SAVOIA, Emanuele Filiberto di, principe di Oneglia. –
Nacque a Torino il 17 aprile 1588, terzo figlio del duca Carlo Emanuele I e dell’infanta Caterina d’Asburgo.
Avviato alla carriera ecclesiastica, a nove anni fu naturalizzato spagnolo e nominato dal nonno materno, il re Filippo II di Spagna, priore di Castiglia e León. A undici anni diventò chierico grazie all’intervento dell’arcivescovo di Bari Giulio Cesare Riccardi, allora nunzio apostolico a Torino. L’anno dopo entrò nell’Ordine di Malta e ricevette dal padre la ricca abbazia di S. Michele della Chiusa, alla quale avrebbe rinunciato a favore del suo maestro Giovanni Botero. Le speranze di carriera, che fin dalla sua infanzia furono in lui riposte, lo portarono a occuparsi prevalentemente di marina e di arte militare, facendogli accantonare le iniziali velleità di ascesa nei ranghi del clero.
Il padre ne curò l’istruzione affidandolo, nell’adolescenza, insieme con i fratelli maggiori, al governatore Ettore di Chevron-Villette. Come precettori ebbe lo spagnolo Pietro Leone, che gli insegnò a leggere e scrivere, l’abate Giacomo Gloria, che lo educò nella dottrina religiosa, il cosmografo Giovanni Battista Lavagna, che gli spiegò matematica, arti nautiche, geografia e cartografia, Bartolomeo Cristini, che lo addestrò in aritmetica e geometria, il medico Gian Francesco Fiocchetto, dotto in filosofia, astronomia e scienze naturali, infine il famoso Giovanni Botero, incaricato di «dettargli» la storia.
Nel 1603 fu inviato a Madrid da Carlo Emanuele I (che sperava in feudi, governi e benefici per i figli maschi, in doti per le figlie) con i due fratelli maggiori, Filippo Emanuele (1586-1606) e Vittorio Amedeo (1587-1637), per completare la propria formazione impratichendosi dei costumi della corte spagnola, nell’eventualità che uno dei principi sabaudi potesse essere coinvolto nella successione di quella Corona. Il duca Carlo Emanuele I aveva, infatti, accarezzato la speranza che l’infanta Anna (1601-1666), allora unica figlia (ed erede) del re Filippo III, sposasse uno dei suoi figli, così che, se il re non avesse avuto altri eredi, un Savoia sarebbe asceso al trono spagnolo.
Durante questa prima permanenza in Spagna ebbe come governatore Carlo Felice d’Este marchese di San Martino, come precettore Botero, come medici Fiocchetto e Pietro Pomeo, come insegnante di matematica il poeta alessandrino Giuliano Firuffini. Fu l’unico dei figli di Carlo Emanuele I che non solo si adattò all’ambiente spagnolo, ma vi riscosse grande fiducia. Venuta meno la speranza della successione al trono con la nascita nel 1605 del principe Filippo d’Asburgo, erede di Filippo III, morto il fratello primogenito Filippo Emanuele e divenuto principe ereditario dei Savoia il fratello Vittorio Amedeo, fu con quest’ultimo richiamato in Piemonte nell’agosto del 1606.
Nel 1610 tornò a Madrid per placare lo zio Filippo III dopo che, nell’aprile dello stesso anno, Carlo Emanuele I aveva segretamente firmato con gli emissari di Enrico IV di Borbone il trattato di Bruzolo, ai danni degli Asburgo di Spagna e d’Austria. Morto in maggio Enrico IV, Carlo Emanuele I si trovò minacciato di subire le conseguenze del fallito tentativo di alleanza con la Francia, finita all’epoca sotto la reggenza di Maria de’ Medici. Con l’intercessione di Venezia e del papa, il duca di Savoia riuscì, così, a inviare nuovamente il figlio Emanuele Filiberto alla corte madrilena, dove, avendo agito con estrema prudenza, questi ne conquistò definitamente il favore, al punto da essere trattenuto per il resto della vita al servizio spagnolo. Pur mantenendo verso il padre un attaccamento devoto, svolse da allora in poi incarichi esclusivamente a nome del re di Spagna.
Nominato nel 1612 (sebbene già nel novembre 1611 il duca di Lerma marchese di Denia gliene avesse dato notizia a nome del governo) capitano generale del mare o, come più comunemente si diceva, grande ammiraglio, compì in questa veste, nel 1614, diverse operazioni navali contro il tentativo turco di sbarcare in Sicilia. Tale carica era una delle più importanti dell’Impero ed era stata affidata, prima di allora, soltanto ad Andrea Doria e a don Giovanni d’Austria (il fratellastro del re Filippo II). Essa implicava, formalmente, il comando di tutte le coste e dei mari appartenenti alla Corona di Spagna. Di fatto, Emanuele Filiberto di Savoia non si trovò mai coinvolto in veri scontri armati, né percorse mai le rotte atlantiche. Con la flotta che comandava egli fu a Napoli, in Sicilia, lungo le coste tirreniche, a Genova, a Savona, di nuovo a Napoli e a Messina.
