SCHIAVI d'ABRUZZO
'ABRUZZO Centro in provincia di Chieti a m 1172 s.l.m., posto alla base di monte Pizzuto, alla sinistra del fiume Trigno, che separa l'Abruzzo dal Molise.
In assenza di altre fonti, le epigrafi, rinvenute in diverse località (contrada Torre, badia di Valle Rotana, Cannavina, contrada Casali), pur nei limiti dovuti al fatto che sono esclusivamente funerarie e per la maggior parte del II sec. d.C., costituiscono l'unica documentazione della vita amministrativa e politica del territorio di Schiavi.
L'iscrizione alla tribù Voltinia permette di attribuire al Sannio Pentro il territorio di S., la cui dipendenza amministrativa dal municipio duovirale di Terventum (attuale Trivento) e non da quello di Bovianum Vetus, come sosteneva il Mommsen, è provata dal rinvenimento di due epigrafi nel 1952 e nel 1960, nelle località Casali e Cannavina, nella prima delle quali si legge la dedica a Q. Pontius Pudens, sevir augustalis a Terventum.
Notizie raccolte intorno agli anni '40 da studiosi locali (Zecca, Scenna, Tredicine) aggiungono rinvenimenti di tombe anche in altre località: a Fonte del Gesù e nelle contrade Pesco e Taverna. In quest'ultima, infatti, sono tuttora visibili, reimpiegate in casolari, parti di fregio a decorazione fitomorfa, provenienti da un monumento funerario a pianta circolare.
Dalla vicinanza tra le località di rinvenimento (Torre, Cannavina, Casali, Fonte del Gesù, Pesco, Taverna) sembra si possa ipotizzare un'estesa necropoli, relativa al vicus celeber del Mommsen, associata a gruppi di tombe da riferirsi a ville.
In contrada Taverna, all'interno di una casa colonica, si conservano ancora lacerti di pavimenti in opus spicatum, relativi a una villa romana, non molto lontano da contrada Canale, dove nel 1908 si rinvenne un acquedotto in muratura; anch'esso di epoca romana.
Il monumento sicuramente più rappresentativo del territorio schiavese è il santuario italico in località Colle della Torre, a pochi chilometri dal centro abitato, a m 894 s.l.m.
Risalgono al 1857 le prime notizie riguardanti tale località, ma soltanto nel 1937 si liberò dalla frana il podio di un tempio, a Ν del quale si recuperarono delle terrecotte architettoniche; la Soprintendenza Archeologica dell'Abruzzo, dopo aver eseguito lavori di scavo e di restauro dal 1964 al 1974, negli anni 1994 e 1995 ha ripreso le indagini archeologiche nel sito.
Il santuario presenta due grandi fasi edilizie: alla prima, da porsi alla fine del III o agli inizî del II sec. a.C., appartiene l'impianto con la creazione del terrazzo, sostenuto da un poderoso muro in opera quadrata, che costituisce l'area sacra, pavimentata con lastre rettangolari di arenaria grigia, al centro della quale fu innalzato, con orientamento a SE, il tempio maggiore; alla seconda fase, risalente agli inizî del I sec. a.C., è da riferirsi una ristrutturazione che ha comportato l'ampiamento dell'area sacra, con conseguente innalzamento del livello pavimentale, per la costruzione di un secondo tempio con relativo altare.
Del tempio «maggiore» resta il podio (21 X 11 X 1,79 m) nel quale è incassata l'ampia gradinata di accesso. Nelle lastre di pavimentazione del pronao si distinguono le imposte delle quattro colonne frontali e delle due laterali, corrispondenti alle ante della cella, che è quasi quadrata (7,33 X 6,73 m); le colonne, di cui sono visibili gli elementi sistemati nell'area archeologica, si componevano di una base, cui seguiva il fusto liscio, concluso da un capitello ionico schematico, a quattro facce (non finito).
Il podio presenta il tipico rivestimento con cornici modanate a gola rovescia, fortemente aggettanti rispetto alle pareti verticali a grandi lastre rettangolari accostate.
Potrebbero essere attribuite a questo tempio le terrecotte costituenti il fregio dorico, nel quale ai triglifi si alternavano metope con protome bovina e con elemento vegetale a doppio rosone.
Il confronto tipologico con il tempio ionico di Pietrabbondante e con il tempio di Quadri, per quanto attiene rispettivamente ai capitelli e al podio, consente di riconoscere nel tempio maggiore di S. caratteristiche di tradizione ellenistica, mediate dall'ambiente campano e recepite in territorio sannitico, quando i mercatores italici investirono in opere pubbliche.
