SCENOTECNICA
. Tecnica della scena (teatrale, cinematografica, ecc.). Il concetto di tecnica della scena investe tutto quanto appartiene alla medesima e cioè: dalla recitazione al movimento degli attori e figuranti, dalla creazione degli scenarî alla loro illuminazione, dalla costruzione delle macchine alla organizzazione materiale dello spettacolo, dalla combinazione orchestica alla preparazione del dettaglio. Tecnica della scena, in senso totale, è tutto quanto contribuisce, artisticamente e tecnicamente, alla unità della rappresentazione. Equivale ad "arte della messa in scena".
Comunemente usata però, la parola "scenotecnica" assume un significato più limitato individuando quella specializzazione dell'attività teatrale riferentesi a quanto di scenografico, macchinistico e luministico è necessario al pieno sviluppo dell'azione drammatica. In tal senso essa dunque comprende: la scenografia, arte d'immaginare, dipingere e fabbricare scene; la macchinistica, arte d'inventare, costruire e manovrare i congegni di palcoscenico; la luministica, arte di preparare e adeguare le luci allo spettacolo; l'arte del figurino cioè di disegnare e realizzare il costume dei personaggi; l'arredamento, ossia l'arte di approntare il mobilio e la suppellettile scenica; la logistica di palcoscenico, che coinvolge quanto si riferisce alla materiale organizzazione dello spettacolo.
Ognuna di tali branche, a sua volta, si vale delle arti affini per il conseguimento dei proprî scopi, dimodoché la pittura - con particolari leggi coloristiche e prospettiche, praticata in locali appositamente attrezzati per la stesa dei grandi teloni - detta appunto "scenografica" è stata, almeno fino a tutto l'800, l'elemento principe della scenografia; così l'architettura, sia che serva a un genere di sfondi architettonici dipinti sia che serva a innalzare sul palcoscenico scenarî plastici o massicci; similmente la sartoria che è allogata in speciali laboratori ed è essenziale alla realizzazione dell'abito teatrale; allo stesso modo l'attrezzeria la quale studia e fabbrica i dettagli dell'ambiente scenico; in ultimo tutte quelle piccole attività artigiane che contribuiscono alla fornitura dei minuti oggetti di abbigliamento. La macchinistica spazia nei campi varî della meccanica applicata imperniandosi su speciali applicazioni della carpenteria che chiameremo "carpenteria teatrale". È bene chiarire che la carpenteria teatrale non si limita alla costruzione delle macchine che, volta per volta, servono agli spettacoli, ma coinvolge intiera la costruzione del palcoscenico. Ciò è ovvio inquantoché il congegno "occasionale" s'inserisce nel congegno "fisso" e questo è formato di parti o "elementi fondamentali" senza di cui non è possibile l'"agibilità".
La costruzione macchinistica del palcoscenico è così unita alla scenotecnica da identificarsi col palcoscenico stesso e da concorrere alla sua definizione tecnica.
Il palcoscenico è quel settore del teatro dove si rappresenta l'azione drammatica. Tettonicamente è costituito da un vano, ma il vano ha bisogno di essere "attrezzato" perché quell'azione vi trovi gli elementi necessarî a vivere nella sua pienezza ambientale.
L'attrezzatura è compito dello "scenotecnico" o "architetto di scena" cioè di colui che presiede allo svolgimento tecnicistico della rappresentazione. Gli elementi scenotecnici fondamentali del palcoscenico formano un "corredo" per la cui conoscenza occorre rifarsi alla storia del palcoscenico nella sua entità architettonica (v. teatro) e seguire l'evoluzione dei suoi meccanismi cominciando dal teatro greco.
LA scenotecnica antica, medievale e del rinascimento.
Antichità. - I primordiali "panni" e "tendaggi" e i primitivi tavolati dei palchi provvisorî sono l'embrione della nostra attrezzatura. Trascurando ciò che non è registrabile positivamente, bisogna risalire alla conformazione del palcoscenico del teatro greco, e quindi di quello romano, per trovare un primo orientamento. Sui particolari di questa carpenteria non è facile dare notizia dettagliata perché il materiale di legno fu distrutto dal tempo. A sostenere l'intuizione dei ricostruttori rimangono i soli resti delle strutture murarie dei teatri posteriori al sec. IV a. C. nonché le descrizioni di scrittori non sempre chiare e precise, e di trattatisti fra cui fanno fede Vitruvio, Giulio Polluce (sec. II d. C.) e Onorato Servio (sec. IV d. C.), ed anche le deduzioni che scaturiscono dall'azione delle tragedie. Non è difficile comprendere che la seena (skēnÿ), quella che noi chiamiamo totalmente il palcoscenico, doveva imitare quella dei teatri di legno precedenti, del sec. V a. C.
Di forma rettangolare (dai 4 ai 7 metri di profondità media per 35 o 40 di larghezza massima) era formata da una imbastitura di legno presso a poco simile a quella dei nostri teatri tradizionali. Mentre l'attrezzatura dei teatri del Rinascimento e moderni è applicata alla ossatura murale, nel teatro greco-romano alcune parti sceniche formano corpo con la muratura stessa e, quali elementi inalterabili, vanno distinti da quelli che costituiscono l'attrezzatura vera e propria; come appare dalla seguente nomenclatura.
Proscenio (proskÿnion dei Greci; pulpitum o proscenium dei Latini); era formato dalla piattaforma in legno che dal muro di fondo, dove era incastrata, avanzava verso l'orchestra. Il piano del palcoscenico era detto logeīon, okríbas, o bæma, parole che servivano tanto ad indicare detto piano quanto tutto il complesso della skenÿ. Sul limitare dell'orchestra il proscenio si appoggiava sopra un muro sovente decorato con colonne o pilastri. Fra una colonna e l'altra, a modo di metopa, era posto un pannello di legno chiamato pínax. Il muro poteva avere una porta al centro. Rispondeva alla linea di ribalta di oggi. La sua altezza varia in media dai 3 metri ai 3,50 circa, ma giunge ai 4 metri ad Atene e ai 2,50 ad Oropo.
Parascene (paraskÿnia) o pareti laterali, ornate di colonne o pilastri. Erano di muratura e avevano aperture che, a detta di Vitruvio e Polluce, figuravano strade conducenti all'esterno del luogo voluto dalla scena. Presso queste aperture si tenevano pronte le macchine sulle quali dovevano essere trasportati in scena dei e mostri. Negli edifici del sec. IV i parascene confinavano con due piani in salita, laterali alla scena, adatti probabilmente al detto scopo (rampe).
Fondale (frons scenae dei Latini) murato; concepito come scenario architettonico fisso, decorato con intercolumnî marmorei, recante tre porte rispondenti ad attribuzioni convenzionali. Quella centrale, di maggior proporzione, era detta regia e veniva riservata al protagonista; le altre agli ospiti (hospitalia) o ai personaggi plebei, a seconda che esse porte figurassero un tempio, un carcere o altro. In base a constatazioni recenti è possibile seguire l'evoluzione del fondale attraverso i secoli. Di legno dapprincipio, qualche volta con una sola porta, in alcuni teatri posteriori in pietra (Efeso, Oropo), fu costituito da un portico profondo circa m. 1,30, praticabile, sostenuto da pilastri, e la cui parete di fondo aveva le porte note.
Questo portico o corridoio poteva servire a tener libero il proscenio pel giuoco degli attori, ad occuparlo con scene secondarie o a simulare vestibolo di casa, camera e simili. Il fondale greco è alto dai 4 ai 5 metri. Nel teatro romano assume una maggiore altezza e si arricchisce di più ordini architettonici di grande ricchezza decorativa. (V. scenografia).
Iposcenio (hyposkÿnion) situato sotto il proscenio; risponde al nostro sottopalco; è messo in comunicazione con la scena mediante scale interne.
Retroscena (postscenium dei Latini); era tutto lo spazio ai lati e dietro la scena murata.
Soffitto; era formato da un cassettonato decorato, sottostante al tetto, coprente per metà la scena e il retroscena per l'altra metà.
Queste le parti, diremo, immobili per destinazione e per costruzione. Alle quali aggiungeremo le "scene mobili" e le "macchine" propriamente dette, come segue:
Sipario (aulaeum, siparium dei Latini; v. sipario). Il sipario scendeva dal soffitto sotto il palco, attraverso un taglio adatto a questo scopo e saliva a chiusura d'atto. Questo è quello chiamato aulaeum. Il siparium era a doppia cortina; si apriva nel mezzo e serviva negli intermezzi e nei cambiamenti di scena. Il nome greco di katablÿmata, secondo Polluce, si dava ai panni o alle tavole dipinte che si mettevano sulle macchine versili e si toglievano facendoli cadere a terra.
Vi sono tragedie greche le quali fanno pensare a una separazione che potesse facilitare certe impostazioni richieste dall'azione. In questo caso si può sempre pensare a un qualunque sistema di paravento o panneggio divisorio simile a quello che si vede nel celebre bassorilievo della Commedia nuova. Virgilio (Georg., III) parla di un telone porpora dipinto con le vittorie riportate sui Britanni.
L'usanza d'illustrare i fasti storici sui teloni giunge da allora fino al tempo nostro.
Fondali dipinti o decorazioni di fondo. Abbiamo visto il fondale murato. Quando la commedia trasporta l'azione subitamente da un luogo a un altro tutto fa credere che si usassero teloni dipinti, realizzati la prima volta verso il 465 a. C. Agatarco dipinse scene per Eschilo e lasciò delle norme. Democrito e Anassagora seguirono questi studî e teorizzarono i principî prospettici a imitazione del naturale. Vitruvio ci parla di un Apaturio Alabandeo che dipinse una scena con statue, centauri, frontespizî, ornamenti ed altre tante bizzarrie. Specialisti furono Apollodoro d'Atene e Clistene d'Eretria, che erano chiamati skēnográfoi. D. Navarre disse: "Con quali mezzi materiali questi diversi fondali erano tenuti? Verosimilmente erano applicati contro la facciats della scena e scivolavano su una guida. Tuttavia le dimensioni considerevoli di questi chassis li dovevano rendere difficilmente manovrabili. Non è dunque impossibile che si ricorresse, dopo il sec. V, a quello che i Latini chiamavano la scena ductilis, formata da due parti verticali esattamente raccordate che si diramano l'una a destra, l'altra a sinistra. Può essere anche che i Greci conoscessero già un altro perfezionamento attestato solo da Roma. Si sovrapponeva verticalmente una serie di tele corrente su delle guide parallele, di sorta che una scena spariva e dietro essa se ne mostrava una nuova. Non è improbabile che si usasse in parecchi casi la scena simultanea, cioè quella convenzione che si ripeterà più tardi nel teatro del Medioevo. I diversi luoghi dell'azione, per quanto lontani fossero nella realtà gli uni dagli altri, erano figurati uno a lato dell'altro sulla scena". Il che farebbe pensare a qualche costruzione plastica o scena parapettata e, di nuovo, alle tende, stando alla seguente descrizione di Polluce: "... la tenda rappresentata da tappeti e adiacente alla casa, e vi è pure la stalla dei giumenti".
La scena di fondo si aggirava sempre sui quattro tipi principali: il tempio, il palazzo, la tenda e il paesaggio.
Con i periacti e i teloni l'elemento colore entra a far parte della scena greca.
Periacti o elementi laterali dello scenario, sotto forma di scene girevoli. Erano alti prismi triangolari ruotanti intorno a un asse e di cui ogni faccia portava una decorazione differente concordante col soggetto centrale che generalmente rimaneva fisso. Mediante essi si disponeva di tre cambiamenti a vista i quali, per mezzo di altre scene dipinte su tavole o su tele (katablÿmata) si può supporre potessero diventare più di tre in un tempo assai breve. È probabile che di questi si cominci a usare nel sec. V. I periacti si chiamavano "versatili" o "versili". (versatiles trigoni). Sono paragonabili alle nostre quinte, ma, data la poca profondità del palco, non erano numerose.
Le macchine che chiameremo "occasionali" sono:
Macchina rullante (ekkìklēma). - Era una piattaforma che recava in scena le vittime della tragedia presentate per mezzo di essa agli sguardi del pubblico. Il meccanismo è mal conosciuto. Sembra che si trattasse di un piano semicircolare fissato alla porta centrale e ruotante su delle ruote basse. La porta, compiendo mezzo giro sopra un asse verticale situato sul mezzo presentava agli spettatori la sua parete interna con la piattaforma aderente sulla quale si trovavano gli attori. La dimensione della piattaforma era determinata dalla larghezza della porta (metri 4 di diametro a Efeso). Secondo Polluce un ekkìklēma era situato dietro a ognuna delle tre porte. Bisogna riconoscere in esso l'embrione di piattaforma girevole.
Macchina a spinta (exõstra). - Un meccanismo analogo al suddetto - secondo antichi testi - era ugualmente una piattaforma a ruote, ma che, in luogo di eseguire un movimento circolare, era portata in avanti attraverso la porta e poi riportata indietro. Bisogna riconoscere nell'exostra l'embrione della piattaforma slittante. Il congegno meccanico che serviva a far muovere tali macchine si chiamava eiskìklēma. L'eiskìklēma pare conosciuto nel 458 a. C.
Macchina per voli (mēchanÿ). - Mostrava i personaggi discendenti sulla terra o salenti in cielo. Si chiamava anche aiõrema (elevatore) e géranos (gru). Ricorda le gru moderne: un albero inclinato portante i singoli pezzi per la manovra, citati nei testi antichi: l'argano, la carrucola, i cavi scorrenti nella medesima fissata alla sommità del braccio inclinato e il gancio al quale si sospendevano fino a tre corde per tre persone. Gli elementi dell'apparecchio erano situati al piano superiore della scena, dal lato sinistro, dietro il muro di fondo; il braccio nascosto nel sottotetto passava da un'apertura del muro. Per rendere i cavi invisibili pare si dipingessero in nero o grigio. L'estremità del cavo prendeva forme di carro volante, cavallo alato e altri soggetti fantastici. Quando l'attore doveva volare isolato si sospendeva direttamente al gancio con una cintura. Il primo uso può risalire al 409 a. C. La mēchanÿ serviva a far discendere gli dei sulla terra. Euripide la usò risolvendo le situazioni drammatiche, facendo cioè apparire gli dei ex machina. Donde la locuzione deus ex machina per indicare un'azione o un personaggio da cui dipende il risolversi del dramma.
Macchina per l'apparizione degli dei o teologio (theologeêon). - Non mostrava, come la gru, gli dei in movimento. È come un praticabile sul quale sono assisi i personaggi all'altezza delle nuvole dalle quali sono incorniciati. Essendo una macchina molto primitiva si ha ragione di credere che sia antecedente alla gru. Generalmente le apparizioni delle divinità erano accompagnate da lampi e tuoni, come vedremo in seguito.
Secondo piano (distegía). - Era un praticabile grazie al quale i personaggi potevano accedere sia al tetto o terrazza sia alle finestre del piano superiore dell'abitazione rappresentata sulla scena. Aveva in conseguenza una scala interna. La sua installazione era semplicissima: un piano di legno situato all'altezza voluta e sostenuto da piedritti pure di legno.
Scala di Caronte (Chárontos klímakes). - Era una semplice scala per la quale l'attore saliva o scendeva nel sottopalco.
Botola (anapíesma). - Era anch'essa una macchina per trascinare dagli inferi gli dei sotterranei o i fantasmi dei morti: una botola mobile elevante meccanicamente i personaggi. La forma più semplice poteva essere formata da uno sportello orizzontale sotto il quale si accucciava, sopra una scala, l'attore in attesa di uscire all'impiedi al momento opportuno.
Alcuni avanzi di teatri recano, sul davanti della scena, una fossa diritta della profondità di oltre due metri. Si ritiene che dovesse servire a tali usi. In tal caso dovremmo pensare che questa porzione del proscenio avesse il piano mobile.
Emiciclo (hēmikìklion). - Deriva il nome dalla sua forma e serviva a far vedere, secondo Polluce "qualche parte lontana d'una città o dei navigli in mezzo al mare". Fa pensare alla nostra panoramica dipinta.
Macchina da apoteosi (strofeêon). - Mostrava "gli eroi cambiati in divinità". Probabilmente era dell'ordine del theologeêon.
Hemistrófion di cui Polluce ci ha trasmesso solamente il nome. Doveva essere uno strofeêon in proporzioni ridotte. È molto probabile che le ultime tre macchine siano state introdotte all'epoca romana o tutt'al più alessandrina. Non se ne hanno minuti particolari.
In quanto ai lampi e tuoni che, abbiamo detto, accompagnavano l'apparire delle divinità, si ritiene che i primi fossero semplicemente figurati da un cielo tempestoso dipinto sui periacti con la sorpresa del loro rivolgimento subitaneo. Sappiamo però di un keraunoskopeêon adatto, appunto, a scagliare i fulmini. Si deduce che i Greci si avvalessero pure di effetti di luce, sempre relativi al fatto che le rappresentazioni avvenivano di giorno.
