Scia
Il Governo ha dato attuazione alla delega conferitagli dalla l. 7.8.2015, n. 124 per l’individuazione e la disciplina delle attività soggette a SCIA con due decreti delegati (“SCIA1” e “SCIA2”), che, se hanno segnato un’ulteriore importante tappa nell’evoluzione dell’istituto, presentano ancora molte incoerenze e criticità e, come rilevato anche dal Consiglio di Stato in sede consultiva, lasciano aperte e gravemente irrisolte diverse rilevanti questioni interpretative.
Uno dei più importanti interventi del “pacchetto” di riforme della pubblica amministrazione avviato dalla l. n. 124/2015 (cd. “legge Madia”) è costituito dalla riscrittura della disciplina della segnalazione certificata di inizio attività (cd. SCIA), sulla quale sono significativamente intervenuti già due decreti delegati: 30.6.2016, n. 126 e 25.11.2016, n. 222).
La politica di semplificazione dell’azione amministrativa in vista di una riduzione della spesa pubblica e di una ripresa dell’economia trova invero una delle sue più importanti manifestazioni nella sostituzione di un sempre più imponente numero di provvedimenti lato sensu autorizzatori con una mera segnalazione (già denuncia e, poi, dichiarazione) di inizio dell’attività da parte dello stesso interessato, di cui la p.a. è chiamata solo a controllare ex post la coerenza con il quadro normativo. La graduale inversione di tendenza rispetto alla progressiva introduzione di strumenti di controllo preventivo sull’esercizio delle attività economiche impattanti su interessi pubblici (ambiente, governo del territorio, sanità pubblica, commercio, istruzione, ecc.), in nome delle finalità generali indicate dall’art. 41 ha trovato una forte spinta nei principi di libertà di stabilimento e di libera prestazione dei servizi all’interno dell’UE tradotti nella direttiva Bolkenstein n. 2006/123/CE (cd. direttiva servizi o direttiva).
Il nuovo modello di “controllo semplificato” dell’attività privata è stato introdotto nel testo originario dell’art. 19 della l. n. 241/1990, che, prima di estendere (art. 20) l’ambito di applicazione dell’ormai tipizzato strumento “semplificatorio” del silenzioassenso, disegnò quello, parzialmente “liberalizzatorio”, della “denuncia di inizio dell’attività” (DIA), devolvendo ad apposito regolamento governativo il compito di individuare i casi in cui, in considerazione del carattere sostanzialmente vincolato dell’atto di assenso e dell’assenza di limiti o contingenti complessivi e di rischi di pregiudizio per la tutela dei valori storicoartistici o ambientali, l’esercizio di un’attività privata, subordinato ad autorizzazione o altri atti di consenso comunque denominati, poteva essere intrapreso con mera DIA all’amministrazione competente, cui residuava il potere/dovere di «verificare d’ufficio la sussistenza dei presupposti e dei requisiti di legge richiesti e disporre, se del caso, con provvedimento motivato, il divieto di prosecuzione dell’attività e la rimozione dei suoi effetti, salvo che, ove ciò sia possibile, l’interessato non provveda a conformare alla normativa vigente detta attività ed i suoi effetti entro il termine prefissatogli»1. La l. 24.12.1993, n. 537, riscrivendo integralmente l’art. 19, riconobbe poi diretta operatività allo strumento e dispose che, ad esclusione dei casi in cui i titoli dovevano essere rilasciati previa valutazione tecnica o previo apprezzamento discrezionale (e al di fuori di peculiari materie, ritenute “sensibili”), tutte le attività già soggette al rilascio di un titolo abilitativo dovevano essere avviate su “mera” denuncia del privato (fermo restando il controllo successivo da parte dell’amministrazione, da esercitare entro 60 giorni dalla sua presentazione). Il modello, ripreso e ridefinito (per lo specifico settore) dall’art. 22 del t.u. edil.2, è andato progressivamente definendosi e rafforzandosi, modificando anche la denominazione, dapprima (l. 14.5.2005, n. 80) in quella di “dichiarazione di inizio attività” (con il medesimo acronimo DIA) e, successivamente, in quella di “segnalazione certificata di inizio attività – SCIA”. Quest’ultima modifica si deve alla l. 30.7.2010, n. 122, di conversione del d.l. 31.5.2010, n. 78, che, all’art. 49, co. 4-bis, ha integralmente sostituito il testo dell’art. 19 l. n. 241 (già sensibilmente modificato, in linea con gli obiettivi della direttiva Bolkenstein, dalla l. 18.6.2009, n. 69), con l’espressa, importante, precisazione, al co. 4-ter, che la disciplina della SCIA, direttamente sostitutiva di quella della DIA contenuta in ogni normativa statale o regionale, attiene «alla tutela della concorrenza ai sensi dell’articolo 117, secondo co., lettera e), della Costituzione, e costituisce livello essenziale delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali ai sensi della lettera m) del medesimo comma». Il comma è stato abrogato dal d.lgs. n. 126/2016, che ha trasposto nell’art. 29, co. 2-ter, l. n. 241 l’affermazione di attinenza ai l.e.p. delle disposizioni della medesima legge concernenti «la presentazione di istanze, segnalazioni e comunicazioni, la dichiarazione di inizio attività e il silenzio assenso e la conferenza di servizi».
Il co. 1 dell’art. 19, ulteriormente modificato dalle l. 12.7.2011, n. 106, 4.4.2012 n. 35 e 7.8.2012, n. 134 e rimasto inalterato nelle ultime, richiamate, riforme del 2015 e 2016, dispone dunque che «ogni atto di autorizzazione, licenza, concessione non costitutiva, permesso o nulla osta comunque denominato, comprese le domande per le iscrizioni in albi o ruoli richieste per l’esercizio di attività imprenditoriale, commerciale o artigianale il cui rilascio dipenda esclusivamente dall’accertamento dei requisiti e presupposti di legge o da atti amministrativi a contenuto generale, e non sia previsto alcun limite o contingente complessivo o specifici strumenti di programmazione settoriale per il rilascio degli atti stessi, è sostituito da una segnalazione dell’interessato con la sola esclusione dei casi in cui sussistano vincoli ambientali, paesaggistici o culturali e degli atti rilasciati dalle amministrazioni preposte alla difesa nazionale, alla pubblica sicurezza, all’immigrazione, all’asilo, alla cittadinanza, all’amministrazione della giustizia, all’amministrazione delle finanze, ivi compresi gli atti concernenti le reti di acquisizione del gettito, anche derivante dal gioco, nonché di quelli previsti dalla normativa per le costruzioni in zone sismiche e di quelli imposti dalla normativa comunitaria».