Tra il 90 e l'88 a.C. si potenziò il santuario con la costruzione di un secondo tempio, a pianta rettangolare (7,40 X 13,30 m). Questo, affiancato al primo con il medesimo orientamento, privo di podio, presenta il pronao con pavimento in opus spicatum e quattro colonne in laterizio sulla fronte; mentre la cella unica, sopraelevata, con murature un tempo intonacate, ha il pavimento in signino rosso, decorato da tessere bianche che formano losanghe, inquadrate da tre tappeti che delimitano i resti in muratura del basamento relativo alla statua di culto. Presso la soglia campeggia l'iscrizione a tessere bianche in lingua osca, che insieme al nome del magistrato eponimo Ni. Dekitiis Mi. fornisce il nome del costruttore G. Paapiis Mitileis.
Questo intervento risulta, dunque, contemporaneo alla costruzione del tempio Β di Pietrabbondante, cui del resto riconduce il motivo decorativo delle lastre di rivestimento architettonico, pur nella variante a quattro teste entro elementi vegetali.
Le recenti indagini archeologiche hanno consentito di riportare alla luce l'altare antistante al tempio minore, rispetto al quale risulta disposto longitudinalmente. Costruito in muratura, originariamente era rivestito da intonaco dipinto e protetto da una copertura lignea sostenuta agli angoli da quattro colonne in calcare tenero fossilifero, con fusti lisci poggianti su plinti quadrangolari e con capitelli dorici.
Potrebbe riferirsi alla copertura dell'altare, considerate le sue modeste dimensioni, l'antefìssa con la pòtnia theròn rinvenuta in stratigrafia rovesciata insieme ad alcuni coppi con bollo osco.
L'antefìssa con l'Artemide persiana dal lungo chitone che aprendosi lascia scoperta la gamba destra, non trova puntuali confronti tipologici; già nota a S., era stata erroneamente attribuita al tempio maggiore nella ricostruzione un tempo esposta nel Museo Archeologico Nazionale di Chieti.
La sistemazione dell'altare, di poco successiva alla costruzione del tempio minore, ha obliterato un battuto realizzato su uno strato di livellamento, costituito da balsamarî e terrecotte architettoniche, alcune relative a un fastigio traforato, altre caratterizzate da un'esuberante decorazione fitomorfa, lavorata a stecca e applicata a lastre ottenute a matrice; a queste potrebbero appartenere i resti di due figure nude maschili e di un animale. L'esiguità della stratigrafia conservata da sterri precedenti non consente di formulare ipotesi circa la destinazione originaria di tali terrecotte.
Il recente rinvenimento tra le lastre di pavimentazione del pronao del tempio maggiore di 17 monete, distribuite in un arco cronologico compreso tra il 217 a.C. e il 253 d.C., testimonia che il periodo di vita di questo edificio è coerente con la datazione del materiale presente nella stipe votiva.
La stipe, rinvenuta nel 1971, si caratterizza soprattutto per la singolarità delle statuette votive dall'aspetto grottesco e caricaturale, ottenute al tornio in botteghe di modesti vasai locali. La frequentazione, anche se sporadica, del santuario di S. è attestata fino al IV sec. d.C. dall'uso rituale dell'altare antistante al tempio minore che, sepolto da una frana nella metà del II sec. d.C., fu ristrutturato in maniera del tutto precaria.
La rioccupazione del sito in epoca medievale è comprovata sia dal rinvenimento di sepolture prive di corredo, sia dall'identificazione di una torre, da cui deriva il nome della località. La torre, che utilizza come parete frontale un tratto del muro di terrazzamento nel quale si aprono una finestra e l'ingresso, costruita con materiale di spoglio, fra cui un capitello, crollò dopo la metà del sec. XIV, quando probabilmente fu abbandonato l'abitato medievale in seguito a una frana che investì l'area.
La novità più rilevante dell'ultima campagna di scavo è costituita dall'individuazione di un luogo di culto, posto a E e a valle del santuario già noto, dal quale dista 120 m circa.
Si tratta di una stipe votiva che, trovata sigillata da un enorme masso, è collocata alle spalle di un tratto di muratura a blocchi calcarei squadrati, a valle del quale si è localizzato il crollo relativo a un probabile tempio.
Per una prima determinazione del periodo di vita di questo luogo di culto, dal IV sec. a.C. alla guerra sociale, è stato fondamentale il recupero di un consistente numero di monete dallo scavo, appena iniziato, della stipe.
A pochi metri di distanza sono state rinvenute alcune tombe a cappuccina, di età imperiale, relative alla necropoli, da cui provengono le epigrafi ritrovate nel secolo scorso.
Infine una ricognizione effettuata di recente nel territorio di S. ha permesso di riconoscere a Colle Casacco un sito incastellato nell'XI sec. e a Piana S. Silvestro un insediamento che dall'epoca preromana arriva fino al periodo medievale. In entrambi i siti è inoltre attestata una frequentazione preistorica; frequentazioni risalenti al Bronzo Recente e al Bronzo Finale sono state riscontrate rispettivamente in località Badia e a Monte Pizzuto.
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