Bronteêon. - Era uno strumento per simulare i tuoni, combinato con urne piene di ciottoli che si facevano cadere in vasi di bronzo.
Di quale perfezione fossero i congegni suddetti, non si può accertare per le ragioni espresse in principio. Dovevano però essere di un'estrema semplicità se si pensa che semplici sono tutt'oggi alcune macchine elementari simili a quelle greche, molto usate empiricamente nei nostri teatri. La pratica marinara dei Greci ci fa pensare a soluzioni meccaniche analoghe a quelle escogitate pei congegni di bordo. È interessante immaginare che con l'apparire della pittura scenica la scena dei più importanti teatri fosse coperta ed alla copertura fosse applicato qualche ripiego o appoggio utile alle macchine descritte e che i Romani certamente migliorarono in prosieguo di tempo.
Medioevo. - Sulla scenotecnica del Medioevo ben poco ci è dato di sapere in particolare. Anche qui l'intuizione deve sopperire la mancanza di dettagli esatti sul meccanismo. Quanto è detto alla voce scenografia illumina sulle origini e la natura dello scenario da rappresentazioni sacre le quali richiedevano, per certo, palco e meccanismi non privi di interesse, tanto che esse si svolgessero all'interno delle chiese quanto all'esterno sulle piazze. Sulla scorta di testi antichi non è difficile immaginare a un dipresso le necessità macchinistiche e il genere di carpenteria di detto palcoscenico chiamato talamo (thalamum, tabulatum; parloir dei Francesi) nelle Devozioni. Esso era fondeggiato da una parete di legno chiamata tramezzo avente una porta centrale detta regge, a sinistra l'ambulatorio degli uomini e a destra quello delle donne. "Sul talamo dovevano essere diversi scompartimenti o capannucci, aperti sul davanti, fatti con assiti a tende e di varia configurazione, comecché ciascuno rappresentasse una regione, una città, un palagio, una stanza" (luoghi deputati; mansions dei Francesi). Un'idea delle suddette necessità sceniche e della relativa dinamica si ha dal D'Ancona (Le origini del teatro italiano, Torino 1891) il quale, seguendo la scorta di Paulin Paris (Della messinscena dei misteri, lezione del 7 maggio 1855 al Collegio di Francia) scrive: "La parte anteriore del palco celava sotto di sé in forma di bocca spaventosa, che a quando a quando si apriva per dar passaggio ai diavoli, la regione infernale; nella quale si capisce bene checché ne opponessero in contrario i Parfait, che non si poteva recitare, ma si faceva soltanto norse et tempete e ne uscivano anche fiamme e fumo, e i demoni vi precipitavano le anime dei peccatori e i loro corpi. Sulla piattaforma, detta opportunamente parloir aveva luogo la maggior parte dell'azione, e di là parlavano gli attori, quando il soggetto stesso non il ritenesse in quegli scompartimenti qua e là posti che raffiguravano le regioni, città, boschi, mari, edifici, reggie, templi, stanze in che aveva luogo qualche episodio del dramma". Ed oltre: "Ivi, ciascuno al suo posto, li vedeva lo spettatore quando cominciava il giuoco e in una sola occhiata conosceva il numero delle regioni, le qualità dei personaggi l'argomento insomma della rappresentazione a ciò spesso aiutandolo i cartelli posti su ciascun capannuccio e le spiegazioni date a voce dal direttore dello spettacolo (meneur du jeu, acteur, protocole). Per rendersi dall'una all'altra di queste mansioni, se il viaggio doveva immaginarsi non breve, gli attori passavano di dietro occultandosi agli occhi del pubblico quel tanto che potesse servire alla illusione del trascorrere del tempo: altrimenti, passavano per lo spazio destinato alla scena comune. Ma più alto che tutte le mansioni, e quasi una gran tribuna riccamente adornata, erigevasi in fondo al palco il Paradiso, che si apriva e chiudeva, secondo il bisogno, come la bocca infernale e dove stava Dio in trinità affisso sur un tronco risplendente circondato da simbolici attributi della divinità sua e da' cori degli angeli suoi ministri e messaggeri".
C'è chi ha voluto riconoscere nel palcoscenico medievale una derivazione di quello greco-romano ma su questo sembra più attendibile l'opinione di Valerio Mariani (V. Mariani, Scenografia italiana, Firenze 1930): "La tradizione dello spettacolo classico romano nel teatro medievale va considerata con molta cautela e per certi riguardi non sembra aver notevole importanza: dire che gli elementi del palco e dei cosiddetti luoghi deputati o semplicemente loca nel teatro medievale derivano dalle case, dai templi del teatro greco e romano quando l'allestimento scenico medievale interpreta tutt'altro mondo religioso con scopi essenzialmente didattici è per lo meno in gran parte arbitrario".
Sullo stato più o meno progredito della meccanica teatrale medievale è probante ripetere l'opinione di alcuni storici. Giustamente il Ferrari (La scenografia, Milano 1902) dice: "Ma come ci permettiamo di dubitare che specialmente nel sec. XIV e nei primi del XV la forma dei luoghi deputati fosse tanto rozza come si immagina da valentissimi studiosi, noi crediamo pure che in questo periodo non fosse del tutto sconosciuta l'arte di render mobili le scene. Bisogna in proposito avvertire che la tessitura della sacra rappresentazione nella sua tipica molteplicità aveva necessariamente contribuito fin dal tempo più remoto allo svolgimento dell'arte dei meccanismi e gli ingegni del sec. XV non sono, a parer nostro, che uno stadio mirabilmente progredito di un'arte antica di oltre due secoli. Giacché per oltre due secoli chi allestiva un palco scenico sacro doveva pensare a fare un paradiso che si apriva, dal quale scendevano angeli per prendere anime che lassù riportavano; doveva pensare alla bocca spaventosa dell'inferno che vediamo collocato nella parte anteriore del palco come nel teatro classico e in questo e da questo far scendere e sorgere diavoli e dannati; doveva far crollare edifici, far comparire draghi: e se queste, come chiaramente emerge dai testi e dalle didascalie delle sacre rappresentazioni, sono state le esigenze immutate di quei drammi è ragionevole supporre che l'arte dei meccanismi fosse, all'apparire del genio di Brunelleschi, molto evoluta e a tal segno da poter operare facilmente un mutamento improvviso in uno o più luoghi deputati, compito ben più semplice di quello di produrre tutte le trasformazioni alle quali accennammo.
Riassumendo adunque, il palco scenico medioevale si stendeva su un unico piano, trovando conveniente adattamento sia nel santuario rialzato della chiesa romanica sia a ridosso o forse anche sopra del tramezzo nelle chiese archiacute: nel santuario rialzato il tavolato posticcio forse continuava il piano del santuario stesso e si veniva così nella sua parte anteriore ad avere agio di aprire la voragine dell'inferno che, nei sotterranei della cripta, presentava comodità grandissime per prepararvi i diversi congegni: nelle chiese ad un solo piano il tramezzo poteva offrire o un comodo postscenium o un comodissimo sottopalco per l'inferno".
Concludendo, se nulla si sa circa gli elementi tecnici del teatro medievale, la nostra intelligenza scenica non deve trascurare un fatto di capitale importanza già registrato parlando del teatro greco e cioè che il meccanismo teatrale elementare si basa sovente sopra un empirismo che non è sempre privo di effetti tanto più apprezzabili data la semplicità d'animo delle masse a cui si rivolgevano. Non è difficile riconoscere la mancanza di elementi fissi e l'asportabilità dei talami ottenuta mediante semplici sistemi di piedritti o cavalle mobili.
Per gli effetti, le macchine, altrettanto semplici, potevano essere suggerite al buon artigiano dell'epoca dalla carpenteria propria di qualunque cantiere edile, con quel tanto di fantasia che la passione del sacro spettacolo recava naturalmente con sé.
Rinascimento. - Periodo formativo. - Quando il dramma da sacro diventa profano, il palcoscenico rimane lo stesso che abbiamo visto nel Medioevo sia che venga innalzato sulle piazze o nei cortili dei nobili palazzi. Lo scenario dei luoghi deputati cambia significato. Nell'udir parlare di castelli (castellum erano chiamate anche le scene parapettate raffiguranti edifizî, durante il Medioevo) deve intendersi la simulazione di due costruzioni civili o militari secondo il soggetto rappresentato, poste ai lati della scena: embrione delle case che vedremo con somma arte prospettica disposte in seguito.
Filippo Brunelleschi (1377-1446) appare come il punto cruciale tra la meccanica scenica del Medioevo e l'inizio del tempo nuovo. Da quanto racconta il Vasari nelle Vite si può ritenere Brunellesco il modernizzatore, mediante le sue applicazioni prospettiche, apparati architettonici provvisorî e invenzione di ingegni. Basta, a dimostrarlo, il riferimento alla macchina eseguita a Firenze per l'Ascensione, descrizione particolareggiata dove si parla, tra l'altro, di mezze sfere giranti in cielo con giovinetti legati, manovrate per mezzo di canapi. Siamo al tempo del Cecca, del Genga, di Francesco di Giorgio Martini e la ricerca meccanica è in grande onore. Nel 1486 la rappresentazione de L'Orfeo di Poliziano alla corte di Mantova, giudicando dall'azione, usa il dispositivo dei luoghi deputati, con scena doppia e scempia (inferno sul palcoscenico anziché sotto e via che a quello conduce; oppure: case merlate con finestre e uscio costituenti, certamente, il castello).
Leggendo i diarî delle feste date in questo periodo (1470-1500) si ha la certezza che macchinismi per far discendere "quattro angeli in mezo de li quali era un moro imbindentato" e farli tornare "cum li ordeni soi dove erano descesi" esistessero insieme ad altri ingegni per l'illuminazione di "uno paradiso cum stelle ed altre rode" attesoché gli spettacoli avvenivano nei cortili anche di notte. Con tali ritrovati, che dovevano essere assai notevoli ma di cui non si può avere un dettaglio che ci illumini sulla loro costruzione, siamo nel periodo di formazione della scenotecnica rinascimentale. Le origini della quale si deducono tuttavia da descrizioni come queste, riferentisi a una rappresentazione del 1492, d'una commedia del Boiardo: "Le cortine del cielo si aprono" e poi "si chiudono e il primo atto è finito"; "Mercurio ascende per macchina al cielo". Si pensa ai praticabili, alle scale, alle gru, alle coulisses con scenarî spezzati sagomati e anche ai cortinaggi. Il primo barlume di teatro quale gradualmente sviluppandosi giungerà all'epoca moderna, va ricercato allo scoccare del 1500, quando un palcoscenico viene eretto in una sala preesistente. L'architettura teatrale individua da questo momento il palcoscenico rinascimentale. Nasce il boccascena secondo si sa quanto riguarda la scena: "Al jongere dell'angul de un de' grandi et minori lati, se vedevano quactro altissime colonne colle basi orbiculate, le quali sustenevano quactro venti principali: fra loro era una grocta, benché facta ad arte tamen naturalissima: sopra quella era un cielo grande fulgentissimo de varij lumi, in modo de lucidissime stelle, con una artificiata rota de segni al moto de' quali girava mo il sole, mo la luna nelle case proprie: dentro era la rota de fortuna con sei tempi: regno, regnaj, regnabo: in mezo residea la dea aurea con un sceptro con un delphin, ecc.".
Isabella Gonzaga in una descrizione del teatro fatto costruire dal padre nel palazzo di Ferrara per le nozze del figlio con Lucrezia Borgia (1502) ci informa: "Da l'altro canto, cioè all'incontro de' gradi, è facta una murata di legname, merlata a foggia de muro de città, alto quanto è un homo: sopra gli sono le case de le Comedie e sono sei...". L'idea di foggiare la parete del proscenio a muro di fortezza è usata in questo periodo.
È nel 1514, in un teatro provvisorio innalzato in occasione delle rappresentazioni in Vaticano della Calandra, che si videro per la prima volta delle decorazioni dipinte e mobili preparate da Raffaello e da Baldassarre Peruzzi. Si ricordi, che l'arte prospettica, a rilievo e dipinta, comincia a fare furore nel teatro per incamminarsi a quella che fu la sua epopea sei-settecentesca. Della sua esibizione, del lusso dei particolari scenografici, del progredire e complicarsi dei meccanismi teatrali si ha attestazione nello storico spettacolo presentato alla corte di Urbino nel 1516 rappresentandosi la Calandra del Bibbiena, sotto la direzione di Baldassar Castiglione, scenotecnico il famoso Gerolamo Genga. Scrive il Castiglione: "La scena poi era finta una città bellissima con le strade, palazzi, chiese, torri, strade vere, e ogni cosa di rilievo ma aiutato da bonissima pittura e prospettiva bene intesa. Tra le altre cose ci era un tempio a otto faccie di mezzo rilievo...: finte le finestre di alabastro: tutti gli architravi e le cornici di oro fino e azzurro oltramarino e in certi luoghi vetri finti di gioie, che parevano verissime: figure intorno tonde finte di marmo, colonette lavorate: ecc... Dall'un canto e dall'altro del cavallo erano dui come altaretti, sopra quali era a ciascuno un vaso di fuoco abbondantissimo che durò finché durò la comedia". Indi si dilunga a descrivere le intromesse (intermezzi o intermedi), scenografie figurate semoventi che allietavano gli interatti. Venivano portate in scena mediante meccanismi scorrevoli.
Siamo ormai al fiorire della prospettica di Brunellesco, di Baldassarre Peruzzi da Siena (1481-1537), della pratica e teorica di Sebastiano Serlio da Bologna (1475-1552) e ci incamminiamo verso il mirabile '600 attraverso Nicola Sabbatini da Pesaro (1548-1631).
Due forme di palcoscenico dobbiamo considerare in questo periodo: quella che riprende la tradizione greca del fondale murato, con prospettive a rilievo e strade tracciate in profondità oltre le aperture, forma dovuta al Palladio (Olimpico di Vicenza) e allo Scamozzi, all'Aleotti (Farnese di Parma) (v. Scenografia; teatro); quella che abbiamo visto nelle sale dove la profondità della scena è libera a ogni giuoco dell'invenzione. Nei trattatisti cominciano i riferimenti esatti sull'argomento. Conviene riferirci ad essi e ai loro disegni. Fin da questo momento si può parlare dell'inizio scientifico della scenotecnica.
Periodo scientifico. - Fra i primi e più interessanti documenti grafici di scenografia è uno schizzo conservato nel Gabinetto dei disegni e delle stampe alla Galleria degli Uffizî dovuto a Baldassarre Peruzzi, grafico da farsi su telai dei quali recano le misure, le inclinazioni prospettiche, i distacchi o vie, le destinazioni degli edifici e ci fan vedere la pendenza del palcoscenico ormai praticata per ragioni visuali e necessaria perché la parete del proscenio si usava costruire molto alta.
Nel suo libro sul teatro il Serlio consiglia questi accorgimenti: primieramente per il commune uso si fa un suolo levato da terra quanto l'occhio nostro, cioè dalla parte davanti; di dietro si fa più alto la nona parte, ecc...; sia levato il detto suolo dalla parte di dietro verso l'orizzonte; sia ben piano, forte per causa delle moresche: questa pendentia io l'ho trovata commoda con la esperientia...". Ed oltre, parlando del suo teatro di Vicenza: "io volsi che davanti la scena pendente vi fosse un suolo piano". Ciò fece "per li maravigliosi intermedij che vi accadevano, come carrette, elefanti...". Parlando delle case si scopre come procedeva nell'eseguirle: "questi tai casamenti io gli ho sempre fatti di telari, sopra li quali ho poi tirato tele, facendogli le sue porte in faccia, in scorcio secondo le occasioni, anco ci ho fatto alcune cose di basso rilievo di legnami, che han aiutato molto le pitture...". La posizione angolare di questi telai si desume dal seguente tratto dove parla della scena tragica: "et poi si faranno li due telari cioè quello in faccia e quello in scorcio...". Ad aiutare la prospettiva: "quando tai case fussero di lontano, un telaro solo serviria...". "Tutta la superficie copra li tetti come saria i camini, campanili et cose simili, benché quivi non siano si faranno sopra una tavola sottile tagliati intorno ben lineati et coloriti". La scena si vale di elementi naturali. Parlando della satirica si rifà a Vitruvio il quale vuole che questa scena "sia creata di arbori, sassi, colli, montagne, erbe, fiori et fontane...". Consiglia di fare cose simili di seta e dipinte quando manchino gli oggetti veri. Ecco la descrizione di una macchina vera e propria: "potrà l'architetto aver preparato alcune ordinanze di figurette di quella grandezza che si ricercava dove havranno a passare et queste saranno di grosso cartone colorite et tagliate intorno, le quali posaranno sopra un regolo di legno a traverso la scena, dove sia qualche arco: fatto sopra il suolo un incastro a coda di Rondina, entro il quale si metterà detto regolo et così pianamente una persona dietro al detto arco le farà passare... Et se talvolta accadrà che uno pianeta, o altra cosa per aria si vegga passare, sia ben dipinta quella cosa in cartone et tagliata intorno, poi dietro la scena (cioè a gli ultimi casamenti) sia tirato attraverso un filo di ferro sottile, et con alcuni anelletti in esso filo attaccati dietro il cartone nel quale sia un filo negro, et dall'altro lato sarà una persona che pian piano lo tirerà a sé, ma sarà di forte lontano, che né l'uno né l'altro filo sarà veduto. Tal fiata accaderà tuoni, lampi et folgori a qualche proposito, li tuoni così si faranno: Sempre, come ho detto, le scene si fanno nel capo di una sala, sopra la quale gli è sempre un suolo, sopra del quale si farà correre una grossa palla di pietra la quale farà bene il tuono. Il lampo così si farà. Sarà uno dietro alla scena in luogo alto, havendo nella mano una scatoletta entro la quale vi sia polvere di vernice: et il coperchio sia pieno di busi: nel mezzo del coperchio sarà una candeletta accesa: et alzando in su la mano quella polvere salirà in alto e percuoterà nella candela accesa in maniera che farà lampi assai bene. Circa al folgore sarà tirato un filo di ferro lontano attraverso la scena, che discenda in basso, dentro del quale sarà acconcio un rocchetto o raggio che sia ma questo sarà ornato di oro stridente, et mentre si farà lo tuono nel finir de quello sia scaricato una coda et nel medesimo tempo dato il fuoco al folgore, et farà buono effetto".
