Schizofrenia
Il termine schizofrenia (dal tedesco Schizophrenie) indica una psicosi dissociativa caratterizzata da un processo di disgregazione della personalità psichica; si manifesta con gravi disturbi dell'attività affettiva e del comportamento.
Vi è una certa concordanza di dati che indicano, nella neurobiologia della schizofrenia, un danno costituzionale sia al livello del sistema limbico, in particolare nell'ippocampo, sia a quello della corteccia prefrontale. Sin dagli anni Sessanta del 20° secolo, infatti, studi elettroencefalografici di pazienti schizofrenici hanno mostrato anomalie dei tracciati al livello dell'ippocampo rispetto a controlli nei soggetti sani. Le anomalie si accentuano nel corso delle fasi acute e diminuiscono in quelle intercritiche; sono accentuate dalla dietilammide dell'acido lisergico (LSD, Lysergic acid diethilamide), mentre i neurolettici le fanno scomparire (Heath-Mikle 1960).
Dal punto di vista recettoriale, l'attuale modello interpretativo dopaminergico della schizofrenia (Weinberger 1987; Davis et al. 1991) spiega l'efficacia dei neurolettici nel controllare la sintomatologia psicotica, ipotizzando un'iperattività dopaminergica a livello mesolimbico, che risulta responsabile dei sintomi positivi della schizofrenia, e parallelamente un'ipoattività mesocorticale, alla quale si possono imputare invece i sintomi negativi della malattia (ipofrontalità). Dal punto di vista neuroanatomico, varie pubblicazioni documentano post mortem modificazioni strutturali nell'organizzazione, nel numero e nella morfologia dei neuroni (immaturi, embrionali, a fuso) nell'ippocampo e nella corteccia entorinale di pazienti schizofrenici. Alcune ricerche correlano i disturbi morfologici alla sintomatologia schizofrenica, specificamente all'elaborazione di differenti modalità sensoriali e al loro collegamento con le emozioni. La risonanza magnetica (RM) mostra immagini di riduzioni di volume dell'ippocampo. In particolare D.R. Weinberger (1987) ha riscontrato che pazienti schizofrenici, le cui strutture dell'ippocampo sono più piccole, presentano un deficit del flusso ematico della corteccia prefrontale.
P.D. MacLean (1973) è stato il primo autore a chiarire le funzioni dell'ippocampo in cui avverrebbe una distinzione poco netta tra ciò che è esterno al Sé e ciò che è interno. Secondo MacLean (v. anche affettività), alla base dell'esperienza emotiva vi sarebbe una sinestesia delle varie modalità sensoriali, che egli, sin dal 1949, aveva spiegato mediante le molteplici connessioni tra le varie regioni del sistema limbico e tra queste e l'ipotalamo. In particolare l'ippocampo rappresenterebbe una sorta di analizzatore che astrae dai particolari delle esperienze sensoriali categorie comuni, ponendole in rapporto tra loro nell'esperienza dell'emozione. Nell'uomo, l'ippocampo, incapace di analizzare il linguaggio verbale, sarebbe in grado di entrare a far parte della creazione di un simbolismo preverbale profondamente associato alle emozioni in cui, per es., la percezione di rosso non è concettualizzata ma associata a percezioni emotive come sangue, lotta, papaveri ecc. Una grande quantità di elementi della realtà, che all'analisi intellettuale appaiono distinti, sono fusi insieme a livello limbico.
Numerosi altri autori hanno successivamente riconosciuto che la funzione di integrazione, associazione ed elaborazione di differenti modalità sensoriali è, assieme al coordinamento di attività emotive e cognitive, una delle principali del sistema limbico e della corteccia entorinale dell'ippocampo. R.E. Cytowic (1988), che ha sviluppato le teorie di MacLean, ritiene che il sistema limbico, e in modo specifico l'ippocampo, sia il substrato anatomico della sinestesia che egli definisce come una condizione ove la stimolazione di un senso produce una percezione involontaria in un altro senso. Le sinestesie rappresentano per Cytowic dei preoggetti, meccanismi preliminari necessari per i processi cognitivi; nell'elaborazione sensoriale interviene, accanto a un sistema specifico corticale che effettua la differenziazione sensoriale analiticamente, un sistema aspecifico ippocampale che elabora gli impulsi sensoriali in modo sincretico attraverso corrispondenze sensoriali e sinestesie. La struttura responsabile della differenziazione sensoriale analitica sembra essere la corteccia prefrontale che, strettamente connessa con l'ippocampo, con un gioco di inibizioni e facilitazioni sinaptiche, discrimina le informazioni sensoriali amplificando l'informazione trasmessa da uno specifico canale.
