SAVOIA, Benedetto Maurizio
di, duca del Chiablese. – Nacque alla reggia di Venaria il 21 giugno 1741, ultimogenito di Carlo Emanuele III (1701-1773), re di Sardegna, e della sua terza moglie Elisabetta Teresa di Lorena (1711-1741).
Subito dopo la nascita venne creato duca del Chiablese, nell’Alta Savoia, tradizionale appannaggio, come i ducati di Aosta e del Genevese, dei figli cadetti dei sovrani sabaudi. La madre era l’unica sorella maritata di Francesco Stefano di Lorena (1708-1765), granduca di Toscana dal 1737, che aveva sposato nel 1736 l’arciduchessa Maria Teresa d’Asburgo e nel 1745 sarebbe divenuto imperatore del Sacro Romano Impero. Le nozze fra Carlo Emanuele III ed Elisabetta di Lorena, il 5 marzo 1737, avvennero alla fine della guerra di Successione polacca, in cui gli Stati sabaudi s’erano schierati contro l’Impero, e segnarono il riavvicinamento fra i due Paesi. Il matrimonio fu felice e nel giro di quattro anni nacquero tre figli: Carlo Francesco di Savoia (1738-1745), duca d’Aosta, Vittoria Margherita di Savoia (1740-1742) e Benedetto Maurizio.
La madre morì in seguito alla sua nascita e di lì a pochi anni morirono anche gli altri due figli nati in precedenza. Ciò rese Chiablese l’unico fra i principi sabaudi a esser nipote dell’imperatore Francesco Stefano e ad avere, quindi, un diretto rapporto di sangue con la casa imperiale. Francesco Stefano, inoltre, era stato molto legato alla sorella, per cui ebbe particolare attenzione per il suo unico nipote ex sorore.
Dopo un primo battesimo alla Venaria, avvenuto il 17 agosto 1741, si ebbe la cerimonia ufficiale nella cappella della Sindone. Quando Chiablese compì sette anni, nel 1748, gli fu costituito uno stato, termine con cui si indicava un piccolo gruppo di cortigiani a lui dedicato all’interno della corte del padre. Il 22 dicembre 1749 nella cappella della reggia di Venaria si tenne la celebrazione per la sua confermazione, officiata dal cardinale Delle Lanze, grande elemosiniere di corte. Padrino fu il fratellastro Vittorio Amedeo, duca di Savoia (figlio del secondo matrimonio di Carlo Emanuele III con Polissena d’Assia). Al giovane duca furono poi affidati precettori di prima importanza, fra cui Giambatista Beccaria (che scrisse per lui un corso di fisica e gli dedicò il trattato Elettricismo artificiale, Torino 1772) e Alessandro Vittorio Papacino d’Antoni per le materie militari (Calcaterra, 1941, pp. 40-42). Nel 1761, Jérôme Richard, di passaggio a Torino, scrisse del ventenne Chiablese che, «à moins qu’il n’ait un jour de grands talent et qu’il ne serve avec éclat dans les armées de quelque puissance étrangere», egli avrebbe trascorso a Torino «une vie obscure et retirée» (1770, pp. 80 s.).
In realtà, proprio in quegli stessi anni, Carlo Emanuele III diede il via a un complesso gioco diplomatico per trovare al suo secondogenito una sposa degna del suo rango; un progetto che solo per un caso non giunse a porre il giovane duca su un trono istituito appositamente per lui. Carlo Emanuele III, che era stato un secondogenito poco amato dal padre, fu, infatti, molto legato a Chiablese, e questo rapporto finì per incrinare quello, già teso, con il duca di Savoia Vittorio Amedeo, erede al trono.
