SCARABEO
. Con questo nome s'indicano volgarmente varî Insetti Coleotteri, e specialmente quelli appartenenti alla famiglia Scarabeidi (v.). Il nome si riferisce, più propriamente, alle specie del gen. Scarabaeus L. (Ateuchus Web.), di cui le più conosciute sono S. sacer L., S. pius Illig., S. laticollis L.
Lo scarabeo nel culto e nell'arte degli antichi. - Lo scarabeo, o ateuco, fu adorato dagli antichi Egiziani perché, secondo una mitologia dei primordî, il sole era una grande pallottola rotolata per il cielo dalle zampe anteriori di quell'animale. Si chiamava ééprer, non connesso col verbo éôper "divenire", come mostra il semitico (arabo) ‛afīrah "scarabeo stercorario". Le immagini sono comunissime e, oltre a quelle minuscole, di mezzo centimetro, se ne conoscono di colossali in granito, come quello di Amenḥótpe III sul lago sacro di Karnak. Qualche esemplare in luogo della testa propria ha quella del falcone-sole Hor. Quando il dio venne personificato, fu raffigurato con corpo umano, ma con il capo di uno scarabeo; ovvero con lo scarabeo sulla testa di uomo. L'animale è disposto per lo più su una base ellittica traversata per il lato lungo da un foro che serviva ad appendere l'oggetto. A volte è ritratto volante con le ali spiegate, o anche viaggiante nella barca divina. Per accrescere il valore magico di questo amuleto, dalla XVIII dinastia in poi alla base vengono segnati figure di divinità, i loro nomi, motti e augurî. Rimane del tutto oscura la ragione per cui gli Egizî nell'imbalsamazione sostituissero al cuore uno di pietra e dalla XVIII dinastia lo mutassero con uno scarabeo. Questo "scarabeo del cuore", come è chiamato, reca per lo più sulla base una formula magica in virtù della quale il cuore non deve rendere testimonianza contro il suo possessore davanti al tribunale di Osiride. Dopo la fine della VI dinastia è di moda dare ai sigilli anche la forma dello scarabeo. Sulla base era indicato sia il nome dei regnanti e dei privati, sia il titolo di un funzionario e di un ufficio pubblico, sia figure ornamentali: uomini, animali, fiori, spirali, corde e simili. Queste impronte avevano valore legale ed erano depositate presso le autorità. Un altro tipo è rappresentato dagli scarabei commemorativi, tramandanti il ricordo di un avvenimento. Sono del tempo di Amenhótpe III. Due, per es., riguardano il matrimonio con Têje; due le cacce reali; uno l'arrivo di Kilugepa, figlia di Suttarna principe di Nahrîna; uno lo scavo di un lago a Tebe.
Una parte degli scarabei è stata tagliata in ogni sorta di pietra. Alcuni di essi in principio avevano la base liscia ed erano coperti da una lamina metallica incisa. Abbiamo qualche esemplare in oro, argento, rame (dinastia XVIII-XX). Un'altra parte invece era modellata a stampa, incisa, e poi ricoperta di vernice vitrea, verde, azzurra, violetta, più raramente gialla e rossa. Per usare quelli a sigillo, s'incastravano nelle estremità di un filo metallico, talvolta si chiudevano in una funda montata su un anello. Il modo come il corpo dell'animale è trattato nei suoi particolari, il colore e la qualità della vernice, i soggetti incisi variano nel tempo.
L'imitazione dello scarabeo egizio appare nel mondo greco solo nel periodo geometrico; la civiltà precedente cretese-micenea non conosce che scarabei importati. Non solo fu imitata la forma, ma anche la tecnica, poiché gli scarabei greci furono, come gli egizî, di terracotta rivestita di smalto vitreo, la cosiddetta porcellana egizia. Questi primi scarabei si trovano nelle tombe del Dipylon in Atene e in tombe di Camiro (Rodi) insieme con vasi di stile geometrico, e sono adorni di figure animali di forme geometrizzanti e palesanti l'influsso siro-fenicio.
Alla porcellana egizia si sostituisce la pasta vitrea, per lo più azzurrocupa, poi, verso la fine del periodo geometrico, la pietra tenera (steatite); i primi esemplari in questa pietra sono ciprioti, con figure umane estremamente stilizzate. Ben presto la Grecia si sostituisce in parte alla Fenicia nella produzione di uso corrente degli scarabei d'imitazione egizia, come ci è provato dai rinvenimenti di Naucrati nel Delta del Nilo.
La produzione di scarabei in pietre dure (corniola e sardonice) si estende in Grecia durante i secoli VII e VI, e la funzione dello scarabeo non è più quella dell'amuleto, ma del sigillo. La produzione degli scarabei arcaici greci va di pari passo con le prime manifestazioni della monetazione, e il carattere suo è essenzialmente ionico, con un'arte vivace che esprime non solo bestiali o mostruose, ma anche, e specialmente, umana. La Ionis ci è indicata dai nomi degl'intagliatori arcaici di gemme che conosciamo, cioè Mnesarco di Samo, padre del celebre filosofo Pitagora, e Teodoro pure di Samo, autore del celebre anello di Policrate. Nel secolo VI a. C. abbiamo la produzione migliore di scarabei in pietre dure: il coleottero è per lo più trascurato nei suoi particolari, mentre l'attenzione maggiore dell'artista è diretta all'intaglio della parte piatta dell'oggetto, con figure e scene di grande accuratezza esecutiva, che egregiamente si adattano nello spazio ovaleggiante piatto della basetta su cui insiste il coleottero. Accanto allo scarabeo comincia ad apparire la forma dello scaraboide o scarabeo stilizzato.