Dal grande architetto teatrale Nicola Sabbatini abbiamo maggiori dettagli sulla Pratica di fabbricar scene e macchine nei teatri (Ravenna 1638). Appare chiaramente la maniera di tessere la carpenteria del palcoscenico quale poi è stata più o meno perfezionatamente seguita. Si apprende che le travi o bordonali di sostegno, e di un piede di faccia, ben murati e benissimo assicurati con forti e spessi puntelli rispetto alle Moresche... si doverà far mettere i legni per lo lungo per la seconda orditura, e vogliono essere di grossezza di mezo piede di quadro, bene incavigliati, mettendoli in modo che non impediscano l'apriture, c'havranno a servire per gl'intermedi... poi vi sistemaranno sopra le tavole, le quali debbano essere buone, ben commesse, e benissimo inchiodate...". Il proscenio è alto mezzo piede perché "non vengano vedute da spettatori le machine, o altro, che dovrà servire sotto il palco...". Il Sabbatini ci parla pure del cielo della scena, della pittura del parapetto del palco diversamente dipinto, dell'architrave del boccascena o principio del cielo e del modo di dipingerlo con festoni, stemmi, panni e nappe, della pittura del pavimento a quadroni prospettici, del modo di mettere le case secondo digradanti regole prospettiche (v. prospettiva) e del modo di aggiustare li telari per le case, e per la prospettiva di mezzo" (fondale). Dà regole ed avvertimenti sulla sfumatura del colorito di ogni parte. Vale la pena di ripetere ancora altri passi dello scritto del Sabbatini perché da quella pratica è dedotta la scienza scenotecnica odierna. "Stabilito il piano del palco, si doverà dar principio a fare il cielo, quale doverà essere o intiero, o spezzato; se intiero, vi sarà poca fatica poiché farassi con tre, o quattro centine, o arcali fatti in minor portione di cerchio, dando loro (nel metterli in opera) il suo declivio di due oncie per piedi, raccomandandogli con buoni e forti tiranti alle travi del tetto, o altro, acciò che siano sicuri. Da poi si stenderanno per lo lungo ad esse centine, legnami lunghi, e sottili in giusta lontananza bene inchiodati, quali legni da noi volgarmente vengono nominati Ciavaroni, et in Toscana Correnti. Compita questa seconda orditura vi si stenderanno le tele, le quali vogliono essere imbroccate più spesso che sia possibile acciocché non vengano a fare qualche cattivo effetto, e così sarà compito il cielo intero". Come si comprende non si tratta ancora dei nostri panni o arie o cieli penduli verticalmente ma di dipinti inclinati secondo dimostra la figura apposita di cui il Sabbatini dà la seguente spiegazione (v. fig.): "Sia il piano della sala, o del theatro A. B. e quello del palco C. D. Il primo pezzo del cielo sia EF et il secondo GH e che vi sia tanta distanza dall'ultima parte F al principio del secondo G quanto sarà il bisogno per le machine, come si disse di sopra e la parte G sia tanto più alta della F quanto dalle persone, che saranno nella prima fila in I non venga veduta l'apertura FG ma che la vista vada a ferire in K come per IK si vede". Il Sabbatini cambiava i fondali a coulisse, oppure aprendo il primo come le imposte di una porta. Il cambiamento delle case avveniva mediante sovrapposizione di diverse tele dipinte scorrenti sopra un congegno di anelli e incamerandone l'armatura su guide di legno insaponate e arrotolandole verso l'interno del palcoscenico in modo che la prima, una volta arrotolata, lasciava vedere la seconda e così continuando; oppure: mediante telai a squadro scorrenti in un gargale o scanalatura fissa nel palcoscenico, nascosti un dietro l'altro prolungantisi dinnanzi alla casa che si voleva nascondere. Circa il sipario, chiamato tenda si calava dall'alto in basso sul piano della scena. Lungo sarebbe accennare agli infiniti dettagli descritti dal Sabbatini, del quale si hanno anche disegni, conservati nella R. Biblioteca Palatina di Parma. Il Ferrari (op. cit., p. 101) così si esprime sopra il progresso tecnico della meccanica teatrale al finire del 1500 e ai primi anni del secolo seguente: "Non diremo, che specialmente per ciò che riguarda certi meccanismi, si fosse ottenuta grande agilità; certamente si erano fatti molti progressi sulla meccanica teatrale medievale; dobbiamo però avvertire che, per alcune mutazioni di scene durante l'azione drammatica o coreografica, il direttore scenico aveva bisogno di divergere l'attenzione dell'uditorio con qualche strepito che momentaneamente distraesse, anche spaventasse l'uditorio affinché si operasse la mutazione stessa. Il Sabbatini ha per ciò incredibili espedienti che consistono nel preparare, nel fondo della cavea, uomini che gridassero ad un incendio o ad altro imminente pericolo: ma, qualora sembrasse troppo impressionante l'astuzia, consiglia di far squillare improvvisamente una tromba nel fondo stesso della cavea.
Ciò dimostra che i cambiamenti a vista o erano di una certa lentezza, o, se veloci, si compivano con abilità relativa, cosicché l'illusione ne veniva a soffrire non poco".
Concludendo sulla meccanica teatrale di questo inizio di periodo scientifico (periodo che culmina nella costruzione del teatro Farnese di Parma per opera dell'Aleotti, teatro ricco di moltissimi congegni) si avverte, con l'abbandono della scena classica a fondale murato quale si vede nell'Olimpico di Vicenza, l'inizio di un altro periodo che si può dire aureo per la complicata vastità e bellezza dei problemi scenotecnici risolti. Essi si fondono con tutta la grande arte scenografica venuta di poi, talché rimandiamo alla voce scenografia tanto per la conoscenza degli artisti che ad essa collaborarono quanto per vedere l'integrazione della loro opera nel complesso dello spettacolo barocco.
Periodo aureo. - Con l'aumentare delle esigenze scenografiche e macchinistiche lo spettacolo, del periodo che comprende i due secoli interi '6 e '700, usa tutti i mezzi immaginabili per arricchire la dinamica delle rappresentazioni. La personalità dello scenotecnico acquista valore e autorità in questo tempo. Poiché lo spettacolo è il risultato di una collaborazione intima fra artisti e artigiani diversi, brillano personalità potenti che compendiano tutte le attività relative alla pittorica, alla macchinistica e alla materiale organizzazione. Nascono gli architetti teatrali nel senso pieno della parola, costruttori di sale, di edifici, accentratori della parte creativa, del mestiere e della direzione dell'opera da inscenare. Tale prerogativa è tipicamente italiana. Essi andranno per il mondo e stupiranno i pubblici più varî e lontani.
In Francia, a Lione nel 1548, si vedono attraverso una compagnia italiana per la prima volta gli scenarî dipinti su tele mobili, adottati indi a Parigi nel 1621. La sala da spettacoli costruita nel 1661 dentro al palazzo delle Tuileries assunse il nome di Salle des Machines per il numero dei congegni che vi furono installati dall'architetto Amandini e dal macchinista Vigarani i quali avevano sostituito a Parigi il celebre Torelli.
L'Inghilterra ebbe il teatro di Shakespeare (Teatro del Globe) intorno al 1696 formato da un impianto di legno piazzato in un recinto all'aperto, di forma ottagona o esagona, circondato da balconi. La scena occupava, con poco sviluppo, un lato interno del poligono e la ribalta si protendeva poligonalmente verso il centro del teatro; il muro di fondo poteva avere aperture o panneggi e recava, al disopra, un secondo vano che poteva servire da seconda scena. Questa strana costruzione era sormontata da una specie di belvedere sul quale un araldo indicava l'ora della rappresentazione. Il primo lavoro rappresentato a Londra con scenarî e macchine fu nel 1662 dopo che l'attore Betterton andò in Francia a studiare le macchine degl'Italiani.
La Russia, la Polonia, la Germania, l'Austria e la Spagna vantano teatri e palcoscenici costruiti e condotti da Italiani.
L'arte teatrale italiana reca il nome di Gian Lorenzo Bernini (1508-1680). Per limitarci agli scenotecnici principali, ricordiamo Gaspare Vigarani (1586-1663) di Reggio Emilia, Giacomo Torelli di Fano (1608-1678), Giovanni Servandoni di Firenze (1695-1766), la famiglia dei Galli da Bibiena occupanti un periodo che va dal 1619 al 1756, Alfonso Parigi fiorentino (1628-1656), e i due Burnacini, Giovanni e Ludovico, che operano nel 1643 e nel 1666, (v. anche scenografia). Per i loro miracoli scenici-macchinistici prenderanno nome di stregoni. "Grande stregone" fu detto il Torelli rispondendo a quello che oggi si dice il "mago delle scene". Una moderna denominazione dovuta al Bragaglia, richiamandosi a un Discorso della poesia rappresentativa e del modo di presentare le favole pubblicato nel 1598 da Angelo Ingegneri (Ferrara e Bergamo 1604), li denomina significativamente "ingegneri di poesia rappresentativa".
Poiché i mutamenti di scena si moltiplicano, la scenografia in rilievo una scenografia dipinta su tele montate in modo da presentare massima agilità di manovra. Lo scenario dipinto consta di elementi più agili: le quinte sostituiscono le case. Il fondale prende il nome di principale. Gli spezzati o telai sagomati prendono anche posizioni centrali nel palcoscenico e i praticabili serviranno a ottenere le varie altezze dei piani. I telai delle quinte, per il numero considerevole delle mutanze, potevano essere circa 50 e si aprivano a libro. Venivano manovrati su carrelli guidati dall'interno verso il centro del palcoscenico. Per ottenere la precisione e il tempo giusto del movimento a vista, venivano spostati per mezzo di leve e di corde facenti capo a un argano detto tamburo munito di gran ruota. Innovazione dovuta al Torelli è la scena traforata usata come scena corta o principale in primo piano, a forma d'intercolumnio aperto con sfondo sul fondale. Da un disegno di Padre Pozzo (1649-1709) si ha un'idea della nuova forma assunta dallo scenario e dal palcoscenico. Le quinte sono oblique e digradanti formanti un angolo di venti gradi fino alla settima, oltre la quale divengono parallele al fondale. Sono chiamate telari obliqui e canali storti. Le pitture si arrotolano verso il cielo. Il problema prospettico è capitale nella scenografia barocca e a volere sondare in questo terreno occorre andare ai trattati che abbondano su questa materia la quale è integrativa dell'architettura e anima dell'architettura decorativa dei secoli in questione (v. prospettiva). Considerazione importante: con l'agilizzazione dello scenario la macchinistica, arricchendosi di elementi, perfeziona la sua carpenteria creando quei congegni che i moderni riceveranno in eredità e molti dei quali sono usati ancora.
Alla fine del '700 la tecnica scenica è stabilmente formata. Dopo averne visto per sommi capi lo sviluppo, siamo in condizioni di analizzare questa eredità raccolta dall'800 e di passare alla nomenclatura fondamentale del palcoscenico quale ci è rimasta, senza cambiamento di termini.
Nomenclatura del palcoscenico tradibionale.
Il palcoscenico va considerato come un insieme di macchine in quanto ogni elemento, anche se apparentemente fissato all'immobile, può assumere una funzione di movimento. È suscettibile di trasformazioni e di spostamenti: vero e proprio impianto d'officina.
Secondo quanto si è visto nel teatro antico bisogna suddividerne gli elementi in quattro parti: elementi annessi all'ossatura; macchine di funzionamento occasionale; decorazioni o scenarî, accessori e utensili. I primi si suddividono in:
Piano scenico o palco. - È formato da un piano di legno su travi e piedritti pure di legno fermati a speciali incamerazioni nel pavimento del sottopalco. Per ragioni visuali, il piano ha una pendenza verso la sala dal 0,04 al 0,05 per cento. Il piano è formato da tante strisce parallele al boccascena, suddivise in quadrati mobili detti botole o trabocchetti, apribili per gli effetti dal basso o verso il basso, nonché da ristrette fessure o tagli chiamati piccole strade correnti nel senso suddetto, utili per la manovra trasversale di elementi in scena. Generalmente questi elementi sono rappresentati dalle quinte, le quali si riuniscono in gruppi di tre o quattro a breve distanza l'una dall'altra. Gli spazî tra un gruppo e l'altro di quinte si chiamano grandi strade. L'ossatura del palcoscenico, travi e piedritti compresi, è facilmente smontabile perché i tagli possano assumere la postazione trasversale più adatta alla rappresentazione.
Ribalta o proscenio. - È la parte anteriore del palco, sporgente verso la sala, sotto l'arco scenico. È pure di legno, ma raramente ha il piano mobile. Abbiamo visto, dal Serlio, una ribalta in piano adatta per le moresche, ma in genere essa segue la pendenza del palcoscenico. La sua altezza dal piano della sala può essere quella di un uomo circa. Questa misura considerevole è dovuta a quando si usava rimanere in piedi in platea. Per proteggere gli attori dalle intemperanze del pubblico fu, in qualche caso, munita di un'inferriata. La parte verticale della ribalta è raramente in muratura; più spesso coperta da tavolato agevolante l'effetto acustico. La ribalta può essere, occasionalmente, munita di gradini per tutta o parte della sua larghezza onde stabilire la comunicazione fra teatro e palcoscenico: ciò può servire in occasione di feste carnevalesche. Vi sono teatri dove, per questa occorrenza, un macchinismo a tamburi, situato sotto il piano inclinato di legno della platea porta lo stesso al livello del palcoscenico. La ribalta può essere più o meno sporgente e rimane esterna alla linea del sipario occupando lo spazio dei palchetti di proscenio.
Buca del suggeritore. - È al centro della ribalta. Ad essa si accede mediante scaletta dal sottopalco. È munita di cuffia di legno coperta generalmente da un tappeto. Buca e cuffia sono più o meno larghe a seconda che servano a uno o due suggeritori. L'ultimo caso è dell'opera lirica.
Orchestra. - Fa parte della sala, ma, date le sue relazioni col palcoscenico, non possiamo farne astrazione parlando di scenotecnica. È la porzione della sala riservata ai suonatori e divisa dal pubblico da un parapetto. Al centro, vi è una pedana che serve da podio direttoriale per il maestro direttore dell'orchestra. Il piano è continuazione di quello della platea. Ciò apporta inconvenienti quando la ribalta non sia molto alta. Nei teatri ben costruiti, sotto al piano di legno dell'orchestra esiste un vuoto ritenuto efficace per la risonanza.
Sottopalchi. - Sono ripiani sottostanti al palco, praticabili per l'azionamento delle macchine. Il primo ripiano si chiama sottoscena. L'insieme dei sottopalchi può essere a due o tre ordini separati da graticciate o piani forati, a seconda dell'importanza dell'attrezzatura. L'Opéra di Parigi ha sei sottopalchi. I sottopalchi sono caratterizzati dalla selva dei piedritti di sostegno del piano scenico i quali, essendo spostabili, escludono qualunque sostegno in muratura. In alcuni sottopalchi si nota una parete di legno interna creante una specie di corridoio sotto lo spazio della ribalta, corridoio che più che a disimpegno di passaggio si può attribuire a cassa armonica dell'orchestra. In corrispondenza di tale spazio è, come abbiamo detto, la scala che conduce al praticabile del suggeritore.
