SAVOIA AOSTA, Emanuele Filiberto
di, duca d’Aosta. – Nacque a Genova il 13 gennaio 1869, figlio primogenito di Amedeo di Savoia Aosta, duca d’Aosta (1845-1890), e di Maria Vittoria Dal Pozzo della Cisterna (1846-1876).
La cerimonia di battesimo si svolse a Genova il 14 marzo, alla presenza di Vittorio Emanuele II. Padrino e madrina furono il principe Eugenio di Savoia Carignano e la principessa Maria Clotilde, sorella del padre.
Nel dicembre 1870, Amedeo si recò a Madrid per cingere la corona di re di Spagna, offertagli dalle Cortes. In seguito a ciò, il 2 gennaio 1871 Emanuele Filiberto fu nominato principe delle Asturie, tradizionale titolo dell’erede al trono iberico. L’esperienza spagnola durò, però, poco più di due anni: nel marzo del 1873, infatti, il padre abdicò e i duchi d’Aosta rientrarono in Italia. Vittorio Emanuele II gli conferì, allora, il titolo di duca delle Puglie. Nel 1878, il re costituì una ‘casa d’educazione’ per i tre figli di Amedeo (dopo Emanuele Filiberto, infatti, erano nati Vittorio Emanuele, conte di Torino, 1870-1946, e Luigi Amedeo, duca degli Abruzzi, 1873-1933), a capo della quale fu posto Carlo Alberto Asinari di San Marzano. Vicegovernatore per il duca fu scelto il generale Giuseppe Perrucchetti, fondatore del corpo degli alpini, coadiuvato dal capitano Federico Quaglia.
L’educazione militare del duca proseguì nelle sale dell’Accademia militare di Torino, dove entrò, quindicenne, nel 1884. La grande passione del giovane per l’ippica e la sua predisposizione per la matematica convinsero il re a nominarlo tenente, il 14 settembre 1888, nel 5° reggimento di artiglieria di campagna di stanza a Venaria. Da questo passò poi al 17° reggimento, a Novara, come capitano e ancora al 19° reggimento, a Firenze, con il grado di maggiore. In quegli anni compì diversi viaggi all’estero insieme al padre, fra cui uno in Belgio, Olanda e Inghilterra, in cui iniziò a stringere rapporti e relazioni con le case reali di Belgio e Inghilterra che avrebbe coltivato per tutta la vita. Fu allora che il tema delle sue nozze iniziò a essere oggetto di attenzioni politiche. Nel 1889 i giornali diedero come imminente il suo matrimonio prima con un’Asburgo e poi con una Wittelsbach. Si trattava di nozze che avrebbero dovuto rinsaldare i rapporti fra i Savoia e il mondo germanico pochi anni dopo la nascita della Triplice alleanza (1882). Tali progetti, però, si scontrarono con l’opposizione della regina Margherita, la quale voleva che le nozze del duca fossero successive a quelle di suo figlio, il principe ereditario, Vittorio Emanuele.
Il 18 gennaio 1890 il duca Amedeo morì improvvisamente e così Emanuele Filiberto da duca delle Puglie divenne duca d’Aosta; lo stesso anno raggiunse la maggiore età ed entrò nel Senato del Regno. In questi anni egli risiedeva a Firenze, per ragioni militari, ma se ne allontanava spesso o per seguire la corte o per compiere viaggi all’estero. Particolare importanza ebbe il viaggio in Inghilterra che fece, sotto il nome di conte della Cisterna, dal 17 giugno al 6 settembre 1892. Egli incontrò allora la regina Vittoria e i principali ministri, cercando di convincere la regina a visitare i sovrani a Roma, ma senza successo. Ebbe modo anche d’incontrare l’imperatore Guglielmo II, che lo ricevette sullo yacht imperiale insieme al principe di Galles, il futuro Edoardo VII. Durante tale viaggio egli riprese la ricerca di una sposa, ponendo la sua attenzione sulle due figlie nubili del principe di Galles, per altro oggetto di attenzione anche da parte del cugino Vittorio Emanuele, e soprattutto sulla principessa Elena di Orléans (1871-1951), figlia del pretendente al trono di Francia Luigi Filippo Alberto, conte di Parigi (1838-1894), e di Maria Isabella di Orléans (1848-1919). Inizialmente, Elena di Orléans avrebbe dovuto sposare Alberto duca di Clarence (1864-1892), erede al trono di Gran Bretagna; a questo fine nel 1890 accettò di convertirsi alla fede anglicana e tutto sembrava pronto per le nozze, quando il padre si oppose alla conversione: Elena, allora, si recò da papa Leone XIII, chiedendone l’approvazione, ma ne ebbe un rifiuto. Il matrimonio fu pertanto annullato.