Con il riferito radicale passaggio di responsabilità dal pubblico al privato, viene rimesso all’interessato il compito di corredare la segnalazione, che lo abilita all’immediato esercizio dell’attività, delle dichiarazioni, attestazioni e asseverazioni necessarie, nonché dei relativi elaborati tecnici, con l’espressa precisazione (da leggere alla luce delle surrichiamate esclusioni dall’ambito di operatività della SCIA delle attività condizionate dai cd. interessi sensibili) che «nei casi in cui la normativa vigente prevede l’acquisizione di atti o pareri di organi o enti appositi, ovvero l’esecuzione di verifiche preventive, essi sono comunque sostituiti dalle autocertificazioni, attestazioni e asseverazioni o certificazioni di cui al presente comma, salve le verifiche successive degli organi e delle amministrazioni competenti».
I co. 3 e 4 disciplinano il controllo (meramente successivo), nelle forme della verifica immediata (nel termine di 60 giorni, ridotto a 30 per la SCIA edilizia) e di quella postuma (rigorosamente limitata dalla l. n. 124 alle condizioni previste dall’art. 21-nonies per l’esercizio dell’annullamento d’ufficio) sul legittimo utilizzo dello strumento e sono stati oggetto, prima dei decreti delegati del 2016, di continue modifiche anche da parte delle ultime riforme (in particolare, dopo quelle del d.l. 12.9.2014, n. 133, conv. nella l. 11.11.2014, n. 164, la stessa l. n. 124/2015), sollevando non poche questioni interpretative, non ancora del tutto risolte, sulle quali, per quanto non toccato dai suddetti decreti e non trattato infra, sia consentito il rinvio alla voce Autotutela, in Libro dell’anno del Diritto 2016, Roma, 2016.
Dal tradizionale sistema “autorizzatorio”, si è dunque passati, per le attività non totalmente liberalizzate o soggette a mera “comunicazione”, a un sistema di controllo “misto”, che, accanto al modello di assenso preventivo, di cui è stata peraltro progressivamente ampliata la possibilità di ottenimento implicito, ha visto, prudentemente (e, come vedremo, non sempre opportunamente) estendere la sostituzione del provvedimento (esplicito o implicito) di legittimazione preventiva dell’attività con uno strumento di sostanziale “liberalizzazione” della medesima, assurto ormai a «paradigma generale dell’azione amministrativa di controllo sull’iniziativa economica privata»3, che tuttavia, dopo oltre un quarto di secolo e nonostante gli sforzi interpretativi e rielaborativi compiuti dalla dottrina, dalla giurisprudenza e dallo stesso legislatore (supportato, per gli ultimi decreti delegati, da elaborati e complessi pareri del Consiglio di Stato)4, lascia tuttora aperti una serie di problemi, di natura sostanziale e processuale5.
In particolare, in un quadro normativo tutt’altro che scevro da incertezze sull’individuazione delle “regole” di esercizio di una determinata attività, i problemi posti dalla SCIA concernono, dalla parte del segnalante, la garanzia dell’effettività e della stabilità del titolo e, da quella dell’amministrazione e dei terzi controinteressati, la tutela contro l’improprio utilizzo dello strumento.
Nell’ottica di incentivazione delle attività economiche, la “riforma Madia” si è preoccupata innanzi tutto di offrire maggiori garanzie al segnalante. La l. n. 124/2015 è dunque, per un verso, direttamente intervenuta sulla disciplina del potere di controllo successivo dell’amministrazione, ridefinendone i confini in coerenza con i nuovi limiti al potere di autotutela caducatoria (art. 6)6 e, per l’altro verso, ha delegato il Governo alla «precisa individuazione dei procedimenti oggetto di segnalazione certificata di inizio attività o di silenzio assenso, ai sensi degli articoli 19 e 20 della legge 7 agosto 1990, n. 241, nonché di quelli per i quali è necessaria l’autorizzazione espressa e di quelli per i quali è sufficiente una comunicazione preventiva», in una con la definizione della «disciplina generale delle attività non assoggettate ad autorizzazione preventiva espressa»7, ivi compresa quella delle modalità di presentazione e dei contenuti standard degli atti degli interessati e delle modalità di svolgimento della procedura, anche telematica, e con la regolazione degli strumenti per documentare o attestare gli effetti prodotti da tali atti (art. 5). Il richiamo, nella delega, ai “princìpi del diritto dell’Unione europea relativi all’accesso alle attività di servizi” e ai “princìpi di ragionevolezza e proporzionalità” esterna, sotto altro profilo, il più ambizioso obiettivo di razionalizzazione e di rivisitazione dei rapporti tra poteri delle pubbliche amministrazioni e attività private, in un’ottica di tendenziale liberalizzazione di quelle che non necessitano di previ controlli pubblici8.
Il legislatore delegato, pur chiamato a un compito estremamente complesso, ha cercato di assolvere, per quanto possibile, almeno con riferimento alla SCIA, ad entrambe le finalità, ma la novella è ancora lontana dall’aver risolto ogni profilo di criticità dello strumento.
Confermando il carattere evidentemente utopistico del disegno di completa ricognizione e ridefinizione dei diversi regimi delle attività private potenzialmente confliggenti con l’interesse pubblico, il primo decreto delegato (d.lgs. n. 126/2016: cd. “SCIA1”) ha fallito l’obiettivo e il Governo è stato costretto a ridimensionarne drasticamente l’oggetto, precisando, all’art. 1, che «reca la disciplina generale applicabile ai procedimenti relativi alle attività private non soggette ad autorizzazione espressa e soggette a segnalazione certificata di inizio di attività», con rinvio a «successivi decreti legislativi» (ad oggi solo il cd. decreto “SCIA2”, su cui v. infra) per la catalogazione delle «attività oggetto di procedimento [termine evidentemente improprio: n.d.r.] di mera comunicazione o segnalazione certificata di inizio di attività ... od oggetto di silenzio assenso, nonché quelle per le quali è necessario il titolo9 espresso». L’articolo aggiunge peraltro che, «allo scopo di garantire certezza sui regimi applicabili alle attività private e di salvaguardare la libertà di iniziativa economica, le attività private non espressamente individuate ai sensi dei medesimi decreti o specificamente oggetto di disciplina da parte della normativa europea, statale e regionale, sono libere». La regola è all’evidenza dirompente (e, considerata la difficoltà di censimento delle diverse attività, estremamente rischiosa) se si considera che, nel parere n. 1784/2016, sullo schema di decreto “SCIA2”, il Cons. St. ha affermato che, stante l’effetto innovativo che la delega ha attribuito all’individuazione dei diversi regimi, alla luce dei principi eurounitari di accesso alle attività di servizi, proporzionalità e ragionevolezza, la disgiuntiva «o» implicherebbe che la salvezza delle discipline vigenti è limitata ai settori estranei a quelli che abbiano già costituito oggetto di catalogazione (ad oggi, commercio, edilizia e ambiente), mentre in questi ultimi le attività non espressamente individuate devono considerarsi comunque effettivamente “libere”. La soluzione prospettata dal parere non convince, ponendosi peraltro in contrasto con la previsione, accettata dallo stesso organo consultivo (pur con l’invito al Governo a meglio definirne i criteri), che le singole amministrazioni possono ricondurre «le attività non espressamente elencate nella tabella A, anche in ragione della loro specificità territoriale a quelle corrispondenti10, dandone pubblicità sul proprio sito istituzionale» (art. 2, co. 6, decreto SCIA2).
