., fig. 44 e nn. 480, 724, 856, 876, 118o, 999, 1073; cfr. G. Loeschke, in Ath. Mitt., 1894, p. 524. Frammento di Naukratis: E. Kunze, ibid., lix, 1934, p. 96, n. 1, Beil. x, 1. Kölikes dei piccoli maestri affini ad Amasis: J. D. Beazley, Development, p. 56 e tavv. 24-25. Idria londinese del Pittore di Andokides con Dioniso, Hermes, Efesto e ninfe: J. D. Beazley, op. cit., p. 77, tav. 36, 1. Rilievi di Xanthos con satiri ed animali: F. N. Pryce, Catal. of Sculptures of Brit. Mus., Londra 1928, pp. 134 ss., B 292, tav. xxviii. Serie di rappresentazioni di sileni senza coda: F. O. Brommer, Satyroi, Würzburg 1937, p. 53. Danzatori panciuti su vasi di Amasis: S. Papaspiridi, in Athen. Mitt., lvi, 1931, Beil. 50; W. Kraiker, ibid., lix, 1934, p. 19 ss., Beil. 11; F. Brommer, op. cit., p. 54. Gigantomachie con sileni: F. Vian, La guerre des géans, Parigi 1952, p. 86 ss. Vasi di Epiktetos, Brygos, Hieron con sileni: P. Hartwig, in Jahrbuch, vi, 1891, p. 255 ss.; Furtwängler-Reichhold, i, tavv. 43, 44, 45. Vaso di Chiusi: Cat. Vases, Brit. Mus., iii, 447. Scarabeo arcaico: A. Furtwängler, Gemmen, i, p. 102, tav. 63. 1. Maschera di Sparta: G. Dawkins, Artemis Orthia, in Suppl. Pap. Soc. Prom. Hell. St., v, Londra 1929, tav. 56, 1; 57, 2; 62, 1. Maschera di Samo: E. Buschor, Altsamische Standbilder, Berlino 1934, iii, p. 53, figg. 200-201. Antefisse sileniche arcaiche di Thermos in Etolia: Antike Denkmäler, ii, tav. 53, 1. Marsia lateranense: P. E. Arias, Mirone, Firenze 1941, tav. v, 18; R. Carpenter, in Mem. Amer. Acad., xviii, 1941, p. 5 ss. Satiri di Prassitele: G. E. Rizzo, Prassitele, Milano 1932, tavv. 19-26; 48-56. Monumento di Lisicrate: G. Lippold, Griechische Plastik, Monaco 1950, p. 271, tav. 94, 3. Satiro con Dioniso, replica lisippea di statua: id., op. cit., p. 282, tav. 101, 2. Monocromo ercolanese: C. Robert, Der müde Silen, in Hall. Winckelmannsprogr., Halle 1899. Satiro etrusco di Monaco: C. Albizzati, in Rend. Acc. Pontif., iii, 1924-25, p. 75 ss. Cratere di Sommavilla Sabina ora al Museo Naz. di Parma: C. Albizzati, in Mél. Ec. Franç. Rome, 37, 1919, p. 161 ss., fig. 24; J. D. Beazley, Etr. Vase-Paint, p. 37 ss., n. 1. Bèma dell'arconte Fedro del teatro di Dioniso in Atene: E. Fiechter, Das Dionysostheater in Athen, Stoccarda 1933, iii, p. 36 ss., tavv. 9-16; M. Bieber, The History of the Greek and Roman Theater, Princeton 1939, p. 27, fig. 31.
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