Scaramanzia
Il termine scaramanzia (di etimo incerto, ma probabilmente derivato da un'alterazione di chiromanzia) si riferisce a pratiche, diverse da cultura a cultura e da epoca a epoca, oltre che talora da persona a persona, che hanno lo scopo di respingere supposti influssi negativi attribuiti a situazioni, ambienti o addirittura a individui, per proteggersi dai quali vengono utilizzati rituali, scongiuri, formule magiche, nonché amuleti. Assai di frequente le pratiche scaramantiche implicano un riferimento a parti del corpo, che sono nominate o riprodotte allo scopo precipuo di allontanare possibili negatività.
1. Ambiguità del simbolismo
Il termine stesso che indica la fonte prima dei supposti influssi negativi, 'malocchio', mostra una stretta connessione con un preciso distretto anatomico e con il valore simbolico che diverse culture gli attribuiscono. Nel mondo islamico, l'individuo che ha il potere di procurare il malocchio è detto ma'ian ed è considerato estremamente pericoloso perché può provocare danni a persone particolarmente sensibili, come i bambini e le donne gravide, oppure ad alimenti facilmente deperibili, se mal conservati, come il latte o il grano. L'occhio ('ayn) può assumere però valore positivo, come dimostrano gli amuleti rappresentanti il benefico occhio di Allah. Allo stesso modo, nella cultura egiziana l'occhio è sia quello di Oro o di Ra, entrambi divinità solari, sia un vero e proprio talismano per il percorso che l'anima deve compiere nell'aldilà; infatti nel capitolo 89 del Libro dei morti si dice che l'occhio di Oro si ergerà contro Osiride, divinità dei defunti, se questa non dovesse acconsentire al ricongiungimento dell'anima con il rispettivo cadavere e, nel capitolo 92, a proposito dell'occhio di Oro si afferma: "fa per me una larga strada e rinforza le mie membra". Un ulteriore esempio di riferimento scaramantico all'occhio è dato dalla proliferazione, in tutto il mondo antico, specie in Mesopotamia ed Egitto, di collane e monili in agata: la morfologia di questa pietra dura, che rammenta la successione concentrica di cornea, iride e pupilla, la rende una sorta di occhio litico colorato che, per analogia con l'organo della vista, finisce per diventare un amuleto naturale. Come si è notato per l'occhio, dal punto di vista simbolico i vari distretti anatomici di volta in volta utilizzati possono assumere, per via della loro sostanziale ambiguità, valenze positive oppure negative. Per quanto questa ambiguità risulti comune a tutto il mondo simbolico, occorre tuttavia sottolineare che, come nelle società primitive il corpo viene considerato 'ricettacolo e canale della magia' (Malinowski 1948), allo stesso modo alcune parti del corpo esprimono meglio di altre un valore protettivo (scaramantico e apotropaico), oppure aggressivo e disturbante. Al primo caso appartiene la conservazione della testa del nemico ucciso che, fra molti popoli di interesse etnologico, si carica di valori magici dal momento che il trofeo, debitamente conservato, si ritiene abbia un effetto positivo sulla fertilità delle donne e su quella dei campi da coltivare, e quindi diviene un vero e proprio amuleto che svolge la funzione di proteggere la società tribale. A questo preciso scopo, le teste dei nemici venivano talora conservate in casa (Borneo settentrionale), oppure - dopo essere state ridotte di dimensioni tramite un opportuno trattamento - indossate come decorazioni particolarmente ricercate (tribù degli jivaro, Amazzonia ecuadoriana). È particolarmente interessante notare che in quest'ultimo caso la bocca veniva cucita: precauzione magica, questa, che si pone in relazione con il valore simbolico e ambivalente della parola. Anche senza ripercorrere il complesso simbolismo della bocca e della parola, la cui potenza creatrice è ampiamente attestata in moltissime culture, è necessario farvi cenno in quanto da essa dipende il concetto stesso di scaramanzia, visto che lo scongiuro scaramantico e apotropaico per avere effetto deve essere pronunciato. Allo scopo sarà sufficiente riportare il pensiero del filosofo tedesco M. Heidegger (1927): "[...] il nominare non distribuisce nomi, non applica parole. Il nominare chiama. Il nominare avvicina ciò che chiama [...]. Chiamare è chiamare presso, è evocare dall'essenza, è condurre alla presenza [...]