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Scienza e letteratura

di Carlo D'Amicis - Enciclopedia Italiana - VII Appendice (2007)
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Scienza e letteratura

Carlo D'Amicis

Nel saggio Filosofia e letteratura, pubblicato nel 1967 sulla Fiera letteraria, I. Calvino scriveva che "la scienza si trova di fronte a problemi non dissimili da quelli della letteratura: costruisce modelli del mondo continuamente messi in crisi, alterna metodo induttivo e deduttivo, e deve stare sempre attenta a non scambiare per leggi obiettive le proprie convinzioni linguistiche". In realtà, nell'ambito della cultura ufficiale, il rapporto fra ricerca scientifica e letteraria è stato quasi sempre marginalizzato, non solo per la tendenza accademica a distinguere i campi del sapere, ma anche per la diffidenza antitecnologica palesata dagli intellettuali più influenti; diffidenza che, specialmente in Italia, si è concretizzata dapprima nel crocianesimo e nella riforma scolastica gentiliana e, successivamente, in un diffuso idealismo e in un'inclinazione estetizzante che hanno osteggiato la visione materialistica della realtà. Un fenomeno radicato ma relativamente moderno, se è vero, come scrive il filosofo P. Rossi in Immagini della scienza e mondi immaginari (in Il testo letterario e il sapere scientifico, 2003), che, anziché limitarla, "l'affermarsi delle scienze matematiche della natura ha accentuato l'opposizione tra sapere scientifico e immaginazione".

Tuttavia, se si prescinde dall'ambito metodologico e istituzionale, è evidente che, avanzando il progresso tecnico, gli intrecci tra s. e l. si sono progressivamente infittiti, sviluppandosi come tenace seppur disordinato tentativo di restituire, e nello stesso tempo ricomporre, la dicotomia tra l'artista e l'homo faber, tra la fantasia e la realtà, tra l'istinto e la razionalità.

Già nel Settecento, infatti, gli enciclopedisti compresero la necessità di un'estetica del sapere e innescarono quella tensione illuminista che, a partire dagli Elémens de la philosophie de Neuton (1738) di Voltaire, influenzerà un ampio versante della letteratura non solo francese. Ma se l'autore di Candide considerava il racconto un espediente divulgativo, prettamente funzionale all'azione intellettuale, in breve tempo il rapporto si invertì: non fu più tanto lo scienziato, il filosofo, l'epistemologo a ricorrere al progetto letterario quanto lo scrittore a tentare di tradurre in 'scienza umana' il suo lavoro. Se l'atteggiamento dello scienziato nei confronti della letteratura è stato condizionato dall'intrinseca 'inutilità' del libro (in Lessico famigliare, 1963, il romanzo autobiografico scritto dalla figlia N. Ginzburg, l'istologo ed embriologo torinese G. Levi considera la letteratura una perdita di tempo e si concede solo qualche poliziesco in inglese, per migliorare le sue capacità deduttive e la familiarità con la lingua), quello dell'umanista nei confronti della scienza si è fatto invece via via più attento e costruttivo, sia nell'ambizione di sistematizzare l'esperienza antropologica (come avviene nella Comédie humaine di H. de Balzac, o nelle opere di É. Zola maggiormente indirizzate a interpretare i fenomeni sociali del suo tempo attraverso le dottrine deterministiche e darwiniane o, ancora successivamente, nell'oggettivazione dello sguardo del nouveau roman), sia nella capacità di anticipare, a livello esperienziale, elementi che si riveleranno assai utili alla ricerca scientifica e filosofica. È il caso del narratore e drammaturgo austriaco (ma con studi di medicina alle spalle) A. Schnitzler (1862-1931), le cui novelle dedicate alla creazione onirica, all'isolamento umano, al disfacimento dell'Io, influenzarono gli studi psicoanalitici, ma anche di uno scrittore apparentemente estraneo all'indagine metodica e sistematica del mondo sensibile come M. Proust (1871-1922; figlio anch'egli di un eminente medico parigino), quando, nelle pagine iniziali della Recherche, descrive il lento passaggio dal sonno alla veglia, o quando, ricorrendo alla poetica del temps perdu, usa la medesima espressione con la quale il fisiologo tedesco H. Helmholtz, pochi anni prima, aveva descritto lo scarto tra l'applicazione di uno stimolo elettrico e la contrazione muscolare.

Il progresso tecnico e scientifico avanzò e, se la componente maggiormente retriva della cultura umanistica sbarrò le porte delle università e delle accademie, intelligenze originali e sensibili gli aprirono la casa della letteratura.