Per quanto concerne la disciplina generale, il decreto n. 126 ha innanzitutto regolato le modalità di presentazione delle istanze, segnalazioni, comunicazioni (art. 2) e la documentazione da allegare a tali atti, facendo obbligo alle amministrazioni competenti di predisporre e pubblicare sul proprio sito istituzionale moduli standardizzati e – per ciascuna tipologia di procedimento – l’elenco degli stati, qualità personali e fatti oggetto di dichiarazione sostitutiva, di certificazione o di atto di notorietà, nonché delle attestazioni e asseverazioni dei tecnici abilitati
o delle dichiarazioni di conformità dell’Agenzia delle imprese, necessari a corredo della segnalazione, indicando le norme che ne prevedono la produzione. Si segnala a tale proposito che l’art. 2, co. 5, dispone che la richiesta di integrazioni documentali non corrispondenti alle informazioni pubblicate e/o la mancata pubblicazione delle stesse costituiscono illecito disciplinare («punibile con la sospensione con privazione della retribuzione da tre giorni a sei mesi»). La previsione desta varie perplessità. Come già rilevato11 e ripreso nel parere n. 839/2016, sarebbe stato opportuno sostituire le parole «costituiscono illecito disciplinare» con “sono valutabili ai fini dell’illecito disciplinare”, in quanto – ferma piuttosto l’opportunità di chiarire che (almeno secondo quello che appare l’intentum legis) le richieste di integrazioni documentali non incidono comunque sul termine di conclusione del procedimento e, dunque, non possono pregiudicare il consolidamento della SCIA – a fronte di richieste “logiche”, non è giusto punire chi le ha effettuate, ma, al più, chi non ha inserito i documenti negli elenchi.
A garanzia dei suddetti obblighi di pubblicità, l’art. 2, co. 3, disciplina un doppio potere sostitutivo (che costituisce un’ulteriore costante della riforma Madia, tradotta nel d.P.R. 12.9.2016, n. 194, affidato, rispettivamente, alle Regioni nei confronti degli enti locali – «anche su segnalazione del cittadino», «nel rispetto della disciplina statale e regionale applicabile nella relativa materia» e allo Stato nei riguardi delle Regioni (ex art. 8 l. n. 131/2003).
Sono fatti in ogni caso espressamente salvi gli obblighi di trasparenza, le sanzioni e i rimedi del d.l.
n. 33/2013 (cd. Decreto trasparenza), con cui peraltro il parere n. 839 aveva invano rappresentato un’esigenza di coordinamento.
Aggiungendo un nuovo art. 18-bis (Presentazione di istanze, segnalazioni o comunicazioni) nella l. n. 241/1990, il d.lgs. n. 126 fa espresso obbligo alle amministrazioni di rilasciare «immediatamente, anche in via telematica, una ricevuta che attesta l’avvenuta presentazione dell’istanza, della segnalazione e della comunicazione e indica i termini entro i quali l’amministrazione è tenuta, ove previsto, a rispondere, ovvero entro i quali il silenzio dell’amministrazione equivale ad accoglimento dell’istanza». La novella precisa peraltro che, qualora contenga le informazioni di cui all’art. 8 della l. n. 241 (eventualità che appare illogicamente rimessa alla scelta discrezionale dell’amministrazione), la ricevuta costituisce anche comunicazione di avvio del procedimento (di verifica dei presupposti, nel caso di SCIA e di rilascio del titolo nel caso di istanza). È specificato, inoltre, opportunamente, che la data di protocollazione dell’istanza, segnalazione o comunicazione non può comunque essere diversa da quella della sua effettiva presentazione e che la ricevuta non è condizione di efficacia della SCIA, dell’istanza o della comunicazione, ferma restando la responsabilità (evidentemente, in mancanza di specifiche previsioni, secondo le norme generali) del soggetto competente.
Come precisato dal co. 2 dello stesso art. 18-bis, in caso di presentazione a un ufficio diverso da quello competente, i termini di cui agli articoli 19, co. 3 (per l’esercizio dei poteri inibitori/conformativi/repressivi), decorrono dal ricevimento della SCIA da parte dell’ufficio competente.
L’art. 3, co. 1, lett. c), del decreto n. 126 introduce a sua volta un nuovo art. 19-bis nella l. n. 241, rubricato «Concentrazione dei regimi amministrativi», volto a regolare le ipotesi di attività soggette a SCIA, che per il loro svolgimento necessitano di «altre s.c.i.a., comunicazioni, attestazioni, asseverazioni e notifiche» (cd. “SCIA – pura – unica”) o sono condizionate all’acquisizione di atti di assenso comunque denominati, a pareri di altri uffici e amministrazioni, o all’esecuzione di verifiche preventive (cd. “SCIA impura”).