. Questa chiamata è l'evento della differenza che porta il mondo al suo esser mondo, e le cose al loro esser cose" (trad. it., pp. 34 e 41). Difficilmente si potrebbe esprimere più chiaramente il valore profondo e in definitiva magico della parola, che così utilizzata - direbbero i latini - trasforma il nomen in numen (anche nell'accezione elementare del termine, "comando, volontà"). Si spiega così la radice più intima del concetto di scaramanzia e, nel contempo, il motivo per cui la tribù amazzonica degli jivaro si preoccupasse di cucire la bocca alle teste recise e rimpicciolite dei nemici. Nelle società primitive la testa è legata anche al culto degli antenati. Presso i maori (Polinesia) per es., le teste degli antenati, mummificate, venivano tenute in serbo per le stesse finalità apotropaiche che spingevano alla conservazione delle teste dei nemici. Anzi è molto probabile che, almeno in certe aree (Indonesia e Oceania), l'uso di prendere per sé le teste dei nemici uccisi derivi proprio dal costume di conservare quelle degli antenati. Altre forme di impiego di singole parti della testa a scopo apotropaico, come parti integranti di amuleti o come semplici elementi decorativi, sono da individuarsi soprattutto nello scalpo che talora entrava a far parte anche della confezione di medicinali. Nell'ambito delle culture civilizzate non permangono simili pratiche, ma le forme scaramantiche e bene auguranti sono affidate piuttosto a oggetti o a gesti. Un ruolo di grande rilievo è ricoperto dalla mano, sia che si tratti di amuleti che la rappresentano sia di particolari atteggiamenti che essa assume. Già i romani usavano appendere al collo, prevalentemente dei bambini, come forma di protezione, una piccola mano di metallo, talora prezioso, come nel caso di quella in oro conservata presso il British Museum di Londra (inv. 1906. 7-20. 3). Con finalità non troppo diverse, fatte salve le specifiche culturali, allo scopo di respingere il malocchio nel mondo islamico viene utilizzata la 'mano di Fatima': costei era la figlia di Maometto, tuttora considerata un modello femminile da imitare. Peraltro, per i musulmani la mano costituisce anche la sintesi del comportamento ortodosso, in quanto le cinque dita richiamano le regole della vita virtuosa: la professione di fede nell'unico Dio e nel suo profeta Maometto; la preghiera rituale; il digiuno del ramadan; il pellegrinaggio alla Mecca; l'elemosina ai poveri. In tutte le culture è presente, sia pure in diversa misura, il riconoscimento della capacità espressiva (e quindi creativa) della mano. La mano può compiere gesti scaramantici o lanciare malefici come, per es., sembra faccia la figura di un sovrano trascinato all'inferno scolpita nel Giudizio universale sul Portale dei Principi della Cattedrale di Bamberga, databile a prima del 1228: il monarca, accompagnato da un usuraio che ride come lui, tiene l'indice e il medio divaricati e rivolti verso il basso, mentre le altre dita sono piegate verso la palma della mano, in una sorta di benedizione alla rovescia (Schmitt 1990, trad. it., pp. 298-99). Sicuramente codificati sono, invece, i gesti che compaiono nelle due tavole di H. Holbein che rappresentano il Cristo deriso, databili fra il 1496 e il 1498 (Colmar, Unterlinden Museum), nelle quali gli ebrei che circondano il Salvatore per deriderlo atteggiano le mani in modo inequivocabile: il pollice cacciato in bocca, gli indici incrociati e infilati fra le dita dell'altra mano e, soprattutto, la mano a pugno con il pollice che sporge fra indice e medio sono tutti gesti a palese sfondo sessuale, che qui assumono un valore decisamente negativo e che sono però simbolicamente ambivalenti: in particolare, l'ultimo descritto, detto del 'fico' o della 'fica', è più spesso impiegato come gesto propiziatorio e scaramantico, e infatti non sono rari gli esempi di manine cosiddette itifalliche, che mostrano le dita atteggiate in questa maniera e hanno scopi protettivi e apotropaici. Fra queste se ne può citare una romana in oro, conservata presso il British Museum di Londra (inv. 1981. 9-5. 7) e databile al 1° secolo a.C.; essa è in tutto simile alla fica brasiliana o alla mano cinese (entrambe a noi contemporanee), segno evidente del valore universale di questo gesto scaramantico che riproduce sinteticamente l'accoppiamento sessuale.
