Scaramouche
(USA 1952, colore, 118m); regia: George Sidney; produzione: Carey Wilson per MGM; soggetto: dal romanzo Scaramouche. A Romance of the French Revolution di Rafael Sabatini; sceneggiatura: Ronald Millar, George Froeschel; fotografia: Charles Rosher; montaggio: James E. Newcom; scenografia: Cedric Gibbons, Hans Peters; costumi: Gile Steele; musica: Victor Young.
Francia 1789. Per impedire che il suo amante, il marchese de Maynes, continui a uccidere in duello, la regina Maria Antonietta gli ordina di sposare la sua protetta Aline de Gavrillac, chiedendogli inoltre di scoprire la vera identità di Marcus Brutus, autore di pamphlet che incitano il popolo alla rivolta. André Moreau, spensierato avventuriero, cerca di impedire che la propria innamorata, l'attrice Lénore, sposi un ricco produttore di salsicce, ma viene distolto dalla necessità di aiutare il suo migliore amico Philippe de Valmorin, che in realtà è il misterioso libellista. Venendo a sapere dal proprio avvocato che le sue rendite sono state sospese, André gli estorce il segreto riguardante i propri natali, e scopre di essere il figlio illegittimo del defunto conte de Gavrillac. Tentando di recuperare l'eredità del padre, incontra Aline e se ne innamora, ma finisce per scoprire che sono consanguinei. La polizia cattura Philippe e il marchese lo sfida a duello: André non riesce a evitare che l'amico venga ucciso. Dopo aver promesso di vendicarlo, trova rifugio nella compagnia teatrale di Lénore, prende la maschera di Scaramouche e si esercita nella scherma. Su richiesta dei Repubblicani, inoltre, André si unisce all'Assemblea Nazionale, decimata dai nobili guidati da de Maynes. Più volte, quando sta per affrontare in duello il marchese, viene salvato da Lénore e da Aline (che lo ama), anche con l'aiuto di Maria Antonietta. Aline si fa accompagnare dal marchese a teatro, e qui Scaramouche si toglie la maschera per affrontare l'avversario in duello. Ha la meglio, ma è incapace di ucciderlo. André viene poi a sapere di essere in realtà un discendente dei de Maynes: il marchese è dunque il suo fratellastro. Liberi di unirsi in matrimonio, André e Aline raccolgono il bouquet che Lénore dal balcone getta nella loro carrozza: è uno scherzo esplosivo che ricopre di fuliggine il viso di André. Nella stanza di Lénore c'è un giovane caporale che aspetta: ha l'abitudine di tenere la mano infilata sotto la falda della giacca.
"Era nato con il dono dell'allegria e aveva la sensazione che il mondo fosse folle": sono le prime parole del romanzo che Rafael Sabatini scrisse nel 1921, poste a epigrafe del film e spesso citate quando si parla di Scaramouche. Molto meno ricordato lo slogan pubblicitario: "Mille avventure! Mille baci!... E si ride in ogni scena!". La MGM, che aveva da poco prodotto Singin' in the Rain, in cui le platee ridevano davanti al goffo film nel film The Duelling Cavalier, aveva investito tre milioni di dollari e mezzo nel remake dell'omonimo classico diretto da Rex Ingram nel 1923, e voleva risultasse ben chiaro il tono scanzonato e parodico del nuovo Scaramouche. Una pubblicità televisiva a cartoni animati, con protagonista lo spericolato Leo the Lion, fece in modo che il pubblico afferrasse il concetto.