Per prima cosa, il re costituì a Chiablese un appannaggio quale non si era visto da quello che Carlo Emanuele I aveva realizzato per Tommaso di Carignano. Esso venne stabilito con patenti dell’8 febbraio 1763 e comprendeva le città di Bene, Dronero, Bra, Crescentino, Busca e Trino; i centri di Centallo, Santhià, Dezana, Pollenzo, Roccabruna, Trivero, Ghemme, Apertole e Borgomanero e una rendita annua di 400.000 lire, tratta dalle tasse statali. Inoltre, il re eresse le città presenti nell’appannaggio in principati e volle che tutti i feudi che lo componevano avessero una serie di privilegi fiscali e giuridici senza precedenti nella storia sabauda recente, così che Domenico Carutti (1880) ha potuto definirlo «quasi un piccolo stato feudale » (p. 505). Ad aumentare ulterioremente le ricchezze del figlio, il re gli assegnò l’eredità della principessa Vittoria di Savoia-Soissons, a sua volta erede del principe Eugenio. Infine, fra 1763 e 1764 acquistò dai marchesi San Martino il castello d’Agliè, loro secolare dimora, per farne la residenza di villeggiatura di Chiablese. L’operazione costò ben 1.200.000 lire alle casse dello Stato, senza contare poi l’imponente ristrutturazione necessaria. Con il castello, il re comprò per il figlio anche i feudi di Agliè, Bairo e Ozegna, che vennero così ad aggiungersi al già ampio appannaggio.
Nello stesso tempo, il re aveva iniziato a lavorare al suo matrimonio. Francesco I, zio del duca, infatti, aveva proposto a Carlo Emanuele III il matrimonio di Chiablese con una delle sue figlie. La trattativa era stata seguita personalmente dai sovrani, nella convinzione che l’imperatrice Maria Teresa e, soprattutto il cancelliere Wenzel Anton von Kaunitz, si sarebbero opposti alle nozze. L’imperatore invitò, quindi, il nipote a Innsbruck, per presentargli l’arciduchessa Maria Cristina (1742-1798), sua futura sposa. Solo allora i sovrani coinvolsero i rispettivi governi nella trattativa: Kaunitz, come previsto, sollevò delle difficoltà, sostenendo che una figlia dell’imperatore non potesse sposare un principe che non fosse anche un sovrano. Bisognava, quindi, trovare – o creare – uno Stato per Chiablese. Da Vienna giunse la proposta del Regno di Corsica: ciò però avrebbe implicato il coinvolgimento degli Stati sabaudi nelle complesse vicende che allora interessavano l’isola, per cui Carlo Emanuele III decise di rifiutare e minacciò di annullare il viaggio. L’imperatore ordinò però di trovare una soluzione e, infine, il governo austriaco propose che il duca regnasse sui ducati di Stiria, Carinzia e Carniola, riuniti in uno Stato con Graz come capitale. Una seconda proposta prevedeva, invece, che egli regnasse sul Tirolo facendo della Hofburg di Innsbruck il proprio palazzo reale.
A Torino le proposte piacquero, ma si tentò, comunque, di proporre uno Stato italiano, in modo da creare un secondo Stato sabaudo nella penisola. Il conte Luigi Malabaila di Canale, ambasciatore sabaudo a Vienna, presentò due ipotesi: o uno Stato che unisse feudi imperiali dalle Langhe alla Toscana e che avesse Pontremoli quale capitale; o un Ducato di Liguria, da Savona a Ventimiglia, per cui la Repubblica di Genova sarebbe stata compensata con i feudi imperiali compresi nel primo progetto. Un’eco di tali proposte si trova nel Voyage di Joseph-Jérôme de Lalande (1769), in cui l’astronomo francese scrive che si pensava di donare a Chiablese il ducato di Modena (pp. 529 s.).
