SCARBANTIA (Σακαρβαντία, Scarbantia)
Città romana della Pannonia Superior, sul luogo della odierna Sopron (Ungheria). La zona dove in seguito sorse la città romana era fittamente abitata già durante la prima Età del Ferro, per la sua favorevole posizione dovuta alla vicinanza dei ricchi giacimenti metalliferi delle Alpi orientali e perché situata sull'incrocio della via N-S dell'ambra e sulla via danubiana che collegava il bacino dei Carpazi con quello viennese. Le popolazioni illiriche usavano circondare i loro villaggi sulla collina con valli di terra. I disegni figurati graffiti su numerose urne fittili locali rinvenute nelle necropoli di questi abitati (Várhely-Burgstall, Váris), e che rappresentano scene sacrificali, danzatori, musici, pugili, scene di caccia e simili, presentano una lontana parentela con la pittura vascolare greca geometrica.
Intorno al 350 il territorio fu occupato dai Celti, l'ultima ondata dei quali, i Boi arrivati nel periodo La Tène D, abitò la collina detta Bécsiomb (Wiener Hügel), situata più a N di quella che poi sarà il centro di S., e diede all'abitato il suo nome che ci è noto nella forma posteriore romanizzata. I Romani per tempo riconobbero l'importanza economica della zona, incorporata nell'anno 10 d. C. nella Pannonia Superior. Civili romani (soprattutto veterani e mercanti, questi ultimi originarî soprattutto da Aquileia), si stabilirono a S della civitas celtica. La loro comunità è citata già sotto Tiberio con il nome oppidum S. Iulia (Plin., Nat. hist., iii, 147) e sotto i Flavi la città venne elevata al rango di municipium.
La città romana è situata sotto l'abitato dell'attuale Sopron, cosa che rende sensibilmente più difficili le ricerche topografiche. Solo nel 1959 si è riusciti a chiarire l'ubicazione delle mura che furono erette nella città interna romana a difesa dalle invasioni barbariche del IV secolo. Nella parte N della città era situato il Capitolium, del quale si sono conservati i frammenti di tre monumentali statue di culto sedute. Furono scolpite intorno alla metà del II sec. d. C., in marmo proveniente dalle Alpi orientali, probabilmente da un artista italico.
A modello delle figure di Giove e Giunone, fu preso, come dimostrò il Praschniker, il gruppo domizianeo posto sul frontone del Campidoglio romano. I frammenti che il Praschniker suppose appartenere ad una colossale statua di imperatore, secondo ricerche più recenti, fanno parte invece del gruppo delle divinità. Inoltre pare difficile poter dimostrare che l'artista sia stato il medesimo che scolpì la triade del Campidoglio di Savana, pure conservatasi in frammenti.
A S del Capitolium, nel centro dell'antica città, sono stati riportati in luce alcuni avanzi delle terme pubbliche, con hypocaustum, e pavimenti di mosaico. Esternamente alle mura cittadine, in vicinanza della Bécsiomb sorgeva un anfiteatro, che però è rimasto ancora praticamente inesplorato, come il santuario di Nemesi che si appoggia ad esso sul lato S, identificabile da alcune iscrizioni sull'altare e da rilievi votivi.
Siamo informati invece molto meglio sulla posizione delle strade romane che collegavano S. a N con Vindobona e Carnuntum e a S con Savana (v.) e lungo le quali erano situate le tombe, che si dimostrarono ricche di importanti ritrovamenti di steli funerarie, oggetti di ambra provenienti da Aquileia, e oggetti di vetro fra i quali il noto bicchiere raffigurante dei gladiatori con l'iscrizione M. Licinius Diceus f., originario probabilmente da una fabbrica gallica del primo periodo imperiale. Sono state riportate in luce anche alcune ville romane, nei dintorni della città, e forni delle ferriere romane, che testimoniano, attraverso numerosi reperti, la continuità dell'industria locale del ferro che fu iniziata dalle genti illiriche e celtiche. L'amministrazione romana di S. sembra cessasse poco dopo la grande invasione dei Quadi (274 d. C.); la zona però, anche dopo, non rimase disabitata, come testimoniano alcune tombe unne recentemente scoperte.
