SAVOIA CARIGNANO, Odone (Oddone), di. – Nato a Racconigi l’11 luglio 1846, fu il quarto figlio di Vittorio Emanuele principe di Piemonte, e più tardi re di Sardegna e d’Italia come Vittorio Emanuele II, e di Maria Adelaide di Asburgo Lorena, dopo Maria Clotilde (1843-1911, dal 1859 moglie di Gerolamo Napoleone), Umberto (1844-1900, futuro re d’Italia) e Amedeo (1845-76, per breve tempo re di Spagna); dopo di lui sarebbero nati Maria Pia (1847-1911, dal 1862 moglie di Luigi I di Braganza, re del Portogallo) e altri tre fratelli, morti precocemente (Carlo Alberto, 1851-54; un secondo, nato e morto subito nel 1852, e Vittorio Emanuele, 1855)
Priva di rilievo politico – a causa dell’isolamento in cui fu a lungo tenuto, sia per obiettive ragioni di salute che per cinici motivi d’immagine (il padre parve elaborare nei suoi confronti una sorta di rimozione) – la sua breve esistenza è tuttavia tratteggiata dai suoi biografi in termini agiografici, che ne esaltano l’intelligenza non comune e l’amore per l’arte, la caparbia volontà e la forza d’animo, la religiosità e l’amabilità, la modestia e la generosità.
Nell’ambito dell’attività di beneficenza spiccano la predilezione per l’infanzia malata e abbandonata, le oblazioni agli asili genovesi, l’ospitalità a Cornigliano di bambini poveri per i bagni di mare e il progetto (non realizzato) di costruire per essi uno stabilimento balneare. Senza i limiti di autonomia di spesa che invece gravarono a lungo sulla sua esistenza, quella beneficenza avrebbe sicuramente avuto maggiore estensione, come del resto l’attività culturale.
Di salute cagionevole (nel 1848 era già gravemente malato), secondo Charvaz (1866) a otto anni gli si manifestò una deviazione della spina dorsale, mentre altri biografi parlano di rachitismo; affetto probabilmente da displasia ossea o osteogenesi imperfetta, e quindi da fragilità ossea congenita (Papone, 1996, p. 18), fu sottoposto a continue operazioni chirurgiche e costretto spesso all’immobilità e all’uso di busti, seggiole a rotelle e stampelle.
Fino al 1853 fu affidato alle cure della madre e della nonna paterna Maria Teresa e per alcuni anni della bisnonna Maria Albertina di Sassonia, affiancate da Paolina Pallavicino di Priola; dal 1851 precettori furono gli abati Giorgio Maria Bogey e Placido Pozzi. Fu un’infanzia poco movimentata, eccettuate alcune vacanze estive con la famiglia: alla Spezia nel 1853, per i bagni di mare; a Casellette, in Val di Susa, nel 1854, e in Val Casotto, con i fratelli, nel 1856.
Con essi, compatibilmente con le frequenti malattie, visse fino al 1860 tra Torino e Moncalieri, dove il re aveva istituito una casa di educazione dei principi (governatore Giuseppe Rossi, vice-governatore Federico della Rovere, con Bernardo Pes di Villamarina e i precettori abati Umberto Pillet, Bogey e Pozzi). Vi conseguì risultati migliori dei fratelli (geologia, meccanica, disegno, astronomia, musica, letteratura, storia e francese, le materie impartite; tra i docenti, Angelo Sismonda per storia naturale, e Angelo Beccaria per il disegno), dilettandosi con sculture, disegni e acquerelli, mentre gli erano preclusi svaghi, divertimenti, attività fisiche e qualsiasi ruolo ufficiale. Scomparse madre e nonna nel gennaio 1855, si rafforzarono i legami con le sorelle, specie Maria Clotilde, che tuttavia con le nozze del 1859 si allontanò dalla famiglia.
Al 1861 risale il primo soggiorno estivo in autonomia: con Maria Pia fu a villa Rostan di Pegli, allora centro climatico di prim’ordine; Pietro Domenico Rostan lo ospitò nel palazzo già Lomellini, oggi malamente sopravvissuto alle trasformazioni dell’area circostante e alla perdita del celebre parco ispirato alla moda inglese, e all’epoca ancora esistente, creato per l’illuminista Agostino Lomellini (Bonora, 1996, pp. 75 s.).
Tornato a Moncalieri, ottenne di trasferirsi stabilmente a Genova, dove giunse nel novembre 1861.