Nel primo caso, il co. 2 del nuovo articolo stabilisce che «l’interessato presenta un’unica SCIA» allo sportello dell’amministrazione indicata nei decreti di cui all’art. 1, che ha il compito di trasmetterla “immediatamente” alle altre amministrazioni interessate per l’esercizio dei relativi controlli. La disposizione sembra tuttavia confondere i casi in cui per intraprendere un’attività sono necessarie più SCIA con quelli in cui sono, semplicemente, necessarie asseverazioni, attestazioni, notifiche “a corredo” di una medesima, unica, SCIA (art. 19, co. 1 e 6), per i quali non ha ovviamente senso (ed è fuorviante) parlare di (e disporre la) presentazione, semplificata e concentrata, di “un’unica SCIA”12. Non sembra inoltre logico, quando effettivamente occorrano più SCIA, lasciare al segnalante la scelta sull’amministrazione a cui affidare la gestione della pratica, anche e soprattutto perché il ruolo e il tempo lasciato alle altre amministrazioni competenti per i necessari controlli è incomprensibilmente ridotto, dal momento che, per un verso, il decreto non fissa un termine chiaro e certo (non potendo ritenersi tale l’avverbio “immediatamente”, soprattutto alla luce della sua traduzione negli art. 76, co. 2 e 5, del nuovo codice dei contratti pubblici) entro il quale l’amministrazione prescelta deve trasmettere loro la pratica e, per altro verso, esse non hanno un potere diretto di intervento, ma devono presentare a quest’ultima le loro “eventuali proposte motivate” almeno 5 giorni prima della scadenza di quelli concessi alla medesima per la chiusura del procedimento di verifica. In attuazione della descritta disciplina, l’art. 2, co. 3, del decreto “SCIA2” stabilisce che «Per lo svolgimento delle attività per le quali la tabella A indica il regime amministrativo della SCIA si applica il regime di cui all’articolo 19 della legge n. 241 del 1990. Ove la tabella indica il regime amministrativo della Scia unica, si applica altresì quanto previsto dall’articolo 19-bis, co. 2, della stessa legge n. 241 del 1990»: si chiarisce così il rapporto di specialità tra le due discipline, di talché quella della SCIA ordinaria si applica anche alla SCIA unica (coerentemente ricondotta nel parere n. 1784 alla medesima categoria della cd. “SCIA pura”), che è regolata “altresì” da una disposizione particolare.
Il co. 3 del nuovo art. 19-bis regola invece le ipotesi definite di “SCIA impura”, disponendo che, «nel caso in cui l’attività oggetto di SCIA è condizionata all’acquisizione di atti di assenso comunque denominati o pareri di altri uffici e amministrazioni, ovvero all’esecuzione di verifiche preventive, l’interessato presenta allo sportello di cui al co. 1 la relativa istanza», dalla quale fa decorrere il termine di convocazione della conferenza di cui all’art. 14. Recependo le indicazioni del Cons. St., la disposizione precisa subito dopo che (diversamente da quanto avviene per la “SCIA pura”), «l’inizio dell’attività resta subordinato al rilascio degli atti medesimi, di cui lo sportello dà comunicazione all’interessato». Siamo dunque di fronte a un meccanismo procedimentale del tutto diverso dalla SCIA vera e propria (anche “unica”), nel quale si innesta una fase prodromica di tipo autorizzativo classico, totalmente estraneo e anzi antitetico al modello SCIA: tanto che significativamente non si parla di “segnalazione”, ma di “istanza” e si avvia il percorso della conferenza di servizi. Il vantaggio per l’interessato è che la richiesta di autorizzazione (e, soprattutto, il suo ottenimento) grava direttamente sull’amministrazione, che si deve attivare con la conferenza di servizi. Il modello, richiamato dal decreto “SCIA2”, crea tuttavia, come si vedrà infra, notevoli problemi applicativi e interpretativi, per i quali si rinvia anche alla lettura del parere n. 1784.
Il decreto n. 126 non introduce invece particolari modifiche al sistema dei poteri di controllo disegnato dagli artt. 19 e 21 della l. n. 241, omettendo altresì di risolvere le criticità evidenziate dalla dottrina e dallo stesso Cons. St. (in entrambi i pareri) in riferimento al rapporto con la nuova disciplina dell’autotutela. Anche il decreto “SCIA2”, purtroppo, non affronta tutti i profili attenzionati dall’Organo consultivo, se non per l’individuazione del dies a quo del termine di 18 mesi per la verifica postuma sulla utilizzabilità dello strumento, che individua, privilegiando il criterio logico, nella scadenza del termine per la verifica ordinaria (art. 2, co. 4), e per la precisazione, nella Relazione illustrativa, che, la conferma di quanto stabilito dall’art. 21, co. 1, della l. n. 241/1990, ribadita dal medesimo comma, sta a significare che il divieto di conformazione delle attività avviate sulla base di dichiarazioni mendaci o di false attestazioni riconducibili all’art. 483 c.p. opera senza limiti di tempo solo quando la relativa fattispecie penale sia stata accertata con sentenza di condanna passata in giudicato. Il decreto n. 126 ha però ulteriormente circoscritto il potere di sospensione dell’attività nelle more della definizione del procedimento di controllo. L’art. 6 della l. n. 124/2015 – nel confermare la vigenza, in capo all’amministrazione competente, di un potere/dovere di intervento, in senso conformativo, inibitorio e/o repressivo in caso di riscontrata carenza dei presupposti e dei requisiti previsti dal co. 1, esercitabile entro 60 giorni dal ricevimento della segnalazione (ridotti a 30 per la SCIA edilizia: co. 6-bis) – stabiliva infatti che essa, con atto motivato, avrebbe dovuto, ove possibile, invitare il privato a «conformare l’attività intrapresa e i suoi effetti alla normativa vigente», «disponendo [al contempo: n.d.r.] la sospensione dell’attività intrapresa e prescrivendo le misure necessarie con la fissazione di un termine non inferiore a 30 giorni per l’adozione di queste ultime», decorso inutilmente il quale «l’attività si intende [come logico: n.d.r.] vietata». Nel riferito spirito di favore per il segnalante, il d.lgs. n. 126 ha invece limitato il potere di sospensione alle ipotesi in cui la SCIA contiene attestazioni non veritiere circa i requisiti posseduti o l’attività comporta pericoli «per la tutela dell’interesse pubblico in materia di ambiente, paesaggio, beni culturali, salute, sicurezza pubblica o difesa nazionale», consentendo, in ogni altro caso, la prosecuzione dell’attività illegittimamente avviata nelle more della “regolarizzazione” (sempre che, naturalmente, questa avvenga nei termini stabiliti). A parte l’incomprensibilità del riferimento alle sole “attestazioni” (e non anche alle asseverazioni, notifiche, comunicazioni, o altre dichiarazioni/segnalazioni), sembra però incongruo limitare il potere di sospendere l’attività in sede di prima verifica dell’abuso se, a prescindere dalla sussistenza di un “pericolo per l’interesse pubblico” legato a materie circoscritte, mancano comunque i presupposti o i requisiti per l’utilizzo della SCIA (e magari il segnalante, astutamente o per ignoranza, non ha fatto “attestazioni” al riguardo).