Soffitta o graticcia. - È situata nella parte alta del vano scenico, sotto il tetto, sostenuta dalle travi delle incavallature o staffata alle medesime con tiranti di ferro. È costituita da un piano a strisce di legno equidistanti fra loro in modo da lasciare delle strisce vuote per l'applicazione dei rocchetti. I rocchetti sono piccole carrucole per il tiro delle corde cui vanno appesi gli scenarî. L'altezza della soffitta dal piano del palco è regolata sull'altezza dell'edificio e da essa consegue se le scene debbano salire intere (in prima) o ripiegate in una volta (in seconda) o due volte (in terza) o addirittura arrotolate. Similmente a quanto avviene nei sottopalchi, sopra la graticcia trovano posto i tamburi per i tiri pesanti.
Tamburi o mulini o botti. - Sono argani attorno ai quali vengono avvolte le corde passanti dai rocchetti e all'estremità delle quali sono appesi gli scenarî. Il tamburo più semplice è dunque un argano che dal lato della ruota a pioli porta un rullo di grande diametro. Sul rullo di piccolo diametro si avvolgono le funicelle attaccate allo scenario; su quello di diametro maggiore le funi più grosse ovvero di comando. Il comando avviene dai paioli. Il tamburo deve essere munito di un fermo di arresto. Il tamburo a degradazione è composto di tre o quattro tronchi di diametri differenti, posti esternamente alla ruota e serve quando si vuole che alcune funi si allunghino o si accorcino più rapidamente di altre.
Paioli o ballatoi. - Sorta di balconi a più ordini situati a varie altezze intorno al perimetro dei muri, sulle balaustre dei quali si legano le corde provenienti dalla soffitta. Queste ultime vengono legate a pioli, situati obliquamente sul poggiamano del paiolo, detti anche caviglie.
Scale. - Servono a far salire e scendere i macchinisti dalla soffitta e dai paioli coi quali dovranno corrispondere. Possono far parte della muratura ma, oltre a queste, necessitano scale più agevoli, di ferro, lungo i muri.
Ponti trasversali o passarelle. - Sono ballatoi che, al disotto della soffitta, permettono il passaggio aereo da una parte all'altra del palcoscenico, le ispezioni al centro dello stesso e il piazzamento di lampade verticali. Hanno il piano graticciato. Esistendo la passarella vicina all'arco scenico essa prende il nome di ponte di bocca d'opera.
Quinte (coulisses). - Telai di legno scorrevoli lungo i tagli del piano scenico. Sono innestate su carretti scorrenti nel primo sottopalco. Carretti e quinte sono azionati per mezzo di tamburi i quali rappresentano il meccanismo propulsore e di cui parleremo a parte. Le quinte, oltre ad essere formate semplicemente da telai fissati sul piano del carretto, possono essere formate da due dritti rigidi di legno muniti di scala a pioli per potervi far salire i macchinisti, e da gattelli per l'appoggio dei detti telai. Quando fanno da cornice al sipario, insieme con il panneggio pendulo dall'arco scenico, costituiscono il mantello d'Arlecchino, nome derivato dal fatto che questa maschera amava nascondersi dietro tale panneggio vero o dipinto che fosse.
Carretti. - Sono elementi delle quinte suddette ma possono essere usati anche per trasportare in scena praticabili o altro. Si tratta di castelletti di legno muniti di piccole ruote marcianti su guide poste sul piano graticciato del sottopalco. Generalmente rispondono alle piccole strade per disimpegnare le quinte ehe vengono applicate sul loro piano rispondente a quello del palco. Gli organi propulsori dei movimenti dei carretti sono i tamburi situati nei sottopalchi e sui quali si arrotolano le corde del tiro.
Sipario o telone. - È il mezzo che serve a separare la sala dal palcoscenico. Il movimento di apertura avviene dal basso in alto, per mezzo di un macchinismo adatto a renderne agevole l'innalzamento e veloce l'abbassamento. La forma più semplice è quella di un telone sostenuto da una stanga superiore e reso rigido da una stanga inferiore. Scorre ai lati dentro a corde metalliche per mezzo di anelli. L'innalzamento avviene per mezzo di corde che dalla stanga superiore, attraverso carrucole laterali, agiscono sotto la spinta degl'inservienti. Ma ciò può servire per teatrini di modestissime proporzioni. Il telone ha sempre un peso considerevole ed è necessario agevolare la spinta degl'inservienti mediante un sistema di contrappesi regolari. Il contrappeso, fissato a corda passante per due carrucole - una superiore ed una inferiore - scorre lungo una delle ali interne del boccascena e nel movimento d'innalzamento del telone viene incamerato nel sottopalco.
Può bastare che l'inserviente spinga in basso la corda del contrappeso per ottenere il levar della tela. Il moto può essere ancora agevolato da un argano posto nella soffitta o nel sottopalco, a cui sono avvolte le funi di comando che dopo essere passate su due carrucole fissate sulla medesima staffa discendono fino al paiolo dove avviene la manovra. Le funicelle secondarie che attraversano le carrucole della soffitta servono a raccogliere il sipario sulle funi di comando e si chiamano false. Il telone può essere variamente decorato e portare al centro un'apertura della larghezza di una porticina. L'apertura può avvenire col semplice sistema d'innalzamento della piccola tela che la ricopre o con sistema a portiera. Questo siparietto accessorio serve a fare uscire gli attori per ricevere l'omaggio del pubblico. Quando il sipario è di grandi dimensioni, e conseguentemente molto pesante, è rafforzato da stanghe e da tiri di corde intermedî. Varî sono i modi di disimpegno del sipario. Possedendo una soffitta in prima, il sipario sale senza piegature. Altrimenti, al modo stesso delle scene, può salire frazionando le piegature o addirittura arrotolarsi, nel quale caso, non consigliabile mai per grandi aperture, dovrà essere munito di un rullo superiore di raccoglimento.
I siparî possono essere due: quello dietro al telone principale si abbassa negl'intermezzi degli atti ed è chiamato comodino. In questo caso il siparietto fa parte del comodino anziché del telone di gala.
Le macchine per il funzionamento occasionale sono moltissime: ci limiteremo alle principali. Alla fantasia degli scenotecnici si deve il loro rinnovarsi e modificarsi secondo le occasioni. Generalmente si applicano alle parti fisse o si trasportano sopra le medesime man mano che si presenti la necessità.
Praticabile. - È il ritrovato più semplice per avere un piano sul quale recitare, sollevato dal piano del palcoscenico. È formato da una leggiera incavallatura di legno, controventata, la quale sostiene il piano in parola. Per salire sul medesimo vi è sempre appoggiata una scala, munita o non di poggiamano. Si comprende che praticabile e scala vengono nascosti da scenarî spezzati. Il praticabile può essere a diversi piani. In tal caso esso può risultare dalla unione di diversi praticabili insieme. A seconda della necessità può avere il piano inclinato o a gradinata ed essere fatto in modo che vi si possa camminare sotto. Necessitando, un praticabile mobile può essere munito di ruote e fatto funzionare a guisa di carretto libero o su guide.
Praticabile per voli. - È un piano sul quale possono essere collocati anche alcuni scalini, privo di piedritti e portante degli anelli ai quali vengono fermate le corde che lo tengono sospeso o in movimento nell'aria. Può essere munito di poggiamano. In genere gli attori vi vengono saldamente fermati mediante cintura.
Scale da scena. - Sono dell'ordine del praticabile e servono ad accedere a quello. Fatte di legno, possono avere le forme più adatte allo scopo: dritte, ad angolo, elicoidali ecc., con poggiamano o senza. Per consuetudine, le scale dritte normali hanno misure tipo con gradino di 0,20 × 0,20.
Trabocchetto o botola. - È una di quelle aperture che, come s'è detto, suddividono il palcoscenico in tanti quadrati mobili. La sua funzione di trabocchetto avviene quando è necessario aprirla sia permanentemente durante la rappresentazione sia improvvisamente per poi richiudersi subito. In quest'ultimo caso il coperchio della botola viene cernierato da un lato (o da due, qualora si voglia un'apertura a libro). L'apertura e la chiusura istantanea avverranno mediante tiri di corde passanti per carrucole opportunamente disposte nel sottopalco. È ovvio che un trabocchetto aperto esige sempre una scala sottostante o un piano macchinato che funga da elevatore.
Buca macchinata. - Serve a utilizzare le botole del piano scenico per apparizioni e sparizioni di personaggi nel sottopalco. Si tratta di un piano praticabile delle dimensioni della botola, scorrente per mezzo dei suoi piedritti entro guide laterali fissate ai piedritti del palcoscenico. È un castelletto il quale viene fatto azionare mediante rulli agevolati da contrappesi. Un trabocchetto detto "all'inglese" è quello in cui il personaggio, invece di sorgere dal palco, apparisce attraverso un telaio nel quale vi è un'apertura ben dissimulata. Da essa il personaggio esce all'improvviso mentre l'apertura si chiude istantaneamente e illusoriamente. Per questo sistema occorre una giudiziosa coloritura dei fondali. Molte sono le applicazioni della buca macchinata. Si può accennare, per esempio, al sistema di una scala sottostante alla botola, scala attraverso la quale si voglia discendere facendo precipitare il piano della botola stessa verso il piano dei gradini. La scala, cernierata in tutte le sue parti, sarà pronta sotto il piano scenico per prendere la posizione normale, ad uno scatto dei tiri contrappesati. Il piano della botola cadrà descrivendo una rotazione graduata e frazionandosi in tanti piccoli ripiani quanti sono quelli dei gradini. Si capisce che, con movimento inverso, potrà ritornare sulla posizione primitiva.
Cassette. - Servono a far salire dai sottopalchi le decorazioni (fondali, praticabili, ecc.) preventivamente intelaiate. Il telaio ha delle anime verticali che vengono infilate nelle cassette che funzionano da guide. La testa di queste guide ha due pulegge entro le quali passano le funi che devono far salire la scena. Le cassette vengono, naturalmente, poste in corrispondenza delle strade, piccole o grandi, a seconda che si tratti di fondali o praticabili.
Glorie o voli. - Sono adatte a far discendere e salire personaggi nel cielo. Il personaggio può essere legato a una fune mediante una cintura. Ma si possono anche trovare in piedi o seduti sopra un piano che s'innalza o si abbassa mediante funi passanti per le carrucole e facenti capo ai tamburi. Detto piano è il praticabile per voli di cui si è detto sopra. La combinazione delle funi e delle carrucole può essere tale da fare spostare il personaggio lateralmente durante il volo. I cavi ai quali è legato l'attore o il piano che lo porta sono di acciaio a sezione sufficiente per reggere il peso. Vengono coloriti generalmente di scuro in modo da renderli invisibili.
I voli giranti. - Si hanno quando si desidera che l'oggetto in aria ruoti su sé stesso. Viene appesa a un tirante metallico attraversante il palcoscenico una ruota orizzontale con ingranaggio conico combinato con altra ruota verticale girante sul detto ingranaggio. All'asse verticale del sistema è fermato un asse orizzontale al quale si appendono le persone e le cose da far ruotare con più o meno velocità.
Rulli per il mare. - Sono rulli di legno a superficie elicoidale, una specie di colonne a tortiglione poste orizzontalmente, in senso trasversale al palcoscenico e impostate su cavalletti laterali. Ponendo su detti rulli una stoffa aderente e facendoli girare mediante le manovelle di cui sono muniti all'estremità dànno un movimento alla stoffa medesima che simula la superficie ondeggiante del mare.
Alla categoria di macchine succitate vanno aggiunte quelle per effetti speciali, tra cui annoveriamo le principali:
Macchina per il tuono. - È composta da varî ripiani di tavolette di legno infilati ai due estremi ad una corda. Come si vede dalla figura basta far cadere a terra questo sistema di tavolette perché l'urto irregolare delle medesime produca un rumore assai simile a quello del tuono. Diversi sono i mezzi per produrre questo effetto. Si può ricorrere ad una specie di canna da camino fatta di tavole di abete, che dalla graticciata scende fino al palcoscenico e avente internamente dei diaframmi obliqui. Il rumore della folgore accompagnata da tuono si otterrà lasciando cadere nella canna un cumulo di pietre. Più semplicemente si può agitare una lamiera di metallo oppure fare scorrere una grossa palla di ferro sopra un piano inclinato irregolarmente ondulato. Altro sistema è costituito da un rullo con denti di metallo che urtano contro lamine metalliche poste a contrasto con la dentatura. Ha forma di tamburo, su cavalletto e si mette in moto con manovella.
Pioggia. - Se ne può dare l'illusione per mezzo di un gran velo trasparente, intessuto di fili d'argento. Si agita mentre la luce, opportunamente disposta, fa brillare i filamenti. Questo sistema non riesce completamente a nascondere il trucco. Il rumore violento della pioggia si fa riempiendo di piccole pietre un tubo lungo alcuni metri, munito di diaframmi interni, inclinati, di legno o di lamiera. Un buon rumore di pioggia si ottiene anche agitando a mano delle spazzole apposite munite di pagliuzze metalliche. Sovente si ricorre a più naturali effetti di pioggia facendo cadere dell'acqua sopra una tela incerata e raccogliendo poi l'acqua medesima nel sottopalco dove si smaltisce nei tubi di scarico. Tale effetto può riuscire agevole nei palcoscenici dove è predisposto un buon impianto idraulico.
Neve. - Si ottiene, con sistema antico, facendo cadere dei pezzetti di carta bianchi o fiocchetti di cotone dalla soffitta. In tal modo si simulano anche cadute di foglie e simili.
Vento. - Si imita con macchine più o meno diverse. Il sistema più comune è quello di un tamburo di legno, con la superficie provvista di risalti a denti che sfregano contro una stoffa di seta o contro corde di filo di ottone. Il rullo è manovrato con velocità varia per mezzo di una manovella, secondo l'intensità del rumore che si vuole ottenere.
Decorazioni o scenarî. - Si riferiscono a tutto quanto di pittorico e di architettonico riguarda la realizzazione del quadro scenico. Generalmente lo scenario viene dipinto su tela ma può esserlo anche su carta. Avendo necessità di uno scenario architettonico esso può essere costruito di legno con sporgenza oppure può risultare da telai disposti a squadra sui quali siano distese tele dipinte; a queste tele si può applicare qualche rilievo nelle parti preminenti. Essendo infinite le combinazioni di una decorazione scenica, enumeriamo solo le parti principali della medesima:
Fondale. - È la decorazione dipinta sulla tela di fondo. Rappresenta il limite o l'orizzonte della prospettiva.
Fondalino. - È un piccolo fondale che serve a fare da sfondo dietro alle aperture di una porta, di una finestra o simili. Un fondalino può essere impostato anche dietro un fondale propriamente detto quando questo abbia delle aperture.
Principale. - È un telone dipinto, ritagliato in qualche parte, rappresentante una porzione della scena in modo da lasciare visibile dietro di esso altri principali e il fondale. È un elemento della successione prospettica.
Spezzato. - È una tela decorata in modo da rappresentare un particolare della scena. Lo spezzato può essere fine a sé stesso ma può servire anche a nascondere un praticabile.
Arie o cieli. - Sono quelle strisce superiori di decorazione che fingono cieli, nubi, soffitti o panneggi, sospese alla graticcia e regolate in modo che la medesima venga occultata agli occhi degli spettatori. Esse corrispondono generalmente alla linea delle quinte. Può darsi che alcuni principali riescano a sostituire le arie. A seconda del numero i cieli prendono il nome di primo cielo, secondo, ecc., cominciando da quello prossimo al mantello d'Arlecchino.
Quinte. - Sono quelle decorazioni laterali alla scena che, in successione prospettica, servono a concludere lateralmente la medesima. Devono essere combinate in modo da occultare alla vista degli spettatori laterali il retroscena. In gergo macchinistico si dice: "ad evitare gli sfori". È intuitivo che una quinta può essere dritta o avere forma di spezzato. A seconda del numero la quinta prende il nome di prima quinta, seconda, e via discorrendo, come sopra.
Scena parapettata. - È chiamata quella che risulta chiusa da due pareti laterali e da una di fondo. Tali pareti possono avere porte, finestre e quant'altro sfondanti su fondali o fondalini.
Soffitto o plafone. - È un telaio che serve da chiusura alla parte superiore della scena parapettata.
Zinale. - È una decorazione dello stesso ordine dei cieli. In genere è rappresentato da un panneggio corrispondente all'incorniciatura del mantello d'Arlecchino. In tal caso è chiamato zinale di bocca d'opera.
Molti sono gli accessorî e gli utensili necessarî all'attrezzatura del palcoscenico. Alcuni di essi sono quelli stessi della comune carpenteria e falegnameria; altri hanno forme speciali adatte ad agevolare le operazioni macchinistiche, dato che queste richiedono praticità e velocità massima, Qui appresso si fa parola soltanto dei più caratteristici.
