SAVOIA, Tommaso Francesco di, principe di Carignano
Quintogenito di Carlo Emanuele I, nacque il 21 (o 22) dicembre 1596. Prese parte, nel 1615, a un'importante battaglia contro l'esercito spagnolo comandato dall'Ynoyosa e, due anni dopo, fu mandato dal padre a ricuperare San Germano. Nel 1625 sposò Maria di Borbone-Soissons, e in tale occasione il duca gli concesse il titolo di principe di Carignano; ebbe così inizio il ramo dei Savoia-Carignano. Quando la Francia col trattato di Cherasco aggiogò il ducato alla politica francese, Tommaso, convinto dell'impotenza della Spagna, divenne fautore della cessione di Pinerolo alla Francia. Fu allora mandato in ostaggio alla corte di Parigi. Tornato in patria, ebbe il governo della Savoia. Preoccupato delle mire del Richelieu sulla Savoia e sul Piemonte, col cardinale Maurizio divenne sostenitore d'un'alleanza con la Spagna e con l'imperatore. Destinato ambasciatore alla corte di Francia, pensò che si fosse voluto allontanarlo dalla corte, nella quale, del resto, non vedeva alcun vantaggio per i figli; temendo, d'altra parte, di rimanere ostaggio a Parigi, mentre i Francesi assalirebbero la Savoia e il Piemonte, mandò la moglie e i figli a Milano e da Thonon partì per la Franca Contea e quindi per il Belgio. Una volta in Fiandra, scrisse a Vittorio Amedeo I che il suo desiderio era di liberare gli stati dall'oppressione francese e con un "ragionamento" denunziava alle corti gl'inganni e le mire della Francia sulla Savoia. Il duca, a dimostrare la propria innocenza, sequestrò a Tommaso l'appannaggio e la dote della principessa di Carignano. Ma da Bruxelles Tommaso lo incitava a unirsi con la Spagna. Scoppiata la guerra tra Spagna e Francia, Tommaso si cacciò tra gli eserciti dei marescialli di Chatillon e di Brézé, ma ad Avain (20 maggio 1635) fu battuto. L'anno dopo, comandò uno dei tre eserciti imperiali che minacciarono Parigi (6 agosto 1636) e indusse il fratello Maurizio a rinunziare alla protezione di Francia e assumere quella dell'impero.
La morte del duca Vittorio Amedeo I (7 ottobre 1637) parve agevolare l'attività di Tommaso contro la Francia. Madama Reale gli vietò il ritorno negli stati ed egli dichiarò che ove fosse stata violata la neutralità, si sarebbe servito "di tutti i mezzi possibili per conservare S. A. T. nell'antica e assoluta possessione dei suoi stati". Ma il 3 giugno 1638 a Torino fu conclusa la lega difensiva e offensiva tra Savoia e Francia. Dopo la caduta di Vercelli, che Tommaso avrebbe voluto evitare, prospettò alla cognata duchessa Maria Cristina il pericolo che il paese fosse spartito fra Spagnoli e Francesi e si metteva a disposizione di lei. Quando con la morte del piccolo duca Francesco Giacinto (ottobre 1638) e con la malattia di Carlo Emanuele II vide in pericolo la successione del trono nella sua casa, raggiunse il fratello Maurizio e il marchese di Leganes, governatore del Milanese, a Vaprio. Il 26 marzo 1639 con duemila dragoni marciò su Chivasso, che gli aprì le porte; prese Ivrea e si accampò nel Canavese e nel Biellese e fece un accordo con la Valle d'Aosta. Poi con un proclama sottoscritto col fratello incitò i popoli a ribellarsi a Madama Reale. Il 14 aprile, Tommaso puntò su Trino, ma, abbandonato dal Leganes, si volse contro Asti, che occupò, dopo aver espugnato Villanova. Ma dopo la conquista di Torino e di Santhià, non poté evitare, per l'equivoca condotta del Leganes, che Chivasso cadesse nelle mani dei Francesi. Il 26 luglio occupò Torino, ma disgustato del Leganes che avrebbe voluto presidiare la cittadella con truppe spagnole, tentò accordarsi con la cognata, che dopo la sconfitta di Tommaso al ponte della Rotta cercò di staccare Maurizio da Tommaso. Costretto dall'opposizione del Leganes a non tentare l'assedio della cittadella di Torino, dovette provvedere alla difesa della città, contro cui mosse il D'Arcourt. Non potendo fare nessun affidamento sul Leganes, entrò in negoziati con la cognata. Il 24 settembre 1640, Tommaso uscì da Torino con tutti gli onori e si ritirò a Rivoli, ma per sottrarsi al pericolo della prigionia riparò a Ivrea.
