SAVOIA ACAIA, Filippo
di. – Nacque verso il 1276, probabilmente in Piemonte; era il primogenito di Tommaso III di Savoia e di Guia, figlia di Ugo III di Châlon, conte di Borgogna.
Nel Duecento la ramificazione della dinastia sabauda e l’incertezza dei criteri per la successione avevano favorito l’individuazione di vasti appannaggi, assegnati a membri della famiglia privi del titolo comitale; tale era stato il caso di Tommaso III, nipote del conte Filippo I, che alla nascita di Filippo esercitava una giurisdizione allodiale sui domini sabaudi in Piemonte a est della valle di Susa.
Tommaso III morì nel maggio del 1282; nel suo testamento aveva nominato Filippo, sotto la tutela di Guia, erede delle sue giurisdizioni in Piemonte. È probabile che il conte Filippo I intendesse, in un primo momento, fare del giovane pronipote il suo successore al titolo comitale, assecondando il principio della primogenitura contro le pretese dei fratelli di Tommaso III: Amedeo (il futuro Amedeo V) e Ludovico. Organizzò, infatti, un suo matrimonio – mai celebrato – con una figlia del conte Alberto I di Asburgo e, dopo la morte di Tommaso III, lo adottò come figlio. Alla fine del 1285, peraltro, Filippo I morì senza lasciare testamento, aprendo una nuova crisi dinastica. Benché Filippo potesse contare sull’appoggio della famiglia materna e di parte dell’aristocrazia piemontese, la contesa si risolse, nel 1285, a favore di Amedeo, che detenne da allora il titolo comitale; Guia, come tutrice di Filippo, riconobbe il nuovo conte come luogotenente in Piemonte del figlio, fino al raggiungimento della maggiore età.
Filippo visse, con la madre, presso la corte comitale fino al 1294, quando compì 18 anni e un arbitrato ridefinì i suoi rapporti con Amedeo V. Filippo, che rinunciava a ogni pretesa sul titolo di conte, avrebbe controllato i territori piemontesi a valle di Rivoli, riconoscendoli in feudo dal ramo comitale. Nel febbraio successivo si insediò in Piemonte, individuando da subito Pinerolo come luogo di residenza privilegiato.
Filippo costruì intorno a sé un gruppo di burocrati deputati all’amministrazione centrale del dominio (sul modello della cerchia dei clerici comitali), reclutati in seno al notariato autoctono; il governo delle principali circoscrizioni fu invece assegnato a membri dell’aristocrazia savoiarda, che avevano seguito il principe nel suo trasferimento in Piemonte e che gli offrirono, per mezzo di mutui, anche un sostegno economico. Furono replicati a Pinerolo vari funzionamenti amministrativi e documentari propri dei domini dei conti di Savoia, come la redazione dei ‘computi’ degli ufficiali su rotoli pergamenacei.
Nei primi anni di principato Filippo impiegò la forza militare per contenere l’autonomia di alcuni poteri locali, come i signori di Val San Martino e, probabilmente, il Comune di Pinerolo; in contrasto con le disposizioni dell’arbitrato del 1294, usò talvolta il titolo di comes per legittimare la sua autorità sui territori appena acquisiti.
Filippo occupò il primo decennio del Trecento in tentativi, sempre frustrati, di costruire una sfera di egemonia più ampia e non del tutto sottoposta al dominio feudale del ramo comitale. Entro la fine del 1300 si trovava a Roma per le celebrazioni del giubileo; lì sposò, nel febbraio del 1301, Isabelle, figlia di Guillaume de Villehardouin, che gli portò in dote il titolo di principe d’Acaia, già detenuto dal padre, ma ormai scollegato da un effettivo controllo sul principato greco. Deciso a instaurare una signoria personale nel Peloponneso, Filippo cercò l’alleanza di Carlo II, re di Sicilia, e di suo figlio Filippo, principe di Taranto, che contendevano al ricostituito Impero bizantino il controllo dei territori già latini, e prestò a essi omaggio per il Principato d’Acaia. Entro il 1303 si recò in Grecia, ma già l’anno successivo l’ostilità dell’aristocrazia locale e il rifiuto, da parte degli Angiò, di confermare l’investitura lo indussero a fare ritorno in Piemonte. Filippo rinunciò formalmente al principato nel 1307; ma, poiché l’indennizzo promesso da Carlo II non fu mai corrisposto, continuò a fregiarsi del titolo di principe d’Acaia, che si tramandò attraverso la dinastia fino alla sua estinzione.