Rocchetti. - Si è accennato sopra: sono piccole carrucole che si dispongono in corrispondenza dei tagli delle graticciate per il funzionamento delle cordicelle. Servono a tiri secondarî e leggieri. Sono di legno muniti di una puleggia di ferro che viene inserita in una incamerazione apposita applicata sulle strisce di legno delle graticcie. Detta incamerazione metallica deve essere unta bene e può avere un dispositivo perché il rocchetto non salti fuori.
Pesi. - Sono masse più o meno gravi di legno, oppure formate da sacchetti pieni di terra o di piombo. Si attaccano al limite delle corde portano un occhietto metallico che s'inserisce nel moschettone.
Moschettone o gancio. - Munito di molla di sicurezza, è legato all'estremità delle corde per appendervi scenarî, lampadarî e altro. Molte sono le forme del moschettone (scempio, doppio, con piastra da fissare a vite, ecc.).
Contrappesi. - Sono serie di pesi di ferro che si pongono a una corda compresa fra una carrucola superiore e una inferiore, per controbilanciare il peso dello scenario da innalzare. Possono avere forma di parallelepipedo o di palla. Hanno un foro al centro per essere infilati nella corda passatoia oppure essere muniti di occhietto dove inserire una coppiglia onde fermarli alla serie dei contrappesi già in opera.
Stanghe. - Sono lunghi bastoni di legno o di ferro ai quali vengono applicate le scene. Le scene si "imbrocchettano" (inchiodano) direttamente alla stanga se di legno, oppure sulle catinelle formanti l'intelaiatura, si cala dalla soffitta e di cui costituisce una parte del corredo.
Tironi. - Sono ferri speciali che, inchiodati sul piano scenico e sul telaio dello scenario, servono a tenere saldo quest'ultimo.
Cerniere. - Sono comuni cerniere di ferro da porte e da finestre, munite di arpione molto lungo e acuminato al fine di assicurare la pronta e sicura incamerazione.
Martelli da macchinisti. - Sono specialmente adatti allo schiodamento e ha quindi speciale importanza in essi la parte forcuta.
Brocchette. - Sono chiodi speciali a testa piena, simili a quelli da scarpe da montagna. Si usano per "imbrocchettare u le scene. Sono utili per un lavoro veloce e perché si prestano a una pronta schiodatura facendo buona presa nella forca del martello.
Il macchinista tiene sempre una grande quantità di brocchette in una borsa speciale di cuoio contenente gli utensili principali, avvolta intorno alla vita.
Scenotecnica moderna.
Con l'avanzare dell'800, decadendo l'amore per lo spettacolo da grandi macchine, queste finirono con essere messe a riposo fino al punto che molti teatri ne distrussero una parte. La riforma del melodramma fece sì che il macchinismo diventò prerogativa di pochi grandi teatri lirici. Come avvenne per la scenografia si può dire che il dramma wagneriano con le nuove necessità di movimento e, conseguentemente, il teatro di Bayreuth (1876), segnano l'inizio del periodo moderno della scenotecnica. D'altro canto il progresso scientifico contribuì alla trasformazione di molti sistemi meccanici e aiutò la potenza espressiva del teatro, preoccupandosi inoltre di risolvere il problema dell'incombustibilità del materiale, di evitare l'ingombro dei praticabili, di diminuire il personale di manovra. Ma la più grande caratteristica è data dalla motorizzazione del palcoscenico dovuta a una nuova forza: l'energia elettrica usata come forza motrice e come energia illuminante. Qualunque altro genere di forza motrice diede scadenti risultati eccettuata la forza idraulica usata contemporaneamente alla forza elettrica. La riforma moderna del palcoscenico investe tanto l'ossatura dello stesso quanto le macchine occasionali.
Golfo o abisso mistico (orchestra). - È lo spazio occupato dall'orchestra. Il golfo mistico deriva dalla riforma attuata nel teatro wagneriano con l'abbassamento del piano dell'orchestra e la rientranza sotto la ribalta dove trova posto parte dei suonatori. L'orchestra venne anche occultata totalmente coprendola con un piano a griglia per cui le onde sonore passavano senza difetto (teatro dello Chateau d'eau di Parigi). Il direttore poteva vedere e farsi vedere dai cantanti e dall'orchestra senza essere visto dal pubblico. La realizzazione dell'abbassamento dell'orchestra è anteriore al teatro di Wagner e risale al 1800 circa (teatro del Hermitage in Russia, dell'architetto Quarenghi). In seguito all'abbassamento l'orchestra prende il nome di fossa orchestrale. L'orchestra odierna è in parte visibile al pubblico, in parte inserita in un incavo sotto la ribalta. Come vedremo parlando del palcoscenico elevabile, il piano dell'orchestra può essere portato al piano del palcoscenico mediante sistemi meccanici di elevazione.
Panorama o panoramica e orizzonte. - È un telone il quale, partendo da un lato della scena, si svolge a forma semicircolare o ellittica o mistilinea per venire a chiudersi dall'altro lato della scena abbracciandola tutta. Può essere dipinto (telone panoramico) ma può essere bianco, grigio o leggermente azzurro per simulare il cielo (orizzonte). Il cielo può risultare tanto da pittura quanto da un'opportuna illuminazione della superficie del panorama mediante bilance e proiettori. Il telone viene avvolto da ciascun lato della scena intorno a un rullo verticale. Facendo ruotare il rullo di svolgimento mediante una corda, il telone comincerà a svilupparsi marciando in una guida curva staffata alla soffitta e dentro la quale viene a inserirsi il margine superiore del telone stesso. Il movimento è agevolato da sfere o da rocchetti posti lungo la guida. Perché il panorama non faccia pieghe è munito di pesi al margine inferiore. Il movimento può essere continuo allo scopo di mostrare un paesaggio passante dando l'illusione di un lungo cammino percorso: allora il panorama può misurare fino a 80 e 100 metri di svolgimento. Si può ricorrere anche a una serie di rulli, due lateralmente ad ogni strada e aumentare così il numero dei panorami dipinti e quindi degli scenari. Questo elimina il lavoro di soffitta e ammette che il telone, anziché essere curvilineo, si spieghi parallelamente alla ribalta. Sul panorama da orizzonte si possono proiettare nubi, pioggia, calare di sole, ecc., mediante macchine di proiezione speciali. È necessario che un panorama risulti il meno pesante possibile. Quando è formato da una tela chiara attentamente cucita, senza speciale preparazione (per le compagnie nomadi, ad es., le quali richiedono materiali leggeri facilmente trasportabili) si dice panorama molle. Ma un buon telone per orizzonte viene colorito con un preparato speciale atto a dare il maggiore rendimento luminoso, preparato che lo rende assai grave. In tal caso si dice semirigido. Il panorama si dice rigido quando è fisso e allora non richiede il meccanismo dei rulli; la costruzione è fatta con armatura stabile opportunamente intonacata, pomiciata e colorita. Un panorama può essere abbassato fino a pochi centimetri dal piano scenico oppure rimanerne alzato un paio di metri per lasciare libero il passaggio agli attori. In tal caso è opportuno coprire lo sforo con spezzati anteriori assai alti. Avendo un panorama rigido questo vuoto si eviterà munendo il panorama stesso di guide onde ottenerne, col mezzo di un motore, l'innalzamento di quei due metri. Unpanorama rigido può essere fornito di alcuni piccoli fori con lampadine retrostanti ad ogni foro, rendendo così l'effetto di un cielo stellato. L'invenzione della panoramica si deve al barone Taylor (verso il 1820). Fu esperimentata felicemente in un teatro di Parigi ma venne abbandonata per essere ripresa definitivamente dal Kranich, macchinista del teatro di Wagner a Bayreuth e di quello di Monaco.
Cupola o cielo. - È dell'ordine della panoramica da orizzonte. È una nicchia sferica rigidamente tesa e colorita in grigio chiaro, posta come la sensazione limpida del cielo. Per mezzo di macchine di proiezione vi si possono proiettare nuvole, ecc. e può assumere qualunque colorazione a seconda degli schermi posti dinnanzi alle lampade. La luce delle lampade viene proiettata sopra una superficie bianca che la riflette, diffondendola, sulla cupola. Il vantaggio della cupola sulla panoramica è di dare l'effetto della vòlta celeste abolendo le arie che sono indispensabili quando una panoramica va adattata in un palcoscenico a soffitta troppo bassa. La cupola può essere rigida cioè inamovibile, oppure mobile. Vennero studiati anche tipi di cupole asportabili da portarsi in viaggio, intessute sopra un'armatura a ombrello, ma non diedero buoni risultati. Il miglior tipo di cupola mobile è quello attualmente in uso al Teatro alla Scala di Milano, chiamato "a vuoto d'aria". È un grande sacco impermeabile a forma di quarto di sfera, sospeso a un telaio in tubi di acciaio. Per mezzo di una macchina pneumatica si crea il vuoto nella camera formata dal sacco e si rende in tal modo teso e perfettamente rigido. L'intelaiatura è pieghevole e quando la cupola non serve viene raccolta, insieme con il sacco, nel retroscena. L'operazione di assestamento della intelaiatura e distensione dell'involucro si fa in un minuto e mezzo circa. La cupola fu ideata dal marchese di Soudiac verso il 1800 ma le difficoltà che s'incontrarono nell'applicazione la fecero abbandonare. Fu adottata all'Opera imperiale di Berlino per merito di Mariano Fortuny, donde prese il nome di cupola Fortuny. A questo si deve l'applicazione del principio della luce diffusa riflessa, anziché diretta, con il più grande risultato di uniformità e morbidezza atmosferica.
Sipario a rideau. - Sostituisce l'antico telone. È un panneggio generalmente di velluto, abbondante di pieghe, terminante al fondo con una frangia. L'apertura può avvenire a cortinaggio e all'imperiale a seconda che si apra nel mezzo per scorrere verso i lati, oppure si pieghi - al tempo stesso - in due o tre volte verso l'alto. Il movimento avviene mediante il solito tiro a contrappeso mosso direttamente, oppure attraverso un tamburo. Il movimento orizzontale è aiutato da un carrettino che scorre sopra una guida posta al disopra del boccascena. Il movimento verso l'alto, per l'imperiale, è a tiro obliquo e si effettua con funicelle passanti entro anelli cuciti alla fodera del sipario. Esso deve avere una certa consistenza e pesantezza onde poter calare velocemente. Tuttavia è quasi sempre accompagnato da due servi nel movimento di chiusura allo scopo di evitare eventuali cattive mosse causate dallo spostamento d'aria e, in special modo, il ritorno indietro dopo l'istante della chiusura. Con il rideau è sparito l'uso del telone dipinto e del comodino. Ne consegue che quando è necessario un siparietto per nascondere i cambiamenti di scena le compagnie ne provvedono privatamente uno della massima leggerezza.
Sipario di sicurezza o spartifuoco. - Si pone davanti al sipario ordinario allo scopo di isolare il palcoscenico dalla sala in caso d'incendio. Deve essere di materia incombustibile e indeformabile in modo da ritardare il più possibile il passaggio delle fiamme. Si possono costruire siparî di amianto ma, dato il loro alto costo, si costruiscono invece siparî a rete metallica e in lamiera. Il macchinismo di un sipario di amianto è, presso a poco, identico a quello di un telone pesantissimo. Lo stesso vale per il sipario a rete metallica il quale presenta però l'inconveniente di arroventarsi e rendere visibile l'incendio sul palcoscenico e di intimorire il pubblico. Il più usato è il sipario di lamiera ondulata il quale deve rispondere a speciali norme di pubblica sicurezza. Un sipario spartifuoco, per la sua pesantezza, rigidezza e la responsabilità che coinvolge, deve salire "in prima" ma si costruirono siparî in due o tre pezzi di cui l'inferiore veniva ad urtare col sovrastante sollevandolo. La lamiera metallica viene fissata sopra una robusta intelaiatura di ferro marciante ai lati su guide. Alcuni siparî funzionano con contrappesi e argani ma il migliore funzionamento è l'idraulico con varî comandi a portata di mano del personale di manovra. Detto sipario è munito di un segnalatore che suona durante il movimento di abbassamento e, per precauzione, si dovrebbe fare agire tutte le sere. Può essere a parete scempia, doppia, oppure tubolare. Per assicurare il maggiore isolamento dalla sala, il sipario deve calare sino al piano in muratura sotto la fossa orchestrale. Vi sono sipari di sicurezza combinati con l'impianto idrico di sicurezza. Una pioggia fittissima può irrorare la parete del sipario, uscendo da tubi posti superiormente, oppure può invadere la camera formata dalle due pareti di lamiera. Nel 1889 al Teatro Yodrel di Londra venne applicato il solo sipario d'acqua e cioè la caduta dell'acqua senz'altro mezzo interferente. Nel teatro di Mexico esiste un sipario dovuto a L. C. Tuffenj costituito da formelle di vetro speciale in cui entrano diversi metalli.
Montacarichi o elevatori. - Sono ascensori, azionati elettricamente, di capacità tale da trasportare ai magazzini scenarî, mobili e attrezzi.
Palcoscenico girevole. - È una macchina escogitata per ottenere i più veloci cambiamenti a vista di scene complesse e pesanti, senza fare agire gli ordegni di soffitta. Più propriamente si tratta di piattaforma girevole. Una piattaforma circolare di legno, del diametro della scena, è inserita nel piano del palcoscenico oppure appoggiata su questo. Suddivisa in due, tre o quattro settori, permette di approntarvi due, tre o quattro scene costruite. Si presenta al pubblico la scena del primo settore, esaurita la quale, viene fatta girare la piattaforma per presentare la scena del settore successivo, e così di seguito. Il sistema permette di smontare la prima scena subito dopo la prima rotazione e montarne un'altra che sarà in breve pronta per essere presentata al suo turno. Ottima cosa è far girare tutta quanta la complessa ossatura del palcoscenico, piattaforma e sottopalco compreso, pur conservando la pendenza del piano. Ciò si vide nel 1922 al grande teatro di Lione. Il sistema gira per mezzo di ruote sopra un binario circolare poggiato sopra una fondazione circolare in muratura. Il moto è trasmesso da un'enorme catena che fa capo a un albero verticale di ferro il quale riceve il movimento da un motore elettrico. Un'altra catena sotto la graticcia trasmette lo stesso movimento alla guida del panorama. Più frequente è il caso della piattaforma posata sul piano esistente e allora prende il nome di sovrapalcoscenico girevole. Tale fu quello del teatro di Monaco, mosso elettricamente mediante rulli rotolanti su rotaie circolari. Forme semplici di piattaforme girevoli, utili per compagnie nomadi, sono state studiate appoggiando una rotaia circolare sul piano scenico e agevolando il movimento con sfere. Il movimento può essere impresso anche a mano mediante una manovella che azioni ruote a ingranaggi perpendicolari facenti capo alla solita cremagliera; oppure può essere impresso direttamente spingendo un elemento fisso di scena, se si tratta di piattaforme di piccole dimensioni. Tale è il caso in cui servano, per esempio, due laterali in funzione di "periacti". Inconvenienti dei girevoli sono: il rumore, che va eliminato tanto con l'ingrassamento dei punti di attrito quanto stendendo materiali afoni sul piano scenico; la limitatezza dello scenario, date le anguste proporzioni del settore circolare.
Palcoscenico a elevatore. - Si propone, come il precedente, la rapidità dei cambiamenti a vista. Una porzione del palcoscenico si abbassa uniformemente sino al piano del sottopalco, mentre un'altra porzione, corrispondente al vano prodotto, cala dalla soffitta per occuparlo. Ciò permette ai macchinisti di preparare la scena nel sottopalco mentre si esaurisce la rappresentazione di quella calata dalla soffitta o viceversa. Il movimento avviene mediante motore. Il sistema è usato in Inghilterra.
Palcoscenico a camere slittanti. - Vuole realizzare lo stesso scopo dei precedenti mediante spostamento orizzontale. Necessita di una larghezza di palcoscenico quasi quadrupla, mentre lo spazio occupato dalle camere è triplo rispetto alla scena. Quando una camera si presenta al pubblico completa di scena, l'altra, pure completa, rimane su un fianco, in attesa di sostituire la prima; la quale, quando ha esaurito il compito, passa sull'altro fianco libero per essere smontata e nuovamente preparata. Il sistema venne proposto da Giranne e Grosbon di Lione. È analogo a quello delle piattaforme slittanti che poi sono del genere del carretto, debitamente motorizzate.
Palcoscenico multiplo. - È un palcoscenico il quale unisce il sistema a elevatori con le camere slittanti. La suddivisione, suggerita da A.G. Bragaglia, è sestupla, nel senso che le scene agiscono su due ordini, uno superiore e uno inferiore, di tre scene ciascuno, mentre sono suscettibili di spostarsi verticalmente e orizzontalmente. Il volume che si richiede è quindi considerevole.
