Scetticismo antico
Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
Essere scettici su di una questione significa sospendere il giudizio al riguardo, non sottoscrivere ad alcuna opinione positiva in un senso o nell’altro. Con l’espressione “scetticismo antico” (la cui radice greca skepsis, “indagine”, rimanda all’inclinazione a interrogarsi sulla fondatezza dei nostri giudizi) si indica una tendenza filosofica che nasce nella Grecia classica e che estende, generalizza e sistematizza questo atteggiamento ordinario: una filosofia scettica raccomanda la sospensione del giudizio riguardo ad una parte (o addirittura alla totalità) delle indagini umane. Lo scetticismo filosofico ha una lunga storia e si sviluppa in due varianti principali. La prima, quella pirroniana, deve il suo nome al suo fondatore Pirrone di Elide e vede tra i suoi protagonisti principali (oltre a Pirrone) Timone di Fliunte, Enesidemo, Agrippa e Sesto Empirico. La seconda, lo scetticismo accademico, è legata ad una fase particolare dell’Accademia platonica; suoi esponenti di spicco sono Arcesilao di Pitane, Carneade di Cirene e Filone di Larissa.
Pirrone di Elide è figura per noi avvolta nel mistero. Pittore di formazione, studia con il sofista Brisone e con il filosofo democriteo Antigone. Assieme a quest’ultimo e ad altri filosofi partecipa alla spedizione di Alessandro il Grande in Asia e in India. Conosce in vita una certa fama: i suoi concittadini erigono una statua in suo onore. Non scrive nulla; della sua vita e del suo pensiero ci informano lo storico Diogene Laerzio e il peripatetico Aristocle di Messene, il cui resoconto sul pirronismo è riportato da Eusebio, vescovo di Cesarea.
Aristocle presenta la caratterizzazione del pirronismo di Timone di Fliunte, collaboratore e portavoce di Pirrone. Timone sostiene che chi vuole essere felice deve badare a come le cose sono per natura, a quale deve essere la nostra disposizione verso di esse e a qual è il risultato di tale disposizione. Stando a Timone, Pirrone mostra che le cose sono egualmente senza differenze, senza stabilità, indiscriminate; perciò né le nostre sensazioni né le nostre opinioni sono vere o false. Non bisogna quindi dare loro fiducia, ma essere senza opinioni, senza inclinazioni, senza scosse, dicendo di ogni cosa “è non più che non è”, oppure “è e non è”, oppure “né è, né non è”. A coloro che si troveranno in questa disposizione Timone dice che deriverà dapprima la non-asserzione, poi l’imperturbabilità (Aristocle, in Eusebio, Preparazione evangelica XIV xviii 2-4).
Se crediamo a Timone, dobbiamo supporre che Pirrone adotti uno scetticismo estremo e cerchi di vivere conformemente ad esso. Egli rifiuta ogni asserzione e credenza e ciò facendo vive una vita tranquilla. Numerosi aneddoti biografici – dal valore storico dubbio – descrivono un Pirrone indifferente alle proprie sensazioni ed imperturbabile dinanzi ai pericoli. Una conferma più seria dell’esistenza di forme di scetticismo estremo all’epoca di Pirrone viene dal libro Gamma della Metafisica, dove Aristotele attacca i negatori del principio di non-contraddizione. Coloro che sollevano difficoltà quali se siano vere le cose che appaiono tali ai dormienti o quelle che appaiono tali ai desti certamente non credono a ciò che dicono: nessuno di essi, se in sogno crede di essere ad Atene mentre in realtà è in Libia, si incammina verso l’Odeon (Met. 1010b4-11). È inverosimile – per ragioni cronologiche – che il bersaglio di Aristotele sia Pirrone; il suo attacco mostra tuttavia come una forma radicale di scetticismo sia in voga nella seconda metà del IV secolo a.C.
Dopo Timone non si ha lo sviluppo di una vera e propria scuola pirroniana. Diogene Laerzio nomina diversi personaggi che mantengono in vita il pirronismo ad Atene e ad Alessandria, ma è solo con Enesidemo che esso torna in auge in una forma rinnovata, spesso denominata “neopirronismo”.
