Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
Nel 1918 nasce la Repubblica Popolare Ungherese che, ispirata dall’esempio bolscevico, si trasforma nella Repubblica dei Consigli. Abbattuta la Repubblica dalla controrivoluzione, l’Ungheria diventa nel successivo ventennio uno Stato autoritario, alleato dell’Asse. Occupata dall’URSS nel 1945, vi si instaura un governo comunista, al quale gli Ungheresi cercano inutilmente di ribellarsi nel 1956. Nei decenni successivi si afferma un comunismo più riformista che non riesce, però, a risolvere i problemi economici del Paese. Dal 1989 la società ungherese diviene multipartitica e aperta al mercato.
La dissoluzione della duplice monarchia austro-ungarica porta, alla fine dell’ottobre 1918, alla proclamazione della Repubblica Popolare Ungherese e alla formazione di un governo di coalizione a netta prevalenza socialdemocratica, presieduto dal conte Mihaly Karolyi (1875-1955). I primi mesi della nuova repubblica sono convulsi e densi di problemi. Parte del territorio ungherese è occupato militarmente in attesa che le potenze vincitrici ne definiscano il futuro. Qualsiasi proposta di concedere un’ampia autonomia alle popolazioni non magiare viene respinta dalle stesse minoranze etniche che si appellano al diritto di autodeterminazione.
Altro arduo problema è la riforma agraria: mentre le forze di sinistra sono favorevoli alla socializzazione della terra, i partiti borghesi vogliono limitarsi a una distribuzione della grande proprietà terriera. I braccianti, a loro volta, si orientano per la gestione cooperativa delle terre occupate e non si mostrano favorevoli alla soppressione delle grandi aziende, semmai a una diversa loro conduzione. I piccoli proprietari agrari sono duramente colpiti dalle requisizioni forzate. Nell’ambito industriale, le iniziative di socializzazione hanno esito disastroso. La gestione dei consigli operai provoca un crollo produttivo e i salari operai perdono potere d’acquisto. Per questi motivi cala il consenso nei confronti dei socialdemocratici.
Alla fine del 1918 nasce il Partito Comunista, sotto la direzione del giovane agitatore Béla Kun (1886-1937), che riesce a fare proseliti sia tra gli operai che tra gli ambienti ebraici, malcontenti del persistere delle discriminazioni. Nel marzo 1919 la Triplice Intesa ordina lo sgombero di territori magiari, provocando la protesta e le dimissioni di Karolyi. I socialdemocratici chiamano al governo Béla Kun. La fusione del Partito Socialdemocratico con quello Comunista dà vita alla Repubblica dei Consigli, ispirata dall’esempio bolscevico. Il governo dei commissari del popolo dura solo 133 giorni, durante i quali approva una Costituzione e riforme radicali: tutte le industrie vengono nazionalizzate e le proprietà della Chiesa confiscate. Le proteste dei contadini, contrari alla socializzazione della terra, vengono ferocemente represse dal “terrore rosso”. Il malcontento monta immediatamente e la Repubblica Sovietica Ungherese, unico esperimento comunista al di fuori della Russia, viene stroncata dall’esercito “bianco”, organizzato dall’ammiraglio Miklós Horthy (1868-1957), che si avvale dell’aiuto dell’armata rumena.
Al “terrore rosso” fa seguito il “terrore bianco”, con vendette indiscriminate nei confronti dei sostenitori del precedente governo. Horthy nel 1920 si proclama reggente di una monarchia senza re, e instaura un dominio personale che durerà oltre un ventennio. La riforma agraria viene completamente affossata e la struttura latifondista rimane intatta. La democrazia ungherese affonda sotto la tensione delle tendenze rivoluzionarie e controrivoluzionarie e si consolida un regime autoritario, che dal punto di vista sociale è interessato all’immobilismo. Il parlamento sopravvive, ma con funzioni limitate e formali.
L’Ungheria subisce, in seguito al trattato del Trianon del 4 giugno 1920, accordi di pace punitivi per i quali deve trasferire i territori slovacchi e la Rutenia alla Cecoslovacchia, la Transilvania e il Banato di Temesvar parte alla Romania e parte alla Jugoslavia. Il suo territorio è ridotto di due terzi, sebbene si presenti etnicamente più omogeneo. Tre milioni di Ungheresi, però, vivono al di fuori dei confini nazionali e ciò è motivo di contrasti nel corso del XX secolo con gli Stati vicini. L’Ungheria con la Germania è, quindi, interessata alla revisione dei trattati di pace e il suo spirito irredentista preoccupa in special modo Cecoslovacchia, Romania e Jugoslavia che, per questo motivo, si legano alla Francia nella Piccola Intesa, per contrastare eventuali revanscismi ungheresi.