Gli aspetti di neurofisiologia della convergenza sensoriale sinestesica e della divergenza e differenziazione sensoriale mostrano un punto di collegamento con la comprensione psicodinamica della schizofrenia quale espressione di un conflitto tra simbiosi e separazione. Avanziamo anzitutto l'ipotesi che l'esperienza emotiva simbiotica del bimbo con l'ambiente, poggiante sul substrato dell'identificazione del bimbo con la madre, corrisponda a una reciproca identificazione intrapsichica tra percezioni sensoriali (per cui, per es., la percezione di un colore viene identificata con la percezione di un suono.) Si tratterebbe di un modello di percezione fusionale interno, sul quale si fondano le sinestesie, che verrebbe ad attivarsi nel rapporto di identificazione con la madre-ambiente.
Questa ipotesi concorda con le osservazioni degli psicologi dell'evoluzione, secondo i quali le sinestesie, caratterizzate dal trasferimento di informazioni affettive e cognitive da un canale sensoriale all'altro, sono particolarmente in atto nei bimbi nei primi 15 mesi di vita. Specificamente sono state dimostrate sinestesie audiovisive (Lewkowicz-Turkewitz 1980) e sinestesie visivo-tattili (Meltzoff-Borton 1979) già in bambini di 3 settimane di vita. Nel 1971, presso il New York State psychiatric institute, in collaborazione con il National institute of mental health di Washington, è stato avviato, sotto la direzione di L. Erlenmeyer-Kimling, il New York high risk project (Erlenmeyer-Kimling 1976). Lo studio, condotto su 250 bambini ad alto rischio di schizofrenia, ha mostrato che effettivamente disturbi cognitivi del pensiero simbolico, del linguaggio verbale e dell'attenzione esistono molto prima della comparsa delle manifestazioni cliniche della malattia nei bambini destinati a divenire schizofrenici. Tutto questo veniva rilevato, oltre che da una serie di test clinici che deviavano dalla norma, dai tracciati elettroencefalografici dei potenziali evocati uditivi e visivi che risultavano ridotti nell'ampiezza e nella latenza. Le alterazioni dei potenziali evocati uditivi (onda P300) e visivi (onda N100) documentano la difficoltà di elaborare e organizzare gli stimoli presentati attraverso differenti modalità sensoriali (disturbo dell'information processing). I risultati del New York high risk project sono stati poi confermati da altri studi condotti su bambini ad alto rischio di schizofrenia e su adulti schizofrenici, che hanno documentato disturbi dell'elaborazione delle informazioni in schizofrenici, registrando alterazioni della reattività dell'elettroencefalogramma (con presenza di un incremento anormale di ritmo ϑ) in risposta a informazioni sensoriali visive, acustico-sonore e verbali. Successivamente la ricerca ha sviluppato ulteriori indagini sui bambini ad alto rischio, osservando anche le interazioni con l'ambiente familiare.
Una serie di ricerche condotte da S.I. Greenspan e S.W. Porges (1984) ha avuto come oggetto neonati che sin dai primi giorni di vita presentavano difficoltà a organizzare l'esperienza uditiva; in particolare venivano studiati i loro rapporti con l'ambiente familiare. Queste analisi hanno messo in evidenza che le rappresentazioni e i simboli mentali sono immagini non solo visive, ma anche multisensoriali, emotive e interattive, giungendo alla conclusione che nessuna modalità sensoriale è d'importanza critica per costruire rappresentazioni mentali. Per es. l'input uditivo non è necessario per costruire simboli, che possono essere costituiti anche partendo da input visivi e tattili. Le ricerche summenzionate hanno permesso d'identificare due gruppi di genitori che si distinguevano sulla base delle loro risposte ai deficit dei bambini ad alto rischio.
