schivo (schifo)
L'aggettivo ricorre quattro volte nella Commedia, col valore di " ritroso ", " restio ", " che rifugge da qualcosa ": l'alternanza fra le due forme è sempre determinata dalla rima. Indica un movimento spontaneo di paura (per l'orrore del luogo), in If XII 3 Era lo loco ov' a scender la riva / venimmo, alpestro e, per quel che v'er' anco, / tal, ch'ogne vista ne sarebbe schiva, cioè " ritrosa " ad affisarcisi.
Analogo è il caso di Pg XXVI 45, detto di due gruppi di gru, queste del gel, quelle del sole schife (" perché Dante suole rappresentar gli animali quasi dotati d'intelligenza umana ", Torraca, in Lett. dant. 1192); mentre vi sarà un'idea di dispregio in If XXVI 74 Lascia parlare a me, ch'i' ho concetto / ciò che tu vuoi; ch'e i [Ulisse e Diomede] sarebbero schivi, / perch' e' fuor greci, forse del tuo detto, cioè " non degnerebbero forse di ascoltarti e di risponderti " (Sapegno). Infine in Pg II 72 di calcar nessun si mostra schivo, è una litote per dire che ognuno " corre a ragunarsi " (Landino).
Valore aggettivale (più che nominale) schifo avrà anche in Detto 296 (in rima equivoca con la forma verbale omofona), con funzione predicativa: io ciascuno schifo / che di me si fa schifo, cioè " che rifugge da me ".