Per trattare queste ipotesi e per redigere infine l’atto di nozze, Chiablese fu inviato a Innsbruck, dove avrebbe visto l’imperatore e i suoi ministri. Le trattative erano iniziate quando, il 18 agosto 1765, Francesco I morì improvvisamente. Il duca tornò, così, da Innsbruck senza che nulla fosse stato risolto. Maria Teresa, da sempre contraria a tali nozze, prima fece sposare, nell’aprile del 1766, Maria Cristina con il principe Alberto di Sassonia, creato duca sovrano di Teschen, e poi informò Carlo Emanuele III che era sempre interessata alle nozze, ma che per queste proponeva la figlia Maria Elisabetta (1743-1808). Inoltre, l’imperatrice informava di non ritenere necessario che il duca avesse un suo Stato: la sposa avrebbe potuto vivere a Torino, purché le fosse riconosciuto un rango adeguato. Il messaggio era chiaro e le trattative furono interrotte, tanto più che la giovane Maria Elisabetta s’ammalò di vaiolo e ne restò sfigurata. Quando, nel giugno del 1769, l’imperatore Giuseppe II giunse in viaggio a Torino, fu accolto da Chiablese e sembrò che il viaggio dovesse portare al matrimonio dell’imperatore (da poco vedovo) con una principessa sabauda e alla ripresa delle trattative per le nozze del duca di Chiablese, ma anche in questo caso non si giunse a nulla.
La morte di Carlo Emanuele III e l’ascesa al trono di Vittorio Amedeo III segnarono la fine definitiva delle ambizioni di Chiablese. Il padre aveva dato disposizioni precise perché gli fosse data in sposa una principessa di casa reale e per la coppia fosse realizzato un grande palazzo a Torino. Vittorio Amedeo III decise di adempiere alla volontà paterna, ma in modo certamente diverso da quanto questi aveva pensato. Innanzitutto creò a Chiablese una corte propria; poi, invece di fargli costruire un palazzo, gli assegnò definitivamente la manica di Palazzo Reale dove già viveva, e che da allora assunse il nome di palazzo Chiablese. Decise, infine, che il duca di Chiablese sposasse sua figlia Maria Anna (1757-1824). Le nozze si svolsero nella cappella della Sindone il 19 marzo 1775, poco dopo quelle del principe di Piemonte Carlo Emanuele con Maria Clotilde di Borbone. Furono, comunque, nozze in tono minore, senza festeggiamenti pubblici né concerti o feste al Teatro Regio: solo, la sera delle nozze si tenne a corte un ricevimento.
Da allora, Chiablese, pur rivestendo importanti cariche militari uscì di fatto dalla scena politica. Il matrimonio parve presto destinato a restare senza figli (come Vittorio Amedeo III aveva forse sperato), così che l’ingente appannaggio del duca sarebbe presto o tardi tornato al Demanio. Il nome del duca del Chiablese appare in quegli anni legato per lo più ai lavori realizzati per le sue numerose abitazioni, dal palazzo torinese al castello d’Agliè, e alla sua ingente ricchezza. Molti anni dopo Étienne-Léon de Lamothe-Langon nei suoi Mémoires de Louis XVIII scrisse che Chiablese, «excellent prince», «divisait son temps en trois parties égales, consacrées au sommeil, à la prière et à la chasse» (II, Parigi 1832, p. 10). Fra coloro che ne scrissero fu anche il marchese de Sade, che lo volle fra i personaggi dell’Histoire de Juliette, ou les Prospérités du vice, edita fra il 1797 e il 1801.
All’epoca, in realtà, la condizione del Chiablese era non poco mutata, a partire – almeno formalmente – dal suo stesso nome. Dopo la pace di Cherasco e la cessione della Savoia alla Francia egli dovette infatti abbandonare il titolo di duca del Chiablese e assumere quello di marchese d’Ivrea. Nel dicembre 1798, poi, anche Chiablese e sua moglie furono costretti a lasciare il Piemonte. All’inizio del 1799 giunsero in Sardegna, dove il duca fu nominato governatore delle torri dell’isola. Egli, tuttavia, si disinteressò totalmente dell’incarico e l’8 agosto 1799, dopo la campagna del generale Šuvarov, lasciò l’isola, insieme con la consorte, ufficialmente per tornare a Torino. In realtà si fermarono a Roma, che dovettero poi lasciare il 25 maggio 1801 in seguito all’avanzata delle armate francesi, raggiungendo a Caserta il resto della famiglia reale.