È Arcesilao a inaugurare lo scetticismo accademico. Originario di Pitane, il giovane Arcesilao giunge ad Atene e viene sedotto dall’insegnamento di Platone. Attorno al 265 a.C. diventa scolarca dell’Accademia e, con la collaborazione del suo successore non immediato Carneade di Cirene, la converte per più di due secoli allo scetticismo. Arcesilao si ispira al Socrate esaminatore – al suo implacabile investigare i fondamenti delle proprie e altrui credenze. Come Socrate, non scrive nulla: la sua posizione deve essere ricavata dalle testimonianze di Cicerone, Sesto Empirico e altri autori tardivi.
Componente essenziale della filosofia di Arcesilao è la sistematica messa in discussione di tesi filosofiche e la critica nei confronti delle posizioni dei filosofi avversari. Arcesilao eccelle nella disputatio in utram partem: data una qualsiasi proposizione, egli possiede la capacità di argomentare dapprima pro e poi contro di essa, “gli argomenti sui due lati essendo ugualmente potenti” (Eusebio, Preparazione Evangelica XIV 4.15). Inoltre, Arcesilao eredita da Socrate il suo metodo di confutazione: egli cerca di derivare dalle dottrine dei suoi avversari non-scettici (i dogmatici), usando le loro regole di inferenza, conclusioni che essi non possono accettare.
Ad essere oggetto della critica di Arcesilao è, in particolare, la tesi stoica secondo cui esiste il criterio di verità e va identificato con l’impressione apprensiva. Gli stoici sostengono che se sai qualcosa, devi averlo “appreso”: che l’apprensione è l’assenso ad una “impressione apprensiva” (phantasia kataleptike); e che l’impressione di qualcosa è apprensiva se è vera di quella cosa, se è causata da quella cosa e se non può essere causata da nient’altro. Perché tu sappia che piove, devono darsi (tra l’altro) le seguenti tre condizioni: piove; il fatto che piove ha causato la tua impressione che piove; e la tua impressione che piove non poteva essere causata da nient’altro. Arcesilao sostiene che la terza condizione non può essere mai soddisfatta, e, dunque, che non vi sono impressioni apprensive. Poiché nulla è apprensibile, il saggio non sa nulla. D’altronde, il saggio non può avere mere opinioni: ne consegue che, anche per gli stoici, il saggio sospende il giudizio (Sesto Empirico, M VII 155). Mancando un criterio di verità, lo scettico di Arcesilao sospende il giudizio su tutto (Sesto Empirico,PH I 232).
A questo scettico i dogmatici (in particolare gli stoici) rivolgono la cosidetta “obiezione di inattività”: se lo scettico sospende il giudizio, allora non è in grado di agire – e quindi di vivere. L’argomento presuppone che per agire siano necessarie tre cose: impulso, impressione ed assenso. Per potere gustare un fico maturo, devi avere avuto un impulso o desiderio (quello di mangiare un fico maturo), ricevuto una impressione (“quel fico pare maturo”), dato il tuo assenso alla tua impressione e formato una credenza (“quel fico è maturo”). Nella sua replica Arcesilao nega questo presupposto: “Due cose sono necessarie all’azione: un’impressione di qualcosa di appropriato ed un impulso verso l’oggetto appropriato che ha prodotto l’impressione – e nessuna di esse è incompatibile con la sospensione del giudizio. È la credenza, e non l’impressione o l’impulso, da cui l’argomento ci separa” (Plutarco, Adversus Colotem 1122C-D). Per spiegare l’atto dello scettico non è necessaria alcuna credenza – sono sufficienti il desiderio e l’impressione: lo scettico vuole mangiare un fico maturo, il fico gli sembra maturo, perciò lo mangia. Questo non significa, secondo Arcesilao, che lo scettico agisce in modo non-razionale, come un animale: “Chi sospende il giudizio su tutte le cose regolerà le scelte e i rifiuti e, in genere, le proprie azioni secondo ciò che è ragionevole (to eulogon) e, procedendo in conformità di questo criterio, agirà con successo” (Sesto Empirico, M VII 158). Uno scettico sceglierà di eseguire quelle azioni che, se eseguite, possono essere difese razionalmente.
