SAVOIA RACCONIGI, Bernardino conte di
– Nacque intorno al 1540, figlio di Filippo di Savoia Racconigi (morto nel 1581) e di Paola Costa di Bene.
Nel 1559 insieme al padre e allo zio Claudio si recò a Parigi per assistere al matrimonio di Emanuele Filiberto con Margherita di Valois. Al ritorno si fermò a Nizza, dove gli fu affidato un comando militare e dove risulta ancora nel maggio del 1560. Nel 1561 ‘monsignor di Cavour’, come era chiamato allora Bernardino, seguì il padre nella missione affidatagli nelle Valli Valdesi, assistendolo nelle trattative che portarono al trattato di Cavour. Nel settembre di quello stesso anno si trovava a Roma, dove con una lettera del conte Antonio Maria di Savoia Collegno si presentò al cardinale Carlo Borromeo. Nonostante il cardinale fosse stato assai critico verso il comportamento tenuto dal padre nei confronti dei valdesi, accolse Bernardino benevolmente e gli garantì il suo appoggio durante il soggiorno romano (Borromeo al conte di Collegno, 17 settembre 1561, in Documenti circa la vita e le gesta di san Carlo Borromeo, a cura di A. Sala, Milano 1861, p. 93). Rientrato in patria, nell’aprile del 1564 fu nominato dal duca capitano degli arcieri, carica cui spettava il comando della Guardia di palazzo (I. Jori, La Casa militare alla corte di Savoia, Roma 1928, p. 11). Due anni dopo il duca lo inviò in Ungheria a capo di un corpo di spedizione sabaudo contro l’Impero ottomano. In una lettera all’imperatore Massimiliano II del 12 maggio 1566, il duca definiva Bernardino «giovane desideroso di trattar le armi et esporre la vita in così santa et christiana impresa» (V. Promis, Cento lettere concernenti la storia del Piemonte dal 1544 al 1592, Torino 1870, pp. 77 s.). Bernardino giunse a Vienna con otto compagnie l’11 luglio (Bernardino al duca, 13 luglio 1566; Baldassarre Rivoira a Emanuele Filiberto, Vienna, 17 luglio 1566, in Archivio storico italiano, 1846, n. 3, pp. 139-143; 143-147). La campagna si concluse in ottobre, ma Bernardino si ammalò e non poté parteciparvi. Anche dopo il ritorno delle truppe in Piemonte dovette trattenersi a Vienna, dove era ancora nel novembre del 1566. Nel marzo del 1567 era a Torino, dove prese parte alla cerimonia di battesimo di Carlo Emanuele camminando a fianco del giovane principe (A. Bucci, Il Battesimo del serenissimo Prencipe di Piemonte, fatto nella città di Turino l’anno 1567 il 9 di Marzo, Mondovì 1567, p. 13). Il 25 marzo 1569 fu creato cavaliere dell’Annunziata. Nel 1571 Emanuele Filiberto gli affidò il comando del contingente sabaudo che doveva partecipare all’assedio di Tunisi. All’inizio del 1572 era a Madrid e l’anno seguente a Tunisi, sotto il comando di don Giovanni d’Austria. Rientrato in patria nel 1574, Bernardino fu posto a capo della corte allora costituita per il giovane principe di Piemonte Carlo Emanuele.
Il controllo dei Savoia Racconigi sulla corte del futuro Carlo Emanuele I era pressoché assoluto: come governatrice del principe fu posta Maria de Gondi, moglie di Claudio di Pancalieri e quindi zia di Bernardino. A stringere ancor più i rapporti fra i due, all’inizio del 1574 (il contratto dotale fu firmato il 9 gennaio 1574) fu il matrimonio di Bernardino con Isabelle de Grillet (1552-1625), figlia del primo matrimonio della Gondi. Fu proprio la Grillet, quando la Gondi morì nell’aprile del 1580, a prenderne il posto. Non stupisce, quindi, che nel 1575 Filippo, Bernardino e Claudio di Savoia Racconigi fossero chiamati a far parte del Consiglio che doveva assistere il principe di Piemonte, reggente durante un’assenza di Emanuele Filiberto.