Circondato da una piccola corte personale – il marchese Orazio Di Negro, ammiraglio genovese, suo governatore; l’abate e cavaliere Giuseppe Anzino, elemosiniere di Sua Maestà e suo precettore, nonché zio del suo maggior biografo, Valerio Anzino; Gustavo Alziari di Malaussena e Galeazzo Frigerio, ufficiali di ordinanza provenienti dalla Regia Marina, e ospiti quasi fissi, così come il pittore Angelo Beccaria e il medico Evasio Adami –, poco più che adolescente e separato dalla corte piemontese e dalla famiglia, Odone abitò dunque un piccolo alloggio al terzo piano ammezzato nell’ala di levante del Palazzo Reale genovese (già Durazzo e ancor prima Balbi, acquisto di Carlo Felice, negli anni Quaranta i Savoia vi avevano effettuato impegnativi lavori). Con l’approfondirsi dei suoi interessi culturali e l’incremento delle collezioni, esso fu sottoposto a trasformazioni, ampliamenti e abbellimenti, tra cui spiccano un gabinetto “di stile pompejano” e una “serra dei fiori”, denominata anche galleria “esterna” o “callidarium”.
Nelle volte delle sale resta la decorazione pittorica; la serra fu rimossa nel 1903; rimangono quattro statue delle Stagioni, fatte realizzare da Santo Varni a Carrara (Leoncini,1996, pp. 47-57; Leoncini, 2012).
L’inventario redatto nel 1866, conservato presso l’Archivio di Stato di Torino e di recente pubblicato, consente di ricostruire il museo e l’ordine originale con cui erano esposti i pezzi (Leoncini, 1996, pp. 60-63; Odone di Savoia, 1996, pp. 64-74); scarsità di spazi disponibili e continuo accrescimento delle raccolte indussero a estenderlo nella galleria della Darsena, al terzo piano dello scomparso ponte che collegava palazzo e mare, oltre che nella villa di Cornigliano (sulla quale si veda avanti).
A Genova l’esistenza di Odone parve assumere ritmi quasi normali, tra assidue frequentazioni teatrali (il Falcone e il Carlo Felice), proficui rapporti con le principali istituzioni culturali cittadine (Accademia Ligustica, Società ligure di storia patria e Società promotrice di belle arti), mentre, grazie alla vicinanza del mare e alla passione per la navigazione, proseguì anche la sua carriera militare: gli fu conferito il titolo di tenente e poi di capitano di vascello.
La Società ligure di storia patria lo acclamò socio onorario il 13 marzo 1864; analogamente aveva fatto l’Accademia Ligustica il 15 gennaio 1863; la Società promotrice genovese lo nominò presidente onorario il 29 maggio 1864 (Anzino, 1867, p. 130).
Il desiderio di viaggiare fu appagato nell’estate 1862, in cui compì un viaggio “d’istruzione” con i fratelli in Sardegna, nel Sud Italia e a Costantinopoli. Partiti da Genova il 5 giugno con tre imbarcazioni (Governolo, per Odone, Amedeo e Maria Pia; Costituzione, per Umberto; e Tuckery, nave di riserva), accompagnati da numeroso seguito, incluso Sismonda, i principi fecero tappa a Porto Torres, Sassari, Alghero e Cagliari (Odone visitò università, biblioteca e museo, iniziando a raccogliere oggetti antichi); in Sicilia, furono a Palermo, Marsala, Siracusa, Noto, Trapani, Terranova, Agrigento, Catania e Messina; seguì un soggiorno di quasi un mese a Napoli, con visite ai musei ed escursioni anche a Pompei (Umberto vi chiese in dono oggetti di scavo, in parte poi cedutigli; Pastorino, 1996 p. 93), Caserta e Ischia; infine a Costantinopoli Odone fu a S. Sofia e acquistò oggetti antichi e moderni al Gran Bazar.
Probabilmente a Napoli incontrò Giuseppe Fiorelli, eminente archeologo allora direttore degli scavi di Pompei, presto divenuto uno dei suoi principali referenti per l’antico.