Palcoscenico mobile a sezioni. - Scopo di questo palcoscenico è di evitare i praticabili sostituendoli con l'ossatura mobile del palcoscenico stesso, di comandare i cambiamenti con comandi unici e istantanei e di economizzare il personale. Le sezioni in cui può suddividersi possono essere parziali o totali. Nel primo caso ci si limita a fare scendere fino al piano del sottopalco e a far salire ad altezza conveniente due o tre piattaforme, ciascuna della larghezza della scena e della lunghezza da m. 1,50 a 2; nonché tre o quattro piattaforme più piccole, ciascuna delle dimensioni di una botola. Queste ultime si dispongono nella parte anteriore del palcoscenico. Si tratta, in sostanza, di un certo numero di elevatori che serviranno tanto a montarvi scene quanto ad uso di praticabili. S'intende che questo sistema consente solo ripiani obbligati. Per avere una mobilità totale, occorre che ogni porzione quadrangolare del piano, corrispondente a ogni botola, possa subire elevazione, abbassamento e inclinazione in tutti i sensi. Il piano scenico costituirà una superficie pronta ad essere trasformata in una costruzione a molteplici piani. Ogni botola è costituita da un elevatore il cui piano può pendere da tutti i lati. Gli elevatori possono agire isolati e anche simultaneamente, a gruppi o tutti insieme. Con questo sistema si fanno strade e piazze in pendio attraversanti tutto o parte del palcoscenico, praticabili e cordonate di grande effetto. È necessario che il legno sia limitato al solo piano e tutta l'ossatura sottostante sia di ferro. Il sistema meccanico di elevazione è idraulico o elettrico, o idraulico ed elettrico insieme. La forza motrice è fornita da una pompa la quale distribuisce agli accumulatori idraulici l'acqua ad una determinata pressione. La pompa serve anche a riempire i serbatoi dell'acqua posti nel sottotetto. Il movimento d'innalzamento avviene mediante pistoni verticali inseriti nei piedritti metallici che reggono il sistema. Tali piedritti sono forniti d'incamerazioni dove fermare le tavole dopo che hanno assunto la posizione voluta. Il sistema della piattaforma mobile si usa, identico, per elevare il piano dell'orchestra al piano scenico in occasione di concerti. Il sistema elettrico si riferisce al sistema ad ascensori quale fu usato nel teatro di Monaco e, più recentemente, all'Opéra des Champs Elysés a Parigi ed al Municipale di Praga (ingegnere Máres). La mobilità totale del palcoscenico fu sempre nelle intenzioni degli scenotecnici. Fin dalla costruzione dell'Opéra del Garnier (1861-75) ne venne studiato il modo, adoperando in parte la forza idraulica proposta dal Quernel e dall'ingegnere Tresca. Il sistema venne indi usato, per opera di una società viennese, a Budapest, a Chicago (Opera) a Londra (Drury Lane), a Vienna (Raimund), ecc. recando via via perfezionamenti particolari dovuti al progresso dell'elettrotecnica. Notevole è il palcoscenico mobile a sezioni parziali del teatro di Halle, perfezionato ed applicato a Wiesbaden dal Brandet. Il primo impianto di "mobile" idraulico, costruito in Italia risale al 1928 (arch. Cossutti e Patetta nel teatro Excelsior di Milano. Si compone di tre travi metalliche a traliccio, spostabili a mano, con carrelli scorrevoli su guide, con le quali si possono aprire anteriormente porzioni di palcoscenico, e di tre cilindri idraulici che sollevano o abbassano di tre metri sopra e sotto il piano del palcoscenico tre piattaforme posteriori. Il più recente impianto italiano, che gareggia con quelli di Amburgo, di Berlino, di New York e con l'ultimo palcoscenico motorizzato del teatro Pigalle di Parigi, è il palcoscenico mobile del Teatro Reale dell'Opera di Roma, dovuto a P. Ansaldo. Il tipo è idraulico-elettrico. Grandiose ne sono le dimensioni e la capacità. La fossa è di 17 m. per 13 con una profondità di 15. È fornito di nove ponti o settori mobili di cui cinque di 2 m. e quattro di 0,50. Si sollevano fino a 5 m. dal piano del palcoscenico e si sprofondano oltre 3 m. sotto. I cinque ponti grandi sono suddivisi ognuno L'originalità di questo palcoscenico è che esso è costituito da due piani frazionati in modo che uno, preparato per uno speciale effetto, può venire a un dato momento sostituito dall'altro allestito per altri speciali effetti, a mezzo del loro reciproco attraversamento.
Il palcoscenico meccanizzato o motorizzato. - I sistemi descritti confermano quanto detto sopra e cioè che la motorizzazione è divenuta la caratteristica del palcoscenico moderno. Per "motorizzato" s' intende un palcoscenico dove tutto funzioni elettricamente, mosso da speciali cabine di comando. Tanto il panorama quanto il sipario e, in special modo i tiri pesanti, agiscono ciascuno per mezzo di motore proprio. Ond'è che in un palcoscenico come quello del Teatro alla Scala possono trovar posto fino a cinquanta motori circa fra grandi e piccoli.
In conclusione, la motorizzazione, se non ha trasformato molto certi elementi, li ha però sveltiti ed ha metallizzato l'organismo ponendo i comandi sotto un controllo più accentrato.
Ha cambiato anche qualche espediente del vecchio teatro rendendone più pratica la realizzazione. Abbiamo quindi effetti che si possono annoverare fra le applicazioni meccaniche. Per esempio, ne citiamo qualcuno più in uso:
I lampi. - Si ottengono facilmente sia con un colpo d'interruttore degli apparecchi principali d'illuminazione, sia avvicinando e scostando velocemente i carboni di un proiettore. I lampi si ottengono anche con lampade adatte a questo scopo, comandate da una tastiera a contatti particolarmente sensibili in sopratensione.
Il vento. - Viene imitato con un piccolo motore elettrico azionante l'apparecchio del rumore; qualche cosa di simile alla comune sirena.
I fumi chimici. - Si ottengono nubi con gas pesante, che, sprigionato da una macchina speciale, inonda il palcoscenico. La sua gravità fa sì che rimanga per un certo tempo ad occupare una determinata porzione della scena. I gas vengono allontanati quindi per mezzo di ventilatori attraverso canne di aspirazione. Il sistema non sembra troppo pratico per quanto di grande effetto. Le nubi sull'orizzonte vengono proiettate con macchine di proiezione che vedremo appresso. Così l'arcobaleno, le onde, la pioggia, ecc.
Le fiamme. - Il sistema più semplice è quello delle strisce di carta agitate verticalmente da un ventilatore sottostante. L'effetto non può essere che localizzato, mentre per un effetto pieno esistono macchine di proiezione.
Il fumo. - Viene pure simulato a mezzo di macchine di proiezione. Qualche volta si è utilizzato il vapore dell'impianto di riscaldamento per ottenere piccoli getti.
Il cinematografo. - Rientra, in certo modo, nelle applicazioni luminose trattandosi di macchina proiettiva. L'applicazione del cinematografo al teatro sembra rimanere nel campo dei tentativi per quanto il Piscator ne abbia praticate tutte le possibilità. La cabina di proiezione può essere collocata tanto internamente quanto esternamente al palcoscenico. La proiezione può servire per dare l'immagine fissa o mobile di uno scenario quanto per accompagnare dinamicamente l'azione drammatica. Nel primo caso (film scenografico) basta proiettare lo scenario sopra un fondale bianco oppure proiettarne i suoi elementi sopra cornici di tela intermedie tra la ribalta e il fondale. Nel secondo caso (film per effetti drammatici) tanto sul fondale quanto sulle cornici intermedie possono essere proiettati brani di pellicole appositamente girate per aderire all'azione. L'effetto può servire, per esempio, per dare la sensazione di una folla con relativi rumori dovuti alla colonna sonora, senza ricorrere alle masse dei figuranti. Il film che si vede mentre si recita può essere anche proiettato sopra uno schermo di garza posto sul boccascena. Si può ottenere così un effetto di compenetrazione e il film prende, in questo caso, il nome di simultaneo o per effetti di contrappunto. Il Piscator ha sfruttato il sistema pure sulle sue scene multiple a sezioni proiettando, ad esempio, il film sopra una sezione chiusa da uno schermo mentre si recita in un altro; oppure proiettando il film sopra una flotta sferica la cui convessità esterna dà alle immagini un'impressione di plasticità. Nello stesso tempo una sezione della sfera si può aprire su diversi settori presentando una camera entro la quale si recita.
Preparazione degli scenarî. - Avviene in speciali laboratorî o studî detti da scenografia. Essi hanno una dimensione adatta per la stesa dei grandi teloni. I laboratorî possono essere annessi al teatro e far parte della sua amministrazione oppure essere organizzati privatamente in una propria sede. Progettati gli scenarî - attraverso i bozzetti colorati e i disegni in scala delle piante e degli alzati e anche con l'aiuto di piccoli modelli plastici (teatrini) - tenute presenti le attenzioni dovute agli sfori, gli scenarî stessi vengono dipinti su carta o su tela. Esistono due metodi di esecuzione: all'italiana e alla francese. Secondo il primo lo scenario viene dipinto stendendo la tela a terra e adoperando pennelli e tavolozze apposite. L'occhio esperto dell'esecutore, malgrado la posizione inconsueta, sa calcolare gli effetti lineari e coloristici relativi alla posizione che la scena assumerà sul palcoscenico. A lavoro finito la carta o la tela vengono "fortezzate", cioè munite di una striscia di carta o di tela incollata, posteriormente, lungo i margini, perché non si deteriorino nell'imbrocchettarle sui telai di legno. La fortezzatura si applica anche ai fondali non intelaiati, allo scopo di rinforzare il perimetro dove lo strappo è più facile. Secondo il metodo francese, gli scenarî vengono dipinti fissando prima la carta o la tela sul telaio. In tal modo possono essere eseguiti verticalmente; ma questo sistema richiede laboratorî di altezza considerevole. Qualunque sia il metodo adoperato è bene che un laboratorio abbia la possibilità d'innalzamento di qualche pezzo, a scopo di prova (laboratorio del Teatro Reale dell'Opera a Roma). Dovendo approntare scenarî plastici essi vengono costruiti in legno con armature leggiere e fodere di legno compensato o cartoni. Costruiti dal reparto falegnameria, passano al reparto pittura per la colorazione.
Trasportato lo scenario dipinto sul palcoscenico, viene "armato" quando non sia già montato alla francese. L'armatura consiste nella intelaiatura fatta con cantinelle importate provvisoriamente. Lo scenario viene disteso, al rovescio, sul piano scenico, le cantinelle vengono disposte lungo i bordi. Individuato, il telaio viene inchiodato, dopo di che la tela vi s'imbrocchetta, avendo cura, nelle parti visibili lateralmente, che lo spessore della cantinella sia coperto col margine fortezzato dello scenario. I fondali e i principali, una volta messi "in tiro" si stendono per peso proprio; la loro armatura consiste nell'imbrocchettarli alle stanghe di soffitta aggiungendovi una stanga al piede. Dopo queste operazioni, le scene vengono innalzate mediante i tiri dai paioli le più grandi, direttamente a mano gli spezzati di piccole dimensioni. Si curerà che nessuna parte sfori, che i cieli "reggano il traguardo". Lo sforo viene coperto regolandosi sulla visuale dello spettatore più laterale della prima fila di poltrone; il traguardo secondo l'occhio di chi si trovi nelle posizioni della stessa fila. Una volta "messa a punto la scena, si passa all'illuminazione. Il nomadismo delle compagnie italiane impone la massima semplicità a ogni sistema di montaggio e smontaggio e la massima leggerezza tanto per scenarî dipinti quanto per plastici o praticabili i quali, pure, devono essere smontabili e concentrabili nel minor volume possibile.
Luministica e illuminotecnica.
L'arte d'illuminare lo spettacolo si divide in due parti, divisione moderna dovuta allo sviluppo acquistato dalla luce elettrica e all'importanza che questa ha assunto fra i mezzi espressivi del teatro. Occorre distinguere l'arte di adeguare le luci alle necessità psicologiche o decorative dello spettacolo, dalla scienza di applicarle: compiti che distinguono l'illuminatore teatrale dall'elettricista propriamente detto. L'illuminatore può essere lo scenotecnico o lo scenografo, l'artista insomma che ha in cura i risultati del quadro scenico in rapporto al dramma. L'arte dell'illuminatore prende il nome di luministica e si serve delle applicazioni tecniche il cui materiale, impianto e funzionamento costituiscono la illuminotecnica. Considerando dal punto di vista storico la funzione della luministica, fino ai primi dell'800, essa si fonde con quella dell'illuminotecnica né vi ha luogo a una separazione netta. Lo spettacolo serale rimonta ai primordî del Rinascimento. Che allora l'illuminazione dello scenario sia stata molto complessa non è da credere. Nelle relazioni sugli spettacoli si parla spesso di prospettive mirabili "cariche di lumi", e già nel '400 si studiano modi ingegnosi di rendimento luminoso. Ma le fonti di luce non sono gran che progredite da quelle usate comunemente nell'antichità: rozze lampade in cui si bruciava l'olio animale o vegetale e candele di cera o di sego, o torce fatte con pino e resine. Nella Vita di Brunellesco, del Vasari, se alcune invenzioni debbano attribuirsi al Cecca, si hanno i primi documenti sulla tecnica dell'illuminazione da spettacolo. Descrivendo la macchina per la festa dell'Annunziata il Vasari dice che "vi era una mandorla di rame vota dentro, nella quale erano in molti buchi certe lucernine messe in sur un ferro a guisa di cannone; le quali, quando una molla che si abbassava era tocca, tutte si nascondevano nel voto della mandorla di rame, e, come non si aggravava la detta molla, tutti i lumi per alcuni buchi di quella si vedevano accesi". E oltre parla di ruote piene di lumicini "accomodati in lucernine di rame con una schiodatura, che sempre che la ruota girava restavano in piombo". Ce n'è abbastanza per comprendere un effetto di oscuramento a vista e una illuminazione in movimento.
Nei Dialoghi dell'ebreo Leone de Somi in materia di rappresentazioni sceniche (ms. del fondo De Rossi alla Palatina di Parma) si dànno alcune spiegazioni (1560): "a che servono domanda Santino e dove hanno origine quei tanti lumi su per i tetti delle case in scena, i quai lumi non mi pare che servino punto al bisogno della prospettiva, et per allumare la scena vi veggo torchie a bastanza?" Al che Veridico risponde che si conviene "che anco l'architetto, per quella parte che egli ha nella commedia, rappresenti letitia et gioia". Dice Santino: "Nelle tragedie dunque non converranno tai lumi?" Veridico risponde che avendo in una tragedia "allumata giocondissimamente la scena" "quando cominciò poi per il primo caso dolente, dell'inopinata morte d'una reina, onde il coro esclamando, stupisce come il sole potesse patire di vedere tanto male, feci (si come havevo preparato) che in quell'istante la maggior parte de i lumi de la scena che non servivano alla prospettiva furono velati o spenti: la qualcosa cagionò un profondissimo horrore nel petto degli spettatori...". Sembra di essere dinnanzi a un primo esperimento di luce psicologica. Più avanti Veridico scopre che molti inconvenienti dovevano avvenire con questo genere d'illuminazioni: "Et a questo proposito vi voglio dire ancora che riescono molto vaghi quei specchietti che si affissano da alcuni in lochi appropiati nelle prospettive et nelle famie lontane della scena ne i quali specchi percotendo quei lumi celati che gli architetti pongono con arte dietro alle colonne, et dentro per le strade servono co 'l lor riflesso a far più luminosa et più allegra la scena et oltre che quella riflessione non può offendere gli occhi, se ne cava anco che abbiamo di molti lumi senza fumo, il che è di grandissima importanza, però che chi non avvertisce bene a far tanti spiragli dietro la scena che il fumo de i lumi vi si possa esalar facilmente, cagiona grandissima confusione però che il fumo a poco a poco crescendo et condensandosi avela siffattamente (se non ha dove esalare) che prima che sia finito il secondo atto non più homeni, ma ombre ci paiono i recitanti: et li spettatori altresì come adombrati si sentono mancare la virtù visiva, et molte volte non sanno per qual cagione. Però bisogna far gran cura a questo che pochi vi pensano; et è cagione di grande inconveniente, come la esperientia dimostra...".