I rapporti con la Germania si rafforzano anche per motivi di natura economica. Secondo gli accordi commerciali del 1934, la Germania trova nell’Ungheria un mercato per l’acquisto dei prodotti agricoli, evitando di pagarli in valuta pregiata, che le serve invece per l’acquisto di materie prime per il riarmo. È disposta, pertanto, a pagare più cari i prodotti agricoli magiari. L’Ungheria in compenso abolisce gli sbarramenti protezionistici alle esportazioni tedesche.
Nel corso degli anni Trenta nel Paese si diffonde il movimento fascista delle Croci Frecciate, che fa breccia su ampi settori della classe lavoratrice, mentre nelle campagne è molto forte l’antisemitismo. Il Partito Comunista è fuorilegge e il Partito Socialdemocratico, di modesta entità, è tollerato dal regime.
Sull’onda dell’espansionismo tedesco e della revisione dei tratti di pace della prima guerra mondiale, l’Ungheria tra il 1938 e il 1941 recupera una buona parte dei territori precedentemente ceduti. Rimasta neutrale all’inizio del secondo conflitto, proprio per i vantaggi territoriali conseguiti deve entrare in guerra nel 1941 al fianco delle potenze dell’Asse. La guerra ha un andamento disastroso, soprattutto nella campagna di Russia. Horthy tenta allora di trattare una pace separata con gli Alleati, e, per questo motivo, nel marzo del 1944 l’Ungheria viene invasa dai Tedeschi, che depongono l’ammiraglio e collocano al governo il capo delle Croci Frecciate, che schiaccia tutte le opposizioni ed emana leggi antisemite simili a quelle tedesche. In un solo anno 400 mila ebrei vengono deportati e massacrati nei campi di sterminio. Nasce anche un movimento di Resistenza cui partecipano tutte le forze politiche.
Nell’aprile del 1945 Budapest viene occupata dall’Armata Rossa e per governare il Paese si forma un ampio fronte di forze politiche, con la partecipazione dei comunisti, dei socialdemocratici, del Partito dei Piccoli Proprietari e dei Democratici Popolari. Inizialmente Stalin non fa partecipare i comunisti al primo governo, che nasce sotto il controllo dei generali sostenitori del regime di Horthy. Il Partito Comunista raccoglie consensi dalle minoranze nazionali perseguitate nel periodo nazista o in quello precedente alla guerra; vi militano nell’immediato dopoguerra anche numerosi ebrei scampati all’Olocausto.
In Ungheria, così come avviene in Romania, la presa del potere da parte dei comunisti è favorita dalla presenza dell’esercito sovietico e dalla preminenza dei Russi in seno alla Commissione di Controllo alleata. Le elezioni del 4 novembre 1945 registrano la vittoria del Partito dei Piccoli Proprietari, che raccoglie il 57 percento dei voti. I Sovietici, allora, impongono la formazione di una coalizione di governo che comprenda i comunisti ai quali affidare il ministero degli Interni, così da poter controllare polizia ed esercito. Un’ondata di persecuzioni si abbatte prima su coloro che, a torto o a ragione, vengono accusati di aver collaborato con i Tedeschi, poi le opposizioni borghesi vengono smantellate dando inizio a processi farsa, in cui gli esponenti dei partiti vengono accusati di complottare contro la sicurezza nazionale. Dopo il 1948, le purghe investono i socialdemocratici confluiti nel Partito Comunista o gli stessi comunisti non in linea con la direzione del leader filosovietico Mátyás Rákosi (1892-1971) e ritenuti vicini alle posizioni di Tito. Il processo contro László Rajk (1909-1949), accusato di aver complottato con il Vaticano, con Tito e con gli Stati Uniti per rovesciare il governo comunista ungherese, porta all’epurazione di 350 mila persone e alla morte di almeno altre 2000. Vittima delle purghe è anche il futuro leader del Paese János Kádár (1912-1989), che viene condannato a quattro anni di carcere. Il 20 agosto 1949 viene, quindi, proclamata la Repubblica Popolare Ungherese.