Alla morte di Arcesilao il suo pensiero continua ad essere insegnato all’interno dell’Accademia senza modifiche rilevanti, fino all’arrivo di Carneade di Cirene. Nato in Nord Africa, Carneade emigra ad Atene per studiare logica sotto la direzione dello stoico Diogene di Babilonia. Fa quindi il suo ingresso nell’Accademia e la guida tra il 167 a.C. e il 137 a.C. Figura di spicco della sua epoca, nel 155 a.C. viene inviato da Atene come ambasciatore a Roma, dove impressiona e scandalizza l’uditorio con la sua retorica e i suoi argomenti pro e contro la giustizia. Carneade rinnova l’impronta scettica data all’Accademia da Arcesilao, ampliando l’arsenale e i bersagli dell’attacco accademico e mostrando una predilezione per l’etica dogmatica. La sua maggiore innovazione consiste nell’introduzione del cruciale (e problematico) concetto di plausibile – to pithanon.
Carneade polemizza con lo stoicismo: propone argomenti contro l’esistenza degli dèi e la pretesa di determinare in modo univoco il bene supremo dell’uomo, solleva obiezioni contro la scienza della divinazione e il determinismo causale che essa presuppone (questo non comporta che Carneade sostenga dottrine: i suoi argomenti sono da intendersi come le metà di insiemi di argomenti pro e contro le tesi stoiche in questione). Come Arcesilao, Carneade attacca la nozione di impressione apprensiva alla base della teoria stoica della conoscenza. Per sapere che piove, devi avere dato il tuo assenso alla impressione apprensiva che piove – ad una impressione tale da potere essere causata solo dal fatto che piove. Ma impressioni di questo tipo non esistono: per ogni impressione vera è sempre possibile trovare una corrispondente impressione falsa indistinguibile da essa (Sesto Empirico, M VII 163–4). Nessuna impressione è apprensiva; dunque non possiamo sapere nulla.
Possiamo tuttavia distinguere, tra le nostre impressioni, quelle plausibili (che tendono a persuaderci) da quelle implausibili, quelle più plausibili da quelle meno plausibili, quelle contraddette da impressioni concomitanti da quelle non così contraddette. Possiamo inoltre scrutinare le nostre impressioni: se entrando in una stanza oscura abbiamo l’impressione plausibile che un pezzo di corda giaccia sul pavimento e ci chiediamo se a giacere non sia invece un serpente, possiamo scrutinare la nostra impressione muovendo l’oggetto sul pavimento con un bastone. Le impressioni possono essere sempre false, ma preferiremo le plausibili alle implausibili, le più plausibili alle meno plausibili, e quelle non-contraddette e scrutinate a tutte le altre. La portata della teoria del plausibile di Carneade è controversa. Alcuni interpreti hanno inteso questa dottrina come una innovativa teoria della conoscenza; altri invece hanno considerato il plausibile come il criterio della credenza razionale, da sostituire al sapere.
Le fonti presentano il pithanon di Carneade come un criterio d’azione: “non è razionale credere ciò che è plausibile ma è razionale agire sulla base del plausibile” (Sesto Empirico, PH I 226). È questo un modo, da parte di Carneade, di spiegare come lo scettico dovrebbe agire (è razionale agire sulla base di ciò che è plausibile, e lo scettico deve agire in questo modo)? O si tratta piuttosto di un modo di spiegare come lo scettico, pur essendo sprovvisto di credenze, possa agire e non sia quindi destinato alla morte come volevano i dogmatici (lo scettico può vivere perché può agire sulla base delle proprie impressioni, in particolare di quelle plausibili)? L’evidenza testuale non consente di dirimere tra le due possibilità.
Gli immediati successori di Carneade (Carneade, figlio di Polemarco; Cratete di Tarso; Clitomaco) non introducono innovazioni di rilievo nell’insegnamento dell’Accademia; ma le cose cambiano con Filone di Larissa. Filone frequenta per circa quindici anni la scuola di Clitomaco e gli succede nel 110/109 a.C. In seguito all’invasione di Atene da parte di Mitridate si trasferisce a Roma, dove prosegue l’insegnamento e rimane sino alla morte. Ad Atene, da capo dell’Accademia, Filone adotta dapprima l’interpretazione radicalmente scettica di Carneade proposta da Clitomaco e quindi l’interpretazione dottrinale ma fallibilista avanzata da Metrodoro di Stratonicea. Nella seconda fase della carriera, a Roma, Filone assume una posizione ancora diversa. Egli sostiene che “quanto al criterio stoico, cioè l’impressione apprensiva, le cose sono inapprensibili; ma in quanto alla natura delle cose stesse, apprensibili” (Sesto Empirico, PH I 235). In altre parole, non si può apprendere e sapere nulla solo se stiamo alla caratterizzazione stoica di apprensione. Ma questa è falsa: in particolare, Filone nega che una impressione apprensiva debba essere tale che non può provenire da altro che da ciò da cui di fatto proviene (Cicerone, Academica II 18). Dunque, è possibile sapere qualcosa: il fatto che non vi sia apprensione in senso stoico non implica che non vi sia sapere.