Suo padre combatteva, intanto, nella prima guerra del Monferrato (1613-17), accampando diritti su quel marchesato contro le truppe spagnole che erano state messe in campo ai confini dei domini sabaudi dal governatore di Milano, Pedro Álvarez de Toledo. Sconfitto, Carlo Emanuele I si riavvicinò alla Spagna ancora tramite l’azione mediatrice del figlio, che si mostrò molto abile a mantenere un profilo allineato agli ordini che gli giungevano da Madrid. Nel 1619 Emanuele Filiberto tornò in Piemonte, dopo quasi un decennio, in occasione della celebrazione delle nozze del fratello Vittorio Amedeo con Cristina di Francia. Durante il suo soggiorno a Torino, egli ebbe diversi contrasti con esponenti della corte, di cui dovette rilevare la ormai netta trasformazione in senso filofrancese. Nel 1620 era nuovamente in Spagna. Lo stesso anno il padre gli assegnò il principato di Oneglia.
Nel 1621 Filippo IV di Spagna fece pubblicare, non senza destare gelosie all’interno del Consiglio di Stato e dell’aristocrazia siciliana, la sua nomina a viceré di Sicilia, dietro le insistenze del conte duca Gaspar de Guzmán Olivares, che temeva una crescita eccessiva del suo ruolo presso la corte madrilena e che perciò operava per distaccarlo dalla capitale. Tale carica, di cui gli fu data notizia mentre si trovava a Messina e che egli esercitò dall’inizio dell’anno successivo, lo allontanò da Madrid fino alla morte, concentrando sotto di lui il controllo di tutte le missioni contro navi nemiche, grazie al potere che gli veniva conferito non solo sulla marina spagnola, ma anche su quella di Malta e degli Stati italiani che riconoscevano l’egemonia del re cattolico.
Il principe, divenuto viceré, da una parte esercitava l’alta sovranità su Malta (che con le isole di Gozo e di Comino era stata assegnata dall’imperatore Carlo V ai cavalieri di San Giovanni come feudo dipendente dal Regno di Sicilia), dall’altra, appartenendo come priore di Castiglia e León all’ordine melitense, aveva a sua volta obblighi di subordinazione. Ne derivò che quasi sempre la flotta melitense operò d’accordo o insieme con quella di Sicilia nelle azioni navali contro i turchi e i barbareschi. Le sedi del suo vicereame furono Messina e Palermo, dove risiedette con grande sfarzo. Ebbe il merito di preservare l’isola dalle incursioni barbaresche e turche, che erano state invece pesanti durante i vicereami precedenti.
Al medico e consigliere Fiocchetto, che lo aveva seguito fedelmente, assegnò il ruolo di suo protomedico personale, delle galee e dell’armata. A don Álvaro de Bazán, marchese di Santa Cruz, che si era distinto in diverse campagne navali, procurò la promozione a tenente generale del mare, generale delle galee di Sicilia e suo consigliere. Allo spagnolo Martino Vivanco, che era stato regio cappellano, questore della flotta regia e suo cappellano, diede la carica di giudice della legazia apostolica. Al suo maggiordomo don Pedro de Lazan y Zunica quella di stratigoto di Messina per l’anno 1624, anche se questi fu costretto ad abbandonare presto l’incarico per l’opposizione dei messinesi.
Governò la Sicilia meno di due anni e mezzo, troppo poco per poter lasciare un’impronta personale, ma rivelandosi, in realtà, un abile diplomatico nel coordinare i rapporti con lo Stato della Chiesa, con il Granducato di Toscana, con Genova e il Ducato di Savoia, che gli fornirono navi. Durante il suo viceregno, seguì la politica estera internazionale mantenendosi in contatto soprattutto con l’ambasciatore spagnolo a Parigi, Antonio d’Ávila y Zúñiga marchese di Mirabello, che intrattenne con lui un fitto carteggio.
Notevole fu l’impulso che volle dare all’edilizia messinese. Fece progettare e attuare una successione simmetrica di palazzi, che da quello reale si estesero sino all’imboccatura del porto. Delle diciotto porte esistenti in città, quella dei Martoriati o dei Crociferi, oggi scomparsa, così chiamata perché vi passavano i condannati a morte, prese in suo onore il nome di porta Emanuela. A Capo Peloro, dove si salutavano con spari d’artiglieria le navi che passavano per lo stretto di Messina, e dove il principe si dilettava in battute di caccia e di pesca, edificò a sue spese il tempio di Grotta o Piedigrotta, dedicato alla Madonna delle Grazie. Fortificò il castello di Tavole, soprastante la città, fece ornare con una gradinata di marmo il porto, inaugurò nuove strade fra cui quella che conduceva al nuovo tempio delle Grazie.