Il duca domandò, quindi, il permesso per chiedere la mano della principessa, ma ottenne un netto rifiuto sia dalla regina Margherita sia da Giovanni Giolitti, allora presidente del Consiglio. Gli Orléans erano fortemente cattolici e si temeva che tali nozze, certamente gradite in Vaticano, avrebbero potuto modificare la politica di Casa Savoia. Inoltre, se il principe Vittorio Emanuele non si fosse sposato o non avesse avuto figli, a salire al trono sarebbe stato proprio il duca o uno dei suoi figli.
Rientrato a Firenze, Emanuele Filiberto riprese la carriera militare, divenendo tenente colonnello il 3 ottobre 1893. Un anno dopo, il 5 settembre 1894, fu nominato colonnello comandante del 5° reggimento d’artiglieria da campagna, dove aveva iniziato la propria carriera. Egli avrebbe preferito una scelta più prestigiosa, tanto che aveva richiesto Palermo, anche per essere vicino agli Orléans, che vi risiedevano spesso; ma Umberto aveva scelto Venaria probabilmente proprio per tenerlo lontano da quell’ambiente. Poiché la matrigna Letizia Bonaparte (seconda moglie del padre Amedeo) aveva svuotato degli arredi palazzo Cisterna (sede torinese degli Aosta), trasferendoli al castello di Moncalieri, dove viveva, il duca chiese al marchese Luigi Medici del Vascello d’avere a disposizione un appartamento nel castello della Mandria (situato nel parco di Venaria), dove si trasferì nel luglio del 1895. Nel frattempo, aveva ottenuto dal re e dal presidente del Consiglio Francesco Crispi l’assenso alle nozze con l’Orléans. La coppia si sposò in Inghilterra – a Kingston upon Thames (nei pressi di Londra) – il 25 giugno 1895. Testimone dello sposo era il principe Vittorio Emanuele, a simboleggiare l’unità della Real Casa, al di là delle tensioni che il matrimonio aveva suscitato.
Rientrato in Italia, il duca chiese di essere inviato alla guerra d’Abissinia, ma il re e Crispi glielo rifiutarono, considerando tanto la sua inesperienza sul campo quanto la sua «piena ignoranza sulle cose d’Africa» (Paolucci, 1986, p. 150). Il 9 dicembre 1897 il duca fu promosso maggior generale e nominato comandante generale dell’artiglieria di Torino. Si trasferì allora a palazzo Cisterna. Qui ospitò spesso i parenti Orléans, aumentando così la frattura con la matrigna Letizia, il cui fratello Napoleone Vittorio (1862-1926) era dal 1891 il pretendente imperiale al trono di Francia e trascorreva lunghi soggiorni al castello di Moncalieri, residenza di Letizia. Il 30 marzo 1902, il duca divenne tenente generale e fu nominato comandante della divisione militare di Torino. Nel frattempo aveva avuto due figli: Amedeo (v. la voce in questo Dizionario) e Aimone, duca di Spoleto (1900-1948). Il 15 luglio 1902, a testimonianza degli ottimi rapporti del duca con la Corona Britannica, fu creato da Edoardo VII cavaliere della Giarrettiera (un suo ritratto in tale veste, realizzato da Vittorio Cavalleri, era un tempo al Palazzo Reale di Londra).