In sintesi, ai sensi dell’art. 19, co. 3, l. n. 241/1990, come modificato dall’art. 3, co. 1, lett. b), d.lgs. n. 126, in caso di carenza dei presupposti e dei requisiti previsti dall’art. 19, co. 1, entro 60 giorni dalla presentazione della segnalazione (ridotti a 30 per la SCIA edilizia), l’amministrazione competente (ovvero, in caso di più SCIA, quella cui è stata presentata la segnalazione) «adotta motivati provvedimenti di divieto di prosecuzione dell’attività e di rimozione degli eventuali effetti dannosi di essa». Peraltro, «qualora sia possibile conformare l’attività intrapresa e i suoi effetti alla normativa vigente, l’amministrazione competente, con atto motivato, invita il privato a provvedere prescrivendo le misure necessarie con la fissazione di un termine non inferiore a 30 giorni per l’adozione di queste ultime. In difetto di adozione delle misure da parte del privato, decorso il suddetto termine, l’attività si intende vietata. Con lo stesso atto motivato, … l’amministrazione dispone la sospensione dell’attività intrapresa» (solo nei casi appena esaminati). Il decreto precisa poi che il medesimo “atto motivato” (di conformazione e di eventuale sospensione) «interrompe il termine di cui al primo periodo, che ricomincia a decorrere dalla data in cui il privato comunica l’adozione delle suddette misure. In assenza di ulteriori provvedimenti, decorso lo stesso termine, cessano gli effetti della sospensione eventualmente adottata». Se può essere coerente far decorrere ex novo il termine di verifica, non appare altrettanto giusto tenere fermi gli effetti della sospensione durante il suo decorso, creando di fatto un’anomala ipotesi di efficacia differita del titolo.
Il d.lgs. n. 222 del 2016 (cd. “SCIA2”), di più lunga e complessa gestazione, ha, invece, intrapreso l’individuazione dei “regimi amministrativi delle attività private” (SCIA, SCIA unica, silenzio assenso, comunicazione, autorizzazione), prendendo le mosse da quelle in materia di edilizia, ambiente e commercio, che ha inquadrato in un’apposita tabella A, allegata al testo normativo e parte integrante dello stesso, che indica il regime amministrativo applicabile a ciascuna attività, con rinvio agli artt. 19 e 19-bis della l. 241 e con la conseguente specificazione che «nei casi in cui la tabella indica il regime della SCIA condizionata ad atti di assenso, comunque denominati» si applica quanto previsto dal co. 3 di quest’ultimo articolo (e dunque l’anomalo regime della cd. SCIA impura).
Come anticipato, nel parere n. 1784, il Cons. St. ha rilevato che l’individuazione dei diversi regimi è stata correttamente intesa dal Governo come una individuazione attiva e non meramente ricognitiva dell’esistente, proprio per adeguare la (più onerosa) disciplina vigente ai (più semplici) standard europei sull’accesso alle attività di servizi, nonché ai principi di ragionevolezza e proporzionalità (che spingono anch’essi verso una riduzione degli oneri esistenti), in linea con i criteri direttivi della delega.
La tabella è suddivisa in tre sezioni:
1) la I (Attività commerciali e assimilabili), ricomprende le attività di commercio su area privata, su area pubblica, l’esercizio di somministrazione di alimenti e bevande, strutture ricettive e stabilimenti balneari, attività di spettacolo o intrattenimento, sale giochi, autorimesse, distributori di carburante, officine di autoriparazione, acconciatori ed estetisti, panifici, tintorie, lavanderie, arti tipografiche, litografiche, fotografiche e
di stampa, per un totale di 81 attività;
2) la II (Edilizia) ricomprende gli interventi edilizi e i relativi regimi amministrativi, altri adempimenti successivi all’intervento edilizio e gli interventi relativi a impianti alimentati da fonti rinnovabili, per un totale di 105 attività;
3) la III (Ambiente) ricomprende le autorizzazioni integrate ambientali (AIA), le valutazioni di impatto ambientale (VIA), le autorizzazioni uniche ambientali (AUA), nonché le attività relative alle emissioni in atmosfera, alla gestione rifiuti, all’inquinamento acustico, agli scarichi idrici, alle dighe, alle bonifiche e altri procedimenti in materia di tutela dei corpi idrici, per un totale di 37 attività.
Appare alquanto utopistica la previsione (art., co. 3) che le amministrazioni procedenti forniscano consulenza gratuita agli interessati per l’istruttoria relativa alle attività indicate nella tabella.
Ai fini che qui interessano, il co. 4, con disposizione che, per la sua ampiezza e genericità, si pone in dubbia coerenza con le finalità di riordino e certezza della delega e con le modifiche all’art. 29 l. n. 241, stabilisce peraltro che «il comune, d’intesa con la Regione, sentito il soprintendente, può adottare deliberazioni volte a individuare zone o aree aventi particolare valore archeologico, storico, artistico e paesaggistico in cui è vietato, o subordinato ad autorizzazione, l’esercizio di una o più attività» contemplate dal decreto, in quanto incompatibili con le esigenze di tutela e valorizzazione del patrimonio culturale.
Come già visto il co. 6 dello stesso articolo, nonostante le preoccupazioni espresse nel parere del Cons. St. (che aveva giustamente segnalato l’eccessiva genericità della previsione) riconosce peraltro alle singole amministrazioni il potere di ricondurre le attività non espressamente elencate nella tabella A, anche in ragione delle loro specificità territoriali, a quelle corrispondenti, pubblicandole sul proprio sito istituzionale.
Il co. 7 affida poi al Ministro delegato per la semplificazione e la pubblica amministrazione, previa intesa con la conferenza unificata di cui all’art. 3 del d.lgs. n. 281 del 1997, il potere/dovere di procedere «periodicamente all’aggiornamento e alla pubblicazione della tabella A con le modifiche strettamente conseguenti alle disposizioni legislative successivamente intervenute».
Apposite disposizioni di coordinamento sono finalizzate ad adeguare la disciplina vigente ai regimi individuati nella suddetta tabella. Altre sono dirette a rendere più immediatamente comprensibile quanto graficamente rappresentato in tabella, ossia gli adempimenti delle pubbliche amministrazioni in ragione del regime giuridico generale individuato.
Gli artt. 3 e 4 si occupano rispettivamente della semplificazione in materia edilizia e della semplificazione in materia di pubblica sicurezza.
L’art. 3 merita speciale attenzione, perché interviene in modo significativo sul t.u. edil., riducendo il numero dei titoli edilizi e introducendo ulteriori elementi di semplificazione anche in riferimento alle ulteriori certificazioni connesse all’utilizzo delle opere edilizie. In particolare, sotto il primo profilo, viene eliminata la Comunicazione inizio lavori (CIL) e gli interventi che vi erano soggetti sono sottratti a qualsiasi controllo sotto il profilo edilizio; il regime “residuale” applicabile, oggi indivudato nella SCIA, diventa quello della Comunicazione asseverata di inizio lavori (CILA), cui viene ricondotto anche il restauro e risanamento conservativo che non riguardi parti strutturali dell’edificio; è abolita la cd. Super DIA, sostituita da una SCIA con efficacia differita.