Al ritorno in Piemonte Filippo si insediò ad Asti come capitano d’armi: carica attribuitagli per tre anni (dal 1305) dalla fazione guelfa dei Solaro, che grazie al suo aiuto aveva ottenuto un’egemonia sul Comune. Sempre nel 1305, all’aprirsi della crisi dinastica provocata dalla morte senza eredi di Giovanni I (ultimo marchese aleramico di Monferrato), Filippo progettò di impadronirsi di parte dei territori monferrini e promosse una lega a cui parteciparono Asti, Chieri e gli Angiò; il nuovo marchese, Teodoro I Paleologo, riuscì peraltro a salvaguardare l’integrità dei suoi domini. Nel 1308 il Comune di Asti, pur mantenendosi in rapporti pacifici con Filippo, rifiutò di rinnovargli il capitanato; egli rientrò pertanto nei territori sabaudi. Nel biennio 1309-10 si allontanò dall’alleanza con gli Angiò e cercò una pacificazione con i Monferrato.
A partire dal 1310, la discesa in Italia di Enrico VII diede a Filippo l’opportunità di accrescere il suo peso politico negli equilibri politici regionali e in seno a Casa Savoia. Il principe fornì all’imperatore un contingente di armati e fu nominato vicario imperiale nelle città di Vercelli, Novara e Pavia. La sua politica come vicario fu tuttavia in aperto contrasto con quella imperiale, specialmente a Vercelli – ove sostenne con le armi la fallita ribellione della fazione degli Avogadro – e a Pavia, ove non represse un’altra insurrezione contro l’esercito imperiale. Dopo questi episodi Filippo fece ritorno nei suoi domini piemontesi, dove fu impegnato (1312-13) in un conflitto militare con Roberto d’Angiò. Era ormai in contrasto anche con Amedeo V, il quale reclamava, con l’appoggio di Enrico VII, i territori da lui sottratti al dominio angioino; i loro rapporti peggiorarono ulteriormente quando, nel 1312, Filippo, rimasto vedovo, sposò Caterina di Vienne, sorella del delfino Giovanni II, con cui Amedeo era in guerra.
La morte di Enrico VII favorì la pacificazione tra Filippo e Amedeo, che precisarono i rispettivi ambiti di potere con un accordo stipulato nell’ottobre del 1313. Filippo confermò la rinuncia al titolo comitale in cambio di un indennizzo, del dominio sui luoghi da lui strappati agli Angiò e della metà della giurisdizione sui territori di futura conquista in Piemonte. L’accordo facilitò la rapida espansione dei domini sabaudi nella regione: già sul finire del 1313 Filippo e Amedeo ottennero la sottomissione del Comune di Ivrea e dei conti di Valperga; l’anno successivo Filippo si impadronì di Fossano e ottenne, insieme con lo zio, l’omaggio di altri signori del Canavese. Nel 1318 si procurò un’egemonia sulla signoria abbaziale di Fruttuaria e, nel 1320, ricevette la dedizione del Comune di Savigliano. Nel decennio successivo il principe si espanse a spese dei Monferrato nel basso Canavese, ottenendo la fedeltà dei conti di Biandrate e (nel 1326) un’effimera sottomissione del Comune di Chivasso. Filippo approfittò anche della contesa tra Manfredo V e Federico I per il controllo del Marchesato di Saluzzo, erodendo a suo vantaggio i domini marchionali.
Negli anni Dieci e Venti del Trecento la relativa stabilità politica gli permise di proseguire con maggiore intensità il riassetto istituzionale dei territori controllati, intrapreso da Amedeo V alla fine del secolo precedente. I suoi sforzi si concentrarono sulla fascia pianeggiante fra Pinerolo e Torino, area in cui Filippo aveva potenziato la sua presenza signorile e patrimoniale attraverso campagne di acquisti e permute. In quella zona promosse la costruzione o l’espansione di centri rurali, ridefinì i confini dei territori di alcune comunità, impose il trasferimento di altre su terre proprie e stipulò con molti Comuni rurali accordi intesi alla conversione dell’insieme delle contribuzioni bannali in natura in un’unica tassa in denaro. Un’analoga trasformazione riguardò, su tutto il territorio dell’appannaggio, i servitia armati: molte comunità rurali e alcuni signori li convertirono in un’imposta diretta annuale (militia). Più tesi furono i rapporti tra Filippo e i Comuni a vocazione urbana; fino al secondo decennio del Trecento gli episodi più numerosi di contrapposizione al principe riguardarono il Comune di Pinerolo.