Bibl.: Fluss, in Pauly-Wissowa, II A, 1923, cc. 355-6; S. Gallus, Die figuralverzierten Urnen vom Soproner Burgstall, in Archaeologia Hungarica, XIII, Budapest 1934; A. Radnóti, in Sopron és környéke mëumlékei, Budapest 1956 (con riassunto tedesco e russo, pp. 13-38); A. Mócsy, Die Bevölkerung von Pannonien bis zu den Markomannenkriegen, Budapest 1959, p. 43-9; A. Mócsy, in Pauly-Wissowa, Suppl. IX, 1962, cc. 597-8; 659-61. Per le mura: Sz. K. Póczy, Archaeologiai Értesitö, 89, 1962, p. 51-63. Per la triade capitolina: C. Praschniker, in Österreich. Jahreshefte, XXX, 1937, p. 111 ss. Per l'anfiteatro e il santuario di Nemesi: M. Storno, in Soproni Szemle, V, 1941, p. 201-16; G. Libertini, in Dioniso, X, 1947, p. 105 ss. Trovamenti di ambre: A. Kugler, Vezetö Sopron... museumában, Sopron 1903, tav. XI-XII. Vaso di Diceus: D. B. Harden, in Archaeology, XI, 1958, p. 2-5
(J. Gy. Szilagyi)
Museo Franz Liszt. - Il museo di Sopron, intitolato a Liszt, fu fondato nel 1867 ed espone nelle sue cinque sale materiale archeologico databile dalla Preistoria al Medioevo.
Fra i pezzi della collezione preistorica sono particolarmente importanti: l'altare del sole di Hasfalva della fine dell'Età del Bronzo che trova un parallelo soltanto in quello di Balkakra in Svezia, e le urne con decorazione figurata provenienti dalle tombe a tumulo dell'inizio dell'Età del Ferro, rinvenute nella scuderia del castello presso Sopron. Nel museo sono conservati importanti ornamenti e vasi della più tarda Età del Ferro.
Per l'età romana, i frammenti delle statue cultuali del tempio della triade capitolina e una statua di imperatore, rinvenuta nello stesso luogo sono superiori, per formato, per qualità del materiale e quanto ad esecuzione a tutte le opere scultoree della provincia, databili al II secolo. Le proporzioni delle figure, la forte plasticità del modellato dei corpi e del panneggio ricordano le botteghe di scultori di Virunum, ma si può anche avanzare l'ipotesi che le sculture siano opera di un maestro fatto venire dall'Italia.
Fra i monumenti funebri va citata la stele di G. Sestilio Senecio con la raffigurazione del defunto a cavallo e con una ricca decorazione vegetale e quella di Petronio Rufo. Stilisticamente sono entrambe da riportare all'àmbito della produzione artigianale di Aquileia. Nella ricca collezione di bronzi romani sono notevoli alcune piccole statuette di bronzo (Venere, Fortuna, figurine di animali), due vasi con belle anse decorate, tre lampade e soprattutto la guaina di un pugnale rinvenuta a Pölöske. Quest'ultima è ornata su entrambi i lati da rilievi: viticci che spuntano da un kàntharos, foglie e uccelli che beccano l'uva, in alto un'iscrizione utere feliciter incorniciata da un fregio di perle; sull'altro lato sono raffigurati tre giovanetti in piedi dinanzi ad un uomo seduto.
Della numerosa e svariata collezione di vasi di vetro romani vanno citati due anfore di fabbrica aquileiese ed un askòs di color azzurro cupo. In tutta la Pannonia, Scarbantia è il luogo dove si sono avuti i più ricchi rinvenimenti di oggetti d'ambra lavorati a intaglio, che costituivano i corredi funebri del tipo più antico di sepoltura, quella in ciste. Della collezione delle suppellettili d'ambra fanno parte anelli, piccoli cucchiai, perle, orecchini, manici decorati, bastoni, ecc., inoltre diversi oggetti dall'esecuzione raffinata, destinati ad usi specifici, che presentano soluzioni artistiche veramente geniali, per esempio una anatra sdraiata con i suoi anatroccoli sulla schiena e vicino alla coda; si tratta probabilmente di un portaunguenti che si può aprire spostando una piastrella sul fondo. Affine per tecnica e per l'uso cui era destinata è una testa barbata di Bacco coronata di pampini. Della collezione fanno parte anche altri due pezzi di questo tipo, sempre d'ambra, uno dei quali è un anello con figurine rampanti tra i viticci. Ci sono anche oggetti d'ambra massicci: un cane che lecca le proprie zampe; una conchiglia con due delfini; una noce spaccata, ecc. Questi esemplari di buona qualità sono stati eseguiti probabilmente ad Aquileia.
Del periodo delle invasioni barbariche va ricordato il diadema d'oro con pietre preziose incastonate, proveniente da Csorna.
(M. Kanozsay)