2. Il riferimento alla sfera sessuale
Già a proposito dei gesti della mano, si è notato che buona parte delle pratiche scaramantiche e degli amuleti mostrano un riferimento più o meno velato al simbolismo sessuale e ai due organi genitali che con questo sono strettamente connessi. Anche in epoche passate, per motivi di facilità di rappresentazione, è stato l'organo genitale maschile ad avere maggiore diffusione, fino a trasformarsi nell'attuale 'corno' portafortuna. La natura simbolica di quest'oggetto, però, è da porsi in relazione anche con il significato del corno animale, che allude all'elevazione e alla potenza, come si evince per es. dal valore semantico dell'ebraico queren termine con il quale si designa tanto il "corno" quanto la "forza". Il gesto della mano che 'fa le corna' ha ancora oggi valore altamente scaramantico perché da una parte richiama il valore di forza e potenza caratteristico del corno, dall'altra rimanda alla simbologia generatrice della Luna protettrice della fertilità femminile (il latino cornu significa sia "corno" sia "corno lunare"). Il riferimento alla sfera sessuale è di primaria importanza nel fronteggiare potenziali elementi negativi perché chiama in causa direttamente la capacità generatrice e quindi vitale dell'individuo che, per conseguenza e analogia, si pone in stretta relazione con quella dell'intero Universo. Tutto questo spiega perfettamente il motivo per cui, per es., in ambito romano erano diffusissimi gli amuleti che raffiguravano il fallo maschile. Si tratta di monili in vario materiale, talvolta prezioso come il corallo o l'oro. Il corallo, in particolare, era considerato molto efficace contro gli influssi negativi: secondo il mito, come narra Plinio il Vecchio, questa sostanza sarebbe derivata dalla solidificazione delle gocce di sangue della testa recisa di Medusa; essa quindi veniva ritenuta da una parte un ottimo antidoto contro le malattie del sangue, e dall'altra, visto che la Medusa aveva il potere di pietrificare con lo sguardo chiunque guardasse, un'arma particolarmente potente per respingere il malocchio (Cardini 1981, p. 169). Per questo motivo un amuleto di corallo a forma di membro maschile, per es. quello che è conservato a Londra presso il British Museum (inv. 2958), doveva sprigionare una doppia reazione nei confronti degli influssi negativi. L'immagine stessa dell'organo genitale maschile aveva, comunque, funzione protettiva nei confronti degli ambienti domestici o urbani, tanto che a Pompei si trovano falli in terracotta in rilievo sistemati agli angoli delle strade. Analogamente, una figura fallica in mosaico è situata sulla soglia di una dimora romana, risalente al 1° secolo a.C., a Ostia antica. Ancora più esplicito è un rilievo in travertino conservato al Museo archeologico nazionale di Napoli, proveniente da Pompei, sul quale, accanto alla sagoma del membro virile si può leggere la scritta "hic habitat felicitas", evidentemente riferita alla casa che ospitava sulle proprie pareti la targa. L'uso di apporre ornamenti di questo tipo alle case si diffuse in Europa a seguito dell'espansione militare, politica e culturale di Roma. Un fallo apotropaico è inciso sul muro della fortezza di Birdoswald sul Vallo di Adriano in Inghilterra, un altro sulla spalletta del ponte di Chester nella regione del Northumberland, sempre in Gran Bretagna. Erano anche diffusi piccoli chiodi a testa larga a forma di fallo, come quello conservato al British Museum, proveniente dal tempio tardoromano dedicato a Mercurio (2°-3° secolo d.C.) nella cittadina di Uley nel Gloucestershire. Diverse testimonianze documentano l'associazione fra il fallo maschile e l'occhio, proprio in funzione della capacità del primo di respingere