Gli aspetti aporetici del pensiero di Platone approfonditi dallo scetticismo accademico mantengono interesse in qualche pensatore successivo: ancora nel II secolo il retore e filosofo Favorino di Arles si definisce “accademico” alla maniera di Arcesilao, Carneade e Filone (Aulo Gellio, Notti Attiche XX, 1).
Lo scetticismo pratico di Pirrone e lo scetticismo professionale di Arcesilao e Carneade si fondono nella figura di Enesidemo, attivo intorno alla metà del I sec. Egli ritiene che l’Accademia, sotto la direzione di Filone di Larissa, abbia abbandonato un carattere genuinamente scettico, e reagisce proponendo un ritorno allo scetticismo di Pirrone – di fatto, rifondandolo. Scrive un’opera in otto volumi, i Discorsi Pirroniani, un riassunto della quale sopravvive nel catalogo del patriarca bizantino Fozio. Nel primo libro dei Discorsi Enesidemo accusa gli accademici di essere vincolati a credenze e ad essi contrappone il proprio scetticismo. Lo scettico considera impressioni e pensieri in opposizione; per questa via accede alla sospensione del giudizio, cui segue la tranquillità (DL IX 62, 78, 106-107); non determina assolutamente nulla, ma segue le proprie impressioni. Nel resto dell’opera Enesidemo attacca i concetti chiave di fisica, logica ed etica dogmatica, allo scopo di provocare la sospensione del giudizio al loro riguardo.
A Enesidemo è attribuita la paternità dei “dieci modi (o tropi) della sospensione del giudizio”. I modi, conservati in Filone di Alessandria, Sesto Empirico e Diogene Laerzio, sono forme o schemi di argomenti con cui lo scettico produce la sospensione del giudizio. Essi funzionano schematicamente nel modo seguente. Vi sono opposizioni di impressioni: uno stesso oggetto x appare F nella situazione S, ma appare F* nella situazione S* – dove F e F* sono proprietà opposte o incompatibili. Ma le impressioni sono equipollenti: non possiamo preferire S a S* (o viceversa). Perciò approdiamo alla sospensione del giudizio: non possiamo cioè giudicare né che x è veramente F, né che x è veramente F*. Lo scettico si domanda: “Le torri di Notre Dame sono rotonde o quadrate?” Le guarda da lontano, e le torri gli sembrano rotonde. Si avvicina e le guarda di nuovo: questa volta, le torri gli appaiono quadrate. Non è in grado di preferire la prima impressione che ha avuto alla seconda, né la seconda alla prima: sospende il giudizio sulla questione se le torri siano rotonde o quadrate. I dieci modi differiscono per i contesti o le situazioni differenti cui fanno riferimento: differenze tra tipi di animale (primo modo), esseri umani (secondo modo), sensi (terzo modo), stati psicologici (quarto modo), posizioni, distanze e luoghi (quinto modo), mescolanze (sesto modo), composizione dell’oggetto percepito (settimo modo), relatività (ottavo modo), frequenza del fenomeno (nono modo), leggi, costumi, modi di vita (decimo modo).
Nei due secoli che separano Enesidemo da Sesto Empirico il movimento pirroniano sopravvive senza rivaleggiare per importanza con le scuole filosofiche più importanti. Diogene Laerzio (IX 116) menziona i pirroniani Zeuxippo, Zeussi e Antioco di Laodicea, Menodoto di Nicomedia (maestro di Erodoto di Tarso, a sua volta maestro di Sesto Empirico) e Teoda di Laodicea; altre fonti consentono di aggiungere una mezza dozzina di nomi. Molti dei successori di Enesidemo appartengono alla scuola medica empirica: Menodoto, medico empirico, scrive un lavoro filosofico di natura scettica e lo stesso Sesto, come l’apposizione “Empirico” suggerisce, viene in genere considerato come appartenente a questa scuola. La compresenza di indole scettica e empirismo medico non è casuale. La scuola medica empirica ritiene che la pratica medica debba fondarsi non su teoria e ragionamento, ma su esperienza e osservazione, e spesso i medici empirici giustificano scelte professionali quali il rifiuto di appellarsi a cause non-evidenti e della pratica della vivisezione con argomenti filosofici di matrice pirroniana.