Inizialmente, il programma economico dei comunisti prevede la nazionalizzazione dei settori energetici, delle compagnie assicurative e il controllo statale dei cartelli industriali. Lo stesso Stalin interviene, per ridimensionare l’avvio all’economia socialista, in quanto preoccupato che la radicalizzazione possa alienare le simpatie di ampi settori del Paese. Nel 1945 si procede, quindi, solo al sequestro della terra dei latifondisti. Ancora nel 1947, i comunisti ungheresi si dichiarano contrari alla collettivizzazione agraria. La nazionalizzazione dell’industria viene, invece, ritardata, anche perché, essendo stata l’Ungheria alleata della Germania, non esiste un’ampia proprietà tedesca da porre sotto sequestro. Si afferma, quindi, un’economia mista, che, però, presenta problemi di instabilità per la concorrenza tra settore pubblico e settore privato. Con il 1948, conseguito il pieno controllo del Paese, il governo comunista procede alla piena affermazione dell’economia socialista. Nel marzo del 1948 tutte le industrie con più di 100 operai vengono nazionalizzate e nel dicembre 1949 la soglia viene abbassata a dieci. Nel campo agricolo si ha una accentuazione del processo di collettivizzazione, mentre i piccoli proprietari vengono vessati fino al punto di essere costretti a cedere la terra.
La nazionalizzazione e l’economia di Stato provocano vistosi cambiamenti sociali: l’aristocrazia e la borghesia sono costrette o a lasciare il Paese o a vivere come proletariato. Non manca, però la promozione sociale verso l’alto. Nel corso degli anni Cinquanta numerosi operai fanno carriera, tanto che nel 1960 il 60 percento della dirigenza delle aziende è composto da personale di origine operaia o contadina. Al capo del partito, Rákosi viene tributato un culto pubblico pari a quello di Stalin nell’URSS.
A seguito della scomparsa di Stalin nel 1953, i settori riformisti del partito guidati da Imre Nagy (1896-1958) propongono nel giugno dello stesso anno di attuare una politica di rinnovamento che prevede l’abolizione dei campi di lavoro forzato, e concede ai contadini di abbandonare le fattorie collettive e di concentrare la produzione sui beni di consumo. Ma nel dicembre 1955 da Mosca si impone l’espulsione dal partito di Nagy e il ritorno del filosovietico Rákosi. La relazione del XX Congresso del PCUS (Partito Comunista dell’Unione Sovietica) nel 1956, tuttavia, ha come conseguenza lo scoppio della rivolta. Gli Ungheresi scendono, infatti, in piazza, bruciando i ritratti di Rákosi e chiedono il ritorno al potere di Nagy, che viene prima riammesso nel partito e poi nominato primo ministro tra il 23 e il 24 ottobre 1956. La rivolta, tuttavia, non si placa e assume marcati caratteri antisovietici e anticomunisti. Le manifestazioni dal 24 al 28 ottobre chiedono l’allontanamento dei soldati sovietici dal territorio nazionale e una più incisiva politica di rinnovamento. Il 1° novembre Nagy annuncia l’abbandono del Patto di Varsavia e la neutralità dell’Ungheria. Si ammettono al governo elementi non comunisti, rompendo così il monopolio del partito, e si procede a misure di liberalizzazione, come l’accesso alla vita politica di altri partiti, la liberazione del cardinale Jozsef Mindszenty (1892-1975), detenuto dal 1948 con l’accusa di spionaggio e di sovversione antipatriottica, e un regime di libertà per il clero cattolico. L’ideologia che caratterizza la rivoluzione di Budapest è la ricerca di una terza via tra comunismo e capitalismo, all’interno della quale far coesistere un sistema multipartitico con le conquiste del socialismo.
La politica di Budapest, tuttavia, è invisa all’URSS, preoccupata che l’esempio ungherese si propaghi negli altri Paesi dell’Est europeo destabilizzando il Patto di Varsavia, mentre gli ancora incerti esiti della contemporanea crisi di Suez rischiano di indebolirla sul piano internazionale. Pertanto, viene pianificata l’invasione del Paese da parte del Patto di Varsavia. All’alba del 4 novembre le divisioni corazzate sovietiche e degli alleati si riversano su Budapest e fino al 7 novembre si impegnano in scontri con gruppi di giovani che combattono quasi a mani nude. Inutilmente Nagy rivolge drammatici appelli ai Paesi occidentali, perché intervengano a sostegno della libertà ungherese. Il 12 novembre la rivolta è schiacciata e si insedia un nuovo governo imposto dai Sovietici presieduto da Kádár. Nagy dopo essere stato incarcerato, viene processato e fucilato con altri duemila suoi sostenitori.