Rientrato a Genova a settembre, dopo avere assistito a Torino alle nozze di Maria Pia, iniziò a studiare e collezionare seriamente antichità, avvalendosi anche dei consigli di Santo Varni, poliedrico artista, collezionista e studioso d’arte e d’archeologia: acquistò monete, medaglie e gemme, pietre incise e cammei; fece portare da Torino vasi etruschi (provenienti dagli scavi che Maria Cristina di Savoia aveva fatto eseguire a Veio); attraverso la mediazione di Varni acquisì una scultura raffigurante Sileno (Bettini, 1998, pp. 45 s., fig. 13) e cercò invano di ottenere altri reperti da Pompei (negati dallo stesso Fiorelli). Intendendo far condurre scavi archeologici, nel maggio 1863 inviò Varni a Libarna e a Novi Ligure; in estate intraprese quindi un nuovo viaggio in Sardegna (Alghero e Cagliari, ove acquistò oggetti antichi), Ischia e Napoli (con escursioni a Pompei e sul Vesuvio): accompagnato da Fiorelli e Varni, non si limitò a studiare e comprare pezzi (provenienti soprattutto dalle necropoli di Apulia e Lucania), ma ottenne di far effettuare scavi a Santa Maria Capua Vetere (incaricato Fiorelli, furono ritrovate tombe e materiali di vario genere). Nel gennaio 1864, sempre da Fiorelli fece intraprendere scavi nella necropoli di Cuma; richiese pure calchi di sculture antiche pompeiane (Pastorino, 1996, pp. 93-146; Ead., 2004).
I viaggi del 1862 e 1863 orientarono il suo interesse anche verso la numismatica (lasciò oltre mille esemplari, tra monete antiche, soprattutto di età romana imperiale, e medievali, nonché medaglie di varie epoche), pure coltivato con la consulenza di Varni, nutrito degli acquisti da lui suggeriti e dai recuperi provenienti dagli scavi capuani, e consolidato con l’acquisizione di testi specialistici (Pera, 1996, pp. 151-169); le sue raccolte si arricchivano frattanto di oggetti esotici ed extraeuropei (tra cui 24 vasi precolombiani peruviani oggi al Museo etnografico d’Albertis: De Palma, 1996, pp. 147-150), raccolte malacologiche (1862 esemplari provenienti da tutte le parti del mondo, oggi nel Museo di Storia naturale di Genova: Doria - Varaldo, 1996, pp. 281-287) e ornitologiche (63 uccelli e 150 colibrì imbalsamati: acquistati a Londra dal principe di Carignano e a lui donati, e dopo la sua morte trasferiti al castello della Mandria, se ne sono perse le tracce; oltre agli insegnamenti di Sismonda, a Genova, dove possedeva pure uccelli in gabbia e acquari marini, Odone fu allievo di Michele Lessona).
Ma soprattutto il suo collezionismo fu rilevante nei confronti dell’arte contemporanea. Secondo una consuetudine diffusa tra i membri della famiglia reale, già presente alle esposizioni della Società promotrice torinese, talvolta con acquisti effettuati a suo nome perfino in età infantile, come avveniva per i fratelli (cfr. le mostre del 1855, 1856, 1858 e 1860: Giubilei, 1996, pp. 207-210), nel 1862 e 1863 egli iniziò a frequentare le mostre della Promotrice genovese, comprando paesaggi, dipinti di genere e nature morte, soprattutto di pittori piemontesi apprezzati nella capitale sabauda (Costantino Sereno, Guido Gonin, Angelo Beccaria, Tetar van Elven, Pietro Giuria) e di artisti settentrionali pure habitués delle rassegne torinesi (i lombardi Angelo e Francesco Inganni, Salvatore Massa e gli Induno, i veneti Federico Moja e Luigi Querena). Quanto ai liguri, fin dal 1862 comprò opere di Pasquale Domenico Cambiaso, insegnante prediletto dell’aristocrazia genovese, nel frattempo subentrato a Beccaria come suo professore di disegno, e di Tammar Luxoro; in stretto rapporto con lui soprattutto nell’ultimo periodo della sua vita, egli orientò i successivi acquisti alle Promotrici genovesi del 1864 e 1865 verso artisti più innovatori (Benedetto Musso, Alfredo D’Andrade ed Ernesto Rayper, suoi allievi, il macchiaiolo Vincenzo Cabianca e i toscani Luigi Bechi e Alessandro Lanfredini, frequentatori del Caffè Michelangiolo).
Proseguivano anche gli acquisti alle mostre torinesi (nel 1863 dieci opere, in prevalenza acquerelli, per ben 4.340 lire, mentre in seguito gli investimenti a quelle rassegne sarebbero sensibilmente calati); i rendiconti delle Promotrici genovesi attestano le rilevanti spese di 1285 lire (più 3350 per conto del re) nel 1862; 3500 lire (più 960, con il fratello Amedeo) nel 1863; 3465 lire nel 1864; 5870 lire nel 1865.