Sotto il secondo profilo, si segnala la semplificazione del modello procedimentale per l’ottenimento del certificato di agibilità, sostituito con una SCIA, corredata dalla documentazione specificamente indicata dal co. 5 dello stesso articolo.
Si lascia peraltro alle Regioni la facoltà di estendere la disciplina della CILA ad interventi ulteriori rispetto a quelli individuati dalla disciplina statale. Nonostante il decreto non lo dica espressamente, vale evidentemente anche in questo caso la regola, sancita dall’art. 20, co. 4, che l’estensione non incide sul regime penale disegnato dall’art. 44.
L’art. 4 introduce semplificazioni dei regimi amministrativi in materia di pubblica sicurezza, intervenendo su alcune disposizioni del TULPS relative a locali ed impianti di minore impatto e, risolvendo, un’annosa questione, chiarisce che per le attività soggette ad autorizzazione della pubblica sicurezza per le quali la tabella prevede un regime di SCIA, questa produce gli effetti anche a fini ispettivi, della predetta autorizzazione. Prevale dunque la vocazione commerciale dell’attività, nel rispetto però delle esigenze di pubblica sicurezza, che giustificano – ai sensi dell’art. 16 t.u.l.p.s. – il potere dell’Autorità di controllare luoghi potenzialmente attrattivi di pluralità di utenti.
Molti ancora, come anticipato, i profili problematici dell’istituto, per una più completa ricognizione dei quali si invita a un’attenta lettura dei pareri resi dal Cons. St. sugli schemi dei due decreti. Compatibilmente con i limiti di spazio del presente contributo, se ne evidenziano i principali.
Superato il problema dell’individuazione del dies a quo per la decorrenza del termine di esercizio dell’intervento “postumo” (v. supra), il primo problema interpretativo è legato al rapporto tra l’art. 21nonies e l’art. 21, co. 1, l. n. 241/1990, sul quale il legislatore del 2015 si è limitato a un mero intervento di drafting, consistente nella sostituzione formale del termine “denuncia” con quello “segnalazione”. La disposizione, nel richiamare l’obbligo del segnalante di dichiarare (sotto la propria responsabilità) «la sussistenza dei presupposti e dei requisiti di legge richiesti» stabilisce pertanto ancora oggi che «In caso di dichiarazioni mendaci o di false attestazioni non è ammessa la conformazione dell’attività e dei suoi effetti a legge (omissis) ed il dichiarante è punito con la sanzione prevista dall’articolo 483 del codice penale, salvo che il fatto costituisca più grave reato».
Il Cons. St., recependo le perplessità, in realtà eccessive, avanzate da alcuni primi commentatori13, ha dunque rilevato l’esigenza di chiarire se la previsione debba considerarsi come un’ulteriore deroga al limite temporale massimo di intervento postumo previsto dall’art. 21-nonies, aggiuntiva rispetto a quella prevista dal co. 2-bis dello stesso articolo. Lo spirito della riforma, l’abrogazione dell’art. 21, co. 2, e il chiaro disposto dell’art. 21-nonies, co. 2-bis, consentono però agevolmente di circoscrivere la portata dell’art. 21, co. 1, alla verifica ordinaria che l’amministrazione deve compiere nei primi 60 o 30 giorni. Gli stessi pareri hanno del resto giustamente sottolineato che nella seconda ipotesi prospettata (per garantire il rispetto del principio di legalità sostanziale: cfr. C. cost., 7.4.2011, n. 115) il legislatore dovrebbe specificare «quali siano i poteri ulteriori esercitabili ex art. 21, co. 1, rispetto a quelli di intervento ex post alle condizioni dell’art. 21-nonies … ».
Il decreto “SCIA2” si limita a un generico richiamo al suddetto articolo (art. 2, co. 4), che in coerenza con la riforma, la Relazione illustrativa ha peraltro precisato significare che la conformazione non è mai possibile – e la norma risulta speciale e applicabile senza limiti di tempo – nei casi di dichiarazioni mendaci o di false attestazioni riconducibili alla fattispecie penale di cui all’art. 483 c.p. accertata con sentenza passata in giudicato.
Come segnalato in entrambi i pareri del Cons. St., anche (e considerate le caratteristiche e la valenza dello strumento, soprattutto) con riferimento alla SCIA è inoltre importante chiarire l’esatta portata dei nuovi limiti al potere di autotutela introdotti dalla l. n. 124 e in particolare quale sia la esatta delimitazione della (unica) fattispecie di deroga ai 18 mesi prevista dall’art. 21-nonies, co. 2-bis (ad esempio, se tra le “false rappresentazioni dei fatti” in deroga ai 18 mesi rientri anche la difettosa indicazione del sistema normativo di riferimento; ovvero se si possa aggiungere la possibilità di superare i 18 mesi, al di là delle condanne penali passate in giudicato, in tutti i casi in cui il falso è immediatamente evincibile dal contrasto con pubblici registri, come nel caso di percezione di pensione a nome di persona defunta; ovvero ancora quale sia l’esatta portata del riferimento alle «sanzioni penali, nonché» alle «sanzioni previste dal capo VI del testo unico di cui al d.P.R. 445 del 2000», che più d’uno tra i primi commentatori ha considerato come il frutto di un errore di drafting).
Il parere n. 1784 evidenzia invece che erano state già risolte in via interpretativa nel parere n. 839 e «a fortiori nel silenzio dell’amministrazione interessata – non richiedono ulteriori chiarimenti» – la questione dell’immediata applicabilità del termine generale dell’art. 21-nonies a tutti i provvedimenti, anche precedenti all’entrata in vigore della legge n. 124, «dovendosi ritenere priva di fondamento l’interpretazione – che pure taluno, poco convincentemente, ha sostenuto – secondo cui vi sia stata una sorta di ‘rimessione in termini’ dell’amministrazione per gli atti emanati prima di 18 mesi dall’entrata in vigore della riforma»; e – la questione «che la regola generale dell’art. 21-nonies si applica anche a provvedimenti che non sono formalmente definiti “di annullamento”», in quanto «alcune disposizioni utilizzano infatti, impropriamente, i termini “revoca”, “risoluzione”, “decadenza” (dai benefici) o simili per indicare, oltre all’abusivo utilizzo del titolo, la reazione dell’ordinamento all’illegittimo conseguimento del titolo, utilizzando forme che sono state definite di “annullamento travestito”». E il silenzio del decreto “SCIA2” sul punto conferma la condivisione della suddetta chiave di lettura.