Il 5 aprile 1905 il duca fu promosso comandante di corpo d’armata e destinato al 10° corpo, di stanza a Napoli. I duchi lasciarono, quindi, Torino il 23 giugno 1905 e si trasferirono a Napoli, dove arrivarono il 2 luglio, stabilendosi alla Reggia di Capodimonte. Insieme a loro, lasciò Torino l’intera corte dei Savoia Aosta (la sola scuderia comprendeva 30 persone e 40 cavalli), segno che non si trattava di un trasferimento momentaneo, ma di un vero e proprio cambio di residenza. In effetti, a Capodimonte i duchi aprirono una corte che, per un decennio circa, si segnalò per sfarzo e cerimonie (il duca, in questo sollecitato dalla duchessa, avrebbe voluto introdurvi anche la pratica del baciamano d’onore, ma ricevette il divieto del re, essendo tale rituale tradizionalmente riservato ai sovrani), divenendo un punto importante di sociabilità per le nobiltà meridionali.
La designazione il 31 agosto 1910 a comandante d’armata in guerra pareva rispondere al desiderio del duca di scendere finalmente in campo, ma ancora una volta il governo non volle inviarlo in Africa per la guerra di Libia (1911). Il tanto agognato battesimo del fuoco arrivò nel 1915, quando l’Italia entrò nella prima guerra mondiale. Allora, infatti, il duca fu nominato capo della 3ª armata, distaccata sul Carso orientale, il cui obiettivo era la conquista di Gorizia e Trieste. Suo capo di stato maggiore era il generale Giuseppe Vaccari (1866-1937), che del duca fu principale collaboratore e ascoltato consigliere. La 3ª armata ottenne il suo più importante successo poco più di un anno dopo, l’8-9 agosto 1916, con la conquista di Gorizia. Il duca, al suo esordio militare, diede prova di fermezza e coraggio; vicino ai soldati, il suo rapporto con la truppa si rilevò determinante nell’evitare lo sbandamento dell’armata dopo Caporetto. Anzi, allora la 3ª armata non solo non si dissolse, ma restò compatta sotto il comando del duca, ritirandosi ordinatamente sul Piave e qui offrendo una resistenza tale da evitare un ulteriore sfondamento nel Veneto dell’esercito austro-ungarico. Si creò allora il mito del duca ‘invitto’ che nel decennio successivo determinò il suo grande prestigio nelle Forze armate e non solo. Il 17 novembre 1918 il duca entrò a Trieste, dove restò sino al 22 luglio 1919. Promosso generale d’esercito, per merito di guerra, sin dall’aprile di quello stesso anno, il 27 luglio fu nominato ispettore generale dell’arma di fanteria, incarico di cui si servì per mantenere stretti contatti con le truppe.
Negli ultimi mesi della sua presenza a Trieste il duca aveva apertamente appoggiato le pretese italiane su Fiume, ponendosi così in urto con il governo di Francesco Saverio Nitti, impegnato nelle difficili trattative di pace. Nei mesi successivi, il duca, da Torino, dove si era stabilito, si recò più volte al confine tenendo discorsi contrari alla linea del governo. La duchessa, poi, il 4 novembre 1919 andò a Fiume per partecipare, in abito di dama della Croce rossa, ai funerali di un legionario ucciso da una pattuglia di frontiera. In tale occasione essa visitò Gabriele D’Annunzio ed espresse parole di plauso alla sua azione. Ciò determinò la dura reazione del re e del governo. Nitti fece in modo che la stampa non desse grande spazio alla vicenda e stigmatizzò duramente con il sovrano l’azione dei duchi. Il re, a sua volta, riportando la notizia sul suo diario, commentò icasticamente: «vergogna!» (Artieri, 1978, p. 205), e ordinò ai duchi di compiere un lungo viaggio all’estero. La partenza del duca per il Belgio fu comunque vista dalla stampa italiana come un effetto della paura per la popolarità che egli aveva riscosso fra le truppe. Nel luglio del 1920 la carica d’ispettore generale dell’arma di fanteria fu soppressa, fra le proteste del duca stesso, che lo riteneva un attacco personale nei suoi confronti.