Dopo il 1956 e la sua violenta repressione, in Ungheria si avvia un processo che accoglie alcune istanze della rivolta, ma che ne rifiuta gli aspetti radicali, a partire dalla collocazione internazionale del Paese. Nasce un nuovo corso economico, sostenuto in particolare dagli artefici principali della repressione della rivolta: Kádár e l’ambasciatore sovietico a Budapest Yuri Andropov (1914-1984), futuro leader dell’URSS. L’Ungheria diviene una sorta di progetto pilota. Nasce quello che è stato definito il “comunismo del gulasch”, con l’introduzione di limitati meccanismi di mercato, in un sistema controllato dallo Stato che incoraggia la libera impresa, specialmente in campo agricolo, ammorbidendo i controlli sulle consegne obbligatorie e sull’assetto della proprietà della terra. A metà anni Sessanta una certa prosperità investe l’Ungheria, la cui vita politica è però del tutto azzerata. La “kadarizzazione” è una sorta di compromesso tra comunismo e capitalismo che affascina anche alcuni economisti occidentali. Anche dal punto di vista culturale viene allentato il controllo della censura e si permette una più libera circolazione di idee. La fase di maggiore libertà perdura fino al 1972, quando si registra un giro di vite a causa dei timori delle conseguenze delle politiche riformiste, come dimostra il caso della Primavera di Praga. L’economia, inoltre, nel corso degli anni Settanta risente della crisi petrolifera mondiale. L’industrializzazione raggiunge il suo picco con l’impiego del 45 percento dei lavoratori, ma la distribuzione della ricchezza si fa sempre più ineguale, concentrandosi nelle mani dell’élite politica, mentre gli operai perdono potere d’acquisto.
Benché l’Ungheria si presenti agli inizi degli anni Ottanta come il Paese con standard di vita migliori nell’Europa orientale, essa deve ricorrere a una politica di indebitamento per poter procedere alla ristrutturazione e alla modernizzazione del Paese e per cercare di migliorare il tenore di vita della popolazione. Questo rende più acuta la crisi economica degli anni Ottanta, perché l’economia socialista è troppo poco flessibile per utilizzare in modo adeguato il flusso di denaro. Nel corso dell’ultimo decennio del dominio comunista, l’economia registra indici in forte calo, un’inflazione galoppante e un deficit di bilancio insostenibile, che impone misure drastiche di austerità. La relativa libertà e le condizioni materiali che l’Ungheria presenta in misura ben maggiore degli altri Paesi dell’Est non possono perdurare per la crisi economica, poiché la stagnazione produce impoverimento e una forte tensione sociale.
All’interno del partito emerge un movimento favorevole a un più radicale cambiamento che porta al potere i riformisti nel maggio del 1988 che rimuovono Kádár e gli uomini a lui più vicini. Nel Paese si susseguono manifestazioni che celebrano in particolare la memoria di Nagy. Nel febbraio del 1989, per la forte pressione popolare, si procede alla creazione di partiti politici indipendenti con i quali si avviano colloqui sul futuro assetto della nazione. Nell’ottobre dello stesso anno, i comunisti, al loro XIV congresso, decidono di cambiare il nome in Partito Socialista Ungherese. Si arriva a un accordo sulla riforma costituzionale, sulla creazione di un sistema multipartitico e su libere elezioni politiche, mentre già dal maggio 1989 è aperto il confine con l’Austria, evento simbolico della caduta della cortina di ferro ancor prima del crollo del muro di Berlino.
Il 23 ottobre 1989, in occasione del 33° anniversario della rivolta del 1956, viene proclamata la Repubblica di Ungheria e inizia la faticosa e delicata transizione verso il libero mercato. Le prime elezioni libere del 1990 vedono la vittoria del Forum Democratico Ungherese, di posizioni centriste, favorevole a una graduale transizione al capitalismo. Dal 1991 comincia poi il ritiro dell’esercito sovietico. Nel 1994, invece, il Partito Socialista conquista la maggioranza assoluta dei seggi parlamentari, ma si dichiara favorevole a continuare l’apertura dell’Ungheria all’Occidente.
Nel 1999, infatti, il Paese diventa membro della NATO e nel 2004 entra nella Comunità Europea.