Sempre negli anni Dieci e Venti Filippo intraprese importanti cantieri castrensi: dal 1314 trasformò la cappella e gli spazi aulici del castello di Pinerolo, adeguandoli alla loro inedita funzione di rappresentanza; tra il 1317 e il 1319 si lavorò al rifacimento del castrum di porta Fibellona a Torino e, nel 1324, si aprì il cantiere del castello di Fossano; altre opere riguardarono i castelli di Moretta, Bricherasio e Miradolo.
Negli stessi anni Venti Filippo cercò di costruire intorno a sé una trama di alleanze matrimoniali. Nel 1324 Margherita, avuta da Isabelle, sposò il francese Renaud de Forez, signore di Malleval, mentre un’altra figlia, Alasia, andò sposa a Manfredo Del Carretto, marchese di Savona. Nel 1325 stipulò con Teodoro I di Monferrato un patto (rimasto inefficace) che prevedeva il matrimonio tra il suo primogenito, Giacomo, e Iolanda, figlia di Teodoro e quello fra Giovanni, figlio di Teodoro, e una delle figlie di Filippo. Gli atti dei vari accordi matrimoniali furono registrati in un prestigioso registro tematico, utile a sottolineare la funzione a cui il neonato lignaggio principesco ambiva nello scenario politico regionale.
Il consolidamento politico e finanziario del principato subì un arresto all’inizio degli anni Trenta, con l’aprirsi di una nuova fase di crisi militare ed economica. Nel 1330 le mire di Filippo sui territori monferrini furono frustrate da un’alleanza matrimoniale fra Teodoro I Paleologo e il conte di Savoia Aimone. Nel 1333, poi, i domini principeschi furono attaccati da una lega formata dai Monferrato, dai Saluzzo e dagli Angiò. Filippo, che ebbe il supporto dapprima del Comune di Chieri e quindi (dal 1334) anche del conte Aimone, dedicò gli ultimi due anni di vita al contenimento dell’espansione della lega antisabauda (fu importante, in tal senso, la vittoria da lui riportata nella battaglia di Tegerone, nel settembre del 1333) e alla repressione della dissidenza interna.
Il principale episodio di conflitto interno ebbe come protagonista, nel 1334, la fazione ghibellina di Torino (coordinata dalle famiglie dei Sili e degli Zucca), che ordì ai danni del principe una congiura intesa a consegnare il dominio della città ai marchesi di Monferrato e di Saluzzo. La sedizione fallì e si concluse con la fuga di alcuni congiurati e con l’uccisione di altri. L’emergenza militare e la conseguente impennata delle spese di guerra avevano, nel frattempo, causato un peggioramento della situazione finanziaria del principato; sin dall’inizio degli anni Trenta Filippo richiese ad alcuni ufficiali la concessione di prestiti in concomitanza con l’accesso alle rispettive cariche.
La crisi apertasi nel 1333 era all’apice quando, il 25 settembre del 1334, Filippo morì a Pinerolo; fu sepolto in quello stesso centro, nella chiesa dei minori.
Le modalità della successione al principato erano state prescritte in un suo testamento del 1330 e precisate da alcuni codicilli negli anni successivi. Il dominio dell’appannaggio sarebbe spettato al suo primogenito Giacomo, figlio di Caterina di Vienne, allora minorenne; prima del raggiungimento della maggiore età, il principato sarebbe stato governato, in sua vece, dalla madre e da un Consiglio di reggenza, composto da rappresentanti dei Comuni e dell’entourage vassallatico principesco. Alcuni dei restanti figli di Filippo – per i quali il testamento non disponeva la creazione di appannaggi, ma soltanto il godimento di rendite – praticarono la carriera ecclesiastica: Tommaso fu vescovo di Torino, Edoardo abate di S. Giusto di Susa e quindi vescovo di Belley, Sion e Tarentaise e Amedeo vescovo di Maurienne.
Filippo ebbe un altro figlio maschio: il postumo Aimone, signore di Villafranca. Delle numerose figlie, oltre a quelle già menzionate, tre, Agnese, Beatrice e Giovanna, sposarono signori transalpini (rispettivamente Giovanni II de la Chambre, conte di Laville, Umberto V, signore di Thoire-Villars e Amedeo, signore di Saint-Vallier), Eleonora fu sposa di Manfredo V, marchese di Saluzzo, mentre Elisabetta fu badessa di S. Giacomo di Pinerolo.
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