Alla lista di Diogene sembra necessario doversi aggiungere Agrippa, filosofo vissuto probabilmente nella seconda metà del I secolo. Di Agrippa non sappiamo praticamente nulla, ma sia Sesto che Diogene gli attribuiscono una delle più notevoli creazioni dello scetticismo antico: i “cinque modi di sospensione del giudizio”. L’interpretazione più influente ha mostrato come il cuore di questo gruppo di modi (disaccordo, relatività, ipotetico, regresso all’infinito, reciprocità) sia costituito degli ultimi tre, che lo scettico usa per produrre la sospensione del giudizio su qualsiasi questione. Supponi di stare per dare il tuo assenso ad una proposizione P. O hai qualcosa da dire a sostegno di P, o assolutamente nulla. Ma se non hai nulla da dire a sostegno di P, non devi dare il tuo assenso a tale proposizione (modo ipotetico). Se invece hai qualcosa da dire a supporto di P, ad esempio Q, allora o Q coincide con P, oppure no. Ma se Q coincide con P, allora devi sospendere il tuo giudizio su P – in questo caso, infatti, stai usando un argomento circolare, non valido (modo della reciprocità). Se Q non coincide con P, allora o non hai nulla da dire a sostegno di Q (e in questo caso, devi sospendere il giudizio su Q e quindi su P), o hai qualcosa da dire in suo favore – diciamo R. Ora possiamo dire di R quanto abbiamo detto a proposito di Q, e potrai evitare di sospendere il giudizio solo introducendo una nuova proposizione S; e così via all’infinito. Ma non puoi andare all’infinito (modo del regresso all’infinito): perciò devi sospendere il tuo giudizio su P.
L’unico autore pirroniano di cui possediamo intere opere è Sesto Empirico, nostra fonte principale per lo scetticismo greco. Non sappiamo molto di Sesto. È medico e filosofo, vive nella seconda metà del II secolo ed è un autore prolifico. Delle sue opere possediamo la totalità degli Schizzi Pirroniani (PH) e un gruppo di 11 libri raggruppati sotto l’appellativo di Contro i matematici (M). PH è un resoconto del pirronismo in tre libri. Il primo libro (PH I) contiene una descrizione dello scetticismo: che cosa è, come lo si pratica, qual è il suo fine, in che cosa si distingue da scuole dogmatiche apparentemente affini. Il secondo e terzo libro contengono una critica sistematica delle principali tesi sostenute dai dogmatici nei tre ambiti in cui la filosofia era divisa: logica (PH II), fisica ed etica (PH III). M contiene l’attacco di Sesto contro tutte le scienze e si compone di due opere distinte. La prima è costituita dai libri VII-XI, in cui Sesto attacca le tre parti della filosofia (logica: M VII e VIII; fisica: M IX e X; etica: M XI). Questi libri si presentano come versioni ampliate di PH II e III. La seconda opera è costituita da M I-VI, una serie di saggi contro alcune scienze particolari: grammatica (M I), retorica (M II), geometria (M III), aritmetica (M IV), teoria musicale (M V), astrologia (M VI). In tutti e tre i lavori Sesto spesso assembla e sistematizza materiale preesistente, attingendo – e talora copiando – da fonti pirroniane antecedenti.
Sesto presenta lo scetticismo come una posizione filosofica che determina un certo modo di vivere. Il filosofo scettico, come quello dogmatico e accademico, conduce indagini; le indagini dello scettico però non conseguono alcun risultato (PH I 2-4). Il pirroniano infatti, nell’investigare, esercita una capacità che gli è propria: quella di opporre gli oggetti della percezione sensoriale e gli oggetti del pensiero in qualsivoglia maniera, una capacità grazie alla quale, in virtù della equipollenza degli oggetti e dei discorsi contrapposti, egli accede dapprima alla sospensione del giudizio, e quindi alla tranquillità (PH I 8). Lo scettico inizia l’indagine ponendo una questione (“Esiste la Provvidenza?”) che esige una risposta affermativa o negativa. Ricercatore scrupoloso e talentuoso, egli accumula tutte le ragioni a sostegno dell’una e dell’altra risposta e, dopo averle esaminate, non è in grado di preferire le une alle altre. Perciò si trova nell’incapacità di dare una risposta alla domanda che si era posto; ciò causa uno stato di tranquillità.