Per quanto non si dica come si facessero quegli attenuamenti di luce, notizie pratiche le avremo, come per le macchine, dal Serlio e dal Sabbatini. Scrive il primo: "et benché le case qui disegnate abbino un lume solo da un lato: nondimeno tornano meglio a dargli il lume nel mezzo: perciocché la forza dei lumi si mette nel mezzo pendenti sopra la scena, et tutti quei tondi o artificiali di varî colori trasparenti de i quali darò il modo da fargli nell'estremo di questo libro: alle finestre che sono in faccia sarà bene a mettergli de lumi di dietro, ma che siano di vetro, et anco di carta overo di tela dipinta torneranno bene...". Nel capitolo De' lumi artificiali delle scene insegna come questi si fanno e si coloriscono per mezzo d'ingredienti da gettare in acqua dentro a bottiglie di forma apposita da porsi dinnanzi al lume: "Sarà di dietro alle cose dipinte dove anderanno questi colori una tavola sottile traforata nel modo che saran compartiti questi lumi sotto la quale sarà un'altra tavola per sostenere le boccie di vetro piene di queste acque, poi dette boccie si metteranno con la parte più curta appoggiate a quei buchi, et bene assicurate che non caschino per i strepiti delle moresche, et dietro le boccie si metterà un casendelo, ovvero lampada, acciò il lume sia sempre uguale et se le boccie verso la lampada saranno piane anzi concave riceveranno meglio la luce, et li colori saranno più trasparenti: così ancora per quei tondi, li quali saranno in scorcio, sarà da fare le boccie di quella sorte. Ma se accadrà tal fiata un lume grande et gagliardo, sarà da mettervi di dietro una torcia, dopo la quale sia un bacino da barbiere ben lucido et nuovo, la reflessione del quale farà certi splendori, come di raggi del sole. Et se alcuni luoghi saranno quadri come mandorla, o altre forme, si prenderà delle piastre di vetri di variati colori posti a quei luoghi col suo lume di dietro. Ma questi lumi non saran però quelli che allumineranno la scena, perciocché gran copia di torcie si mettono pendenti davanti alla scena. Si potrà ancora su per la scena mettere alcuni candelieri con torcie sopra ed ancora sopra essi candelieri ci sia un vaso pieno di acqua dentro nella quale mettervi un pezzo di canfora, il quale ardendo fa bellissimo lume, et è odorifero. Alcuna fiata accadrà addimostrare qualche cosa che abbrucia si bagnerà benissimo di acqua vite della più potente et appicatagli il fuoco con una candeletta arderà per un pezzo". Questo dà un'idea abbastanza esatta dell'illuminazione di una scena del Serlio.
L'illuminazione scenica ha valore tanto rispetto alla sorgente che rischiara quanto alla lumeggiatura dovuta al chiaroscuro simulato da chi dipinge la scena, nuovo problema della scenografia coincidente con quello della prospettiva del colore. Di questa accenna il Sabbatini: "le parti più vicine si abbozzino di colori oscuri: Di poi nelle più lontane si vadano sempre tuttavia raddolcendo... come nel raddolcire il cielo..." e quindi sostiene che il lume è preferibile prenderlo sempre da un lato onde aiutare la prospettiva perché prendendolo nel mezzo la scena riescirebbe troppo slavata, mentre disponendolo di dietro risulterebbe troppo scura. Per la forma, molto primitiva, "dei lumi da oglio da mettere in buon numero" nelle "lumiere" v. la figura dove si vede che il recipiente inferiore serve "acciocché l'oglio non venga a cadere sopra le genti". Malgrado l'interesse degli espedienti usati per l'illuminazione sino alla fine del '500, a confronto dei moderni sistemi, quelli devono essere stati di effetto assai relativo checché ne testimoni la meraviglia dell'epoca. Lo oscuramento momentaneo non era possibile a farsi per spegnimento, ma mediante nascondimento a mezzo di schermi e rotazioni. Se a ciò si aggiunge il pericolo d'incendio si vede quanto si dovesse andar cauti nell'escogitare effetti del genere. Ecco dunque la pratica del chiaroscuro venire in aiuto, progredire e portare un contributo non indifferente all'effetto luministico.
Ai primi del '600 l'illuminazione è ancora quella cinquecentesca. La forza della luce è data dai lampadarî centrali della scena, penduli dalla soffitta anche se lo scenario, anziché rappresentare un interno dove quei lampadarî trovassero giustificazione, significava un paesaggio. Ma la preoccupazione di rischiarare maggiormente la scena fa pensare alla ribalta verso quest'epoca. Nel 1628 Giuseppe Furtenbach in Germania lasciò delle spiegazioni sopra un palcoscenico che aveva una ribalta composta da una fila di lampade a olio. Parla anche dell'uso delle candele ma sembra preferire l'illuminazione a olio. L'introduzione della ribalta a Londra è attribuita a Garrick nel 1755. Egli pose una fila di candele in basso davanti al palcoscenico, mascherandola con un riparo metallico. Già nel '700 prevalevano sulla scena le illuminazioni a candela. Due o più lampadari a corona erano sospesi nel mezzo del palcoscenico anche se lo scenario rappresentava un esterno. Malgrado le teorie che abbiamo scorse trattando del '500, scopo principale dell'illuminazione è di rischiarare gli attori. In America, fino dal 1767, epoca della costruzione del John Street Theater, si usavano le candele. La candela venne sostituita con il perfezionamento delle lampade a olio poste in recipienti di vetro e con l'uso dell'olio di trementina e del petrolio. Si videro lampadarî con lumi di questo genere sia in scena sia fuori scena. Grandi progressi circa la regolazione della luce non furono possibili sino all'introduzione della fiamma a gas. Il primo esperimento d' illuminazione del palcoscenico col gas si deve a F. Alberto Windsor a Londra nel Lyceum Theater nel 1830. A Filadelfia, nella Chestnut Street Opera House, fu usato nel 1816, ma il pieno sfruttamento avvenne dopo il 1850. Mediante questa invenzione fu realizzata un'aspirazione rimasta insoddisfatta fino ad allora: la regolazione della luce cioè l'oscuramento della sala durante la rappresentazione. Più che di oscuramento si trattava di abbassamento di luce e ciò a causa della difficoltà di riaccensione. Il regolatore veniva situato vicino al suggeritore. Dapprima le fiamme erano libere, ma poi furono adoperati vetri di protezione specialmente a difesa della retina incandescente apparsa in Germania nel 1890. Altri sistemi d' illuminazione vennero escogitati in quel periodo come quella con calcio incandescente, ma tutti recavano inconvenienti non escluso il gas medesimo, il continuo pericolo d' incendio, di scoppio e il viziamento dell'atmosfera. La luce elettrica soppiantò tutti questi sistemi piuttosto lentamente. I primi esperimenti furono con apparecchi ad arco su teatri ove persisteva ancora il gas. Nel 1846 all'Opéra di Parigi si assisté ad uno spettacolo quasi prodigioso: l'innalzarsi del sole ottenuto mediante un arco messo davanti a un riflettore parabolico gettante un raggio sopra un telaio di seta. M. Duboscq, sviluppando sistemi del genere verso il 1875, sempre all'Opéra, ottenne lampi ed arcobaleno applicando le invenzioni nella rappresentazione del Mosè di Rossini. Ciò fu ottenuto precisamente nel 1860 a mezzo di un prisma di cristallo deviante la luce di un arco, concentrata sopra una lente. Il primo lampo si ottenne accendendo momentaneamente l'arco dinnanzi ad uno specchio parabolico. L'invenzione dovuta a Edison della lampada incandescente, offrì la risoluzione del problema elettroluminoso. La prima installazione avvenne nel 1880-1881 all'Opéra di Parigi, auspice il Garnier. Un teatro modello venne costruito nel 1882 nel Crystal Palace all'Esposizione elettrotecnica di Monaco. Tra i varî perfezionamenti vi si studiò anche il cambiamento del colore alle lampade. Seguirono le installazioni elettriche a Londra nel 1882 e a New York nel 1885 e si generalizzarono a poco a poco. Gli studî si perfezionarono fino al punto che nel Faust si videro scintille e fuoco ottenuti per mezzo di contatti di placche metalliche, attaccate alle suola delle scarpe degli attori, con circuiti esterni. Questo avvenne per opera di Irvingh e di Gourand. Con la luce elettrica parve risolto il problema del graduale oscuramento e della graduale illuminazione. Nacquero i primi regolatori e si perfezionarono gli organi del comando della luce. I primi regolatori furono basati sul metodo della resistenza che si otteneva mediante reostati adoperati per variare l'intensità della corrente, variazione producente il fenomeno del graduale oscuramento. I regolatori primitivi adoperavano, e adoperano anche oggi nei teatri secondarî, resistenze a liquido nelle quali il reostato è costituito da un recipiente pieno di acqua nel quale sono immerse due piastre che variano il flusso della corrente a seconda del loro maggiore o minore avvicinamento. Dall'elettrotecnica si possono avere i particolari dei generi di resistenze perfezionati in seguito, da quelle a rocchetti di filo, malsicuri a causa del loro arroventamento, ad altri sistemi fino ai più moderni chiamati regolatori autotrasformatori muniti di dispositivi per comandi a distanza. Detti comandi evitano le vecchie complicazioni delle trasmissioni funicolari e garantiscono una regolazione assoluta e registrazione dell'andamento luminoso della rappresentazione. Ai regolatori risposero i perfezionamenti dei cosiddetti quadri di manovra situati nella speciale cabina elettrica, perfezionamenti dovuti agli ultimi anni di progresso scientifico.
La fonte base dell'odierna illuminazione del palcoscenico è dunque la lampada elettrica applicata agli apparecchi da scena. Dato che il vecchio corredo di bilance e cantinelle, a eccezione della ribalta, è quasi completamente sostituito da riflettori e proiettori, ne consegue che questi sono divenuti gli apparecchi fondamentali del sistema d'illuminazione. Minuta sarebbe la loro analisi, esistendo varietà molteplici adatte a tutti gli usi teatrali. Così, la lampadina, oltre al valore di piccola fonte isolata di luce può assumere un valore multiplo se presentata a gruppi riuniti in cominciano ad assumere notevole importanza quando superano le 500 candele. I riflettori hanno la proprietà di spandere la luce su larghe zone; i proiettori di concentrarla. Varî sono i tipi di proiettori. Essi prendono nomi diversi a seconda della loro natura e destinazione e cioè: lanterne per la illuminazione del palcoscenico che vengono poste verticalmente per lanciare la luce a perpendicolo (legate a stanghe, sostituiscono le bilance); lanterne per l'illuminazione dell'orizzonte, con vetro piano o curvo. Vi sono inoltre riflettori contenenti serie di lampade a incandescenza, costituiti da grandi camere curve, generalmente paraboliche. I proiettori, che possono essere semplici riflettori con lente o essere forniti di dispositivo di proiezione, si dicono da proscenio quando, al modo delle lanterne, si fissano sui ponti, sui paioli, su cavalletti per illuminare zone determinate del palcoscenico. Vi sono proiettori a mano del tipo a pistola i quali dànno una macchia di luce di piccole dimensioni; vi sono proiettori a doppia testa i quali, fissati su cavalletto o altro, possono servire per inseguimento di persone in moto ed essere usati come semplici riflettori se privati della testa di riporto. I proiettori a carboni, usati ai primordî delle applicazioni elettriche alla scena, servono tuttora per effetti speciali. Riflettori e proiettori possono avere telai dinnanzi alla loro imboccatura, per lo scorrimento degli schermi colorati in vetro o in gelatina. Essendo formati da camere chiuse in lamiera, devono avere finestrelle per la ventilazione. Lo schermo è protetto da una rete metallica. Hanno dei galletti con i quali si regola la loro inclinazione e la direzione e possono anche avere un controllo per la messa a piombo. Quando sono montati su cavalletti questi devono essere innalzabili e abbassabili. Gli schermi colorati vengono tolti a mano negli apparecchi mobili: questo è il sistema più semplice; ma per gli apparecchi fissi esiste un sistema funicolare. Ogni lanterna è fornita dell'intera serie di vetri colorati scorrenti nell'apposito telaio; il movimento è ottenuto per mezzo di fili passanti su carrucole facenti capo alla cabina di controllo. Questo sistema fu ideato dal Fortuny e una delle sue prime applicazioni avvenne nell'Opera di Dresda.
Nel suo complesso, la moderna illuminazione elettrica di palcoscenico si divide in due parti: a) l'illuminazione dello spettacolo; b) l'illuminazione di servizio. Gli apparecchi per l'illuminazione dello spettacolo costituiscono un corredo fisso - quello cioè che rappresenta il minimo indispensabile per il funzionamento di un teatro - e un corredo occasionale o mobile. Cli apparecchi di questo corredo possono essere interni ed esterni al palcoscenico. Eccone la nomenclatura:
Corredo fisso interno al palcoscenico. - Ribalta. - È quella striscia illuminata rispondente alla linea del proscenio, che è divisa in due parti dalla buca del suggeritore. La ribalta tradizionale, ha paralumi che difendono la vista degli spettatori dalla luce delle lampade poste sopra il piano scenico. La moderna ribalta ha le lampade dentro una fossa chiamata fossa luce in modo da rendere minima o nulla la sporgenza del paralume. La fossa può essere chiusa con portelle di legno e viene così eliminata quando non serve. Le lampade sono a più colori o, meglio ancora, il colore è determinato da schermi di vetro posti dinnanzi alle lampade bianche, infilati in un telaio e difesi da una rete metallica. I colori sono il rosso, giallo, blu e bianco, qualche volta il verde. Il numero delle lampade - oppure la loro intensità luminosa - varia a seconda del potere di assorbimento di ciascun colore. In una ribalta perfetta ogni colore è inserito in un circuito proprio e, contemporaneamente, nel circuito generale in modo che possa andare in resistenza, ossia presentare effetti di dissolvimento della luce, sia separatamente sia unitamente coi rimanenti. Una concezione moderna della messa in scena tende ad abolire la ribalta, con la scusa della sua mancanza di naturalezza, per sostituirla con batterie di proiettori da porsi ai lati del boccascena dentro la sala. Però la ribalta ha le sue risorse ed è necessaria per determinati generi di spettacoli.
Cantinelle o stanghe verticali. - Sono stanghe di legno munite di lampadine, le quali si pongono dietro le quinte per illuminare le quinte retrostanti e l'atmosfera circostante. La stanga verticale, usata nel teatro tradizionale, è ormai poco frequente perché sostituita da proiettori. Una catinella moderna è formata da una camera metallica simile alle bilance.
Bilance o stanghe orizzontali o traverse. - La forma più semplice è quella tradizionale della stanga di legno alla quale sono applicate le lampadine e che viene posta dietro i cieli per illuminare i cieli successivi ed effondere la propria luce in basso. Modernamente la bilancia è formata da una camera metallica lunga quanto la scena, munita di telai per l'apposizione dei vetri colorati e dentro alla quale sono collocate le lampade. La camera è ventilata per mezzo di fori e protetta da una rete metallica. La bilancia è appesa con corde alla soffitta e viene innalzata o abbassata mediante i tiri da scene manovrati dai paioli. La direzione della luce è determinata inclinando a volontà la camera che, a tale scopo, porta ai lati una ruota dentata di regolazione munita di cremagliera. un insieme di bilance può illuminare direttamente un panorama (è il caso dei comuni teatri di prosa italiani), ma, trattandosi di panorama per grande teatro, è necessario ricorrere alle batterie di proiettori da orizzonte, che vedremo in seguito.
Batterie di proiettori di bocca d'opera. - Sono costituite da proiettori situati dietro all'intelaiatura del mantello di Arlecchino, ovvero impostati sopra l'armatura dei castelli di bocca d'opera. Una batteria completa di proiettori ne comprende almeno cinque, uno per ciascun colore, che viene determinato dallo schermo di vetro o di gelatina scorrente dentro ai telai. A seconda dell'intensità luminosa di cui abbisogna il palcoscenico, queste batterie possono essere una per parte o più di una. I proiettori possono essere inclinati per dare la direzione alla luce. Occorrendo cambiare colore in una batteria scempia, si cambiano gli schermi con il sistema funicolare.
Batterie di proiettori sul ponte di bocca d'opera. - Si tratta di batterie come le precedenti situate sopra il ponte di bocca d'opera. Servono a illuminare la scena verticalmente e obliquamente. Hanno le stesse caratteristiche sopra descritte e il loro ufficio principale è quello d'illuminare la zona di boccascena in modo equilibrato rispetto alla zona di fondo del palcoscenico.
Batterie di proiettori per l'illuminazione dell'orizzonte. - Sostituiscono le antiche bilance e servono a illuminare la panoramica. Sono formate da lanterne a vetro curvo per illuminazione, capaci di abbracciare quasi tutto l'angolo dell'orizzonte. Sono fornite ciascuna dell'intera serie di vetri colorati manovrabili con sistema funicolare. Vengono disposte sulla linea delle stanghe e costituiscono il più numeroso complesso di apparecchi. Possono proiettare direttamente la luce sull'orizzonte, ma un sistema più perfezionato di diffusione (Fortuny) preferisce la luce indiretta. La lanterna è volta dalla parte opposta della panoramica e manda la luce sopra una superficie bianca che, a sua volta, la diffonde sulla scena.