Quando, il 30 agosto 1580, Carlo Emanuele I divenne duca, la posizione di Bernardino e della moglie divenne centrale. Il loro parere era quello più ascoltato, e la fazione francese, da essi guidata, sembrava aver vinto su quella spagnola (a capo della quale era l’ammiraglio Andrea Provana di Leynì). Nel 1581 il Consiglio di Torino, nell’offrire al nuovo duca un donativo di 1500 scudi, decise di darne 200 anche a Bernardino, da tutti considerato il favorito del nuovo duca. In effetti per diversi anni fu a lui, come scriveva un ambasciatore del duca di Mantova, che il duca affidava «tutti i negoci» ed era lui che aveva «la persona del duca in mano» (Merlin, 1995, pp. 95 s., 224 nota 20). Quando, il 24 agosto 1582, morì Claudio di Pancalieri, era opinione comune che la carica di sommellier du corps sarebbe stata assegnata a Bernardino, il quale nel frattempo, però, s’era impegnato in un’impresa militare che ne avrebbe segnato la fine politica.
Sostenitore dell’alleanza del ducato con il Regno di Francia, egli cercò di convincere il duca a sposare la principessa Cristina di Lorena, stabilendo così uno stretto legame con i duchi di Guisa (capi della fazione cattolica alla corte di Francia). All’inizio del 1582 sembrava che un accordo in questo senso fosse stato raggiunto, ma il duca chiedeva in cambio un aperto appoggio francese alle sue rivendicazioni, in particolare a quelle su Ginevra (la cui riconquista fu una vera ossessione, che il duca mantenne per tutta la vita). Nel corso dell’anno, quindi, Bernardino per due volte cercò di prendere la città, ma andando incontro a un grave fallimento. Il risultato fu la crisi della fazione francese: Enrico III, in effetti, non aveva ragione di volere un rafforzamento di Casa Savoia sul versante occidentale delle Alpi e perciò non aveva affatto sostenuto l’impresa. Nel giro di pochi mesi la posizione di Bernardino si fece sempre più instabile, sino a crollare.
Alla fine del 1583 l’ambasciatore veneto Costantino Molin informava la Serenissima che «temendo essi di non si poter più conservare in tanta autorità» aveva deciso di lasciare la corte (C. Molin, Relazione dello Stato di Savoia tornato ambasciatore nel 1583, in Le relazioni degli ambasciatori veneti al Senato durante il secolo decimosesto, a cura d E. Alberi, Firenze 1858, pp. 112 s.). La sua partenza aveva coinciso, non a caso, con un ritorno in auge di Provana di Leynì e, più in generale, del partito spagnolo. Simbolo quanto mai evidente della rottura di Bernardino con la corte fu la vendita a Carlo Emanuele I, con rogito del 21 ottobre 1584, del suo palazzo torinese (situato dove si trova oggi palazzo Chiablese) che divenne parte del «palazzo novo grande» del duca e i cui spazi, un anno più tardi, furono scelti dal duca come sede per l’appartamento privato della nuova duchessa, l’infanta Caterina di Spagna, e per la sua corte: simbolo quanto mai chiaro di chi avesse il potere a corte e, insieme, della disgrazia del Racconigi. In quanto alla carica di sommellier du corps, nel luglio del 1583 fu affidata dal duca al fratello minore di Bernardino, Giovanni Battista di Savoia Racconigi (1548-1585). Questi aveva inizialmente abbracciato la carriera ecclesiastica, ma durante le sue missioni come ambasciatore a Roma aveva operato così bene che fu premiato dal duca con il permesso di tornare laico, con redditi sufficienti e con i feudi marchionali di Tegerone e della Chiusa, e poi di sposarsi con Benedetta Spinola di Garessio.