il malocchio. Un esempio che appare particolarmente eloquente è rappresentato da un rilievo su un muro di Leptis Magna (Libia), dove un fallo alato si avvicina minacciosamente a un occhio stilizzato. Già dal 7° secolo a.C., inoltre, compare l'iconografia del membro che reca la rappresentazione dell'occhio sul glande, come si può vedere su un fallo di ceramica proveniente da Chian (Grecia) conservato al British Museum. La presenza dell'occhio sul glande favoriva altresì l'idea che il membro maschile potesse esser considerato un 'animale', dotato di vita propria. Così si diffusero quei singolari oggetti in bronzo che sono conosciuti come tintinnabula in quanto dotati di campanellini i quali, suonando spostati dal vento, dovevano avere la funzione di scacciare gli influssi negativi. Appesi nei cortili delle case, spesso avevano la forma di falli alati, talora dotati anche di zampe di aspetto ferino, come quello conservato a Treviri nel Rheinisches Landesmuseum: databile al 1° secolo d.C., questo tintinnabulum mostra un membro dotato di orecchie feline, di zampe e di una coda falliforme. Infatti, allo scopo di moltiplicare i benefici e gli effetti contro il malocchio si tendeva a reiterare l'immagine stessa del membro maschile. Il processo di 'animalizzazione' del fallo in funzione scaramantica giunse all'estremo di renderlo antropomorfo, come nel caso di un ciondolo conservato al Museum of fine arts di Boston, dove il membro è sistemato sulle paffute gambe di un bimbetto del quale costituisce il tronco e la testa: la scelta delle gambe bambinesche è da imputare al desiderio di sottolineare il messaggio bene augurante, visto che i bambini rappresentano il futuro e la felicità. Ancora più esplicito è un gruppo di terracotta che mostra due organi genitali maschili umanizzati i quali, seduti uno di fronte all'altro, s'industriano con una sega a tagliare a metà un occhio: databile al 1° secolo a.C. e conservato presso il British Museum, l'oggetto esprime con grande chiarezza la funzione apotropaica del membro virile. Molto meno diffusa è l'iconografia dei genitali femminili, in parte come si è visto sostituita dalle mani scaramantiche che fanno il gesto della fica. Alcuni studiosi ritengono che essa compaia sull'impugnatura di certe lucerne romane (per es. una databile al 2° secolo d.C. conservata al British Museum, inv. Q 1025) con il medesimo valore scaramantico ricoperto dal fallo; secondo altri, invece, si tratterebbe della rappresentazione di una foglia. Ancora meno convincente sembrerebbe l'identificazione con la vulva femminile della cornice delle antefisse in terracotta (risalente al 2° secolo d.C.), conservate al Yorkshire Museum di New York. Il valore scaramantico dell'organo sessuale femminile non può essere invece messo in discussione negli sheila-na-gigs irlandesi (figure femminili con l'organo genitale esposto, sistemate a protezione delle chiese), e in rilievi come quello conservato a Milano presso il Museo del Castello Sforzesco, databile al 13° secolo e noto come la Putta di Porta Tosa: l'opera, proveniente dalla porta cittadina che dà il nome al manufatto, mostra una figura femminile nell'atto di alzarsi le gonne mostrando il pube. Come si vede, il valore apotropaico degli organi genitali, ben lungi dall'essere relegato a una singola epoca e cultura, si dipana nel corso dei secoli mantenendo intatto il valore originario. La costante di coerenza di questi sistemi di simboli è costituita proprio dal corpo umano che si mantiene inalterato punto di riferimento dal quale trarre buona parte del sistema scaramantico (anche se esistono oggetti e modalità che nulla hanno a che vedere con la fisicità umana).
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