Come evidenziato anche nel parere n. 1784, il nuovo art. 19-bis, co. 3, lett. c), l. n. 241, nel riportare sotto il regime della cd. “SCIA impura” (rinvio degli effetti della SCIA all’avverarsi delle richieste condizioni) le attività soggette a SCIA per le quali sia richiesta l’acquisizione di «pareri di altri uffici e amministrazioni, ovvero [al]l’esecuzione di verifiche preventive» pone un problema di coordinamento con quanto previsto nell’art. 19, co. 1, terzo periodo, che, sempre con riferimento alla «acquisizione di atti o pareri di organi o enti appositi, ovvero l’esecuzione di verifiche preventive», dispone che essi sono – più semplicemente – «comunque sostituiti dalle autocertificazioni, attestazioni e asseverazioni o certificazioni» di cui allo stesso comma. Il suddetto parere risolve peraltro l’antinomia nel senso che le esigenze di semplificazione sottese all’art. 19-bis ne implicano l’applicazione solo in presenza di atti autorizzatori, con conseguente prevalenza del procedimento già semplificato dall’art. 19, in caso di pareri o verifiche non accompagnate da atti autorizzatori. Il problema sembra però a ben vedere risolvibile, anche alla luce dell’art. 23 t.u edil. (cui la disposizione chiaramente si ispira), considerando che l’art. 19-bis, co. 3, si riferisce in realtà ai casi che l’art. 19 esclude dall’ambito della SCIA, in quanto le attività sono condizionate dall’esistenza di vincoli
o di atti finalizzati alla tutela di interessi “sensibili”. Da ciò l’ibrido strumento della cd. “SCIA impura” con l’anomalia della sua conciliabilità con la procedura della conferenza di servizi, che, evidentemente, si conclude con la determinazione espressa dalla amministrazione procedente (posto che il riferimento generico all’art. 14, il carattere obbligatorio e i presupposti per l’indizione della conferenza la fanno chiaramente inquadrare in quella decisoria).
La “nuova” attenzione per la posizione del segnalante ripropone però soprattutto in tutta la sua complessità e delicatezza la questione della difficoltà di conciliare la garanzia di stabilità del titolo con le esigenze di effettiva tutela del terzo che affermi di subire una lesione nella propria sfera giuridica per effetto dell’avvio dell’attività.
Il carattere perentorio del termine di cui all’art. 19, co. 1 e i nuovi limiti imposti dalla riforma all’intervento “postumo” dell’amministrazione contrastano invero con i tempi di instaurazione del giudizio ex art. 31 c.p.a., che, in base al co. 6-ter dello stesso art. 19 (introdotto nell’estate 2011 in polemica con la costruzione – di matrice dottrinaria e giurisprudenziale14 – di una tutela di accertamento, con possibilità di immediata tutela soprassessoria e caducatoria dell’implicito diniego di adozione di misure conformativo/repressivo/inibitorie), costituisce l’unico strumento di tutela contro l’omesso esercizio del potere di verifica del legittimo utilizzo della segnalazione.
Alcuni Tribunali15 hanno tentato di risolvere la questione affermando che i nuovi limiti all’intervento “tardivo” sulla SCIA operano solo per l’attività di autotutela (rectius, di controllo “postumo”) “d’ufficio” e non a fronte di una denuncia del terzo, che, in forza del citato art. 19, co. 6-ter, avrebbe tuttora titolo a contestare, senza limiti di tempo, con l’azione avverso il silenzio inadempimento, il mancato esercizio del potere inibitorio/repressivo o conformativo. La soluzione non sembra tuttavia coerente con la ratio della riforma, volta a garantire, in una con l’autoresponsabilizzazione del segnalante, le esigenze di certezza dell’operatore che si avvale della SCIA16, rendendo pertanto necessario un sollecito intervento del legislatore per la costruzione di un modello idoneo a coniugare entrambe le esigenze, delimitando il lasso temporale entro il quale il terzo può contestare l’inerzia della p.a. controllante. Una valida prospettiva sembra quella accolta da TAR Lombardia, Milano, sez. II, 15.4.2016, n. 735 (e 5.4.2014, n. 585), che, già in una fattispecie antecedente all’entrata in vigore della l. n. 124/2015, invocando anche la parità di trattamento con chi si duole di un titolo espresso, ha ritenuto che «il soggetto titolare di una situazione giuridica qualificata e differenziata che lamenti un pregiudizio derivante da una denuncia o segnalazione certificata di inizio attività possa ottenere il pieno e doveroso esercizio dei poteri inibitori, senza i limiti propri dell’autotutela, soltanto laddove abbia sollecitato l’intervento dell’amministrazione entro 60 giorni dal momento in cui ha avuto conoscenza della lesione». La stessa sentenza rilevava però che, oltre tale termine, il terzo potrebbe sollecitare l’intervento dell’amministrazione (e dunque agire avverso la sua eventuale inerzia) «al fine di invocare non già il pieno esercizio dei poteri inibitori, bensì il riscontro della sussistenza dei – diversi – presupposti normativamente previsti per l’intervento in autotutela»: si ripropone, quindi, il tema della compatibilità con i nuovi limiti fissati all’autotutela dalla riforma dell’art. 21-nonies. Il problema è attenzionato ma non è risolto neppure dalla sentenza Cons. St., sez. VI, 3.11.2016, n. 4610, che a fronte di una diffida successiva alla scadenza del termine per la verifica immediata, afferma il diritto del terzo ad agire – a decorrere dalla conoscenza dell’avvio dell’attività – contro il mancato esercizio del potere di verifica postuma, senza però chiarire cosa accade se la sentenza interviene dopo i 18 mesi, nè se il terzo possa riproporre la diffida se l’amministrazione non interviene entro l’anno. Da ciò l’imprescindibilità di una chiara (e possibilmente definitiva) presa di posizione del legislatore17, auspicata anche dal più volte richiamato parere del Cons. St.
In conclusione, il percorso evolutivo della l. n. 124/2015 e dei d.lgs. 126 e 222/2016 sulla liberalizzazione delle attività economiche presenta ancora diverse criticità e contraddizioni, rendendo pertanto necessario un nuovo e, per certi profili, più consapevole e meditato, intervento legislativo, anche per chiarire i rapporti con la legislazione regionale e per risolvere, come auspicato dal Consiglio di Stato, «la questione dell’applicabilità della presente lex posterior, ritenuta di natura ‘generale’, anche ai casi disciplinati da leggi ‘speciali’ anteriori», come il t.u. edil.18 (in primis quello del rapporto con il potere regionale di annullamento dei titoli abilitativi entro dieci anni dalla relativa formazione19).