Sono usate le varietà del quarzo (la corniola, la sardonice, l'agata, il calcedonio), lo smeraldo, il diaspro; e queste pietre dure vengono incise alla ruota; spariscono le pietre tenere che venivano intagliate a mano.
L'uso dello scaraboide permane nello stile bello del sec. V e del secolo IV a. C., nelle gemme cosiddette greco-persiane dal lavoro andante condotto con sciatteria. In Grecia e nella Magna Grecia la forma di scarabeo si mantiene durante tutto il sec. V, ma poi non appare quasi più. I varî scaraboidi che appaiono all'inizio dell'età ellenistica hanno dimensioni grandi, allungate.
Lo scarabeo compare anche in Italia, in Sardegna e in Etruria. Gli scarabei di Sardegna appartengono al periodo della civiltà cartaginese, sono perciò posteriori al sec. VI a. C.; si tratta di una produzione con accenni culturali, che, se hanno importanza dal punto di vista storico-religioso, ben poca ne hanno dal punto di vista artistico.
Migliore, più brillante sviluppo ebbe lo scarabeo in Etruria. Quivi dopo gli scarabei d'importazione egizia e fenicia, di cui alcuni (quelli di un sepolcro di Bisenzio e quelli del sepolcreto di Marsiliana) furono convenientemente utilizzati per la cronologia, si hanno gli scarabei di imitazione risalenti al sec. VII: uno scarabeo di porcellana egizia da Tarquinia con una figura umana dinnanzi a un gigantesco leone; uno scaraboide bronzo da Populonia con due geometriche figure di cavalli rampanti, uno scaraboide di alabastro da Vetulonia con la figura della Chimera. Uno stadio ulteriore nello stile è rappresentato dallo scarabeo (corniola) della tomba della Pania presso Chiusi, con figura di Arpia; lo stile ionico delle figure grosse, atticciate, è dato da un esemplare di Ox10rd, collezione Warren, dove il corpo dello scarabeo è sostituito da una figura di Fufluns (Dioniso), e dove l'ovale inferiore è adorno della scena di un'avventura di Eracle.
Il fiore della produzione degli scarabei etruschi è rappresentato da magnifici esemplari dell'inizio del sec. V con scene mitiche elleniche, provviste d'iscrizioni etrusche, che rivelano una vigoria mirabile di trattamento, specialmente del nudo. Ma nel periodo dal 475 all'incirca sino all'inizio del sec. IV a. C. è la conservazione fredda e monotona di formule arcaiche, sempre più immiserite, e l'introduzione lenta, arretrata, di formule di arte più evoluta. Negli scarabei etruschi del sec. IV si avverte una reviviscenza con i riflessi dell'arte grandiosa della scultura greca della seconda metà del sec. V a. C. e con legami evidenti con la monetazione della Magna Grecia. Poi è la decadenza, che è palese in una produzione dozzinale, frettolosa, cioè nei cosiddetti scarabei a globolo o a globo rotondo, fabbricati specialmente a Tarquinia, a Vulci, a Chiusi, ma anche nel Sannio (Alife) e nell'Apulia. Sono scarabei lavorati al trapano con processo rapido e sommario e con frequenti rappresentazioni di Ercole e di Sileni.
I Padri della Chiesa scorsero nello scarabeo l'immagine della resurrezione; gli gnostici li adornarono dei loro simboli.
Bibl.: La trattazione compiuta sugli scarabei è quella di P. E. Newberry, Scarabs an introduction to the study of egypt. seals and signet rings, Londra 1908. Tutte le collezioni posseggono scarabei e quindi indicheremo solo le principali: F. J. Chabas, Notice sur un scarabée sarde, Châlon-sue-Saône 1877; G. W. Fraser, A. catal. of the scarabs belonging to G. Fraser, Londra 1900; A. Grenfell, Les divinités et les animaux figurés sur le scarabées, in Rend. Acc. Linc.; XVII (1908), p. 135; H. R. Hall, Catal. of the eg. scarabs in the British Museum, Londra 1913; W. J. Loftie, An Essay of scarabs, ivi 1884; N. Myer, Scarabs, ivi 1894; W. L. Nash, A scarab from Samaria, in Proc. Soc. bibl. arch., XXXVI, p. 278; P. E. Newberry, Scarab-shaped seals (Catal. génér. Caine), Londra 1907; Fl. Petrie, Historical scarabs, ivi 1889; id., Scarabs and cylinders, ivi 1917; R. G. A. e W. N., The art of seal carving in Egypt in the middle Kingdom, in Bull. Mus. F. A., XXVIII (1930), p. 47; A. W. Shorter, Historical scarabs of Thutmosis IV and Amenophis III, in Journ. egypt. arch., XVII (1931), p. 23; A. H. Smith, Catal. of engraved gems, Londra 1888; W. Spiegelberg, Die Inschriften des grossen Scarabeus in Karnak, in Zeitschr. f. äg. Sprachte, LXVI (1930), p. 44; cfr. inoltre, M. Pepier, in Pauly-Wissowa, Real-Encycl., coll. 447-459. Vedi inoltre per l'antichità classica: P. Ducati, Storia dell'arte etrusca, Firenze 1927, pp. 143 segg., 303 segg., 332 segg., 462 segg., 519 segg.; A. Furtwängler, Die antiken Gemmen, Lipsia e Berlino 1900, pp. 79 segg., 90 segg., 108 segg., 171 segg., 176 segg., 442 segg.