La caratterizzazione sestana dello scettico pirroniano ha alimentato un ampio dibattito; qui di seguito ci soffermeremo sul dominio della sospensione del giudizio, sulla possibilità di agire e sull’uso scettico del linguaggio. A proposito di quali proposizioni lo scettico di Sesto sospende il giudizio? A questa domanda sono state date due risposte rivali principali. Alcuni interpreti hanno suggerito che lo scettico sospenda il giudizio a proposito di qualsiasi questione, e che non possieda alcuna credenza. Altri hanno suggerito che lo scettico sospenda il suo giudizio solo a proposito delle tesi scientifico-filosofiche sostenute dai dogmatici e che sia libero di possedere credenze ordinarie. La questione, determinata in parte dal fatto che Sesto assembla materiale scettico di epoca e matrice differente, ha dato luogo ad un dibattito teorico molto profondo, imperniato sul quesito se un individuo che sospende il giudizio su determinate questioni (quali l’esistenza del criterio di verità) possa possedere una qualche credenza.
Anche Sesto, come già gli accademici, affronta l’obiezione dogmatica di inattività (M XI 162-167). Le azioni umane sono spiegate caratteristicamente in termini di credenze e desideri dell’agente. Lo scettico non possiede credenze; dunque non può agire. Nel presentare il criterio d’azione scettico (PH I 23-24), Sesto replica fornendo gli explanantia che possiamo usare per spiegare le azioni dello scettico in assenza di credenze: le sue impressioni, le sue abitudini fondate sul rispetto di leggi e costumi, le sue abilità. Tratto notevole della replica è che essa ambisce a spiegare non solo il singolo atto eseguito dallo scettico, ma il fatto che egli eserciti attività regolari e che sia coinvolto in pratiche sociali.
Di particolare interesse e originalità sono le considerazioni sestane sul comportamento linguistico dello scettico (PH I 187-209 e passi paralleli). Benché lo scettico proferisca frasi dalla forma grammaticale dichiarativa (x è F), egli le usa in modo catacrestico, ossia per significare non uno stato di cose esterno al parlante (il fatto che x è F), ma uno stato psicologico del parlante (il fatto che x gli appaia F). Le frasi scettiche manifestano affezioni e impressioni che subisce colui che le proferisce, quando le proferisce. È stato suggerito che queste osservazioni costituiscono una risposta ad una implicita obiezione dogmatica, stando alla quale lo scettico, nel proferire frasi di forma dichiarativa, ne affermerebbe il contenuto, manifestando di crederlo vero. Tale risposta consiste nel precisare che le frasi scettiche non sono affermazioni (e quindi manifestazioni di credenze) ma pure manifestazioni di affezioni, alla stregua di grida. È stato inoltre sottolineato come Sesto riconosca che lo scettico può comprendere le tesi e le nozioni dogmatiche (PH II 1-10), e come egli accarezzi l’idea che lo scettico possa padroneggiare le espressioni di una lingua seguendo l’uso che ne fanno i suoi interlocutori diretti (M I).
Lo scetticismo greco non muore con Sesto: nel IV secolo Gregorio Nazianzeno e Giuliano l’Apostata, su fronti opposti, mettono in guardia contro quel morbo dell’anima vile e maligno che è il pirronismo. Ma, per quanto letta, l’opera sestana non è largamente conosciuta nella tarda antichità. È solo a 14 secoli dalla morte di Sesto che la sua opera e il suo pensiero tornano alla ribalta della scena filosofica. Nel 1562 Henri Étienne (alias Stephanus) pubblica gli Schizzi Pirroniani tradotti in latino – la lingua internazionale dell’epoca. Il libro sestano, sino ad allora oscuro, diviene rapidamente il testo filosofico dell’epoca. Esso viene letto da Montaigne e ne permea l’opera. Lo scetticismo greco giunge quindi sino a Descartes, influenzando in modo determinante lo sviluppo dell’epistemologia moderna.