Un primo gruppo costituiva un ambiente familiare ansiogeno e si caratterizzava per tre elementi costanti: 1) ansia e angoscia per il deficit del bambino; 2) tendenza a parlare al bambino sempre più velocemente e con toni di voce sempre più alti, con una sovrastimolazione del suo canale uditivo deficitario; 3) conseguente confusione dei significati delle comunicazioni e incapacità del bambino di riconoscere le comunicazioni affettive non identificate nei ritmi e nei suoni delle vocalizzazioni; i bambini sviluppavano così, accanto all'incapacità di organizzare l'esperienza uditiva, anche una reazione di paura nei riguardi dell'ambiente familiare e umano in generale, tendevano a isolarsi e pare sviluppare disturbi dello spettro schizofrenico e autismo infantile. In contrasto con l'ambiente familiare ad alto rischio, vi era un secondo gruppo di genitori, definito 'ambiente familiare intuitivamente dotato', che rispondeva meglio ai bisogni dei bambini con difficoltà a organizzare l'esperienza uditiva. Tali genitori aiutavano i loro figli riducendo l'intensità di stimolazione del canale sensoriale uditivo e stimolando, per converso, le modalità sensoriali intatte (per es., la vista, il tatto, l'olfatto, la propriocezione). I bambini, pur essendo ad alto rischio, imparavano a riconoscere i significati delle comunicazioni affettive, avevano accesso alla fase simbolica, non si ritiravano dall'ambiente sociale e non sviluppavano disturbi del pensiero di tipo schizofrenico, né autismo infantile. Le conclusioni dei lavori di cui si è detto consentono di estendere ai bambini ad alto rischio di sviluppare disturbi mentali gravi le conoscenze ormai acquisite riguardo ai bambini sordi o ciechi. Prima che la sordità fosse precocemente diagnosticabile, molti bambini sordi sembravano autistici e cognitivamente ritardati. La diagnosi precoce di sordità ha portato all'introduzione di input sensoriali attraverso le modalità intatte, quella visiva, tattile e olfattiva. Con queste esperienze compensative i bambini sordi progrediscono bene dal punto di vista sia cognitivo sia emotivo senza sviluppare autismo o sintomi di tipo schizofrenico.
Una conferma clinica delle osservazioni sopra citate è emersa da una ricerca (Benedetti-Peciccia 1996) condotta per dieci anni, dal 1986 al 1996, con dieci pazienti schizofrenici, dalla Clinica psichiatrica dell'Università di Perugia in collaborazione con l'Università di Basilea. In questo studio si è adottata una metodologia denominata 'disegno speculare progressivo terapeutico', che prevedeva incontri di psicoterapia individuale rispondenti al bisogno dei pazienti di comunicare con i canali sensoriali non danneggiati, utilizzando particolarmente la vista e una modalità integrativa di vista e tatto; in questo metodo, la comunicazione tramite il canale uditivo-verbale è stata particolarmente semplificata e rallentata; sono stati usati toni calmi e bassi e sono sempre stati trasmessi affetti positivi. I risultati principali della ricerca sono stati i seguenti: i pazienti miglioravano significativamente la loro comunicazione uditivo-verbale quando, attraverso la stimolazione integrata di tatto e vista, riconoscevano nei disegni, in maniera costante, un segno chiaramente identificabile della comunicazione affettiva con il terapeuta. Successivamente i pazienti hanno stabilito un rapporto di fiducia con il terapeuta stesso diminuendo la paura degli altri esseri umani, recuperando le capacità di comunicazione verbale e riducendo la loro tendenza a isolarsi. Ciò ha aperto la possibilità di interventi riabilitativi, psicoterapeutici verbali e psicosociali che hanno condotto i pazienti seguiti alla dimissione dall'ospedale.
Le conclusioni tratte dalla ricerca sono in linea con le osservazioni di Greenspan e Porges e le estendono dall'ambito del bambino ad alto rischio a quello di adulti schizofrenici con disturbi del linguaggio verbale. Il lavoro apre il campo della ricerca sull'integrazione sensoriale e dell'utilizzo di tecnologie multimediali e tecnologie di ambiente virtuale per verificare e dimostrare se l'aumento delle possibilità tecnologiche d'integrazione e stimolazione dei canali sensoriali si rifletta in una significativa diminuzione dei tempi di recupero della comunicazione verbale, dei valori indici di psicopatologia schizofrenica, della durata e dei costi di ospedalizzazione.
Una prima caratteristica del vissuto corporeo nello schizofrenico, speculare alle trasformazioni dell'Io, è la progressiva incapacità del paziente di percepire i limiti tra il proprio corpo e gli oggetti e di differenziarsi da questi e quindi dall'ambiente. Tale confusione è uno dei vissuti più gravi, veramente drammatici, della schizofrenia. Il malato dice allo psicoterapeuta, per es., che non riesce a distinguersi né dalla camera ove ha luogo la seduta di psicoterapia o dal terapeuta, che in certi momenti sembra 'fondersi' con lui, né dalle rappresentazioni del suo passato corporeo, per cui l'Io percepisce il Sé bambino entro il Sé adulto. Parti del suo corpo si diramano avviluppandosi alle cose, proprio come in certi disegni di pazienti schizofrenici. Questa continua confusione corporea è un modo di percepire nello specchio del corpo quella grave perdita di limiti, di strutture, di confini, che devasta l'intero Io schizofrenico, gli rende impossibile la distinzione tra percezioni ed emozioni, ricordi e sensazioni corporee presenti, simboli e cose reali, concetti e cenestesie, immagini eguali e simili.