Rientrarono a Roma l’anno seguente, in seguito all’abdicazione di Carlo Emanuele IV a favore di suo fratello Vittorio Emanuele I. Essi non presero bene l’abdicazione del re, convinti che il nuovo sovrano non avrebbe mantenuto le buone condizioni di appannaggio che l’ex sovrano aveva loro garantito. In effetti, Vittorio Emanuele I, considerando la drammatica situazione delle casse reali, decise di ridurlo, provocando la dura reazione dei duchi, che da allora ebbero rapporti assai tesi con il sovrano. Questi avrebbe voluto che lo seguissero in Sardegna, ma la coppia si rifiutò. Il duca cercò, anzi, di rinegoziare con il nuovo re il proprio trattamento economico, al fine, soprattutto, di separare il proprio destino da quello del sovrano, che appariva ormai compromesso.
Fra il 1802 e il 1803 il duca, anzi, inviò un memoriale al governo francese, chiedendo che i suoi beni non fossero compresi fra quelli posti sotto sequestro. Il progetto non riuscì, perché a Parigi si chiedeva che i Chiablese riconoscessero l’annessione del Piemonte alla Francia. Chiablese, tuttavia, sperava ancora di trovare un accordo per rientrare in patria. Quando nel 1804 Luciano Bonaparte, dopo aver rotto con il fratello, si stabilì a Roma, i duchi del Chiablese iniziarono a frequentarlo con assiduità. «La duchesse de Chablais et la princesse douairière Borghèse etaient les seules femmes que madame Lucien reconduisît jusqu’à l’entre du Salone. Le sénateur avait ces mêmes égards pour le duc de Chablais, le prince Stanislas Poniatowski, le prince de Saxe-Gotha, les cardinaux et pour tout personagge de famille souveraine qui, pendant son séjour a Rome, se serait fait présenter au palais» (Mémoires..., 1818, p. 119).
Convintisi che l’evoluzione imperiale di Napoleone creasse una condizione favorevole a un loro ritorno in Piemonte, nella primavera del 1805 i duchi decisero di partire per Firenze, allora capitale del Regno d’Etruria di Ludovico di Borbone (un sovrano che il re di Sardegna non riconosceva). Opinione comune era che da lì essi intendessero spostarsi poi a Milano, capitale del Regno d’Italia (creato il 17 marzo), dove Napoleone sarebbe stato incoronato il 26 maggio. Vittorio Emanuele I interruppe allora la corrispondenza con i duchi di Chiablese e fece loro sapere che se fossero andati a Milano avrebbero perso l’appannaggio che egli continuava a garantirgli. I duchi decisero, quindi, di fermarsi in Toscana, ma cercarono comunque un accomodamento con l’Impero. In estate Chiablese fece pervenire al ministero delle Finanze di Parigi la richiesta che gli fossero restituiti i suoi beni in Piemonte. Napoleone stesso, però, il 20 agosto, rispose che «si ce prince se considère comme n’ayant plus aucun droit au tròne de Savoie, et s’il reconnaît que le Piémont appartient à la France, sa demande devient fondée; si, au contraire, il persévère dans l’idée que sa famille conserve ses droit sur le Piémont, dès lors il est ennemi de la France, il ne peut recevoir rien du Gouvernement qu’a titre de secours» (Corrispondance..., 1863, p. 105 n. 9100). Il duca non se la sentì di rompere così apertamente con la famiglia e quindi rientrò a Roma, dove nel 1806 decise di stabilirsi, acquistando prima un palazzo in piazza Paganica e poi la vasta tenuta di Tor Marancia, sulla via Ardeatina.
Chiablese morì a Roma il 4 gennaio 1808 e fu sepolto nella chiesa di S. Nicola di Tolentino, a largo Argentina. Nel 1926 la chiesa fu distrutta e i suoi resti furono esumati e portati alla basilica di Superga.