Queste opere furono la punta più avanzata della collezione d’arte contemporanea, che incluse anche testimonianze di marca più ufficiale, sovente acquisti di altri membri della casa reale poi elargitigli in dono (come le opere di Giuseppe Bellucci, Gabriele Castagnola, Filippo Leonardi, Enrico Pollastrini e Pasquale Romanelli), con una predilezione per la produzione toscana (da cui proviene pure Il Genio del mare di Giuseppe Lazzerini, oggi nell’atrio di Palazzo Reale a Genova), in una generale delicata fase del processo di unificazione nazionale; per doveri di rango e «non dar luogo a suscettibilità municipali» (Giubilei, 1996, p. 215) la raccolta assunse carattere decisamente “unitario”, anche grazie a opere provenienti da Napoli.
A Genova Odone si rapportò pure con la conservatrice Accademia, istituendovi nel 1864 un concorso per giovani artisti meritevoli (Giubilei, 1996, p. 213; Olcese Spingardi, 1996, p. 89); e chiamò Giuseppe Isola e Giuseppe Frascheri, ai vertici dell’istituto, a lavorare per lui (Anzino, 1867, pp. 64, 70; Olcese Spingardi, 1996, pp. 7, 8, 12; Leoncini, 2012, pp. 388 s.).
Fondamentale fu ancora il rapporto con Varni, scultore della real casa già presso Carlo Alberto, e consulente di Odone anche per acquisti di pittura antica (in prevalenza devozionali, con qualche esempio di genere e di paesaggio, e poi pervenute a Palazzo Bianco, le opere, tra cui spicca un dipinto di Quentin Massys, documentano soprattutto aspetti della pittura fiamminga, lombarda e genovese tra il XVI e il XVIII secolo: Boccardo - Di Fabio, 1996, pp. 171-203) e contemporanea, oltreché artista dello scalpello e progettista di arredamenti. Fu un apporto complesso e divenuto insostituibile, come attesta il “diario” dei loro incontri, che, con altre carte scrupolosamente conservate dall’artista, conferma il credito da lui goduto alla corte genovese (Genova, Archivio Accademia Ligustica [AAL], fondo Santo Varni, n. 61. Casa di S. A. R. il principe Odone, 1862-1867; il diario inizia il 2 novembre 1862 e termina il 20 gennaio 1866, un giorno prima della morte di Odone: Olcese Spingardi, 1996).
Tra le sue opere per Odone, i busti di Maria Clotilde e Maria Pia, due teste di centauro, una fontana decorata da marmi policromi e dorature, tuttora a Palazzo Reale; Amore che doma la forza, oggi alla Galleria d’arte moderna di Genova; la statua dell’Immacolata per l’omonima basilica genovese. Alla Ligustica, testimonianze dell’attività di progettista di arredi per Odone sono i disegni per i fregi della stanza pompeiana, per l’inginocchiatoio del principe, per le scansie del futuro museo, per giardiniere realizzate dal suo allievo Giovanni Battista Perasso ecc. A Palazzo Reale sono pure i busti di Andrea Doria, Caffaro, Guglielmo Embriaco, Cristoforo Colombo e Luca Cambiaso, ordinati su suo suggerimento agli allievi Giuseppe Benetti, Domenico Carli, Giuseppe Molinari, Agostino Vignolo e Lorenzo Orengo (Santo Varni, 1985; Olcese Spingardi, 1996; Odone di Savoia,1996, passim).
Varni lavorò anche a ideare un più vasto e ambizioso museo, che avrebbe dovuto trovare posto nella villa già Durazzo di Cornigliano. Non potendo Odone viaggiare a causa di un improvviso peggioramento, nelle estati del 1864 e 1865 essa fu dimora della sua villeggiatura. Ceduto in affitto ammobiliato da Filippo Ala Ponzone, mecenate e collezionista lombardo, che l’aveva acquistato nel 1853 da Bendinelli Durazzo, l’imponente edificio, oltre a disporre di accesso diretto alla spiaggia, per facilitare i bagni di mare, conservava all’interno, con il museo di storia naturale Durazzo, numerose opere contemporanee non ritirate dal loro inquieto e instabile proprietario («oltre 400 quadri dei più distinti autori moderni», secondo Anzino, 1867, pp. 71 s., e una notevole «Galleria di statue»): esempio e stimolo a elaborare un vero progetto museografico per le proprie collezioni di Odone, destinato tuttavia a rimanere sulla carta, a causa del drammatico evolversi delle sue condizioni di salute (la villa, acquistata dai Savoia nel dicembre 1865, fu ceduta nel 1868 a Lazzaro Patrone: Bonora, 1991; Id., 1996, pp. 76-81; Olcese Spingardi, 1999).