Batterie varie. - A somiglianza delle precedenti, possono essere disposte ovunque occorra. A tale categoria appartengono gli apparecchi ausiliari di cui spesso si sente la necessità nella zona di boccascena dove, in genere, è più difficoltosa l'illuminazione. Un tipo di batterie può essere quello di una serie di proiettori o di lampade poste perifericamente alla panoramica allo scopo di aumentare la diffusione luminosa generale o garantire una maggiore disponibilità di effetti.
Prese di corrente sparse. - Sono installate nei varî punti del palcoscenico, per inserirvi gli apparecchi mobili: proiettori su cavalletto, a mano, fosse luce, padelloni, cassette, ecc. A seconda che tali prese si trovino in alto o in basso, prendono il nome di prese di soffitta, dei ballatoi, di palco o di sottopalco. Devono essere munite di scatole metalliche di chiusura, a protezione.
Apparecchi e lampade sparse. - Sono quelli che servono a illuminare il palcoscenico per ragioni di servizio, indipendentemente dallo spettacolo, sia in occasione di prove parziali di scena - per cui basta l'accensione di un semplice bilancino ausiliario - sia per pulizie, lavoro di macchinisti, ecc. Secondo la loro posizione, le lampade sparse prendono il nome di lampade di soffitta, di ballatoio, di sottopalco, ecc. Esse vanno distinte dalle lampade sparse che devono rimanere accese durante lo spettacolo entro il palcoscenico, nei varî passaggi e che sono colorate in azzurro per non influenzare la scena. A questo ordine appartengono le lampadine per segnalazioni le quali, colorate convenzionalmente, evitano il suono dei campanelli.
Cabina d'illuminazione. - È il luogo dove sono installati i quadri di comando e di regolazione dell'illuminazione e di tutto quanto di elettrico può occorrere alla rappresentazione. Varia può essere la sua ubicazione. Poiché è necessario che l'elettricista veda dalla cabina quanto avviene in palcoscenico, in genere essa è impostata lateralmente al boccascena e una finestrella permette di sorvegliare la rappresentazione. Quando una cabina necessita di molto spazio, viene posta nel sottopalco o in luogo limitrofo con comunicazione in palcoscenico mediante telefono. In questo caso una piccola cabina supplementare può essere installata in palcoscenico con i comandi generali della luce. I principali apparecchi che formano la cabina sono:
a) il quadro dei comandi generali per l'inserzione della corrente nei circuiti principali e il controllo della tensione;
b) il quadro generale di manovra per l'accensione dei diversi reparti elettrici della scena. Questo quadro può essere più o meno vasto secondo i circuiti che vi fanno capo, cioè secondo il numero dei reparti di cui consta l'impianto e del modo con cui sono frazionati. Così dagl'interruttori generali per l'accensione di reparti completi si va agl'interruttori per l'eliminazione degli elementi medesimi. Il quadro reca delle spie dalle quali l'elettricista è informato dell'esito avuto dalla manovra compiuta;
c) il regolatore che è formato dal complesso delle resistenze. Il regolatore è composto dalle resistenze in parola e dai volantini di manovra impostati sopra un asse mediante i quali si regolano le induttanze inserite nei circuiti delle lampade. Dispositivi speciali permettono di compiere manovre di resistenza così su reparti completi come su frazioni di uno stesso reparto e perfino di stabilire la durata e il tempo della dissolvenza mentre le spie del quadro generale accusano il grado d'intensità luminosa ottenuto;
d) comando funicolare per il controllo dei colori. È formato da leve impostate su volantini, facendo agire i quali si procura il cambiamento dei vetri colorati nei telai degli apparecchi. Il sistema fu ideato dal Fortuny e applicato primamente nell'Opera di Dresda;
e) gli accessorî formanti quant'altro può servire all'illuminazione dei servizî di palcoscenico, di orchestra, della sala, per motori, per il sipario metallico, per le pompe, ecc.;
f) gli accumulatori che alimentano l'impianto luminoso di soccorso o di sicurezza. Essendo le batterie di detti accumulatori caricati dalla centrale elettrica con apposite condutture, permettono alla luce di funzionare subito automaticamente in caso di mancanza momentanea della corrente o in caso di pericolo.
Trattando della cabina, occorre accennare al più moderno tipo di quadro ridotto per la manovra delle regolazioni. È l'applicazione più recente del progresso elettrotecnico. Sopra un quadro di piccole dimensioni sono installati dei bottoni, facendo funzionare i quali si mettono in azione i regolatori della cabina. Il quadro viene posto nel sottopalco vicino alla buca del suggeritore in posizione tale che l'operatore possa manovrare seguendo a vista gli effetti sul palcoscenico. Detto quadro richiede regolatori il cui collegamento col quadro stesso sia costituito solo da conduttori elettrici per piccolissime correnti a basse tensioni. Tale macchina viene incontro all'aspirazione di aver sottomano il funzionamento elettrico dell'illuminazione scenica realizzando una specie di pianoforte luminoso come nel Teatro Carroll di New York dove il quadro è posto presso il direttore d'orchestra ed è, visibilmente da tutti, manovrato dal maestro delle luci.
Corredo fisso esterno al palcoscenico. - Batterie di proiettori laterali in sala. - Un teatro moderno deve essere fornito di queste batterie le quali hanno l'ufficio d'illuminare la zona della ribalta. Sono collocate ai lati della sala, in giusto fuoco, verso i pilastri del boccascena. Con le loro fonti di luce dall'alto aboliscono la luce dal basso della ribalta con il conseguente fastidio provocato agli attori. Dette batterie sono simili a quelle dei castelli di bocca d'opera e devono essere opportunamente nascoste nella decorazione del teatro e munite del solito sistema per il cambiamento dei vetri colorati.
Batteria di proiettori di cupola. - È simile alla precedente, situata nella parte alta e centrale della sala, in genere verso l'asse del loggione, oppure nascosta nel lampadario centrale. Ha lo scopo d'illuminare in pieno la scena.
Accecatori. - Sono lampade ordinarie, colorate in rosso, munite di piccolo riflettore, che si pongono lungo la linea esterna della ribalta. Vengono accese improvvisamente quando si voglia fare un cambiamento a vista di una scena. Esse formano una barriera luminosa che impedisce di vedere il cambiamento. In pratica, però il loro riverbero è tale che non è possibile annullare completamente la visione del cambiamento.
Corredo mobile. - Apparecchi mobili. - Sono quelli di cui abbiamo accennato in principio, da inserire nelle prese di corrente sparse.
Apparecchi per effetti speciali. - Apparecchio di proiezione per le nuvole. Si tratta di una macchina di proiezione la quale porta una pellicola sulla quale sono impressionate delle nubi. L'ingrandimento di tale disegno sopra il panorama dà la sensazione di un cielo nuvoloso. La pellicola si può muovere per mezzo di un movimento di orologeria e dare così la sensazione delle nubi in moto. Proiettando sull'orizzonte due pellicole a disegni differenti ed imprimendo loro un movimento diverso, si ha la sensazione di un doppio strato atmosferico. Le macchine più moderne rendano complessi a più obiettivi (fino a 12), complessi che, per mezzo di un motorino, ruotano intorno a un asse dando così la sensazione del moto atmosferico.
Apparecchi per riproduzione di quadri animati. - Sono apparecchi, dello stesso ordine del precedente, dove le pellicole portano impressionato il motivo della neve, del fuoco, della pioggia, del mare, ecc. L'apparecchio per il mare porta due pellicole sulle quali sono disegnate delle linee ondulate. Per mezzo di movimenti di orologeria le pellicole marciano in senso inverso l'una all'altra ripetendo il movimento dall'alto al basso e viceversa, a breve intervallo di tempo. In tal modo la sensazione dell'ondeggiare del mare sul panorama è perfetta. La proiezione, ben si comprende, assume la colorazione data dai proiettori fissi. Esistono apparecchi costituiti dal solo organismo di proiezione che si possono applicare a proiettori con condensatore su cavalletto.
Apparecchio per proiezioni fisse. - È dello stesso tipo del precedente, ma manca del movimento di orologeria mentre è munito di obiettivo e passatelaio sul quale s'inseriscono le immagini. Anche questo apparecchio esiste isolato, applicabile a proiettori su cavalletto. È quello che serve per la proiezione di scene su fondali (vedi scenografia).
In conclusione, il contributo della luce elettrica all'illuminazione del palcoscenico non è solo quello di avere abolito i pericoli e l'insufficienza dei precedenti impianti a gas, ma di avere risolto problemi di colore e d'intensità apparsi prima insolubili. Essa sostituisce il colore dipinto, crea l'atmosfera vibrante e può variare in processo di rappresentazione, donde una nuova pratica pittorica, e, poi, l'abbandono della pittura stessa, la possibilità d'imitare i fenomeni naturali e di seguire le vicende interiori del dramma. Il contributo che ha più valore si riferisce a scopi spirituali. La luce elettrica viene così a trascendere il verismo e viene incontro alle necessità drammatiche, s'immedesima nell'azione fino a creare il teatro del colore e acquistando l'attributo di luce psicologica.
Si noti come, in questo caso, "scenotecnica" diventi lo studio dell'esercizio della luce in tutta l'estensione dei suoi simboli e significati.
Costume e arredamento.
Il costume teatrale e l'arredamento si compendiano nella scenotecnica non solo in quanto concorrono alla formazione del quadro scenico ma perché di essi esiste una tecnica particolare. La realizzazione del costume teatrale avviene attraverso il figurino che è il modello grafico dell'abito che dovrà indossare il personaggio. Tre ordini di figurini sono da considerare: quello tratto dalla realtà della vita; quello tratto dalla realtà della vita con varianti e alterazioni caratteristiche accentuanti il carattere decorativo o psicologico del personaggio; quello tratto dalla pura fantasia dell'artista. La scelta di un tipo piuttosto che di un altro dipende dalla natura del soggetto da trattare e dalla particolare interpretazione voluta dalla regia. In ogni caso è da tenere presente la dipendenza pittorica tra il figurino e lo scenario, relazione che ha dato luogo a osservazioni e teorie diverse. Il figurino che non attinge alla pura invenzione o interpretazione astratta del soggetto da vestire (cubismo, futurismo) attinge le sue forme dalla storia del costume e dalla storia dell'arte. Ecco le fonti alle quali si rivolge la scenografia figurinistica per le sue ricerche quando non si trovi nella necessità di rivolgersi alle ordinarie mode contemporanee. Esiste una pratica nella scelta delle materie da usare e del modo d'imbastire il costume teatrale, atteso alla sua funzione speciale, alla sua transitorietà, all'urgenza di approntarne in gran numero, agli effetti delle luci, ecc. Per ciò vi sono laboratorî appositi per la confezione del figurino chiamati case o laboratorî di costumi teatrali.
Esse posseggono vasti magazzini - quando non ne sia fornito il teatro stesso - dove è possibile anche noleggiare vestimenti completi già esistenti, di stili di tutte le epoche e di tutti i luoghi, adatti ad opere ormai convenzionalmente determinate. Per il costume realistico-contemporaneo le sartorie comuni sostituiscono quelle specializzate.
Similmente vi sono case di attrezzi teatrali dove si può ricorrere per il noleggio o la fabbricazione di quanto occorre sul palcoscenim nei riguardi del mobilio e della suppellettile, quando l'azione scenica non richieda una fornitura di oggetti tolti dal commercio.
Logistica di palcoscenico.
Occorre distinguere in questa branca l'organizzazione del palcoscenico dall'organizzazione dello spettacolo. La prima riguarda l'ordine da dare alle macchine, la loro manutenzione, la gerarchia delle attribuzioni del personale proposto al loro funzionamento e la sua disciplina, in modo che lo spettacolo si possa svolgere senza tema d'inconvenienti. Essa è dunque indipendente dall'azione drammatica. La seconda riguarda il modo di progettare, preventivare e preparare lo spettacolo, di farlo agire senza inconvenienti e secondo le istruzioni dettate in sede amministrativa e in sede di regia. Cura i movimenti e i cambiamenti degli scenarî, l'azione dei macchinismi, intonandoli ai tempi, alle battute delle situazioni drammatiche. Tale lavoro viene eseguito mediante ordini, comandi e segnalazioni, fissati non tanto dal progetto quanto nelle prove, di concerto con le varie gerarchie di palcoscenico, e scritti sopra quaderni, quadri sinottici, specchi dimostrativi o schizzati mediante disegni convenzionali.
Queste partiture tecniche costituiscono la guida del da farsi per ottenere il buono svolgimento della rappresentazione. Da quanto è stato detto si comprende l'importanza e la responsabilità che competono a questa parte dell'attività teatrale. Coordinata con le altre necessità della regia (organizzazione del movimento delle masse, degli attori, delle danze, ecc.) essa si può considerare il vero centro motore di tutto quanto il complesso ordinamento dello spettacolo teatrale.
Scenotecnica cinematografica.
Alla scenotecnica teatrale va aggiunta la scenotecnica cinematografica la quale crea l'ambiente dell'azione drammatica per la ripresa delle scene di un film. Le definizioni enunciate per il teatro valgono per questo genere. Viene praticata in edifici appositamente costruiti, detti teatri di posa, assai semplici al confronto di un palcoscenico attrezzato, dove è possibile innalzare gli scenarî, illuminarli da sorgenti di luce situate ovunque si voglia, fin su passarelle poste sotto la copertura, e far funzionare gli apparecchi da presa. Non è possibile qui dire di tutto quanto serve scenotecnicamente al film. Riassumendo: analogamente al teatro, la scenografia, l'arredamento, il costume, il trucco facciale dell'attore, l'illuminazione sono le principali attività che permettono di giungere alla realizzazione visionica.
Del progetto scenico fanno parte i disegni degli scenarî, dell'ammobiliamento e i figurini. Gli scenarî si presentano architettonicamente e solo per quella parte che interessa le azioni da riprendere. Il grafico deve tener conto quindi delle posizioni che dovrà occupare la camera da presa e, conseguentemente, dell'angolo massimo che gli obiettivi fotografici dovranno abbracciare. Ogni progetto d'ambiente, interno o esterno che sia, deve essere minutamente previsto e calcolato prima di essere passato alla costruzione. Una scuola tedesca (Maurischat) consiglia di precisare nei disegni anche le successive posizioni degli attori durante lo svolgimento di tutte le scene in modo da fissare, a priori, anche i loro movimenti e rapporti con l'ambiente. Ciò per evitare consumo di pellicole e perdite di tempo che riuscirebbero dispendiose durante la lavorazione. Tale sistema di progettazione minuta della successione scenica ambientale e figurativa insieme prende il nome di papierfilm. La visione cinematografica si elabora a mezzo di macchine da ripresa, spostabili su carrelli (donde i vocaboli carrellare, carrellata per indicare una ripresa che insegue o accompagna l'attore nelle varie zone della scena) e con macchine da ripresa sonora sotto forma di cabine trasportabili munite di delicatissimi strumenti di registrazione; i locali per lo sviluppo e la stampa delle pellicole, per il loro montaggio, per la sincronizzazione, le sale di proiezione: reparti a cui presiedono i singoli operatori, elettrotecnici, tecnici dei suoni, ecc., sotto la direzione comune del regista cinematografico. Anche in questo campo la scenotecnica si conclude in un lavoro unitario di successive integrazioni, ma volgarmente vuole indicare quanto si attiene all'interpretazione e allo sviluppo ambientale del lavoro che si deve "girare".
D'altronde il cinematografo si concreta attraverso mansioni ancor più suddivise che nel teatro. L'apporto scientifico vi è rigorosissimo. Si giunge a risultati artistici non sempre per l'immediatezza delle sensazioni degli attori o per la bellezza della costruzione scenica ma con paziente lavoro tecnico e amministrativo di organizzazione (piano di lavorazione) e di un minuto e accorto uso di calcoli e di applicazioni di gabinetto. Il concetto teatrale di scenotecnica viene a complicarsi dinnanzi ai problemi della competenza fotografica e acustica.
V. anche messinscena.
Bibl.: C. Contant, Parallèle des principaux théâtres modernes de l'Europe et des machines théâtrales, Parigi 1860; C. Garnier, Le nouvel Opéra de Paris, ivi 1881; G. Ferrari, La scenografia, Milano 1902; O. Navarre, Dionysos, Parigi 1895; O. Navarre, Le théâtre grec., Parigi 1925; D. Donghi, Manuale dell'architetto, Torino 1930, II, IV; C. Albertini, Storia dell'illuminazione dei teatri, in Sincronizzando; F. Gasbarra, Cinema in teatro, in Intercine, VII (1935), fasc. 11, pagine 16-20 (v. scenografia).