Negli anni successivi, i duchi d’Aosta si mostrarono sempre più aperti sostenitori di Benito Mussolini. Di particolare importanza fu il comportamento del duca in occasione della marcia su Roma. Già in settembre si erano diffuse voci che lo dicevano coinvolto nei preparativi dell’impresa (si diceva, per esempio, che egli avesse passato in rivista le squadre fasciste in diverse località). Ad allarmare di più il re e il presidente del Consiglio Luigi Facta fu la notizia che, quando i fascisti avevano posto il loro quartier generale a Perugia, il duca si trovasse in una villa che gli Orléans possedevano a Bevagna, vicino al capoluogo umbro. In diversi riferirono allora al re che il duca fosse pronto ad appoggiare i fascisti, giungendo al punto di accettare di farsi da loro sostituire al legittimo sovrano se questi si fosse rifiutato di conferire la presidenza del Consiglio a Mussolini. In realtà, non esistono prove certe che vi fossero state intese fra questi e il duca. Ciò che si conosce sono per lo più voci raccolte da terzi, come nel caso di Emilio Lussu, che raccontava di aver saputo da un aiutante di campo del re, suo amico, che il duca aveva informato il sovrano di esser pronto a detronizzarlo pur di salvare la monarchia (E. Lussu, Marcia su Roma e dintorni, Torino 1945, pp. 109 s.). Ma il re lo temeva. Celebre in questo senso la scena raccontata anni dopo da Facta alla figlia, in cui il re si sarebbe agitato disperato, ripetendo: «Viene il duca d’Aosta, viene il duca d’Aosta» (Répaci, 1972, pp. 585, 940). Se da una parte è arduo credere che il duca, educato e fedele al più ligio lealismo dinastico, sarebbe stato disposto ad accettare l’estromissione del cugino, dall’altra è vero, invece, che i fascisti si servirono abilmente, fomentandola, della paura che il re nutriva verso il duca d’Aosta. Tale paura non fu, del resto, la meno importante delle ragioni che convinsero il sovrano, il 28 ottobre 1922, a mutare la decisione assunta in precedenza revocando lo stato d’assedio.
Nel gennaio del 1923 Emanuele Filiberto fu chiamato a fare parte dell’allora istituito Consiglio dell’esercito. Alla fine di quello stesso anno si ammalò gravemente di polmonite, tanto che Vittorio Emanuele III si recò a Torino l’11 dicembre, temendolo in pericolo di vita. Il fascismo, dopo la presa del potere, lo onorò, ma non gli conferì cariche di reale potere. Il 23 giugno 1925 divenne presidente dell’Opera del dopolavoro, carica che tenne per poco più di due anni, dimettendosene nell’aprile 1927. Nominato maresciallo d’Italia il 26 luglio 1926, il duca era riconosciuto come il principale simbolo dei soldati italiani nella Grande Guerra, per cui rivestì numerosi incarichi di rappresentanza della Corona, fra cui va ricordata almeno la presidenza delle celebrazioni torinesi del 1928 per il decennale della vittoria e i quattro secoli dalla nascita del duca Emanuele Filiberto. Fra le cariche che gli furono allora conferite, vi furono quelle di presidente dell’Ordine militare di Savoia e di presidente della commissione per le Promozioni per merito di guerra degli ufficiali delle colonie.
Nel giugno 1931 il duca si ammalò nuovamente di polmonite. Dopo aver ricevuto un’ultima visita del re, il 29 giugno, morì il 4 luglio a Torino, nel suo palazzo Cisterna. Al funerale, tenutosi a Torino il 7 luglio 1931, parteciparono i sovrani e i principi di Piemonte. Il corpo fu portato al Sacrario di Redipuglia perché riposasse accanto ai soldati della 3ª armata.
Elena d’Orléans si risposò segretamente nell’ottobre 1936 con il colonnello Otto Campini (1892-1974), un ufficiale piemontese (di Brusasco) che faceva parte della sua corte. Continuò ad abitare a Capodimonte anche dopo la fine della monarchia, lasciandola solo nel 1949, quando si trasferì a Castellamare di Stabia, dove morì il 21 gennaio 1951. I funerali furono celebrati nel duomo di Napoli e il corpo fu tumulato nella chiesa della basilica di Capodimonte. Entrambi i figli le erano premorti.
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