Dopo un ultimo soggiorno torinese e un incontro con la famiglia nel settembre 1865, Odone ebbe una grave emorragia e, infine, un attacco d’idropisia che gli impedì perfino la posizione supina. Confortato dai familiari (i fratelli, il cugino Eugenio di Carignano, la zia duchessa di Genova, il cardinale di Genova Andrea Charvaz e il re), lucido praticamente fino alla fine, morì nella notte tra il 21 e il 22 gennaio 1866.
Dopo il funerale a Genova, nella cattedrale di S. Lorenzo, la salma fu trasferita a Torino e tumulata nella basilica di Superga.
Per il trigesimo nel capoluogo ligure, dopo alcune polemiche in Consiglio comunale e sui quotidiani sull’opportunità di realizzare un fastoso apparato effimero (cui peraltro gratuitamente avrebbero lavorato nove allievi della Ligustica, coordinati da Varni), si realizzò una più modesta struttura (anziché le oltre 50.000 lire previste per il primo progetto furono stanziate 7100 lire): la cerimonia fu officiata in S. Lorenzo dall’arcivescovo Charvaz (Papone, 1996, pp. 27-29; Olcese Spingardi, 1996, p. 83).
Ancora a Genova, poco dopo la morte di Odone, i presidenti di Società ligure di storia patria, Accademia e Promotrice, attraverso Orazio Di Negro, chiesero e ottennero dal re il dono delle collezioni per la costituzione di un museo artistico e archeologico cittadino.
In segno di gratitudine, il Municipio genovese fece coniare una medaglia da Edoardo Chiossone, incisore Giuseppe Collareta, da donare alla famiglia reale (Anzino, 1867, pp. 137 s.; Papone, 1996, pp. 28 s.; Pera, 1996, pp. 156 s., 169).
Dopo un iter lungo e complesso, avrebbero beneficiato del dono le collezioni civiche dei Musei Archeologico, Etnografico del castello D’Albertis, di Storia naturale, delle Gallerie di Palazzo Rosso e Palazzo Bianco, del Museo del Risorgimento e della Galleria d’arte moderna (Ghio, 1980; Tagliaferro, 1986, pp. 53 s., 83 s.; Giubilei, 1990, pp. 16-20; Il passato presente, 1991, passim; Giubilei, 2004; altre opere, in gran parte recuperate solo di recente, rimasero a Palazzo Reale).
Fonti e Bibl.: Genova, Archivio Accademia Ligustica (AAL): n. 687/16 Copialettere 1862-1865 e fondo Santo Varni, n. 61, Casa di S. A. R. il principe Odone 1862-1867; Roma, Archivio centrale dello Stato [ACSR]: Genova, cartella Soggiorni reali 1836-1876 e Ministero Real Casa, serie speciale 91; Archivio di Stato di Torino [AST]: Legato Umberto II. III lotto, Serie studi dei principi; mazzi 22, 53, 73; Casa di S.M., nn. 5331, 5587-5588, 5680-5692.
Società promotrice di belle arti in Genova. Rendiconto. Anno XI, 1862, Genova 1862, pp. 5, 19, 20; Rendiconto. Anno XII. 1863, Genova 1863, pp. 5, 11, 13; Rendiconto. Anno XIII. 1864, Genova 1864, pp. 3, 10; Resoconto. Anno XV. 1865, Genova 1866, pp. 6 s., 17 s.; G. Briano, Il principe Odone Eugenio Maria di Savoia duca di Monferrato, Firenze 1866; A. Charvaz, Oraison funèbre de S. A. R. le prince Odon de Savoie duc de Montferrat prononcée dans l’Eglise Métropolitaine de Gênes le 24 février 1866, Genova 1866; P. Durio, In morte di Oddone Eugenio Maria principe di Savoia. Epigrafi, Torino 1866; G. Massari, Commemorazione di S. A. R. il principe Oddone di Savoia duca del Monferrato, Bari 1866; A. Merli, Appendice al Sunto storico delle Arti del Disegno e dei principali artisti in Liguria, Genova 1866, pp. 22, 39, 41, 55, 79; L. Renaldi, Elogio funebre di S. A. R. il principe Oddone di Savoia duca di Monferrato, Torino 1866; P. Tola, Elogio di S. A. 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