Il regista George Sidney avrebbe voluto che Scaramouche fosse un musical e Gene Kelly, che egli aveva già diretto nel 1948 in The Three Musketeers (I tre moschettieri), sarebbe stato il protagonista ideale, con o senza musica. La scelta del granitico Stewart Granger rappresentava invece una scommessa rispetto al romanzo di Sabatini, dove si racconta con inflessioni comiche la storia di un uomo che finisce per somigliare molto al personaggio interpretato sulle scene. Scaramouche, una delle figure tradizionali della commedia dell'arte, da soldato sbruffone si trasforma gradualmente in imbroglione scaltro. Nel romanzo, l'episodio in cui il protagonista viene spinto sul palcoscenico mentre cerca di sfuggire alla polizia diventa un momento di presa di coscienza, mentre la facilità con cui il Moreau di Granger si adatta all'improvvisazione comica ‒ gli furono necessari invece mesi per imparare a tirare di scherma ‒ è uno dei molti misteri di un film che di certo non privilegia le scelte più plausibili. Il merito degli sceneggiatori Ronald Millar e George Froeschel fu se non altro quello di trasformare Moreau in un monello e di opporgli il personaggio del fratellastro, il marchese de Maynes (nel romanzo e nel film di Ingram si scopre invece che il marchese è il padre di Moreau, epilogo dalle implicazioni molto diverse). Quasi sempre vestito di bianco e d'argento, Mel Ferrer, snello e affilato quanto la sua spada, crea un efficace contrasto simbolico rispetto al proprio vitalistico avversario, e spesso è il suo mondo a rivelarsi più convincente. Soprattutto per il tramite di de Maynes, il film suggerisce in modo efficace lo sconvolgente sadismo implicito nel codice d'onore del duello, che diviene un ridicolo sostituto della lotta di classe adombrata nelle scene dell'Assemblea Nazionale.
Sidney incoraggiò l'esperta di teatro Angna Enters a sviluppare i numeri classici della commedia dell'arte, ma essi si dimostrarono troppo volgari agli occhi della censura. Ciò che ne rimane è più simile allo slapstick che caratterizza le produzioni burlesque americane. Il multicolore assortimento di abiti indossati da Janet Leigh ed Eleanor Parker risalta sullo sfondo delle tonalità scelte da Sidney e Cedric Gibbons: bianchi e neri per la corte e toni color terra per il resto, tranne le scene di teatro in cui prevalgono gli sgargianti colori primari prediletti dal regista. Essi acquistano particolare rilievo nel duello finale, che esplode dal palcoscenico alla platea in una virtuosistica sequenza, la cui coreografia fu sviluppata da Sidney servendosi di un metronomo, anche se non c'è una sola nota musicale.
Nonostante le recensioni del "New York Times" lamentassero che la MGM, temendo una reazione di Joseph McCarthy, avesse praticamente eliminato la Rivoluzione Francese (contrariamente a quanto avviene invece nel romanzo di Sabatini e nel film di Ingram), il film si rivela in realtà più progressista dei suoi modelli, apparsi sulla scia della Rivoluzione Russa. Ciò non significa tuttavia che Scaramouche indugi nella descrizione della rivoluzione: Hollywood ha sempre prediletto la risoluzione dei conflitti politici attraverso le storie d'amore, e tale rimozione non è mai stata più agile di quanto appaia nel finale di questo film. Ridendo perché l'ironia del caso ha voluto che l'odiato nemico sia in realtà il suo "caro, amato fratello", Moreau si rende anche conto che Aline non è sua sorella (artificio freudiano aggiunto da Millar e Froeschel). Un minuto dopo i due sono già sposati, e del marchese nessuno si ricorda più, nonostante la presenza del giovane Napoleone dietro le quinte ci lasci presumere che, con ogni probabilità, egli sia destinato a finire sulla ghigliottina.
Interpreti e personaggi: Stewart Granger (André Moreau), Eleanor Parker (Lénore), Janet Leigh (Aline de Gavrillac), Mel Ferrer (Noël, marchese de Maynes), Henry Wilcoxon (Chabrillaine), Nina Foch (Maria Antonietta), Richard Anderson (Philippe de Valmorin), Robert Coote (Gaston Binet), Lewis Stone (Georges de Valmorin), John Litel (Dubuque), Dan Foster (Pierrot).
Herb., Scaramouche, in "Variety", May 14, 1952.
G.C. Castello, Miscellanea, in "Cinema", n. 104, febbraio 1953.
J.J. Richer, Scaramouche, in "Cahiers du cinéma", n. 21, mars 1953.
R.E. Morsberger, Scaramouche, in Magill's Survey of cinema. Second series, 5° vol, a cura di F.N. Magill, Englewood Cliffs (NJ) 1981.