Piccoli capolavori, come La vie et l'ceuvre de Philippe-Ignace Semmelweiss, tesi di laurea redatta nel 1924 dallo studente in medicina L.-F. Destouches, successivamente noto come Céline, dedicata a uno degli eroi scientifici dell'Ottocento, il debellatore dell'infezione puerperale, nacquero per caso, sullo slancio entusiastico di un giovane adepto della scienza. Così come, sullo slancio pindarico che lo sviluppo della tecnica promuoveva, nacquero i romanzi dello scrittore inglese (a Londra, da ragazzo, frequentò la Normal School of Science) H.G. Wells (1866-1946), considerato, con J. Verne, il padre della moderna fantascienza, ma soprattutto il visionario e profetico cantore di uno dei grandi temi della cultura novecentesca: quello cioè della responsabilità dell'uomo di fronte al progresso tecnologico. Sarà proprio Wells, attraverso romanzi apparentemente disimpegnati come The island of doctor Moreau (1896; trad. it. 1955) e The war of the worlds (1898; trad. it. 1901), o con le utopie d'inizio secolo Anticipations (1901; trad. it. 1922) e Mankind in the making (1903), ad anticipare la frattura che si manifesterà nei decenni successivi all'interno della dialettica tra scienza e letteratura. Come ha infatti notato il filosofo U. Galimberti, da un certo punto in poi "la tecnica non promuove un senso, non apre scenari di salvezza, non redime, non svela la verità. La tecnica semplicemente cresce". E crescendo perde di vista ogni orizzonte umano, spirituale e cosmologico, assumendo come logica dominante il superamento di sé stessa.

Ecco quindi che a opere come Le cosmicomiche (1965) di I. Calvino (1923-1985), dove fenomeni come il big bang o la formazione del sistema solare sono trattati come elementi mitici e insieme familiari, in grado di ampliare e ristrutturare il nostro sguardo sul mondo, si contrappone l'amaro scetticismo del drammaturgo svizzero F. Dürrenmatt (1921-1990), segnato dal macabro feticcio della bomba atomica.

All'esaltazione futurista delle macchine, della velocità, della tecnica, si frappose la resa ideologica di Homo faber (1957), romanzo in cui il drammaturgo svizzero M. Frisch (1911-1991) mette in scena prima la crisi e poi lo sgretolamento di un tipico esponente della civiltà tecnologica, che si ostina a rifiutare tutto ciò che non può essere spiegato con la logica.

Dal rigore morale e stilistico del chimico P. Levi (1919-1987), che vedeva nel "rapportino di fine settimana, quello che si fa in fabbrica o in laboratorio, e che deve essere chiaro e conciso" un modello di scrittura, così come dal colto poliformismo lessicale dell'ingegnere C.E. Gadda (1893-1973) e dal suo enciclopedismo, divergono infine non soltanto il postmodernismo catastrofista e iconoclasta di scrittori come J.G. Ballard (il quale in Crash, 1973, trad. it. 1990, celebra il fascino perverso e distruttivo dell'automobile), K. Vonnegut (che già nel suo libro d'esordio Player piano, 1952, trad. it. Distruggete le macchine, 1979, descrive un'America succube della tecnologia), P.K. Dick (che nei suoi immaginifici romanzi, da The man in the high castle, 1965, trad. it. La svastica sul sole, 1965, a A scanner darkly, 1977, trad. it. 1979, associa in modo indissolubile progresso scientifico e degrado dei valori umani), ma anche una poetica, lontana dal clima culturale americano del secondo dopoguerra, come quella di P. Volponi (1924-1994): si pensi alla rappresentazione simbolica, ma fortemente critica, dei rapporti di alienazione tra individuo e macchina descritta in Memoriale (1962), oppure al mezzo meccanico con cui il protagonista di La macchina mondiale (1965) vorrebbe risollevare il mondo dalla sua montante follia.

Se per alcuni la scienza costituisce ancora un modello epistemologico seducente (come per il tedesco H.M. Enzensberger in Der Zahlenteufel, 1997, trad. it. Il mago dei numeri, 1997; o per il giovane inglese M. Haddon in The curious incident of the dog in the night-time, 2003, trad. it. Lo strano caso del cane ucciso a mezzanotte, 2003, dove le capacità algebriche e logiche del protagonista coincidono con una percezione lirica e acuta del mondo circostante), per altri il progresso scientifico, divenuto ormai tecnocrazia, si trasforma in un mostro minaccioso e in un'espressione della crisi dell'uomo contemporaneo (come per P. Pallavicini in Atomico dandy, 2005, nel quale il declino morale del protagonista sembra coincidere con quello della ricerca scientifica).

