scevà
Scevà (adattamento italiano di Schwa, trascrizione tedesca del termine grammaticale ebraico shĕvā /ʃəˈwa/, che può essere tradotto con «insignificante», «zero» o «nulla») è il nome di un simbolo grafico (meglio, di un segno paragrafematico) ebraico costituito da due puntini [:] posti sotto un grafema normalmente consonantico, per indicare l’assenza di vocale seguente o la presenza di una vocale senza qualità e senza quantità, quindi di grado ridotto.
Lo scevà è un suono vocalico neutro, non arrotondato, senza accento o tono, di scarsa sonorità (➔ vocali); spesso, ma non necessariamente, una vocale media-centrale. È trascritto con il simbolo IPA /ə/ (➔ alfabeto fonetico) e nel quadrilatero vocalico ha una posizione centrale.
Lo scevà è molto comune nelle lingue del mondo, come allofono (➔ allofoni) di fonemi vocalici atoni, soprattutto in fine di parola.
In inglese è la vocale protonica (➔ protonica, posizione). In francese è prodotta con un leggero arrotondamento delle labbra e risulta essere meno centrale ma comunque sempre atona: fenêtre «finestra» si pronuncia isolatamente [fəˈnɛːtr] ma nel parlato veloce può anche diventare [fnɛːtr], anche se fonologicamente il nesso /fn/ non è accettato in francese. Ciò vale anche per il nesso /ʃt/ e la pronuncia di jeton «gettone» [ʃəˈtɔ̃] o [ʒəˈtɔ̃] che nel parlato veloce diventa [ʃtɔ̃]. È atono anche nell’albanese dell’Italia meridionale (➔ albanese, comunità), per es. nella stessa parola arbëreshë «albanese», che si pronuncia [arˈbəreʃ].
In alcuni casi lo scevà può anche essere vocale tonica. In bulgaro e in afrikaans possono trovarsi scevà tonici (accentati), mentre in inglese bird «uccello» ha pronunce come [bəːd] con nucleo sillabico lungo e centrale [ə], ma anche pronunce come [bɜːd], con vocale centrale semibassa.
Foneticamente, lo scevà è il risultato di un ➔ indebolimento dell’articolazione di vocali (sia anteriori sia posteriori), che in posizione atona sono articolate più centralmente rispetto al loro target naturale (➔ fonetica articolatoria, nozioni e termini di). Articolatoriamente si tratta di vocali non completamente realizzate e prodotte con un grado di apertura intermedio, con la lingua in posizione centrale e dalla qualità indistinta.
Fonologicamente tale indebolimento può essere considerato una riduzione qualitativa della vocale nel suo passaggio da tonica ad atona. Il processo di riduzione vocalica è uno tra più diffusi al mondo e si realizza in molte lingue, come catalano, portoghese, inglese, tedesco e neerlandese (Nespor 1993: 92).
In italiano lo scevà non è presente come fonema (avendo l’italiano standard solo vocali distinte e nette), ma solo come variante libera, o in alcuni casi contestuale (➔ allofoni), di quasi tutte le vocali.
Lo scevà appare invece in diversi dialetti del Centro e del Sud d’Italia. In alcuni dialetti, come quelli di Napoli (➔ Napoli, italiano di) e Bari, la riduzione a scevà delle vocali finali neutralizza opposizioni flessive o distinzioni morfologiche (Loporcaro 2009: 124).
Ad es., a Molfetta (Bari) la differenza tra alcune opposizioni, a causa di una riduzione a scevà della vocale finale, si riconosce solo dall’articolo: [rəˈfːuekə] «il fuoco» e [uˈfuekə] «il focolare»; [rəˈvelə] «il velame» contro [uˈvelə] «il velo» (Merlo 1917a: 91). Nel dialetto di Trebisacce (Cosenza) il plurale è segnalato solo dalla vocale tonica interna che ha subito un processo di ➔ metafonia: /neˈpote/ «nipote» è foneticamente [neˈpotɘ], mentre /neˈputi/ «nipoti» diventa [neˈputə], sicché il plurale è riconoscibile solo grazie alla vocale tonica interna (Romito et al. 1997 e 2006; Romito & Gagliardi 2009; Loporcaro et al. 1998). In altri dialetti la differenza è segnalata dal ➔ raddoppiamento sintattico: ad es., in napol. [o ˈvriːtɘ] è «il (pezzo di) vetro», mentre [o ˈbːriːtɘ] con raddoppiamento di /v/ e rafforzamento in [bː] è «il vetro (come materiale)» (Merlo 1917b: 105-111) (➔ neutro; ➔ massa, nomi di).
La riduzione a scevà del vocalismo finale atono è criterio fondamentale di alcune delle principali isoglosse (➔ isoglossa) usate per classificare i ➔ dialetti italiani. Tutti i dialetti alto-meridionali sono infatti caratterizzati dalla neutralizzazione delle qualità vocaliche e dalla riduzione in scevà delle vocali finali o intermedie.
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