Meno incisivo fu il suo intervento nella riqualificazione del tessuto urbano di Palermo, dove tuttavia fece costruire il quartiere dei soldati, un ospedale militare, un arsenale e magazzini per la raccolta dei grani.
Mecenate di letterati, artisti e scienziati, rivitalizzò i circuiti accademici, in particolare l’Accademia degli Elevati intelletti di Palermo, che era stata creata dal suo predecessore, ribattezzandola dei Riaccesi e ospitandola nel palazzo reale, dove, in date prestabilite, in sua presenza, si tenevano le adunanze.
Nel 1621 Anton Van Dyck aveva intrapreso il viaggio di formazione in Italia, toccando i principali centri artistici della penisola e raggiungendo anche Torino, dove ebbe modo di conoscere il duca di Savoia. Nell’aprile del 1624, il viceré di Sicilia ebbe così buon gioco a chiamare il pittore a Palermo e a commissionargli il proprio ritratto. Van Dyck, allora, si trasferì sull’isola e realizzò lo straordinario dipinto che è conservato oggi a Londra nella Dulwich Picture Gallery. La presenza dell’artista rivestì un’importanza notevole, perché contribuì alla nascita di un’intera corrente della pittura siciliana del XVII secolo; merito di ciò andò anche all’azione esercitata dal principe sabaudo.
Nel 1624 Carlo Emanuele I progettò con suo figlio, il cardinale Maurizio, le nozze di Emanuele Filiberto con la principessa Maria Gonzaga, ma Mantova non accolse la proposta.
Nel frattempo sopraggiunse un’epidemia di peste che colpì Palermo, durante la quale Savoia morì, nella notte fra il 3 e il 4 agosto 1624.
Il medico Fiocchetto stilò il verbale dell’autopsia, da cui risultò che il viceré era deceduto per un attacco di apoplessia e non a causa della peste né di un omicidio, di cui peraltro circolò il forte sospetto, a carico di un possibile sicario inviato dalla corte madrilena. Le vie di Palermo furono, infatti, tappezzate di cartelli contenenti condanne anonime mascherate da pseudonimi: si denunciava la morte di Germanico ucciso per volere di Pisone, personaggi tramite i quali si era voluto alludere, rispettivamente, a un mandante quale il conte duca Olivares e un esecutore quale il medico Fiocchetto stesso. Si trattò, peraltro, di pure congetture, destinate a non trovare alcun fondamento. Tali voci non avrebbero impedito che Fiocchetto continuasse una brillante carriera rientrando in Piemonte, dove sotto il duca Vittorio Amedeo I ottenne il titolo di nobiltà trasmissibile agli eredi e l’infeudazione con il comitato dei feudi di Bussolino, Castelborello e Antignasco (1633).
La salma di Savoia fu imbalsamata. In suo onore (nonostante fosse in corso l’epidemia di peste, che suggeriva di limitare le cerimonie pubbliche) furono celebrati diversi solenni riti funebri: oltre che a Palermo, a Napoli, a Torino, a Modena (dove era la sorella Isabella, duchessa consorte in casa Este, rimasta sua erede), a Malta (al cui ordine apparteneva) e a Oneglia (città di cui era stato investito con il titolo di principe). La salma fu trasportata da Palermo in Spagna, scortata dal personale che aveva popolato la sua corte: durante il tragitto in nave i piemontesi e savoiardi furono sbarcati a Nizza, gli spagnoli a Cartagena. Fu infine sepolto nella cripta reale nel monastero dell’Escorial.
Fonti e Bibl.: G. Claretta, Il principe E.F. di S. alla corte di Spagna: studi storici sul Regno di Carlo Emanuele I, Torino 1872; A. Amore, E.F. di S. vicerè di Sicilia, Catania 1886; L. Pratesi, Tre documenti marinareschi del principe E.F. (anno 1614), Pisa 1906; L. La Rocca, Il principe sabaudo E.F., grande ammiraglio di Spagna e viceré di Sicilia: con documenti inediti, Torino 1940; M.B. Failla, Il principe E.F. di S. Collezioni e committenze fra ducato sabaudo, corte spagnola e viceregno di Sicilia, in Ead. - C. Goria., Committenti d’età barocca, Torino 2003, pp. 13-112; M. Rivero Rodríguez, La Casa del príncipe Filiberto de Saboya en Madrid, in L’Infanta Caterina d’Austria, duchessa di Savoia (1567-1597), a cura di B.A. Raviola - F. Varallo, Roma 2013, pp. 499-517.
di, principe di Oneglia
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