Fra la tragedia dell'atomica e l'avvento delle biotecnologie, che costringono a ridefinire il concetto stesso di vita, lo scrittore ripensa più cautamente al suo rapporto con la scienza. Da una parte, in anni in cui le trasformazioni del mondo sono veloci e radicali, tende metodologicamente, e con ambigua umiltà, a identificarsi con un ricercatore nel suo laboratorio. Esemplari, a tale proposito, le analogie istituite dallo scrittore statunitense J. Safran Foer in una conferenza tenuta nel gennaio 2005: "al pari della scienza, la letteratura prova a dire il mondo servendosi di un sistema di misura applicabile a tutto, cioè le parole: i libri sono equazioni matematiche in cui le parole vengono combinate per esprimere delle verità". O evidenziate da Ballard nella prefazione all'edizione francese, datata 1974, di Crash: "lo scrittore non ha più una posizione morale: offre ai lettori il contenuto del proprio cervello. Il suo ruolo è quello dello scienziato che, in safari o in laboratorio, si trovi davanti a un territorio o argomento del tutto sconosciuto". Dall'altra confina la scienza, o per meglio dire quella corsa tecnologica che la scienza è diventata, a generi rassicuranti e assai poco innovativi come il romanzo d'avventura e soprattutto quello giallo, che nei primi anni del 21° sec., grazie ad autori come J. Deaver, P. Cornwell, K. Reichs, C. Cussler, M. Connelly, M. Crichton, particolarmente capaci di coniugare le leggi deduttive del genere ai nuovi strumenti di ricerca, conoscono una nuova e dilagante fortuna.

bibliografia

A. Battistini, Letteratura e scienza, Bologna 1977.

M. Petrucciani, Scienza e letteratura nel secondo Novecento. Ricerca letteraria in Italia tra algebra e metafora, Milano 1978.

U. Galimberti, Psiche e techne. L'uomo nell'età della tecnica, Milano 1999.

M. Nacci, Pensare la tecnica. Un secolo di incomprensioni, Roma-Bari 2000.

G.O. Longo, Homo technologicus, Roma 2001.

P. Zublena, L'inquietante simmetria della lingua. Il linguaggio tecnico-scientifico nella narrativa italiana del Novecento, Alessandria 2002.

Il testo letterario e il sapere scientifico, a cura di C. Imbroscio, Bologna 2003.

P. Antonello, Il ménage a quattro. Scienza, filosofia, tecnica, nella letteratura italiana del Novecento, Firenze 2005.

M. Piccolino, Lo zufolo e la cicala. Divagazioni galileiane tra la scienza e la sua storia, Torino 2005.

Vedi anche
letteratura In origine, l'arte di leggere e scrivere; poi, la conoscenza di ciò che è stato affidato alla scrittura, quindi in genere cultura, dottrina. Oggi s'intende comunemente per letteratura l'insieme delle opere affidate alla scrittura, che si propongano fini estetici, o, pur non proponendoseli, li raggiungano ... romanzo giallo Romanzo poliziesco molto diffuso (così chiamato in Italia a partire dagli anni Trenta perché di solito il libro aveva una copertina gialla), che tiene desto l'interesse del lettore con la narrazione di misteriosi delitti o vicende impreviste e di un'inchiesta (→ poliziesco). romanzo In linguistica e in filologia, lo stesso che neolatino (➔ neolatine, lingue); filologia romanzo, quella che ha per oggetto di studio, soprattutto comparativo, i testi letterari, antichi ma anche moderni, redatti nelle lingue romanze, e la cultura che essi esprimono. poesia Arte di produrre composizioni verbali in versi, cioè secondo determinate leggi metriche, o secondo altri tipi di restrizione; con una certa approssimazione si può dire che il significato di poesia è individuabile, nell’uso corrente e tradizionale, nella sua contrapposizione a prosa, in quanto i due termini ...
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letteratura
letteratura s. f. [dal lat. litteratura, der. di littĕra e littĕrae, secondo il modello del gr. γραμματική (v. grammatica)]. – 1. In origine, l’arte di leggere e scrivere; poi, la conoscenza di ciò che è stato affidato alla scrittura, quindi...
volgare¹
volgare1 volgare1 (ant. vulgare) agg. [dal lat. vulgaris, der. di vulgus «volgo»]. – 1. non com. Del volgo, degli strati socialmente, culturalmente ed economicamente inferiori della popolazione: usi, tradizioni, pregiudizî v.; nell’uso...
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