Note
1 Il regolamento doveva altresì indicare le ipotesi in cui all’attività potesse darsi inizio immediatamente dopo la presentazione della denuncia (cd. DIA immediata), ovvero dopo il decorso di un termine prestabilito per categorie di atti, parametrato alla complessità degli accertamenti richiesti (cd. DIA differita). Il regolamento, approvato con d.P.R. 26.4.1992, n. 300, individuò quindi, rispettivamente, le attività a legittimazione immediata e quelle cui poteva darsi inizio solo una volta decorsi i termini ivi indicati. Per una critica a tale tendenza cfr. Sandulli, M.A., Riflessioni sulla tutela del cittadino contro il silenzio della pubblica amministrazione, in Giust. civ., 1994, II, 485.
2 Sandulli, M.A., Denuncia di inizio di attività, in Riv. giur. edil., 2003.
3 Cfr. Cons. St., parere 4.8.2016, n. 1784 (sul decreto “SCIA 2”).
4 Commissione speciale del Cons. St. 30.3.2016, n. 839 e 4.8.2016, n. 1784. Nel parere n. 839, il Consiglio di Stato sottolinea, sul piano dogmatico, come «L’innovatività del modello e l’emancipazione dell’attività segnalata da un ‘titolo amministrativo’ di natura pubblicistica è confermata dalla generalizzazione del meccanismo della dichiarazione immediatamente legittimante, fatto salvo e anzi rafforzato dalla l. n. 124, che riduce e razionalizza l’interferenza amministrativa sull’esplicarsi del modulo privatistico sul piano degli interventi successivi in autotutela (come si evince anche dalle modifiche degli articoli 21 e 21-nonies della l. n. 241) e dalla bozza di decreto delegato, che consolida e chiarisce la regola dell’immediata efficacia legittimante della segnalazione».
5 Sandulli, M.A., La segnalazione certificata di inizio attività (S.C.I.A.), in Sandulli, M.A., a cura di, Principi e regole dell’azione amministrativa, Milano, 2015.
6 Sul punto – e in particolare sulle incongruenze dell’art. 21, co. 2 della l. n. 241/1990, significativamente abrogato dall’art. 5 l. n. 124 – si rinvia a Sandulli, M.A., Autotutela, in Libro dell’anno del Diritto 2016, Roma, 2016 e Sandulli, M.A., Le novità in tema di silenzio, in Libro dell’anno del Diritto 2014, Roma, 2014; Strazza, G., La s.c.i.a. e il controllo successivo esercitato dalla pubblica amministrazione: problematiche non solo definitorie, in Riv. giur. ed., 2, 2014, 376.
7 Il parere n. 839 del Cons. St. ha giustamente sottolineato a questo proposito che «l’ampiezza dell’oggetto della delega … (significata proprio dall’espressione “disciplina generale”) non può non implicare anche la potestà di novellare la disciplina legislativa vigente».
8 Vesperini, G., Quale riforma per le autorizzazioni amministrative?, in Giorn. dir. amm., 2, 2016, 154 ss.
9 Correttamente, recependo le indicazioni del Cons. St., la versione finale del decreto ha sostituito il termine “titolo” a quello “autorizzazione”.
10 Come invano sottolineato nel parere del Cons. St., la previsione è eccessivamente generica e rischia facili eccessi da parte delle amministrazioni locali.
11 Sandulli, M.A., Semplificazione e certezza delle regole nel rapporto tra Amministrazione e amministrati: il caso della SCIA, Corso monografico Spisa su “Forma e riforma dell’amministrazione pubblica tra crescita economica e servizio ai cittadini: la l. n. 124/2015 e la sua attuazione”, 5.3.2016.
12 Nei pareri sugli schemi dei due decreti, il Cons. St. ha coerentemente osservato che il co. 2 dell’art. 19-bis va interpretato nel senso che le «comunicazioni, attestazioni, asseverazioni e notifiche» cui esso fa riferimento sono comunque connesse con una seconda SCIA ‘a monte’, altrimenti si ricade semplicemente nel regime ‘puro’ dell’art. 19, rispetto alla quale la “scia unica” si colloca in rapporto di specialità.
13 Lipari, M., La SCIA, cit.; diversamente, Sandulli, M.A., Semplificazione e certezza delle regole, cit., nel senso che la disposizione, chiaramente a favore della stabilità dei titoli, rende impossibile «sostenere che l’art. 21 comma 1 ponga problemi di coordinamento: dopo i 18 mesi o c’è un reato accertato con sentenza passato in giudicato oppure il titolo non può più essere “toccato”».
14 Greco, G., La SCIA e la tutela dei terzi al vaglio dell’Adunanza Plenaria: ma perché, dopo il silenzio assenso e il silenzio inadempimento, non si può prendere in considerazione anche il silenzio diniego?, in Dir. proc. amm., 2011, 1, 359 ss.; Cons. St., A.P. 29.7.2011, n. 15. La sentenza è stata evidentemente oggetto di numerosi commenti, tra i quali sia consentito il rinvio a Sandulli, M.A., Brevi considerazioni a prima lettura di Adunanza plenaria n. 15 del 2011, in www.giustamm.it, 2011.
15 TAR Veneto, sez. II, 12.10.2015, n. 1038 e n. 1039, rispettivamente, in Foro amm., 2015,10 e in www.iusexplorer.it, che ha richiamato i principi affermati, prima dell’entrata in vigore della cd. legge Madia, dal TAR Campania, Napoli, sez. III, 5.3.2015, n. 1410, in www.giustizia-amministrativa.it e dal TAR Piemonte, sez. II, 1°.7.2015, n. 1114, in Foro amm., 2015, 78, 2025.
16 Botteon, F., Scia, titoli abilitativi e principio di libertà nelle attività economiche (note a margine dello schema di decreto legislativo attuativo dell’art. 5 della l. 124/15 approvato “in esame preliminare” il 20 gennaio 2016), in www.lexitalia.it, 2016, ha affermato che «la provenienza dal terzo della sollecitazione non esonera affatto la p.a. dal rispetto del termine di 60 giorni e che è impedito al giudice ordinare all’amministrazione di agire in tal senso pure dopo il predetto termine. Fondamentale il fatto testuale che non sono previste eccezioni al termine»; in argomento, si veda anche Nicodemo, G.F., Tutela del terzo in edilizia – SCIA edilizia: i poteri di verifica della P.A. possono essere esercitati in ogni tempo?, in Giur. it., 2015, 11, 2478.
17 Cfr. Sandulli, M.A., Gli effetti diretti della 7 agosto 2015 L. n. 124 sulle attività economiche, le novità in tema di s.c.i.a., silenzio-assenso e autotutela, in www.federalismi.it, 2015, cit.
18 Sul punto, cfr. TAR. Veneto, sez. II, 23.2.2016, n. 205, in www.ratioiuris.it.
19 Sul punto, cfr. TAR Umbria, sez. I, 7.11.2016, n. 691.