Alla Restaurazione, la vedova Maria Anna non rientrò in Piemonte. Nel 1817 diede inizio a una lunga campagna di scavi a Tor Marancia che si prolungò sino al 1823. Nel frattempo, acquistò da Luciano Bonaparte una parte della villa Rufinella a Frascati, che divenne la sua residenza estiva, e dalla Camera apostolica Isola Farnese, su cui erano le rovine di Veio. Vittorio Emanuele e Carlo Felice insistevano perché tornasse in Piemonte, ma, tranne che per un breve soggiorno fra luglio e agosto 1818, ella si decise a lasciare Roma solo nel maggio del 1823. Nell’estate del 1824 accompagnò il re in un viaggio in Savoia. Morì a Stupinigi l’11 ottobre 1824. Lasciò la maggior parte dei reperti trovati a Tor Marancia ai Musei Vaticani. I beni piemontesi passarono, invece, prima al fratello Carlo Felice e alla moglie Maria Cristina di Borbone-Napoli e poi ai duchi di Savoia Genova.
Fonti e Bibl.: J.-J. Le Français de Lalande, Voyage d’un François en Italie fait dans les années 1765 et 1766, I, Paris 1769, pp. 529 s.; J. Richard, Description historique et critique de l’Italie, II, Paris 1770, pp. 80 s.; Correspondance de Napoleon Ier, XI, 20 agosto 1805, Paris 1863, p. 105 n. 9100; Mémoires secretes sur Lucien Bonaparte, prince de Canino, I, Bruxelles 1818, p. 119; F. Lattari, I monumenti dei principi di Savoia in Roma, Roma 1879, pp. 66-72, 125-142; D. Carutti, Storia della diplomazia della corte di Savoia, I, Torino 1880, p. 505; Id., Storia della corte di Savoia durante la Rivoluzione e l’Impero francese, Torino 1892, passim; Documents sur la négociation du concordat et sur les autres rapport de la France avec le Saint-Siège de 1800 et 1801, II, Paris 1892, p. 458; D. Perrero, I reali di Savoia nell’esilio (1799-1806), Torino 1898, passim; G. Giorcelli, La venuta a Casale di Benedetto Maurizio di Savoia duca del Chiablese (luglio 1766), Alessandria 1904; M.H. Weil, Un couple royal en exil. Le duc et la duchesse d’Aoste (Victor Emmanuel Ier et la reine Marie Thérèse), in Revue historique de la Révolution française, VII (1916), 10, pp. 177-201; VIII (1917), 11, pp. 96-124; Id., Un aventurier peu connu du siecle dernier: Conti a la cour du duc et de la duchesse de Chablais, ibid., VIII (1917), 12, pp. 5-15; O.F. Tencajoli, Maria Anna duchessa del Chiablese, in Id., Principesse sabaude in Roma, Roma 1939, pp. 179-212; C. Calcaterra, I filopatridi, Torino 1941, pp. 40-42; P. Astrua, Le scelte programmatiche di Vittorio Amedeo [III] duca di Savoia e re di Sardegna, in Arte di corte a Torino da Carlo Emanuele III a Carlo Felice, a cura di S. Pinto, Torino 1987, pp. 75-83, 87 s.; A. Merlotti, Savoia e Asburgo nel XVIII secolo: due progetti per un secondo Stato sabaudo nell’Italia imperiale (1732, 1765), in Le corti come luogo di comunicazione. L’Italia e gli Asburgo (secc. XVI-XVIII), a cura di M. Bellabarba - J.P. Niederkorn, Bologna 2010, pp. 215-234; Id., «Il y a ici quelque étiquette?» Cerimonie e sociabilità per la visita di Giuseppe II a Torino nel 1769, in La festa teatrale nel Settecento. Dalla corte di Vienna alle corti d’Italia, a cura di A. Colturato - A. Merlotti, Lucca 2011, pp. 155-171.