Valeriano Castiglione nel secondo libro del suo trattato, restato manoscritto, Della vita del duca di Savoia Carlo Emanuele I (Archivio di Stato di Torino, Corte, Storia della Real Casa, Cat. 3, m. 14) riconduce la ragione della disgrazia del Racconigi al fallimento dell’impresa di Ginevra. Pierre Monod, invece, nel suo Eloge ou abrégè de la vie de Charles Emanuel I (Cat. 3, m. 13) ritiene fosse dovuta all’atteggiamento tenuto dal conte in occasione della malattia del duca a Vercelli nel 1583, durante la quale Bernardino avrebbe espresso giudizi assai duri verso Carlo Emanuele I. Questa tesi fu poi ripresa da Samuel Guichenon, che però non la riteneva probabile. Secondo lo storico della Bresse, anzi, Bernardino si sarebbe allontanato da Torino per ragioni legate alla legittimazione della sua linea, che il duca pareva voler mettere in dubbio dopo la concessione di qualche anno prima. In ogni caso, notava Guichenon, anche dopo essersi ritirato a Racconigi, Bernardino «venoit souvent à la cour, ou il fut pourtant toujours consideré comme auparavant» (Histoire généalogique de la royale maison de Savoie, 1660, p. 712). È probabile, però, che in un momento in cui la corte di Savoia era molto legata a quella francese, Guichenon non volesse riportare proprio al suo esser filofrancese la disgrazia d’un principe tanto importante della dinastia. In effetti, se il problema fossero state le origini dei Racconigi, il duca non avrebbe concesso di lì a poco onori e cariche ai due fratelli minori di Bernardino, né lo avrebbe poi richiamato a corte una decina di anni dopo.
Dal 1584 al 1597 Bernardino visse ritirato a Racconigi, dedicandosi soprattutto alla gestione dei feudi della Casa. Nel 1585 non accompagnò il duca in Spagna in occasione delle nozze con l’infanta Caterina; vi andarono, invece, i suoi fratelli Giovanni Battista e Filiberto. Mentre si apprestavano a rientrare in patria, i due contrassero il vaiolo e morirono a Saragozza. Poiché dai loro matrimoni non avevano avuto figli e la Grillet era sterile, l’estinzione della Casa dei Savoia Racconigi risultava prossima: un elemento che contribuì a rendere ancora più penoso l’esilio di Bernardino. A volte, certo, tornava a corte per cerimonie particolarmente importanti, ma si trattava solo di una presenza formale. Lo si vide bene nel 1588, quando fu tenuto all’oscuro della preparazione dell’invasione del marchesato di Saluzzo, cui né lui né i suoi uomini furono chiamati a partecipare.
A seguito di ciò egli inviò al duca una lettera insolitamente chiara in cui scriveva: «non mi sarei mai creduto di esser così inutile et in così poca consideratione che io non sia stato giudicato degno di servirla nella prima occasione di guerra dove ella si sia trovata in persona» (Archivio di Stato di Torino, Corte, Casa Reale, Lettere di principi diversi, Lettere principi Savoia-Racconigi, m. 1). A testimoniare la sua marginalizzazione, pochi mesi dopo il residente veneto Francesco Vendramin scriveva al Senato della Serenissima che «monsignor di Racconigi [...] si trova[va] da molt’anni senza prosperità» (Relazione della corte di Savoia letta in Senato il 26 settembre 1589, in Le relazioni degli ambasciatori veneti al Senato durante il secolo decimosesto, cit., p. 180).
A mutare la situazione di Bernardino giunse la morte della duchessa Caterina, il 6 novembre 1597. Rientrato subito a corte, come parte del Consiglio di reggenza fu chiamato a governare il Paese in assenza del duca, allora impegnato fuori Torino. In breve recuperò la fiducia di Carlo Emanuele I, che riprese a dargli incarichi di prestigio. Nell’autunno del 1598, per esempio, gli affidò i figli perché li accompagnasse a Mondovì per porsi in salvo dalla peste che stava dilagando a Torino. In quell’occasione portò più volte i principi in visita al Santuario di Vicoforte (che era stato il primo Savoia a visitare, sin dal 1595), poi divenuto uno dei principali centri della religiosità sabauda proprio grazie all’azione di Carlo Emanuele I. La sua corte attrasse nuovamente letterati e musicisti. È il caso di Claudio Merulo, a Racconigi nel 1603, che nel 1604 gli dedicò il Secondo libro de’ madrigali a cinque voci (Venezia 1604), ricordando «il conto» che Bernardino faceva «de’virtuosi et sopra tutto della musica».