Tutta questa vasta disorganizzazione è radicata nella perdita dei confini e delle strutture dell'Io, nella frammentazione delle parti e nella disorganizzazione delle funzioni e viene percepita anzitutto attraverso il vissuto del corpo: le ossa vengono frantumate, la pelle fatta a brandelli, ustionata con ferri roventi, il viso viene strappato, il paziente esiste senza viso ecc. In alcuni casi, questi vissuti iniziano nel sogno per continuare poi nella veglia. Oltre alle sensazioni cenestesiche o tattili intervengono anche quelle uditive: l'infermo lamenta, per es., un forte rumore, con la sensazione che qualcosa al suo interno si sfasci.
Un altro vissuto tipico dello schizofrenico, quello di essere ridotto a un automa, di essere privo, cioè, di ogni libertà, può essere avvertito a livello corporeo. Il paziente può dire, per es., che esistono degli esseri onnipotenti, i quali 'infiggono spilli nei suoi muscoli e con atroci dolori regolano elettricamente ogni suo movimento'. Anche il vissuto di spersonalizzazione può tradursi nella sensazione che una parte del corpo, per es. un arto, non appartenga più al paziente, ma costituisca un corpo estraneo. In queste situazioni le alternative possibili sono: vivere in un corpo che è solo corpo e null'altro, quindi nell'isolamento e nell'angoscia di morte; oppure cercare di creare ex novo un'esperienza che si sarebbe dovuta formare nell'infanzia nella cornice protettiva della simbiosi materna. L'oscillazione cui può andare incontro il paziente lo porta o a vivere nella concretezza e materialità di un corpo che lo estrania totalmente dal mondo, oppure a tentare di uscirne per identificarsi con qualcun'altro o qualcos'altro; in questo secondo caso, tuttavia, si annulla, perché non c'è nessuno e niente che possa restituirgli, dopo averlo contenuto, sé stesso, e sia quindi in grado di completare l'esperienza che egli va disperatamente cercando.
L'oscillazione tra l'autismo radicale e il perdersi nell'altro può essere fonte di tre tipi di angosce: 1) quella di essere pietrificato (il macigno, la pietra nel petto del paziente che non può uscire da sé stesso e si pietrifica per l'assenza di contatti); 2) quella di non esistenza quando si è persi, annullati, scomparsi all'esterno; 3) quella persecutoria (in particolare, il timore di essere ucciso) provocata dalle emozioni che tendono a portare il Sé dallo stato di separazione autistica allo stato di simbiosi, e viceversa, dallo stato di simbiosi allo stato di separazione. Ciò è dovuto alla non integrazione di questi due stati del Sé e all'alienazione di un stato rispetto all'altro.
Le ricerche summenzionate (Benedetti-Peciccia 1996), di natura clinica, dischiudono il livello di concettualizzazione psicodinamica. Il modello di riferimento della terapia a integrazione sensoriale si fonda sull'ipotesi di una scissione tra Sé simbiotico e Sé separato del paziente, per cui questi nuclei del Sé scissi si frammentano reciprocamente dando origine alla sintomatologia delirante e autistica. Da un punto di vista psicogenetico, questa scissione avrebbe origini precoci collocabili nei primi mesi di sviluppo del bambino. Secondo D.N. Stern (1985), nelle primissime fasi di sviluppo infantile il senso del Sé sarebbe in uno stato dinamico fluttuante tra un'entità fusa Sé-altro e un'entità Sé-isolata. Queste entità, contemporanemente presenti, ma dissociate, non integrate, sono state osservate nell'adulto schizofrenico e sono state definite Sé simbiotico e Sé separato. La scissione Sé separato-Sé simbiotico corrisponde a una mancata integrazione tra linea di sviluppo oggettuale e linea di sviluppo narcisistica, e provoca la perdita della differenziazione tra il funzionamento dell'inconscio e del conscio che vengono a sovrapporsi.