Il 2 dicembre, passò al servizio del re di Francia. Era però deciso a sciogliersi da questo patto a cui lo avevano portato la malafede spagnola e la necessità di provvedere con una tregua alla conservazione d'Ivrea e delle altre città. Si recò a Nizza, presso il fratello; il Leganes intanto era stato sostituito col conte di Siruela, e così Tommaso rinnovò l'alleanza con la Spagna. Per due mesi fece una politica d'infingimenti con la Francia; ai primi di marzo dichiarò al Mazzarino di non poter respingere le offerte della Spagna. Non era infondato il suo timore che il Richelieu intendesse sequestrarlo, una volta che fosse in Francia. Il 5 marzo 1641 con Maurizio sottoscrisse la convenzione di Nizza, con cui si stabiliva una lega difensiva e offensiva con la Spagna. Ma, non soccorso dagli Spagnoli, per salvare Ivrea dovette fare una diversione su Chivasso. Disperato di ottenere la vittoria con un alleato così poco leale, preoccupato della situazione dei figli che, rimasti eredi dei conti di Soissons, erano alla rnercé del re di Francia, non indifferente ai danni causati ai popoli dalla guerra, avanzò proposte di pace alla cognata. Questa gli negò il soggiorno in Piemonte, ma il Richelieu gli offrì il possesso dei beni del conte di Soissons e il governo di una provincia della Francia. Il 14 giugno 1642 fu conclusa la pace tra i due fratelli e la cognata e tra essi e il re di Francia. Tommaso ebbe la luogotenenza d'Ivrea, Biella e territorî rispettivi, per tutta la minorità di Carlo Emanuele II. Il 26 luglio, Tommaso entrò in Torino. Nella lotta tra Spagna e Francia Tommaso si diede a cacciare gli Spagnoli dall'Italia. Le vittorie accrebbero il suo credito alla corte di Francia, nella quale trovò facile ascolto per i reclami contro Madama Reale. Nel 1646 tentò l'impresa di Orbetello: dopo aver preso Talamone e Santo Stefano, assediò Orbetello, combatté contro la flotta comandata dal Torrecusa, ma privo di aiuti e stremato dalle malattie tolse l'assedio. La sollevazione di Napoli nel 1648 lo rianimò: con una flotta si diresse verso Napoli, ma, non aiutato dai Francesi, si ritirò. Nel 1651 la regina madre lo mise a capo del gabinetto col titolo di gran maestro della casa reale: guerriero senza infingimenti, si sentì a disagio fra gente dominata dall'egoismo e invocò il ritorno del Mazzarino. Nel 1655 con un esercito di ventiquattromila uomini invase la Lombardia e pose l'assedio a Pavia (22 luglio 1655), ma la carestia e i dissapori col duca di Modena lo costrinsero a levar l'assedio. Questa disfatta gli empì l'animo di cordoglio. Si ritirò a Torino, dove si spense il 22 gennaio 1656. Fu sepolto nei sotterranei della cattedrale. Carlo Alberto gli fece innalzare un monumento nella cappella della Sindone.
Bibl.: E. Ricotti, Storia della monarchia piemontese, Firenze 1869, V-VI, passim; G. Claretta, Storia della reggenza di Cristina di Francia, duchessa di Savoia, voll. 3, Torino 1868-69.