Nel testamento redatto nel 1605 Carlo Emanuele I stabilì che Bernardino sarebbe dovuto entrare a far parte del Consiglio di reggenza che avrebbe guidato i passi del giovane Vittorio Amedeo I in caso della sua ascesa al trono. Bernardino non fece in tempo a vedere il duca tornare all’alleanza francese, perché morì il 4 novembre 1605 al castello di Racconigi.
Erede dei suoi beni fu la vedova Isabelle de Grillet che, tornata a corte con il marito, occupò ancora alcune cariche: nel 1608, per esempio, divenne governante delle infante Maria e Caterina, ma ricoprì il ruolo per poco tempo. Isabelle, a sua volta, cedette l’intero patrimonio a Carlo Emanuele I, vedendosi assegnare in cambio una ricca pensione e l’uso a vita del castello di Racconigi. Questo e altra parte del patrimonio dei Racconigi passò dopo il 1625, quando morì la Grillet, al principe Tommaso di Savoia Carignano.
Fonti e Bibl.: S. Guichenon, Histoire généalogique de la royale maison de Savoie, Lyon 1660, pp. 709-712, 760; V.A. Cigna Santi, Serie cronologica de’cavalieri dell’Ordine supremo di Savoia detto prima del Collare indi della Santissima Nunziata, Torino 1786, p. 76, n. CV; M. Zucchi, I governatori dei principi reali di Savoia, Torino 1933, pp. 36, 40; A.M. Berio, Per una storia dei Savoia-Racconigi, in Bollettino storico-bibliografico subalpino, XLII (1940), pp. 60-107; A. Mainardi, La famiglia dei Savoia-Racconigi, in Bollettino della Società per gli studi storici, archeologici ed artistici della provincia di Cuneo, LVII (1985), pp. 171-189; C. Stango, La corte di Emanuele Filiberto: organizzazione e gruppi sociali, in Bollettino storico-bibliografico subalpino, LXXXV (1987), pp. 472, 490, 494 s.; P. Merlin, Tra guerre e tornei. La corte sabauda nell’età di Carlo Emanuele I, Torino 1995, pp. 57, 95-99; Id., Amministrazione e politica tra Cinque e Seicento. Torino da Emanuele Filiberto e Carlo Emanuele I, in Storia di Torino, III, Dalla dominazione francese alla ricomposizione dello Stato (1536-1630), a cura di G. Ricuperati, Torino 1998, p. 149; Id., La corte sabauda fra Cinque e Seicento, in Torino, Parigi, Madrid. Politica e cultura nell’età di Carlo Emanuele I, a cura di M. Masoero - S. Mamino - C. Rosso, Firenze 1999, p. 33; P. Cozzo, «Regina Montis Regalis». Il Santuario di Mondovì da devozione locale a tempio sabaudo, Roma 2002, p. 155; A. Merlotti, Disciplinamento e contrattazione. Dinastia, nobiltà e corte nel Piemonte sabaudo da Carlo II alla Guerra civile, in L’affermarsi della corte sabauda. Dinastie, poteri, élites in Piemonte e Savoia fra Tardo Medioevo e prima età moderna, a cura di L.C. Gentile - P. Bianchi, Torino 2006, pp. 243-250, 269-272; S. Gal, Charles-Emmanuele de Savoye. La politique du precipice, Paris 2012, pp. 50, 82, 97, 376; C. Cuneo, Le residenze dell’infanta: architettura e loisir, in L’infanta. Caterina d’Austria duchessa di Savoia (1567-1597), a cura di B.A. Raviola - F. Varallo, Roma 2013, pp. 237-239.