Nella schizofrenia rappresentazioni di parole e di cose, significanti e significati, elementi visivi e acustici subiscono un processo di perdita di collegamento corrispondente alla perdita del rapporto tra contenitore simbiotico e contenuto separato. La perdita del collegamento tra rappresentazione acustica di parola e visiva di cosa si estende anche al Sé, per cui il vissuto centrale del paziente è paradossalmente un non-vissuto, una 'non-esistenza'. "Chi sono io?" si chiede il paziente che non riesce a riferire il termine 'io' alla propria immagine e al proprio schema corporeo. Nella schizofrenia, infatti, i contenuti dell'inconscio che invade la coscienza sono dissociati e frammentati, le rappresentazioni e le percezioni tattili, che fondano lo schema corporeo, sono scollegate, di qui l'incoerenza e la frammentazione di quest'ultimo. La frammentazione sembra provocata da altri contenuti dell'inconscio, da rappresentazioni di cose relative all'oggetto-Sé derivanti da una simbiosi patologica, non integrata, con l'oggetto materno.
Si ha una frammentazione reciproca tra rappresentazioni del Sé, dell'oggetto-Sé e dell'oggetto, cui corrisponde un blocco del processo primario, del libero fluire di energia psichica tra catene associative di rappresentazioni; parallelamente si nota un funzionamento anarchico delle singole pulsioni parziali che, non riuscendo a organizzarsi coerentemente sotto il primato della genitalità, tendono all'appagamento l'una indipendentemente dall'altra. La pulsione sessuale così degradata e frammentata perde la sua funzione unificante e strutturante della mente. Rientra in quest'ambito concettuale il 'disimpasto', la mancata integrazione tra pulsioni di vita e pulsioni di morte, tanto spesso evidenziata nel funzionamento dell'inconscio dello psicotico.
Nella schizofrenia c'è, dunque, una disarmonia tra il Sé separato e il Sé simbiotico del bambino: da un lato il Sé separato non riesce a stabilire costituzionalmente un'armonia tra integrazione e differenziazione sensoriale, mentre dall'altro lato un disturbato rapporto emotivo di simbiosi con la madre-ambiente non attiva i collegamenti sinestesici del Sé simbiotico. Tutto questo provocherebbe nel bimbo un esagerato bisogno di rapporto simbiotico, in quanto solamente attraverso l'identificazione speculare con la madre si attivano quelle corrispondenze emotivo-sinestesiche del Sé che sono necessarie per l'integrità psichica. L'eccessivo bisogno simbiotico non soddisfatto provoca o accentua la debolezza del Sé separato che, per un verso, non si costituisce come Sé integrato e coerente, per l'altro si perde nell'eccessivo bisogno simbiotico. Da ciò si sviluppa il contemporaneo bisogno di allontanarsi dall'altro, bisogno che si delinea in un insanabile conflitto con l'opposto, eccessivo bisogno di fondersi con l'altro.
L'abnorme identificazione simbiotica del paziente schizofrenico potrebbe avere come correlato neurofisiologico un disturbo a livello limbico-ippocampale e, conseguentemente, abnormi collegamenti sinestesici ed emotivi, mentre l'eccesso di separazione, cioè l'altro nucleo del conflitto schizofrenico, potrebbe avere come correlato neurofisiologico il deficit prefrontale, che si estrinseca clinicamente tramite la psicopatologia da chiusura autistica. Come abbiamo accennato, la funzione della corteccia prefrontale è essenzialmente deputata all'attenzione e alla discriminazione sensoriale. È noto che mediante processi di facilitazione o inibizione sinaptica la corteccia prefrontale può esaltare e focalizzare l'attenzione su una specifica informazione sensoriale inibendo altre informazioni sensoriali.
Nel corso della psicoterapia, il terapeuta usa le immagini corporee dei pazienti come simboli del loro Sé; egli parla con la 'parete inanimata', se il paziente si è identificato con essa, raccoglie i 'pezzi sparsi del corpo' nel disegno, onde creare nell'iconografia uno specchio positivizzante del vissuto psicopatologico, incoraggia il paziente, se questi crede di morire sotto il peso fantasmatico di un macigno che gli preme sul petto, a ergersi, appoggiandosi a lui. Se il corpo è 'inesistente', il paziente è invitato a distendersi, respirare profondamente, sentire sé stesso attraverso l'intensa percezione che di lui ha il terapeuta. È importante parlare con lo stesso linguaggio delirante del malato, metaforico per il terapeuta, identificandosi con il paziente fino a esperire in modo vicario i suoi stati d'animo per superarli nella percezione del proprio corpo e della dualità. Mediante tecniche particolari il paziente impara inoltre a integrare insieme nel suo schema corporeo informazioni provenienti da diversi canali sensoriali.
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